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RELAZIONE TERRITORIALE BASILICATA : ROTONDELLA, SCANZANO, ECC.
by seven suns Sunday November 16, 2003 at 04:04 PM mail:  

In questa inchiesta parlamentare del 2000, emergevano forti perplessità sulla condotta della SORIM di Scanzano Jonico e sul centro ENEA di Rotondella nella gestione dello smaltimento dei reflui e delle scorie radioattive... fa bene rileggerla in questi giorni!

**N.B.**
si tratta dell'allegato 2 (da pag. 266 in poi) della più ampia relazione della "Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse" con data 12 luglio 2000.
****

RELAZIONE TERRITORIALE SULLA BASILICATA
(Relatore: on. Ermanno Iacobellis)
Premessa

La Basilicata è l'ultima, tra le regioni meridionali, cui la Commissione dedica una relazione territoriale. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che questa regione è l'unica - nel Mezzogiorno - a non essere interessata da provvedimenti di commissariamento in materia e a far registrare attività illecite di assai minore gravità rispetto alle altre aree meridionali.
Si tratta di una regione nella quale si registrano invece importanti attività di prevenzione, ad opera di tutti i soggetti interessati, dall'ente regione alle prefetture, dalle forze di polizia e di contrasto alle associazioni ambientaliste. Esistono però ulteriori elementi che rendono la Basilicata del tutto particolare tra le regioni meridionali: tra questi l'attività di prospezione petrolifera in corso nella Val d'Agri e il centro Enea della Trisaia, del quale si è occupata in maniera approfondita la Commissione monocamerale operante nella passata legislatura.

Le audizioni e le missioni.

La Commissione ha proceduto all'audizione, in sede di adunanza plenaria, della dottoressa Francesca Macchia, sostituto presso la Procura di Matera, il 19 settembre 1997 e l'8 luglio 1998.
Una delegazione della Commissione, composta dal Presidente, onorevole Massimo Scalia, dall'onorevole Pierluigi Copercini e dai senatori Giovanni Iuliano e Giuseppe Specchia si è recata a Potenza il 25 settembre 1998. Presso la sede della prefettura si sono svolti gli incontri con il prefetto di Potenza, Gianni Ietto, con il procuratore della Repubblica di Potenza, Gelsomino Cornetta, con il sostituto procuratore di Potenza, Erminio Rinaldi, con l'assessore all'ambiente della regione Basilicata, Filippo Bubbico, con il dirigente generale del dipartimento sicurezza sociale e politiche ambientali della regione Basilicata, Michele Vita, con il presidente dell'associazione piccole e medie industrie, Mario Vasta, con i rappresentanti di Legambiente, Gianfranco De Leo e Gaetano Baldassarre, e con i rappresentanti del Wwf, Albano Garramone e Antonio Bavusi.
Il 25 gennaio 2000 una delegazione della Commissione, composta dal Presidente, onorevole Massimo Scalia, dai deputati Lucio Marengo e Domenico Izzo e dal senatore Giovanni Iuliano, si è recata in Basilicata dove ha svolto sopralluoghi a Ferrandina (Mt) presso l'ex stabilimento della Materit, a Scanzano Ionico (Pz) presso i siti interessati dalle prospezioni della Sorim Spa, e a Viggiano (Pz) presso il centro della Saipem.
Nel corso delle audizioni, sia il prefetto che i rappresentanti dell'autorità giudiziaria hanno evidenziato come il territorio della regione sia esposto a rischi di smaltimenti illeciti, per via delle sue particolari connotazioni morfologiche. E - benché non vi siano risultanze giudiziarie al proposito - hanno indicato come possibile il coinvolgimento della criminalità organizzata in tali attività. Un'analisi con la quale ha concordato l'assessore regionale all'ambiente, che ha comunque evidenziato l'attività amministrativa di contrasto a tali forme di illeciti, sia con l'impegno nella pianificazione che con la creazione (prima fra le regioni meridionali) dell'Arpa. L'accento sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti è stato posto anche dai rappresentanti delle associazioni



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ambientaliste, che hanno anche evidenziato come dal punto di vista della corretta gestione del ciclo la Basilicata sia tuttora in ritardo a causa del mancato sviluppo della raccolta differenziata. Per il rappresentante degli imprenditori, infine, esistono motivi di difficoltà per le imprese a causa del non completato aggiornamento di tutta la normativa.

La normativa regionale.

