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concorso morale, concorso in associazione mafiosa o sovversiva, compartecipazione psichica
by mj Wednesday November 05, 2003 at 06:09 PM mail:  

libera digressione sui temi

si risente parlare del reato di concorso morale tanto in uso negli anni settanta e ottanta. la questione riguarda tra gli altri anche il fincheggiatore o colpevole di concorso morale fiorentino cosi' come ha riguardato in un piu' recente passato i teatranti austriaci di genova
negli anni novanta il concorso morale viene utilizzato dai giudici palermitani e da quelli milanesi per imputare i reati di concorso esterno in associazione mafiosa (416 bis) e di contiguita' o una cosa simile in caso di reati commessi nel bel mondo delle pubbliche amministrazioni. il concorso esterno in associazione mafiosa e/o il concorso morale pero' non e' un reato rispetto al quale tutti giungono alle stesse conclusioni, come si puo' vedere da questa ordinanza della corte costituzionale che respinge una ricusazione per concorso morale in caso di strage e questa sentenza della cassazione che respinge l'accusa di concorso morale nell'omicidio di lima per il boss accusato
. il momento in cui la configurabilita' del concorso eventuale nel reato associativo fu fortemente messa in discussione dalle varie destre fu (a parte che per gli arrestati e condannati dello stragismo nero degli anni settanta/ottanta) allorquando la questione prese a riguardare politici di ogni risma o capi corrente o segretari di partito. l'accusa ed il processo ad andreotti per concorso esterno in associazione mafiosa che si e' concluso con la sua assoluzione non e' che uno dei tanti esempi.
si comincio' ad aver paura di questa "terribile accusa" a tal punto che ci fu l'esigenza di stabilire che il concorso morale non riguarderebbe ne' gli avvocati (tipo avvocati di latitanti vari) ne' gli agenti scelti che sono coinvolti in una qualunque illegale situazione:
cosi' e' esente il difensore dall'accusa di concorso in associazione mafiosa e lo e' anche l'agente di polizia provocatore che istiga a compiere il reato per prendere quello che era stato indivisuato in quanto potenziale colpevole
. su quest'ultima cosa gli artisti del diritto si sono sbizzarriti a compilare ed aggiornare una serie di possibili situazioni in cui gli agenti c.d. qualificati potrebbero essere individuati in quato rei di varie forme di concorso morale.
ma il concorso morale non riguarderebbe neppure altre tipologie di sodalizi che si realizzano ad esempio, piuttosto frequentemente, nei casi di stupro collettivo in cui qualcuno non contesta e non partecipa.
tanto e' incredibilmente scritto su una sentenza in cui si esplicita che: condividere lo stupro non equivale a commetterlo e su altri documenti che spiegano che: per il concorso morale nel reato non basta la semplice adesione psichica.
infine e' d'obbligo riportare uno splendido intervento di giuliano ferrara su panorama a proposito del concorso esterno o concorso morale da abolire in sicilia in quanto che: "solo perche' un politico siciliano vive nell'ambiente in cui vive non e' reo di concorso esterno".
vi riporto comunque l'articolo perche' costituisce la somma delle argomentazioni addotte durante gli ultimi anni da difensori e politici in relazione a processi che coinvolgevano vari onorevoli e presidenziali individui.

