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[Parigi-Esf] dibattiti sul tema dell'informazione
by di valerio cuccaroni-le monde diplomatique Thursday November 20, 2003 at 06:41 PM mail:  

-

Forum Sociale Europeo
Parigi, 12-15/11/2003

Informazione

Paradossalmente l’informazione è un tema che anche in seno al movimento “no global” (o “altromondista”, nella versione francese) ha faticato ad imporsi. A partire dal terzo Forum Mondiale però la lotta contro i media commerciali appartenenti alle grandi concentrazioni imprenditoriali multinazionali è divenuta anch’essa un punto cardine del programma d’azione del movimento. Nel numero dello scorso ottobre di Le monde diplomatique, il direttore Ignacio Ramonet ha annunciato la creazione di un Osservatorio internazionale sui media (Media Watch Global, http://listes.rezo.net/mailman/listinfo/mediawatch), che avrà come compito quello di vigilare sulla corretta informazione e condurre allo stesso tempo una critica serrata dell’informazione ufficiale e commerciale. La creazione di osservatori nazionali in vari paesi europei è una delle priorità emerse dal Forum.
Nelle righe che seguono, la sintesi di alcuni interventi, informazioni e contatti. In conclusione, le riflessioni personali.

Giovedì 13/11/2003

Avendo partecipato all’assemblea plenaria contemporanea, non abbiamo potuto essere presenti al seminario Observation et critique des médias (Monitoraggio e critica dei media), organizzato al Cinema Quai di Ivry sur Seine, dalle 9 alle 12. Alleghiamo la sintesi fattane da L’Humanité.

Quotidiano l'Humanité
Rubrica Internazionale
Articolo pubblicato nell’edizione del 14 novembre 2003

FSE I média sotto controllo

Il trattamento mediatico dei movimenti sociali è stato oggetto, ieri mattina, di un seminario tenutosi in un cinema multisala di Ivry-sur-Seine.

Sebbene una parte dei dibattiti del Forum Sociale Europeo organizzati a Ivry-sur-Seine hanno luogo nel complesso Pathé di quattordici sale, non per questo non si può parlare francamente. Ieri mattina, in occasione del seminario sui media e i movimenti sociali, è stato Serge Halimi che ha fatto il primo passo. “I media dominanti sono ormai degli attori di primo piano dell’economia liberale. Mai i legami fra la stampa e il capitale sono stati così accentuati” egli afferma nel tempio del commercio cinematorgrafico, principale azionario del quotidiano Liberation. E l’autore dei Nouveaux Chiens de garde (I nuovi cani da guardia, di Serge Halimi) illumina una situazione paradossale: mentre tutti i protagonisti delle recenti lotte non smettono di denunciare la parzialità del trattamento mediatico dei movimenti sociali, i principali porta-parola di questi stessi movimenti chiudono gli occhi sulle pratiche assimilabili alla disinformazione per approfittare di uno spazio- modesto – d’espressione. In altri termini, il fondatore del giornale alternativo PLPL (http://www.homme-moderne.org/plpl/index.html) rimprovera ai leader della contestazione di vendere la loro anima al diavolo per una breve apparizione all’ora di punta o per una “tribuna” sulle pagine di Le monde. Media che non sono affatto teneri, pertanto, nei confronti degli scioperanti o manifestanti, questi “statali privilegiati”, questi “sequestratori” e altri estremisti affossatori dell’economia. Bisogna perciò boicottare i media ai quali si riferiscono la maggioranza dei cittadini? Certamente no. Il movimento “altromondista” deve, non solo denunciare oubblicamente la maniera di trattare l’attualità, ma anche preoccuparsi delle questioni della proprietà degli strumenti d’informazione. Secondo Henri Maller, universitario fondatore dell’associazione ACRIMED (http://acrimed.samizdat.net), ogni organizzazione deve porre le sue condizioni al diritto d’informare che è anche il loro. Un primo passo è stato fatto in occasione del forum di Porto Alegre nel 2001, dove, in presenza di Bernard Cassen di Le monde diplomatique, e Roberto Savio, di Inter Press Service, è sorta l’idea di creare un osservatorio internazionale dei media, lui stesso condotto a riprodursi su scala nazionale.
Un osservatorio incaricato non di distribuire pagelle, perché non è lavoro dei giornalisti che è messo in causa, ma propriamente il dominio della sfera economica sull’informazione. Per Paul Masson, giornalista de L’Humanité, “è urgente di riabilitare la questione sociale, così come la professione di giornalista come vettore del diritto di cittadinanza”. Questa attualità sociale divenuta il parente povero dell’informazione, mentre i piani sociali si moltiplicano e l’insicurezza sociale – già in parte responsabile del voto del 21 aprile – progredisce.
In occasione del movimento per le pensioni, i media hanno imposto l’idea che nessuna alternativa era possibile, che i francesi ogni riforma” ricorda Paul Masson. Per il suo collega di RF1 (Radio france 1) responsabile del Sindacato nazionale dei giornalisti (SNJ), la situazione ha molteplici cause: la scomparsa di un servizio sociale nelle redazioni televisive, la precarizzazione della professione, la mancanza di voglia di trattare la questione sociale che deriva dalla dalla cattiva orientazione presa dalle scuole di giornalismo, di cui gli allievi sono essi stessi pronti a lavorare gratuitamente per debuttare. Si vedranno apparire dei centri di formazione in giornalismo per i giovani aderenti all’UMP (il partito di Chiraq, attualmente al governo), come aveva osato immaginare l’utlimo presidente dell’RPR (Ressemblement Pour la République, il nome precedente dell’UMP), Michèle Alliot-Marie ?