La regione Basilicata ha in avanzato stato di elaborazione il nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti, il cui testo è reso disponibile anche sulla rete Internet; il testo non è tuttavia operativo giacché non è ancora stata approvata dal Consiglio regionale la legge di attuazione del piano. Attualmente sono pertanto in vigore le previsioni della legge regionale n.22 del 1986, che aveva come riferimento il decreto del Presidente della Repubblica 915 del 1982. La normativa del 1986 ha una impostazione assai centrata sull'ente Regione, a cui viene in pratica demandato ogni aspetto pianificatorio in materia di rifiuti, lasciando alle Province esclusivamente compiti di controllo ed ai Comuni il compito di individuare i siti dove localizzare gli impianti di smaltimento.
La proposta di nuovo piano regionale di gestione rifiuti modifica in maniera radicale tale impostazione, assegnando alle Province una marcata autonomia sugli aspetti gestionali e sull'organizzazione dei due Ambiti Territoriali Ottimali in cui la Basilicata dovrebbe essere divisa, coincidenti con i territori delle province di Potenza e Matera. In sintesi, la proposta di piano presenta il quadro generale entro cui le Province dovranno poi definire le azioni di intervento.
Il testo propone pertanto una serie di linee-guida per una gestione integrata dei rifiuti solidi urbani corrispondente ai principi ispiratori della normativa nazionale, ma data questa sua caratteristica demanda ad un successivo momento l'avvio delle azioni concrete per rispondere a tali obiettivi. Benché ispirata correttamente, quindi, l'applicazione della nuova normativa regionale non potrà avere quell'immediatezza che invece l'attuale sistema di smaltimento (del quale si parlerà in seguito) richiederebbe.
In questa sede non è peraltro possibile valutare nel dettaglio le soluzioni proposte giacché - come detto - il piano regionale enuncia unicamente i princìpi cui si dovranno poi ispirare nel concreto le amministrazioni provinciali, anche per quanto riguarda le procedure della raccolta differenziata.
È invece possibile una lettura e una disamina più approfondita della parte di piano regionale relativa ai rifiuti industriali. Per tale tipologia di rifiuti, infatti, il testo offre non solo un accurato esame della situazione regionale, ma anche proposte operative per lo smaltimento e il trattamento negli anni futuri (il panorama assunto arriva al 2010).
L'esame della situazione regionale ha riguardato non solo la produzione di rifiuti industriali, ma anche la percezione del problema da parte delle aziende della regione: sulla base delle risposte pervenute nel piano si afferma che non solo vi è ancora un ricorso quasi esclusivo alla discarica come metodo di smaltimento, ma soprattutto che vi è un generalizzato disinteresse alle procedure e alle potenzialità offerte dal trattamento e dal recupero dei rifiuti. Emerge insomma una situazione di arretratezza non solo nelle effettive disponibilità di mercato ma anche nell'approccio che gli utenti mostrano nei confronti del problema.
La scelta della Regione Basilicata è quella di suddividere il territorio in due bacini provinciali - Matera e Potenza - e di dotare ciascun bacino di una piattaforma polifunzionale dove concentrare le attività di trattamento dei rifiuti industriali prodotti nei due ambiti. Per quanto riguarda la provincia di Potenza, la piattaforma dovrà sorgere a Tito, mentre sarà l'area industriale di Pisticci ad ospitare l'altra piattaforma. Ciascun bacino sarà poi dotato di una stazione periferica di stoccaggio e pretrattamento, previste a Melfi (Pz) e Matera. Per quanto riguarda



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invece lo smaltimento definitivo, la proposta di Piano tiene in considerazione le discariche esistenti di Aliano e Pisticci e le discariche programmate a Satriano, Tito Scalo, Melfi e Ferrandina: la volumetria complessiva (pari a circa 1 milione e mezzo di metri cubi) fa ritenere l'offerta di smaltimento finale sufficiente a soddisfare la richiesta fino a tutto il 2010. Tuttavia, per quanto riguarda in particolare l'area compresa tra Satriano e Tito Scalo, esistono progetti per impianti di smaltimento che non sembrano conciliarsi del tutto con quanto previsto nel piano regionale: sarà quindi opportuno un coordinamento tra le attività autorizzative e le previsioni di piano.
In sintesi la proposta di piano per quanto riguarda i rifiuti industriali appare ben strutturata e basata su una buona conoscenza della realtà regionale. La Commissione ritiene inoltre senz'altro positiva la scelta delle due piattaforme polifunzionali a servizio dei due bacini, in quanto ciò consentirà di ridurre senz'altro l'impatto ambientale di tali attività sul territorio; si pone senz'altro un problema di trasporto dei rifiuti a tali piattaforme e ai centri di preselezione, ma la situazione delle infrastrutture stradali appare a questo scopo senz'altro sufficiente.

La situazione del territorio.

In occasione della redazione della proposta di piano regionale di gestione rifiuti è stato effettuato anche un aggiornamento del censimento delle aree inquinate da bonificare, che è stato così reso conforme a quanto prescritto dal 'decreto Ronchi' e sue successive modifiche: in particolare sono state considerate anche le aree interne ai luoghi di gestione dei rifiuti nonché gli impianti a rischio di incidente rilevante.
Nel complesso l'indagine ha censito 890 siti inquinati, la metà dei quali connessi alle attività di prospezione ed estrazione petrolifera. Nel dettaglio, tuttavia, sono 117 i siti da bonificare: sei di questi, ricadono in programma di emergenza (ed uno, nel comune di Tito, ha rilevanza nazionale). Altri 233 siti vengono inseriti in un programma di medio termine, mentre ulteriori 540 sono i siti potenzialmente contaminati.
La bonifica si prospetta particolarmente onerosa dal punto di vista economico, giacché dal piano emerge come per tale operazione nei primi 117 siti saranno necessari complessivamente 93 miliardi di lire; circa la metà della somma (43,7 miliardi di lire) sarà necessaria per la bonifica dei sei siti di emergenza. A questi vanno aggiunti ulteriori 7,3 miliardi di lire per i lavori di messa in sicurezza. Inoltre, il piano indica come necessari altri 2 miliardi l'anno per le attività di monitoraggio dei siti bonificati.
Per quanto riguarda invece la quantità di rifiuti che originerà da tale attività, il programma di bonifica prevede che 1.046.000 mc di rifiuti saranno lasciati nei siti, mentre 228.459 mc andranno ricollocati in impianti di smaltimento finale. A tale quantità di rifiuti andranno eventualmente aggiunti ulteriori 635.851 mc di rifiuti derivanti dalle attività di bonifica sui siti a medio termine.

La produzione di rifiuti.

Dalla proposta del nuovo piano regionale è possibile ricavare il censimento aggiornato degli impianti di smaltimento e trattamento esistenti in Basilicata: a parte le discariche - delle quali si dirà in seguito - la regione è dotata di un inceneritore a Potenza (attualmente in fase di ristrutturazione), uno nella zona industriale di Melfi (che nella proposta di piano dovrebbe trattare 25.000 tonnellate l'anno di Cdr) ed un impianto di compostaggio a Matera, che nel 1999 ha trattato 14.551 tonnellate di rifiuto preselezionato.
Il resto dei rifiuti solidi urbani prodotti in Basilicata è stato avviato allo smaltimento nelle 30 discariche esistenti sul territorio regionale; si tratta per lo più di invasi di piccole dimensioni, spesso a servizio del solo Comune in cui hanno sede. Il gran numero di discariche esistenti