Come ribellarsi al concorso esterno

di Giuliano Ferrara
14/8/2003

In Sicilia si applica di fatto uno speciale diritto penale, che prevede il "reato di chiacchiera". Cancellarlo porterebbe un po' di aria pulita nel rapporto con il Paese di cui l'isola fa parte.
Insisto. Avevo minacciato i lettori di tornare per una seconda puntata sul dovere dei politici siciliani di ribellarsi al reato di «concorso esterno in associazione per delinquere di tipo mafioso», e passo dalla minaccia all'atto.
Alla ripresa dell'attività civile nell'isola, gli onorevoli componenti l'Assemblea regionale siciliana, e con loro i sindaci e gli amministratori dell'isola, avranno la scelta di grattarsi questa pulce dall'orecchio o far finta di niente.
È una pulce gigantesca, e riguarda la legalità e il suo drammatico rapporto con la politica italiana, particolarmente nell'ultimo decennio. Riassumo rapidamente. Se un assessore regionale lombardo o laziale o emiliano incontra un costruttore, parla di appalti, ascolta richieste, valuta crediti e procedure, oppure raccomanda qualcuno che gli è stato consigliato da un amico oppure semplicemente parla al telefono con persone alle quali è legato e che non sono stinchi di santo, in genere non succede niente di drammatico. Se il suo attivismo è legale, se non infrange codici etici autoevidenti, l'assessore, il politico italiano medio non ha niente da temere.
Può incappare in un processo, in un'indagine, può avere da rendere conto di qualche dettaglio, sempre nel caso di un comportamento limpido, ma non viene bollato di un marchio d'infamia con tanta facilità. Se la stessa cosa accade a un politico siciliano, come nei casi del presidente della giunta regionale Totò Cuffaro o del vicepresidente dell'Assemblea Vladimiro Crisafulli, la faccenda cambia seriamente di registro e di tono, è in agguato il «concorso esterno», una specie di reato associativo di serie B in base al quale ci si deve difendere dalla mostruosa accusa di collusione con la mafia per il solo fatto di vivere nella società in cui si vive.
Che questo reato sia a dir poco mal definito e contribuisca a un avvelenamento della politica lo hanno ammesso in tanti, e nella precedente legislatura fu discusso in un foro bipartisan il modo di abrogarlo o renderlo meno tossico. Ma non se ne fece niente, perché noi ci riempiamo la bocca con la legalità ma poi nel linguaggio civile corrente le accuse contro un nostro nemico sono «accuse», e quelle contro i nostri amici sono «veleni». Aspettarsi una battaglia di idee dai nostri giureconsulti è vano, non resta che la ribellione aperta di coloro che subiscono il danno e lo riversano immancabilmente sui cittadini, sulla certezza del diritto in una grande regione italiana umiliata dalla cultura del sospetto e, peggio, del pettegolezzo e dell'uso malandrino della maldicenza.
La rivolta dei chiacchierati e dei chiacchierabili non sarà una seconda puntata dei Vespri siciliani, ma porterebbe un po' d'aria pulita nel rapporto da sempre tormentato tra la Sicilia e il Paese di cui l'isola fa parte.
L'obiettivo è una Sicilia che non sia una colonia alla quale si applica uno speciale diritto penale, nelle cui fessure si insinua il più losco malaffare, ma invece una regione in cui magistratura e polizia indagano su reati commessi da singole persone e hanno davvero il potere e l'autorità per sanzionarli.
Per il reato emergenzialista di «associazione mafiosa» si vedrà, nessuno può negare che questa formula antigiuridica abbia dato risultati decisivi nella lotta a quella speciale forma di criminalità che sono le cosche di Cosa nostra e il loro vertice.
Ma il «concorso esterno», per i modi recenti e passati della sua applicazione, è diventato un grottesco rimedio da bancone, un'Aspirina che si somministra senza tanti problemi e alla fine dà il via libera al caos più patologico, come dimostrano i casi celebri di applicazione di quel reato assurdo.
Come si fa a ribellarsi? Si fa, si fa. Se ci si vuole sottrarre a questa minaccia sistematica che inquina la vita pubblica siciliana, e se si vuole dimostrare di non avere niente da temere da una limpida battaglia pubblica, si riunisce l'Assemblea regionale per una sessione speciale dedicata al caso; si approva un ordine del giorno dopo aver ascoltato testimonianze dirette; si coopera con le camere penali siciliane e si investe della questione la Corte costituzionale; si esce dalla convivenza passiva e pigra con le questioni relative alla mafia mettendo in campo i propri doveri civili di amministratori che si presumono onesti fino a prova contraria, e si mette in chiaro che non è possibile servire lo Stato e la comunità con questa spada di Damocle che pende sul capo. Per chiaro paradosso morale, e la morale spesso è fatta di paradossi, in questo modo la classe politica siciliana dimostrerebbe di non essere in quanto tale compromessa, di avere sufficiente autonomia e libertà di movimento per esigere che la legalità nell'isola sia tutelata severamente, ma con giustizia.
Si dissiperebbe l'impressione che invece, per paura o per pigrizia intellettuale ed etica, i politici siciliani abbiano deciso una volta per tutte di risolvere ciascuno per sé la propria faccenda, e di subire il «reato di chiacchiera» cercando di cavarsela attraverso il potere nel partito, l'appello agli elettori o il lobbying nei confronti dei settori amici della magistratura.


fine articolo
****

quello che vale per cuffaro, andreotti, berlusconi, previti, etc etc, secondo ferrara e molti altri notabili della ordinaria legislatrice politica italiana non vale invece per coloro ai quali si imputa persino il reato di compartecipazione psichica 1 | 2

riepilogando: i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, di contiguita' per i reati commessi nella pubblica amministrazione, di concorso morale... non sono imputabili a nessuno tranne che a quelli che essendo nel bel mezzo di una manifestazione o non esprimendosi propriamente in maniera dissenziente nei confronti di chicchessia diventano allora di conseguenza psichicamente compartecipi e moralmente in concorso con i presunti terroristi.
come dire: datosi che un fiorentino vive a firenze e frequenta lo stesso centro sociale frequentato da tizio caio e sempronio allora va arrestato.
in ogni caso questo intervento non ha la presunzione di coprire tutto lo scibile del mondo della giurisprudenza e affini.
se qualcuno preparato in studi di giurisprudenza vuole commentare, correggere, integrare, etc etc lo invito a farlo perche' potrebbe essere una cosa da voler approfondire e sulla quale si puo' sviluppare un dossier che analizza reati, leggi e sue differenti applicazioni a seconda di chi governa. giusto per spiegare che la legge non e' uguale per tutti ma dipende da quando, dove, come e in che contesto politico la si applica.

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