Ludovic Tomas

Venerdì 14/11/2003

Ore 9-12, Cinéma Quai, Ivry-sur-Seine: Marchandisation de l’information et pratiques journalistiques (Mercificazione dell’informazione e pratiche giornalistiche). Seminario organizzato da: Syndacat national des journalistes-Union Syndicale G10-Solidaires; Acrimed - Action critique des médias; SNJ-CGT; Observatoire français des médias (Francia); FNSI (Italia); Commissiones Obreras (Spagna).

Paolo Serventi (Federazione Nazionale Stampa Italiana, FNSI): - Gli editori in Italia, nella maggior parte dei casi, non sono editori puri, sono imprenditori. Ciò comporta una politica editoriale volta a trascurare e/o celare informazioni riguardanti il campo di attività del rispettivo imprenditore-editore. Per esempio nei mezzi di comunicazione di un editore che sia imprenditore edile, si troveranno strutturalmente poche informazioni riguardanti l’edilizia. Vengono così privilegiate informazioni riguardanti omicidi, fatti di cronaca, ecc., piuttosto che fatti legati alla vita quotidiana. In genere sono poco trattati i problemi giudiziari del Presidente del Consiglio. Il caso Berlusconi, fra l’altro, è secondo me una questione che non riguarda solo l’Italia e che dovrebbe essere regolata a livello internazionale. A questo proposito ritengo necessaria l’organizzazione di un Forum Sociale specifico per i problemi della comunicazione, dei giornalisti, ecc.
La costruzione di media alternativi passa attraverso un’alleanza fra produttori, operatori e pubblico.