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è comunque indice della 'monocultura dello smaltimento' cui si è affidata sinora la Basilicata e che sarà possibile abbandonare solo quando le due provincie si saranno dotate di effettivi piani di smaltimento.
Le discariche per i rifiuti solidi urbani in esercizio, tuttavia, possono soddisfare il fabbisogno di smaltimento della regione per un periodo di tempo congruo all'entrata in funzione di impianti tecnologici, se le amministrazioni interessate affronteranno il tema con l'impegno dettato anche dagli obiettivi imposti dalla normativa nazionale.
Per quanto riguarda la produzione di rifiuti, questa è stata nel 1998 pari a 233.397 tonnellate (il dato è desunto dal «Rapporto preliminare sulla raccolta differenziata» predisposto da Anpa e Osservatorio nazionale sui rifiuti); la raccolta differenziata ha riguardato appena il 3,06% dei rifiuti solidi urbani e pertanto in discarica sono state inviate 226.077 tonnellate. È opportuno rapportare tale dato a quello sulla capacità complessiva residua delle discariche della Basilicata: secondo i dati forniti dalla Regione, a fine 1999, esiste una capacità per 871.413 tonnellate, dal che discende una capacità di soddisfare il fabbisogno (restando ferma la quota di raccolta differenziata) per circa quattro anni. Ciò indica la necessità di interventi concreti e mirati ad una gestione tecnologicamente avanzata dei rifiuti per questa regione.
Per quanto riguarda invece i rifiuti speciali, il «Rapporto sui rifiuti speciali» (realizzato da Anpa e Osservatorio nazionale sui rifiuti nel 1999) stima per il 1997 una produzione per la Basilicata di 720.594 tonnellate: i rifiuti pericolosi rappresentano il 19,6%, con una produzione stimata in 145.535 tonnellate. Si tratta di un dato da evidenziare poiché proprio in Basilicata si registra - tra le regioni italiane - la maggiore incidenza di rifiuti pericolosi sulla quantità totale di rifiuti speciali prodotti. Per quanto concerne invece la gestione dei rifiuti speciali, circa 13.000 tonnellate sono state trattate ai fini del recupero di materia, circa 4.000 tonnellate ai fini del recupero di energia, circa 50.000 tonnellate vengono indicate sotto la voce 'altri trattamenti'. Sono pertanto circa 650.000 le tonnellate che vengono inviate allo smaltimento finale: tuttavia nelle discariche regionali ne risultano smaltite solo 153.577, il che fa permanere un gap di conoscenza sulle restanti 400.000 tonnellate.
È noto che lo stesso «Rapporto sui rifiuti speciali» ha evidenziato una mancata conoscenza sul destino del 25% circa della produzione di questa tipologia di rifiuti; si tratta di un dato che - sulla base di quanto detto in precedenza e tenendo conto degli smaltimenti extra-regionali - sembra applicabile anche alla Basilicata, e fa temere gestioni non corrette (quando non del tutto illecite) dei rifiuti speciali prodotti in questa regione.

La congruità dell'azione dei pubblici poteri.

Per quanto riguarda la pianificazione in materia di gestione dei rifiuti, si è detto che è in avanzato stato di elaborazione il nuovo piano regionale (che riguarda sia i rifiuti solidi urbani che i rifiuti industriali, nonché le bonfiche); uno strumento adeguato alla normativa nazionale, che tuttavia verrà emanato con sensibile ritardo rispetto al mutato quadro di riferimento. Inoltre il piano regionale, demandando le decisioni operative alle province (scelta peraltro già adottata in diverse altre realtà del Paese) rinvia ulteriormente nel tempo l'adozione di quelle misure necessarie ad avviare quella gestione integrata del ciclo dei rifiuti voluta dalla legge. Si tratta di un ritardo rilevante, giacché tuttora la raccolta differenziata è a livelli invero insufficienti, e i rifiuti sono smaltiti in maniera pressoché totale in discarica.
La grande diffusione di discariche sul territorio, inoltre, denota da parte delle amministrazioni locali un approccio superato per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, ancora non intesi come possibile risorsa.
Tuttavia, proprio la regione Basilicata si è dimostrata assai più pronta rispetto



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alle altre regioni meridionali nell'istituire l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, creata già nel 1997 ed oggi funzionante sia pure con un organico ancora non completato. Allo stesso modo, la regione ha istituito un proprio Osservatorio su ambiente e legalità che rappresenta un importante momento di confronto e di cerniera tra i cittadini e le istituzioni, nonché tra le diverse istituzioni chiamate ad affrontare e gestire i problemi dell'impatto sul territorio di diverse attività, tra cui appunto il ciclo dei rifiuti.
L'azione della regione e degli enti locali sembra quindi risentire di un ritardo accumulato negli anni passati, ritardo più facilmente superabile nelle attività di nuovo impulso (come la creazione dell'Arpa o dell'Osservatorio) ma di più difficile soluzione per quanto concerne la gestione dei rifiuti; quindi, anche se l'azione programmatoria ha avuto un primo impulso, è evidente la possibilità che tale ritardo continui a far sentire i suoi effetti per i prossimi anni.

I sopralluoghi della Commissione.

L'ex fabbrica Materit di Ferrandina (Mt).

Nel sito, ora dismesso, venivano realizzati manufatti in cemento amianto. All'atto della chiusura della fabbrica, il sito è rimasto contaminato da polveri di amianto, sia nella sua area interna che nei piazzali antistanti. La fabbrica - che insiste sull'area industriale di Ferrandina, a poche decine di metri da un corso d'acqua - è ora oggetto di un'attività propedeutica alla bonifica da parte dell'Arpab, che ha compiuto diversi sopralluoghi e analisi per verificare l'esatta contaminazione.
I tecnici dell'Arpab, presenti alla visita della Commissione, hanno illustrato il programma dei lavori previsti che, nel breve termine, dovranno portare alla bonifica dei canali di raccolta dell'acqua piovana, del piazzale e della vasca dove tuttora sono stoccati i fanghi di lavorazione; sempre nel breve termine è prevista la ripulitura delle superfici interne all'edificio nonché l'incapsulamento di tutti i rifiuti presenti nel sito. Nel medio termine, invece, l'Arpab conta di predisporre un progetto di bonifica e ripristino ambientale del sito, che rientra nel piano di bonifica predisposto dalla regione Basilicata, del quale si è parlato in precedenza.

