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BOLIVIA, TERZO GIORNO DI RIVOLTA E REPRESSIONE
by anubi Tuesday October 14, 2003 at 12:50 PM mail:  

la battaglia del gas continua, l'epicentro si è spostato definitivamente da El Alto a La Paz in tumulto, il confronto è direttamente tra l'insurrezione civica e l'ercito schierato a presidiare uno stato d'assedio non dichiarato

Oggi 14 ottobre, sin dalle prime luci dell'alba le strade di La Paz sono tornate a riempirsi di folle in tumulto e a tramutarsi in terreno di scontro con i reparti dell'Esercito schierati a presidio del centro politico della capitale boliviana.
Tutti i quartieri della città sono costellati di barricate che proteggono assembramenti di cittadini, contadini e minatori indigeni dell'Altiplano confluiti a La Paz tra ieri sera e stamattina. Tutti continuano a gridare per le dimissioni del presidente assassino "Goni" Sànchez de Lozada, amico del clan Bush, e per la riappropriazione pubblica e comune del gas naturale e del petrolio.
Episodio di furiosa resistenza ad uno stato d'assedio non dichiarato si sono susseguiti lungo queste ultime 12 ore. Durante la notte un camion militare che trasportava più di 50 parà a Chasquipampa, uno dei quartieri esclusivi della zona sud di La Paz da ieri assediati dai poveri della capitale, è stato ricacciato dalle barricate dei vicini, nonostante l'uso delle mitragliatrici, a colpi di pietra e con la forza dei soli corpi: i militari son dovuti fuggire abbandonando camion e munizioni...
Il tumulto popolare è stato incrementato dalle molte testimonianze d'un episodio tragico e significativo: di fronte ad altre barricate, il comandante d'una unità della Guardia Nazionale calata sul centro della capitale, San Francisco, con carri armati e blindati in soccorso del presidente assassino, ha ucciso stanotte a pugni e calci un soldato semplice che si era ammutinato in piazza, rifiutando di sparare sulla folla.
In molte strade sono scese madri di soldati, che dalle barricate chiedono urlando e piangendo in lingua quechua e aymara ai figli e ai loro commilitoni di ritornare a casa, di non sparare sui fratelli indios. Molte prime linee hanno visto il ritorno dei reparti di polizia a rimpiazzare quelli dell'esercito, e gli agenti sono tornati a fare largo uso di pallottole di plastica e gas lagrimogeni contro gli assembramenti.
Molte voci testimoniano d'una diffusa presenza di paramilitari sostenitori del presidente, in armi ed abiti civili, che agiscono da franchi tiratori sparando dagli angoli delle avenidas e dai tetti sui mille cortei che attraversano i quartieri: com'era già accaduto durante le giornate del 12 e 13 febbraio scorso, durante la rivolta per l'acqua vinta dalla popolazione contro il governo privatizzatore.
Nel frattempo, il vicepresidente Carlos Mesa ha ribadito stamane la rottura annunciata ieri con "Goni" e con il suo partito, il Movimiento Nacionalista Revolucionario (MNR).
Il capo dello stato e sfruttatore delle miniere, che ieri ha ricevuto il pesante appoggio di Condoleeza Rice e del Dipartimento di Stato USA, già non ha più alcuna base politica e parlamentare per permanere al potere: oltre la defezione del vice, si è dimesso ieri il mimistro economico Torres del centrosinistro Movimiento de Izquierda Revolucionaria (MIR), il cui gruppo in parlamento ha lasciato di fatto la maggioranza, come ufficialmente già fatto dal partito di centrodestra Nueva Fuerza Republicana (NFR).
Ma il prezzo della rivolta e della repressione è altissimo: la morgue di La Paz da 12 ore si riempie sempre più di madri e di giovani, soprattutto aymara, in cerca dei figli e dei padri. Oltre i circa 50 morti registrati dalle associazioni umanitarie e dalla Chiesa nelle da sabato notte ad oggi, si parla di decine di scomparsi, "desaparecidos". A El Alto, scenario del massacro di domenica, i nuovi uccisi sono vegliati nelle strade e si compiono i riti indigeni tra le barricate.
Ancora a La Paz, il solo Hospital de Clínicas ha ricoverato ieri 31 civili feriti dai militari, in maggior parte uomini e 14 dei quali bruciati in varie parti del corpo dai proiettili traccianti e dalle granate usate dall'Esercito. Due sono morti nella notte: un non identificato, l'altro si chiamava Raùl Flores Huaca, indio ovviamente. Ripeto, in quel solo ospedale.
Nella zona di Ovejullo, poi, sono morte altre quattro persone sotto il fuoco dei parà: i familiari dichiarano che non hanno un soldo né per le onoranze né per la sepoltura. Dalla notte ad ora, risultano 20 uccisi e 70 feriti.
In totale, dalla domenica di sangue, si contano 57 caduti nella "battaglia del gas".
Intanto Evo Morales, leader delle organizzazioni maggioritarie dei cocaleros e del Movimiento Al Socialismo (MAS), continua ad essere nel mirino della repressione insieme alla leadership delle assemblee comunitarie quechua e aymara, dopo il messaggio minaccioso di ieri del "Goni" che è tornato ad accusalri per nome e cognome di "sedizione".

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