Bruno Clément (giornalista svizzero, ex-sindacalista): - Per cominciare racconterò due aneddoti. Nella Svizzera tedesca c’è un quotidiano che si vorrebbe di qualità. Il capo-redattore un mattino ha cominciato il brifing (riunione in cui si critica l’edizione del giorno prima e si scelgono gli argomenti della nuova) chiedendo: “Che cosa dobbiamo fare per vendere il giornale domani?”. Alcuni redattori hanno lasciato la sala riunione, dopo aver risposto che il brifing serviva a scegliere quali argomenti trattare e non ad impostare le strategie di marketing.
Altro aneddoto istruttivo: un giornalista vuol fare un libro, va dal capo-redattore e gli chiede se può dedicare non l’orario d’ufficio ma il tempo libero a scriverlo utilizzando i materiali accumulati durante il proprio lavoro. Il capo-redattore si felicita. Quando il libro esce si scopre che è una critica alla stampa finanziaria svizzera. Il giorno stesso dell’uscita del libro il quotidiano dell’autore pubblica una mezza pagina che rappresenta un vero e proprio assassinio del giornalista.
Il primo aneddoto dovrebbe servire a comprendere il peso che sta assumendo il merketing nell’attività giornalistica: un argomento dovrebbe essere scelto per il suo valore, mentre oggi è quello che fa vendere che si sceglie. Tutto ciò è legato alla fine dell’indipenza delle redazioni e al fatto che gli editori fanno altro. Un tempo il capo-redattore assicurava l’indipendenza della redazione nei confronti delle esigenze del proprietario, oggi egli è una costola del settore markenting.
Il giornale è diventato un prodotto come glli alttri, il lettore un cliente.
La notizia è ricevuta e trattata in tempo reale, immediatamente, e non c’è possibilità di riflettere, le informazioni, soprattutto quelle d’agenzia, non vengono verificate.
Dal punto di vista della proprietà, si assiste ad una crescente accumulazione di media nelle mani degli stessi gruppi. In Svizzera cinque gruppi ne detengono la maggioranza. Ciò comporta una diminuzione dei posti di lavoro e quindi una minore mobilità. Di conseguenza, poiché cambiare editore è diventato assai difficile, i giornalisti pongono maggiore attenzione alle proprie reazioni.
I Consigli dei Giornalisti giudicano in fretta chi è stato denunciato per diffamazione, molto più tempo impiegano ad accogliere le proteste dei giornalisti contro le rispettive direzioni.
A mio avviso i problemi fondamentali sono tre. Primo: noi che siamo qui oggi siamo dei marziani, ché nessun giornalista si pone più degli interrogativi. Alcuni sono caduti in depressione poiché volevano fare bene il proprio lavoro. Secondo: il contenuto del lavoro giornalistico non è tema trattato dai sindacati. È necessaria una presa di posizione degli stessi lavoratori, per affermare anche a livello sindacale i nuovi diritti di contenuto. Esiste un Forum permanente a ciò preposto che si chiama La malainfo. Terzo: bisogna affermare il diritto a rifiutare di comprire una notizia, dicendo a chiare lettere “Non ho tempo e non ne so nulla”.

Jim Boumelha (Federazione della Stampa Internazionale): - Un piccolo numero di propietari ha preso il potere su vari campi. Murdoch con la sua News Corp. controlla centania di media, fra cui 4 quotidiani e un canale satellitare (Sky). In Gran Bretagna l’accumulazione, incoraggiata dal Governo e presentata come “inevitabile”, è in crescita. Le regole contro la concentrazione di media sono considerate obsolete. Nel Regno Unito il matrimonio fra mercato e informazione è avvenuto negli anni 90. Poi è stata la volta delle nuove tecnologie, anche loro lasciate in mano al mercato.
Ciò comporta la concorrenza fra i vari media per assicurarsi la pubblicità: le scelte vengono effettuate in base ai gusti del pubblico, con la conseguenza dell’uniformizzazione.
Molta attenzione viene accordata ai fatti di cronaca, agli omicidi, agli affari della Corona, piuttosto che alla situazione, per esempio, dell’Irlanda del Nord.
Il numero dei canali è in aumento, come la loro internazionalizzazione. Tutto ciò a discapito dei canali locali.