Scanzano Jonico (Mt).

Sul litorale di Scanzano Jonico, la società SORIM (Società ricerche minerarie) intende realizzare un impianto per l'estrazione di salgemma e realizzazione di sale iperpuro. Secondo i documenti acquisiti dalla Commissione il giacimento interessato si trova a circa 700 metri di profondità, e dovrebbe portare a una produzione di sale iperpuro di circa 200.000 ton/anno.
Va precisato che sul progetto esiste una sospensiva del Tar Basilicata, per cui al momento del sopralluogo della Commissione l'attività non era in corso. Per quanto attiene il progetto, tuttavia, possono essere svolte alcune osservazione, relative naturalmente alla gestione dei reflui: questi, costituiti essenzialmente da fanghi di sedimentazione delle vasche di decantazione, dovevano essere inviati (secondo il progetto originario) direttamente in mare con l'unico accorgimento di una condotta sotterranea per evitare gli aloni di superficie. Secondo una correzione al progetto originario, invece, la destinazione di questi fanghi dovrebbe essere un depuratore, non meglio specificato. Altri tipi di reflui, costituiti da acque derivanti da condense dell'evaporato, dovrebbero essere reimmessi nel ciclo produttivo.
In generale il progetto appare però - su questi aspetti - non sufficientemente chiaro né particolareggiato: a questo proposito, a quanto consta alla Commissione, altri punti di indeterminatezza erano stati notati dal Distretto Minerario competente (Napoli) che ha respinto la richiesta di occupazione d'urgenza dell'area avanzata dalla società.



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Infine, il progetto non dà alcuna indicazione in merito al ripristino dei siti una volta terminate le operazione di estrazione: anche in questo caso si tratta di un elemento di preoccupazione, giacché - come si è detto - la Basilicata risulta morfologicamente appetibile per attività di illecito smaltimento dei rifiuti.

Centro Oli di Viggiano (Pz).

L'attività della Saipem a Viggiano (Val d'Agri) si esplica nel settore della perforazione di pozzi petroliferi. Nel corso di tale attività vengono prodotti da attività diretta di perforazione fanghi di vario tipo (bentonitici o baritici) a volte contaminati con olio e che richiedono quindi trattamenti particolari, prima di essere inviati allo smaltimento finale. Sulla base del sopralluogo effettuato e dei contatti avuti con l'azienda, la Commissione ritiene che le procedure di trattamento e smaltimento di tali fanghi - pur soddisfacenti - non siano tuttavia ottimali. Infatti, non risulta che in Val d'Agri la Saipem faccia ricorso al metodo di trattamento cosiddetto «HI G Dryer», assai sofisticato e a basso impatto ambientale, utilizzato ad esempio a Malta per le perforazioni in località Gozo, assai vicina a zone turistiche.
Tale sistema consiste in una riduzione ottimizzata dei reflui fangosi liquidi (vibrovagliatura ed essiccamento) con riciclo del liquido residuo. Gli altri rifiuti derivanti dalle attività collaterali a quelle di perforazione, che potrebbero essere definite «accessorie», sono costituiti da oli usati, solventi e batterie esauste, vernici e bagni di fissaggio esausti, il cui smaltimento viene curato da aziende locali, sotto il diretto controllo della Saipem.

Le attività illecite.

In questa regione, forze dell'ordine e magistratura si sono mostrate assai sensibili e particolarmente impegnate nell'azione di contrasto ai fenomeni di illegalità diffusa connessi al ciclo dei rifiuti, nonostante le difficoltà rappresentate dall'esiguità di uomini e mezzi per condurre gli accertamenti in un territorio che si presenta, peraltro, sconnesso e impervio, morfologicamente adatto - insomma - ad attività di illecito smaltimento dei rifiuti.
In questo clima di crescente attenzione verso le tematiche ambientali, risale al giugno 1995 l'ordinanza del Prefetto di Potenza, che ha posto per la provincia il divieto agli smaltimenti di rifiuti di provenienza extra regionale, cui ha fatto seguito la legge regionale (31 agosto 1995) che ha esteso tale divieto a tutto il territorio della regione, mentre la legge regionale vigente ha introdotto delle deroghe al principio; si è decisamente intensificata l'attività di controllo sul territorio e di repressione degli illeciti ambientali da parte delle forze dell'ordine; nel 1997 è stato istituito, da parte dell'ente regionale, l'Osservatorio su Ambiente e Legalità, che svolge un'importante funzione preventiva e di raccordo delle diverse problematiche locali. L'azione attiva della magistratura materana ha poi reso possibile, in collaborazione con l'Istituto di geofisica, il censimento dell'intero territorio regionale con il metodo satellitare, che ha consentito di individuare tutte le cave abbandonate, i siti abusivi ed i terreni ideali, per conformazione naturale, a possibili smaltimenti illeciti di rifiuti.
L'azione sinergica di tali fattori ha certamente contribuito in questa regione alla riduzione degli illeciti nel ciclo dei rifiuti registratosi negli ultimi anni a partire dal 1997, secondo i dati forniti dal rapporto dell'Osservatorio su Ambiente e Legalità, mentre sono aumentati il numero delle ispezioni e dei sequestri.
La Commissione ha raccolto notizie specifiche in ordine alla tipologia prevalente di illeciti connessi all'attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti: dalle audizioni del Prefetto di Potenza e dei magistrati impegnati sul territorio, nonché dai dati forniti dalle forze dell'ordine e



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dall'Osservatorio su Ambiente e Legalità (1), risulta che le violazioni attengono principalmente a sversamenti illeciti negli alvei dei fiumi (basti pensare ai reiterati episodi di smaltimenti abusivi registrati in Val d'Agri, lungo il fiume Basento, che hanno causato episodi di moria di pesci) ed irregolarità nella gestione di discariche autorizzate allo smaltimento di rifiuti solidi urbani.

(1) (v. I rapporto annuale 1998 in doc. 343/1).

Tali fenomeni risultano diffusi sul territorio, tanto da aver determinato la creazione di siti con notevole accumulo di rifiuti, in particolare rifiuti speciali prodotti dal settore degli autoveicoli, dell'edilizia e delle lavorazioni artigianali locali. Essi non appaiono, però, legati all'azione di organizzazioni criminali, quanto piuttosto all'opera di svariati soggetti dediti a questo tipo di illeciti.
Secondo quanto riferito alla Commissione dal sostituto procuratore presso il Tribunale di Matera, dott.ssa Franca Macchia, la pluralità e le connotazioni tipiche degli episodi criminosi accertati e oggetto di indagine, fa ritenere che si tratta di soggetti certamente «inseriti professionalmente nella gestione del traffico dei rifiuti», ma non consente di ricondurli all'esistenza di gruppi organizzati radicati nella regione, o che operino addirittura secondo il modello delle organizzazioni mafiose o similari nel settore dei rifiuti.
Le stesse modalità di realizzazione degli illeciti e la varietà delle tipologie di rifiuti rinvenute dalle forze dell'ordine nei siti abusivi conferma piuttosto il coinvolgimento di numerosi soggetti e la dimensione ancora rudimentale del fenomeno degli smaltimenti abusivi, non per questo, però, trascurabile sotto il profilo della tutela ambientale e del pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata.
Anzi, le segnalazioni riportate nel rapporto redatto nel 1998 dall'Osservatorio su Ambiente e Legalità evidenziano un ruolo crescente nel business dei rifiuti da parte di trasportatori che realizzano smaltimenti abusivi per conto di diverse aziende non solo locali, facendo temere un'evoluzione del livello organizzativo del fenomeno illegale, con il coinvolgimento delle organizzazioni criminali locali e di quelle che operano nei territori limitrofi.
La stessa conformazione del territorio, peraltro caratterizzato da una bassissima densità di popolazione e, quindi, scarsamente presidiato da quest'ultima, fa della Basilicata il luogo ideale per tali smaltimenti, e la rende appetibile ai trafficanti di rifiuti, attratti dalla possibilità di lucrare cospicui profitti. È quanto rappresentato alla Commissione dal Prefetto di Potenza (v. missione in Basilicata, audizione del 25 settembre 1998) e dal sostituto procuratore presso il Tribunale di Matera, dott.ssa Franca Macchia, particolarmente impegnata nel settore (v. audizione citata).
Al riguardo, appaiono del tutto condivisibili le affermazioni preoccupanti del sostituto procuratore presso il Tribunale di Potenza (v. missione del 25 settembre 1998), secondo il quale: «C'è in Basilicata una criminalità organizzata che esprime una situazione di pericolo molto grave (...). In una situazione del genere è logico ritenere che la criminalità presente soprattutto nel Materano, ma anche nel Potentino, nella Val d'Agri e nel Melfese non si può disinteressare di affari di questo genere. Non si vede perché un traffico di rifiuti, al quale si è interessata la criminalità organizzata che si muove verso la Campania e la Puglia, non debba interessare anche la Basilicata, che presenta un assetto territoriale che può apparire molto più idoneo a traffici di questo tipo».
Del resto, il rapporto sulla criminalità organizzata redatto dal Ministero dell'Interno per l'anno 1997, pur non evidenziando la presenza di gruppi criminali nel ciclo dei rifiuti, ha indicato l'infiltrazione di elementi delle organizzazioni camorristiche nella Basilicata; mentre il rapporto relativo all'anno 1998 ha evidenziato il fenomeno dell'abbandono incontrollato di rifiuti anche pericolosi sul territorio della regione, oggetto di particolare attenzione delle forze dell'ordine, oltre che per le sue



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ripercussioni negative sull'ambiente, proprio per il forte rischio della penetrazione di elementi della criminalità organizzata nel mercato dei rifiuti.
Uno dei settori di attività che segnalazioni delle forze di polizia ed inchieste giudiziarie mostrano come particolarmente esposto a rischio, è quello della rottamazione dei veicoli e della raccolta dei materiali ferrosi, per la presenza di impianti siderurgici, in specie nella città di Potenza, che spesso sono risultati sprovvisti di aree di deposito adeguate e che operano del tutto abusivamente.
Esemplificative sono le vicende relative al sequestro, ad opera del Corpo forestale, di una discarica illegale presso il fiume Rio Freddo (Potenza) e la scoperta, da parte della Guardia di finanza, di due aree di deposito di veicoli destinati alla rottamazione presso Muro Lucano (vedi rapporto cit.).
Altro settore «a rischio» è rappresentato dall'attività di estrazione e sfruttamento degli idrocarburi, di particolare rilievo nella regione: secondo quanto evidenziato nel rapporto dell'Osservatorio su Ambiente e Legalità sopra citato, per l'intero ciclo legato a tale attività vi sono state numerose segnalazioni di fatti criminosi, da cui hanno preso l'avvio alcune inchieste giudiziarie condotte dalla Procura di Matera, nelle quali si ipotizza anche l'illecito smaltimento di rifiuti.
Diversi sono, poi, i casi di gestione irregolare di discariche regolarmente autorizzate: le ipotesi più ricorrenti registrate dalle forze dell'ordine riguardano il trattamento del percolato prodotto dai rifiuti solidi urbani (sistemi fatiscenti di raccolta e pompaggio del percolato; mancanza di riciclo del percolato laddove si pratica il metodo della «subirrigazione», consistente nel continuo innaffiamento dei rifiuti con il percolato prodotto in discarica e raccolto in apposite vasche) ovvero la inadeguatezza dei siti ove sono stati realizzati gli impianti, caratterizzati da scarsa stabilità idrogeologica.
Nel solo anno 1997 il Corpo Forestale ha inoltre censito oltre 100 discariche abusive (v. rapporto di cui sopra).
Basta ricordare il sequestro della discarica Ecobas nel comune di Pisticci, dove si sospetta siano stati smaltiti rifiuti pericolosi provenienti da aziende del nord del Paese; quello della discarica abusiva sita nel comune di Ferrandina, ove è stato rinvenuto amianto.
Di particolare rilievo è stato il sequestro, nel comune di Policoro, dell'area di pertinenza di un ex zuccherificio, in cui giacevano circa 270 fusti contenenti rifiuti pericolosi, mentre, nel sottosuolo, è stata scoperta una discarica illegale con rifiuti di ogni genere, compresi molti materiali con amianto. È curioso il fatto che lo stabilimento - chiuso da quasi tre anni - è stato ceduto ad una società russa che ne stava curando lo smantellamento per impiantare le linee di produzione in quel paese.
Le indagini sono in corso, ma non è escluso che sia stato lo stesso nuovo acquirente a creare la discarica abusiva, mentre si va accertando la provenienza dei fusti.
In due capannoni non distanti da quest'area, sempre nel comune di Policoro, le forze dell'ordine hanno scoperto circa 570 fusti contenenti rifiuti pericolosi (v. rapporto cit.).
I gravi episodi descritti confermano che la regione è meta dei trafficanti di rifiuti, che vi trovano terreno ideale per i loro smaltimenti illeciti. Il comune di Policoro, in particolare, si trova lungo la statale Jonica, vi si trovano diversi impianti industriali in via di abbandono ed è, quindi, più agevole abbandonare rifiuti di ogni genere.
Desta, inoltre, preoccupazione il fatto che molte delle discariche poste sotto sequestro nel corso del 1997 erano in mano pubblica, come nel caso di Montalbano Jonico (in provincia di Matera) e di alcuni comuni della provincia di Potenza e di Cirigliano, poiché denota la superficialità e la disattenzione, quando non