Arnaud Matterlart (sociologo dei media, presidente dell’Osservatorio francese dei media): - Il mio sguardo è esterno rispetto a quello dei giornalisti che hanno parlato finora, data la mia posizione di insegnante-ricercatore, per quanto militante. L’interesse verso i media è nato in me dalla presa di coscienza della mancanza di riflessione in proposito, a sinistra. Allende fu uno dei rari politici che se ne preoccupò.
Anch’io sono d’accordo per la convocazione degli Stati Generali della Comunicazione, ma bisogna includervi la cultura, per la sua importanza nella creazione dell’individualità critica.
Nella presente occasione vorrei trattare il problema del cambiamento delle strutture di potere e del perché la comunicazione sia venuta a posizionarsi al centro della geopolitica.
1) In generale possiamo affermare che si è verificata a livello internazionale, sull’esempio degli Stati Uniti, una progressiva deregolamentazione nel campo dei media: in Gran Bretagna il settore interessato è stato soprattutto quello delle telecomunicazioni; in Italia quello dei media televisivi e cartacei.
2) Il ruolo dell’informazione è inoltre divenuto centrale nella costruzione dell’egemonia, a partire dalla caduta del muro di Berlino. A tal proposito possiamo parlare di soft power, poiché il consenso è ottenuto attraverso la seduzione. Bourdieu ha analizzato questi meccanismi all’interno del suo studio dei dispositivi di violenza. Dalla propaganda neoliberale l’informazione è presentata come libera, ma non è precisato in cosa consisterebbe questa libertà: a mio avviso si tratta della libertà di essere venduta e acquistata, di essere sottomessa alle regole del marketing, secondo il concetto di libertà proprio all’ideologia neoliberale.
3) Altro elemento importante dell’evoluzione delle strutture di potere: la centralità assunta dalle imprese massmediatiche nella geopolitica e nella geoeconomia.
Per ciò che riguarda la commercializzazione dei media, una tappa importante fu il dibattito creatosi alla fine degli anni settanta a proposito della legittimazione della pubblicità. Un ruolo fondamentale in questo dibattito giocò la Trilaterale, il circolo di intellettuali e dirigenti occidentali votati alla diffusione dei principi liberali […]
La comunicazione rappresenta un modo di gestione dei rapporti sociali. La standardizzazione della lingua operata nei e dai media è dunque legata ad una strategia di standardizzazione dei rapporti sociali: noi ad esempio siamo obbligati a chiamarci anti o altromondialisti con riferimento alla mondializzazione capitalista, quando in realtà il termine “mondializzazione” è nato alla fine dell’Ottocento negli ambienti contestatori, anarchici, ecc.
I problemi della comunicazione sono stati poco presenti all’interno dei primi forum sociali. A partire dal terzo sembra che vi sia stata una generale presa di coscienza dell’importanza del tema.
In Francia si sono comunque sviluppati da tempo organi di azione critica sui media, come l’osservatorio Acrimed (http://acrimed.samizdat.net). ßL’osservatorio è nato nel 1996 all’indomani dei grandi scioperi del 1995, per l’insoddisfazione di molti giornalisti e intelletuali oer il modo in cui il fenomeno era stato trattato dai media.
Di recente creazione è invece il Media Watch Global, l’Osservatorio internazionale sui media, di cui ha parlato Ignacio Ramonet nel numero di ottobre di Le monde diplomatique. Per quanto riguarda l’osservatorio francese esso è composto di giornalisti, ricercatori e consumatori. È necessario coinvolgere il maggior numero di persone possibile per monitorare i media. Ciò che è fondamentale è lavorare insieme per impedire le concentrazioni dei grandi gruppi e le manovre delle organizzazioni corporative.

Gilles Balbastre (ex-giornalista di France 2, sociologo, sindacalista CGT, coautore del libro Journalistes précaires, a cura di Alain Accardo, Le Mascaret, Bordeaux, 1998): - È necessario rilanciare il dibattito per la ripoliticizzazione dei media, che si vorrebbero neutri ma che in realtà sono influenzati da partiti e lobbies. A questo proposito esiste un giornale in Francia che si chiama PLPL (Pour Lire Pas Lu): si tratta di un giornale che monitora i media ed esiste ormai da tre anni.



Ore 18-21, La Villette, Salle Charlie Parker, Paris: Contre la concentration des médias (Contro la concetrazione dei media). Assemblea plenaria organizzata dal quotidiano L’Humanité.