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fenomeni di collusione, da parte degli apparati amministrativi preposti al controllo del ciclo dei rifiuti.

Le principali vicende giudiziarie.

Tra le vicende giudiziarie legate al ciclo dei rifiuti, va anzitutto ricordata l'indagine condotta dal sostituto presso il Tribunale di Matera, dott.ssa Franca Macchia, relativa ad un traffico di rifiuti speciali e pericolosi stoccati presso vari centri della Lombardia e destinati allo smaltimento finale in Basilicata. Secondo la documentazione cartacea, i rifiuti venivano regolarmente avviati allo smaltimento presso discariche autorizzate della regione, ma tale destinazione era solo apparente, poiché i gestori delle discariche negavano di averli mai ricevuti.
Nel corso dell'indagine, attivata da una denuncia del nucleo di Polizia forestale di Brescia, è emerso che quei rifiuti provenivano dai luoghi più disparati d'Italia e, probabilmente, anche dall'estero; spesso, infatti, i rifiuti transitavano per più centri di stoccaggio, così rendendosi più difficile risalire alla loro provenienza.
Le difficoltà investigative non hanno reso sempre possibile l'individuazione dei siti di smaltimento finale ed il ritrovamento dei rifiuti, ma secondo l'organo inquirente vi è la certezza che lo smaltimento sia avvenuto nel territorio della Basilicata o, al più, in territori limitrofi, e che i ricettori finali dei rifiuti siano nella stessa regione (v. audizione del 19 settembre 1997).
Il traffico illecito di rifiuti anche pericolosi oggetto dell'inchiesta, tuttora in corso, è indicativa di quanto sopra illustrato sulla forte «vocazione» della Basilicata a diventare meta di destinazione di smaltimenti illeciti, anche in considerazione delle caratteristiche morfologiche del territorio, della presenza di impianti in via di abbandono e della scarsissima densità abitativa che, in una con l'esiguità dei mezzi in dotazione, consentono di sfuggire facilmente ai controlli.
In particolare, la provincia di Matera - interessata alla vicenda giudiziaria descritta - appare un'area a forte rischio, sia per il suo territorio, caratterizzato da calanchi e caverne che si prestano all'occultamento di rifiuti, sia perché la provincia ha un tasso di criminalità maggiore di quella di Potenza, secondo quanto affermato davanti alla Commissione dal Prefetto di Potenza (v. audizione di cui sopra).
Di particolare gravità è un altro procedimento attualmente pendente in primo grado presso il Tribunale di Matera, avente ad oggetto l'attività svolta dall'AGIP nella regione, che vede coinvolti cinque dirigenti e dipendenti della società.
Le indagini sono state avviate dall'ufficio di procura locale a seguito della rottura di un tubo presso un pozzo della società, che ha causato uno sversamento di notevole estensione di acqua mista a idrocarburi, distruggendo la vegetazione nell'area interessata. L'area è stata posta in sequestro e si è accertato che la perdita proveniva da una condotta interrata di pertinenza di un impianto autorizzato dell'AGIP, di reiniezione nei pozzi esauriti delle acque di strato provenienti dalla separazione del gas in fase estrattiva.
Ha precisato la dott.ssa Macchia, titolare delle indagini, che il provvedimento autorizzatorio della regione all'attività di reiniezione - analogamente ad altri adottati da regioni in cui sono presenti distretti minerari - non teneva in nessun conto la normativa secondo cui le sostanze contenenti idrocarburi non possono essere reiniettate in unità geologiche profonde, quali sono i pozzi. Nel provvedimento autorizzatorio era, però, previsto un sistema di trattamento delle acque attraverso delle vasche di decantazione, prima della loro reiniezione nei pozzi; in realtà, l'AGIP utilizzava anche un sistema interrato di tubi a maniche che versavano direttamente parte delle acque di strato nei pozzi, senza passare per l'impianto di decantazione.
Nel pozzo minerario esaurito sono stati rinvenuti rifiuti di origine chimica, ritenuti incompatibili con le attività di estrazione mineraria praticate nell'impianto, quindi smaltiti illegalmente. Inoltre, mancava



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un presidio costante dei pozzi e le stesse vasche di decantazione erano direttamente accessibili ai soggetti smaltitori che avevano in appalto il servizio di trasporto delle acque di strato, dei fanghi e residui diversi connessi all'attività di perforazione ed estrazione mineraria, i quali evidentemente operavano nel settore dei rifiuti non solo per conto dell'AGIP - ciò a prescindere dalle difficoltà processuali di individuazione dei singoli responsabili di tali smaltimenti illeciti in un sito di proprietà della società.
Desta perplessità e preoccupazione l'atteggiamento di inerzia assoluta tenuto dagli enti amministrativi preposti ai controlli. Secondo quanto rilevato dall'organo inquirente, infatti, la regione, nel rilasciare l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di reiniezione, aveva demandato i relativi controlli alla provincia, che aveva chiesto suggerimenti sulle modalità di realizzazione di un controllo per quel tipo di attività alla stessa regione, la quale, a sua volta, si era limitata a rinviare alla normativa di legge. «Era seguita l'inazione totale e questo sistema di smaltimento non aveva subito alcun tipo di controllo, considerate anche tutte le difficoltà di campionamento di un posto tombato, nel senso che aveva la testa pozzo chiusa ed era ad oltre 800 metri di profondità» (cfr. test. audizione dott.ssa Franca Macchia, 8 luglio 1998).
Gli accertamenti condotti dalla stessa AGIP hanno evidenziato il notevole livello di inquinamento in cui versano altri due pozzi dell'impianto, dipendente anche dall'abbandono, senza alcuna precauzione, di rifiuti provenienti dalle stesse attività estrattive.
La società, subito dopo il dissequestro del sito, ha comunque avviato la sua bonifica ed avviato un'attività di monitoraggio sui pozzi, che lascia sperare in futuri interventi di analoga natura.

Il Centro ENEA - Trisaia (Matera).

Già la precedente Commissione monocamerale aveva dedicato particolare attenzione alle vicende relative al Centro ENEA Trisaia, sito in località Rotondella (Matera), sia per l'allarme sui rischi di contaminazione radioattiva suscitato tra le popolazioni locali, sia per l'indagine giudiziaria avviata dall'ufficio di procura di Matera sull'attività svolta dal Centro.
La vicenda giudiziaria si è finalmente conclusa con esiti positivi, perlomeno sotto il primo profilo, come si dirà meglio più avanti (vedi doc. 482/1).
Il Centro ENEA della Trisaia è sede dell'impianto nucleare Itrec, costruito dal CNEN (ex denominazione dell'ENEA) negli anni sessanta e ultimato nel 1968, con l'obiettivo di disporre di una struttura pilota di riprocessamento e di fabbricazione del combustibile nel campo del ciclo urano-torio. Questa attività, proseguita fino alla fine degli anni settanta, ha comportato la produzione, a valle del riprocessamento, di liquidi radioattivi ad alta attività, che sono tuttora conservati in serbatoi.
Il quadro complessivo della situazione dei materiali radioattivi presenti nel Centro appare in tutta la sua gravità se si tiene conto che ancora risultano immagazzinati in serbatoi 64 degli iniziali 84 elementi di combustibile provenienti dal reattore di Elk River, unitamente ai residui radioattivi liquidi e solidi prodotti nel corso della prima campagna di riprocessamento. Inoltre, i residui solidi a bassa e media attività presenti nel centro ammontano a circa 2.200 metri cubi. La parte metallica derivante dal taglio in piscina di circa 12 elementi di combustibile irraggiato e le resine del sistema di purificazione dell'acqua della piscina stessa hanno dato luogo in passato alla produzione di circa 80 metri cubi di rifiuti solidi ad alta attività.
Le indagini sono scaturite dal verificarsi di alcuni incidenti con fuoriuscita di materiale radioattivo nel corso dell'attività di gestione di questi liquidi e scorie radioattive.
È stata accertata l'assenza di un'adeguata strategia di gestione, appunto, dei materiali radioattivi, ed il trascinarsi nel tempo di una situazione intollerabile, soprattutto sotto i profili di sicurezza nel sistema di stoccaggio dei liquidi ad alta attività.