Patrick Le Hyarick (direttore de L’Humanité): - Dalla comunicazione dipende il processo di mondializzazione. Chi possiede i mezzi d’informazione acquisisce potere. Dai monopoli pubblici siamo passati ai monopoli privati, come quello di Murdoch, l’imperatore dei media. Fra i progetti che stiamo studiando per far fronte alla concetrazione dei media e alla loro commercializzazione, c’è quello di tassare la pubblicità che viene trasmessa dalle televisioni private, poiché se i canali pubblici vengono finanziati dal canone, è necessario considerare che quelli privati sono finanziati dalla pubblicità, che è il prezzo che noi dobbiamo pagare per vederli.

Linn Stalsberg (ATTAC Norvegia): - La maggioranza dei giornalisti vorrebbe far bene il proprio lavoro, ma deve scontrarsi con la volontà degli editori di vendere e basta. Alcuni gironalisti si rifugiano allora nella stampa locale che riesce ancora a mantenere una certa autonomia oppure, nel caso della Norvegia, entrano in associazioni coma ATTAC.

Hnery Maler (ACRIMED: Action Critique Media, Francia): - I giornali che appoggiano la propaganda neo-liberista maltrattano il movimento. Bisogna sostenere i media alternativi, la stampa altromondialista, le radio e le televisioni associative, come Zealea TV. Gli obiettivi sono quelli di avere un servizio pubblico senza pubblicità e uno associativo completamente libero e indipendente, con la tassazione a cui si accennava della pubblicità nei canali privati, attraverso un’imposta indiretta. Inoltre bisognerebbe penetrare nelle zone di non diritto, quali sono le imprese. Un tempo i giornali interni delle imprese erano prodotti da professionisti, mentre oggi costituiscono un mezzo di autopromozione e di propaganda, fra l’altro letto e diffuso.

Jeremy Dear (National union of journaliste, Regno Unito): - Attualmente in Gran Bretagna, il primo ministro è oggetto di critiche feroci per le menzogne che ha diffuso alla vigilia della guerra all’Irak. Altri fenomeni iquietanti a tal proposito si sono verificati in Gran Bretagna: un editore, ad esempio, ha vietato di pubblicare sul suo giornale delle informazioni che smentivano l’urgenza e la necessità della guerra. Dei giornalisti durante la guerra sono stati arrestati e ad altri sono stati tolti gli accrediti.
(…) Le notizie sono diventate a tutti gli effetti dei prodotti, che vengono venduti e comprati. A Ginevra il mese prossimo (dal 10 al 12 dicembre, nda) si terrà il summit mondiale sulla società dell’informazione, in cui si cercherà di rinforzare questa libertà dei media di vendere e comprare le notizie, a discapito della loro verifica, ecc. In molti paesi i media sono concentrati nelle mani di poche imprese che di fatto controllano tutta l’informazione: In Cecoslovacchia quasi il 100 % della stampa locale è in mano di una sola società; in Gran Bretagna 4 imprese controllano il 90 % dell’informazione. Dei gironalisti sono stati licenziati per aver organizzato una manifestazione di protesta. Il sindacato di cui sono presidente è impegnato a cambiare questo stato delle cose.

Litsis Moissis (Financial Crims, Grecia): - In Grecia i proprietari di alcuni media sono anche noti mercanti d’armi. La Grecia è un paese povero, in cui la Democrazia fatica ad imporsi (…)

Anna Pizzo (Carta, Italia): - La politica in Italia è regolata da una sorta di marketing televisivo. Berlusconi non è pero’ un problema solo italiano, né europeo, ma mondiale, poiché sul suo esempio potrebbe propagarsi l’idea che il pensiero è una merce, che puo’ essere comprata e venduta. Un ottimo esempio è il trattamento che è stato riservato alla guerra in Irak e al dopoguerra. È dal 1945 che in Italia non muoiono così tanti soldati. E come è stato trattao l’argomento dai media? Agendo sui sentimenti, mostrando le vittime della guerra imperialista come martiri della patria, a cui Berlusconi ha abilmente associato le sue lacrime, Casini le sue mani giunte e Ciampi la sua voce rotta. Ciò mostra come la televisione possa giocare sui sentimenti. Alla vigilia del Social Forum di Firenze il Corriere ha pubblicato notizie false sper creare allarmismo nella popolazione, che solo con un’azione capillare degli organizzatori ha potuto essere tranquillizzata. Non solo i media condizionano i sentimenti ma li determinano, li creano. Riccardo Petrella ci ha mostrato che è necessaria e possibile un’altra narrazione. Ciascuno deve poter essere capace di trasformarsi in comunicatore. In Francia esiste Acrimed e PLPL, bisogna creare nuovi media alternativi. Bisogna rispondere al Forum di Ginevra con un forum mondiale dell’informazione alternativa. Bisogna mobilitare il quinto potere di cui parla Ramonet nel numero di ottobre di Le monde diplomatique.