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Rispetto a questi, infatti, le soluzioni prospettate dall'ENEA - e cioè l'eventuale trasferimento di tali liquidi presso il centro ENEA di Saluggia (bocciato, peraltro, dalla stessa ANPA, in mancanza di un sistema per il trasferimento dei liquidi dai serbatoi di stoccaggio ad un idoneo contenitore) ovvero l'eventuale miscelazione dei liquidi ad alta attività con quelli a bassa attività - non erano adeguate e l'impianto di solidificazione esistente non era strutturalmente in grado di trattare i rifiuti liquidi ad alta attività (come l'ANPA aveva segnalato all'Ente).
In violazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento ministeriale datato 11 agosto 1975 per l'adeguamento dell'impianto e delle direttive impartite dall'ANPA, i responsabili del Centro, anziché provvedere alla realizzazione di un sistema di solidificazione dei residui liquidi ad alta attività nel termine prescritto di cinque anni, peraltro più volte prorogato, hanno riproposto tali soluzioni al livello di mero programma fino all'agosto del 1995 (non avendo neppure ottenuto l'autorizzazione per il sistema di solidificazione dei rifiuti ad alta attività, secondo il decreto del Presidente della Repubblica 185/64) continuando, invece, a rivolgere l'attenzione alla realizzazione di infrastrutture per il trattamento ed il condizionamento dei residui a bassa attività.
Ciò probabilmente si spiega col verificarsi, nel mese di aprile del 1994, dell'episodio della rottura di uno dei serbatoi contenente rifiuti liquidi a bassa attività all'interno dell'impianto ITREC, con conseguente sversamento di parte del contenuto sul fondo della cella dove era collocato il serbatoio stesso.
Da questo episodio sono scaturite le indagini dell'autorità giudiziaria, che ha disposto il sequestro dell'impianto; ma non si trattava del primo, ché già nel mese di marzo del 1993 si era verificata nel sito la rottura di una tubazione della condotta di scarico a mare.
In entrambe le occasioni, peraltro, l'ENEA non effettuò alle autorità competenti alcuna formale comunicazione di quanto avvenuto, pur temendo il rischio di contaminazione esterna, tanto che si preoccupò nell'immediatezza di effettuare rilievi radiologici sulle acque di falda prossime e campionamenti del terreno interessato, nonché di impedire l'accesso alle persone (v. sentenza in doc. cit., che ha però dichiarato la prescrizione del reato contestato).
Le conclusioni cui è pervenuta la sentenza consentono inoltre di affermare che non sussistevano particolari difficoltà economiche, né lo stato della scienza e della tecnica era tale da costituire serio ostacolo alla realizzazione dell'obiettivo finale imposto, anzi, la tecnica della cementificazione dei rifiuti ad alta attività era ampiamente diffusa a livello internazionale.
È stato, invece, escluso il «pericolo immediato» di un disastro da inondazione radioattiva con gravi ed estese potenzialità lesive della pubblica incolumità e dell'ambiente prospettato dall'organo d'accusa in relazione alla rottura del serbatoio occorsa nel 1995. Se pure, infatti, è norma di buona tecnica che si dovrebbe procedere alla solidificazione dei rifiuti liquidi nel più breve tempo possibile, nel caso specifico è stata esclusa la sussistenza di un pericolo immediato, perché «se il serbatoio si rompe, ci sono delle ulteriori barriere che impediscono la dispersione del liquido; i sistemi ingegneristici messi in opera consentono di poter escludere, allo stato, che ci siano pericoli di contaminazione ambientale derivanti dalla presenza di rifiuti allo stato liquidi»(cfr. sentenza cit.).
Nella specie, si è accertato che il liquido fuoriuscito dal serbatoio è rimasto nel pozzetto di contenimento, all'interno dell'impianto, dal quale è stato poi trasferito nel serbatoio W150, senza che si sia verificata contaminazione dell'acqua di falda.
Se dall'episodio specifico non è derivato pericolo di contaminazione ambientale, ad analoga conclusione si è pervenuti relativamente alla mancata solidificazione dei rifiuti, pur se la regola di buona tecnica impone, anche in questo caso, la solidificazione degli stessi.



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Né d'altra parte è emerso che i serbatoi contenenti i rifiuti liquidi presentassero difetti di rilievo ovvero fossero degradati o comunque tenuti in uso oltre il termine di scadenza progettuale (v. sentenza cit.)
Tali rilievi fanno escludere che la pur censurata omessa solidificazione dei rifiuti liquidi ad alta attività (e la conseguente tenuta dei rifiuti radioattivi allo stato liquido) abbia fatto sorgere, in concreto, il rischio di una contaminazione ambientale, né tantomeno di una «inondazione radioattiva» sanzionata ai sensi dell'articolo 450 c.p.(v. sentenza cit.).

Conclusioni.

La situazione del ciclo dei rifiuti in Basilicata, per come è stata esaminata sin qui, presenta un panorama senz'altro meno preoccupante rispetto a quanto registrato nelle altre regioni meridionali. Sia dal punto di vista dell'amministrazione, che da quello dell'attività di prevenzione e di contrasto la situazione mostra - ad avviso della Commissione - una buona capacità di lettura dei fenomeni da parte di tutti le istituzioni interessate.
Emergono tuttora, e sono stati in precedenza sottolineati, ritardi per quanto concerne l'adeguamento del piano regionale alla normativa nazionale: la proposta di piano in discussione mostra però caratteristiche tali per cui la Basilicata potrà gestire nel futuro in maniera efficiente ed avanzata il ciclo dei rifiuti. Ciò a condizione che anche le province, cui sono delegati gli interventi concreti, pianifichino in tempi ragionevolmente brevi le attività sul territorio.
Il medesimo discorso riguarda la gestione dei rifiuti industriali e gli interventi sulle aree da bonificare, settori per i quali sono stati già programmati quegli interventi che portano ad escludere, per il prossimo futuro, situazioni emergenziali.
Resta aperto il discorso connesso all'impianto Enea della Trisaia, ma questo andrà affrontato e risolto nell'ambito della più generale opera di gestione dei rifiuti radioattivi italiani, tema di cui la Commissione si è più volte occupata e al quale ha dedicato un documento che propone la creazione di un'Agenzia nazionale a questo scopo dedicata.
Ma va dato atto alla regione Basilicata di aver istituito e di aver reso funzionante prima anche di importanti realtà del Settentrione l'Agenzia regionale di protezione dell'ambiente. E di aver individuato nel tema della protezione ambientale e del contrasto all'illegalità un settore prioritario sul quale puntare la propria azione, come dimostrato dall'istituzione dell'Osservatorio su Ambiente e Legalità.
Sul versante dell'attività di contrasto la Commissione ha registrato l'attenzione che la magistratura della regione dedica a questo tema, rilevando come - per il momento - sono marginali le infiltrazioni della criminalità organizzata. La scoperta di numerose discariche abusive conferma tuttavia come l'imprenditoria deviata consideri la Basilicata un territorio adatto ad attività illegali in tale settore. Anche da questo punto di vista, però, la Commissione segnala positivamente l'iniziativa della magistratura materana, che ha condotto un censimento delle aree a rischio di sversamenti illegali.
Da questo punto di vista particolare preoccupazione desta la presenza di numerosi pozzi di prospezione petrolifera abbandonati, in alcuni dei quali è stata già accertata la presenza di rifiuti smaltiti illecitamente. A tale proposito la Commissione richiama l'attenzione di tutti gli organismi interessati affinché su tali aree esista la massima vigilanza, evitando il rischio di atti che avrebbero gravi ripercussioni sull'ambiente e sulla salute dei cittadini.
In linea generale, infine, la Commissione esprime apprezzamento per l'azione delle istituzioni amministrative, di polizia e giudiziarie che hanno individuato nel momento della prevenzione il caposaldo della loro azione, non delegando il contrasto al mero momento della repressione.

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