Diana Andrigna (Portogallo): - Immaginate di vedere in uno schermo un volto in bianco e nero assai indefinito. Una voce dice “Questo uomo ha realizzato 100000 posti di lavoro, ha creato scuole e strade, ecc. Alla fine del comunicato l’immagine si schiarisce e appare il volto di Hitler. Ecco come si possono raccontare molte menzogne semplicemnte raccontando la verità. Bisogna vigilare.
In Portogallo fino al 1974 c’era la censura e ancora oggi deteniamo il più alto tasso di analfabetismo dei paesi europei. Nonostante la censura sia finita, solo 5 gruppi detengono la maggior parte dei mezzi d’informazione. 48 anni di fascismo e censura hanno lasciato effetti profondi sulla libertà di stampa. Bisogna considerare le condizioni di produzione dell’informazione e non pensarla in maniera romantica. Pierre Bourdieu ci ha molto aiutato in questo senso.

Maria Jansen (ATTAC Danimarca): - L’immagine delle ONG in Danimarca è stato condizionata moltissimo dai media, e nella nostra associazione possiamo calcolare un abbassamento delle iscrizioni del 30 % circa, di cui in parte gli stessi media sono responsabili.

Dibattito (…)

Patrick Le Hyarick (direttore de L’Humanité): - Proposte: 1) dobbiamo vigilare alla creazione di osservatori nazionali che facciano riferimento all’osservatorio mondiale MEDIA WATCH GLOBAL, 2) organizzarsi è il primo media; 3) dobbiamo far pressione per aumentare gli aiuti alla stampa (ai media commerciali vanno destinati i soldi dei rpivati, ai media pubblici quelli pubblici), 4) tassare la pubblcità per finanziare i media alternativi.



Valerio Cuccaroni



Allegati:

Media alternativi:

In Francia esistono due grandi giornali alternativi, che per lo più monitorano i media e ne rivelano strategie commerciali inquietanti, inganni e raggiri: PLPL e ACRIMED di cui si sono forniti gli indirizzi internet nel documento.
Esistono anche delle televisioni alternative: ZALEATV (http://www.zaleatv.org) e TELELOCALE (che trasmette nel XX arrondissement di Parigi), fra le altre.
Circa 250 sono le radio alternative sparse nel territorio francese.
Punto di riferimento di tutti questi media alternativi è la Maison des métallos (94 rue J-P Timbaud, 75011 Paris. Tél.: 01 47 00 68 45; http://www.maisondesmetallos.org).
Per quanto riguarda l’Italia, punto di riferimento dei media alternativi, è Indymedia (

Il quinto potere

Ignacio Ramonet
Contro gli abusi dei poteri, la stampa e i media sono stati per lunghi decenni, nell'ambito democratico, una risorsa per i cittadini. Di fatto, i tre poteri tradizionali - legislativo, esecutivo e giudiziario - possono sbagliare o fallire. Il che ovviamente avviene molto più spesso negli stati dittatoriali, dove il potere politico rimane il principale responsabile di tutte le violazioni dei diritti umani, di tutte le censure contro le libertà.
Ma a volte possono essere commessi gravi abusi anche nei paesi democratici, dove le leggi sono votate democraticamente, i governi eletti a suffragio universale e la giustizia - in teoria - è indipendente dall'esecutivo.
Ad esempio, può accadere che si condanni un innocente (come dimenticare il caso Dreyfus in Francia?); che il parlamento voti leggi discriminatorie per talune categorie della popolazione (come è avvenuto per oltre un secolo negli Stati uniti nei riguardi degli afro-americani, e come avviene oggi ai danni degli oriundi di paesi musulmani, in virtù del «Patriot Act»); o che i governi adottino politiche le cui conseguenze si rivelano funeste per tutto un settore della società (come in molti paesi europei nei confronti degli immigrati irregolari o «sans papiers»).
In un contesto democratico, i giornalisti e i media hanno sempre considerato la denuncia di queste violazioni dei diritti un dovere primario. E a volte hanno pagato prezzi elevati: attentati, sparizioni, omicidi avvengono tuttora in Colombia, in Guatemala, in Turchia, in Pakistan, nelle Filippine e altrove. Per questo si è parlato a lungo di «quarto potere». Un potere di cui in definitiva potevano disporre i cittadini, grazie al senso civico dei media e al coraggio di giornalisti audaci, per criticare, respingere o contestare democraticamente decisioni illegali e a volte inique, ingiuste o persino criminali contro persone innocenti. Molte volte si è detto che quella era la voce di chi non aveva voce.
Da una quindicina d'anni, con l'accelerazione della globalizzazione liberista, questo «quarto potere» è stato però svuotato del suo significato; e a poco a poco ha perduto la sua funzione essenziale di contropotere.
Questa traumatica evidenza si impone a chiunque studi più da vicino il funzionamento della globalizzazione, e veda affermarsi un nuovo tipo di capitalismo, non più solo industriale ma soprattutto finanziario: in breve, un capitalismo speculativo. In questa fase della globalizzazione assistiamo a una contrapposizione brutale tra il mercato e lo stato, tra il settore privato e i servizi pubblici, l'individuo e la società, l'intimo e il collettivo, l'egoismo e la solidarietà. Il vero potere è ormai nelle mani di una manciata di gruppi economici planetari e di imprese globali, il cui peso negli affari del mondo supera non di rado quello dei governi e degli stati. Questi sono i «nuovi padroni del mondo», che ogni anno si riuniscono a Davos, in occasione del Forum economico mondiale, e ispirano le politiche della grande trinità globalizzatrice: Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e Organizzazione mondiale del commercio.
È in questo quadro geoeconomico che si è prodotta una metamorfosi decisiva nel campo dei mass media, nel cuore stesso della loro struttura industriale.
I mezzi di comunicazione di massa (stazioni radio, stampa scritta, canali televisivi e Internet) si stanno accorpando sempre più, in architetture espansive, per costituire gruppi mediatici a vocazione mondiale. Imprese giganti quali New Corps, Viacom, Aol Time Warner, General Electric, Microsoft, Bertelsmann, United Global Com, Disney, Telefónica, Rtl Group, France Telecom, hanno oramai nuove possibilità di espansione, grazie alle straordinarie innovazioni tecnologiche.
La rivoluzione digitale ha spazzato via i confini che separavano le tre forme tradizionali di comunicazione: suono, scrittura e immagine.
E ha permesso l'apparizione e la rapida affermazione di Internet, che rappresenta un quarto modo per comunicare, e un modo nuovo per esprimersi, informarsi e distrarsi.
Da allora, le imprese mediatiche sono tentate di costituirsi in «gruppi» per accorpare in sé tutti i media classici (stampa, radio, televisione) ma anche tutte le attività di quelli che potremmo chiamare i settori della cultura di massa, della comunicazione e dell'informazione.
Queste tre sfere un tempo erano autonome: da un lato la cultura di massa con la sua logica commerciale, le sue creazioni popolari, i suoi obiettivi essenzialmente mercantili; dall'altro la comunicazione in senso pubblicitario, il marketing, la propaganda, la retorica della persuasione; e infine l'informazione con le sue agenzie stampa, i bollettini diffusi per radio o tv, i giornali, i canali d'informazione a ciclo continuo - in breve, l'universo di tutte le attività giornalistiche.
Queste tre sfere, prima tanto diverse tra loro, si sono con l'andar del tempo saldate insieme per costituire una sola e unica sfera ciclopica, in seno alla quale diventa sempre più difficile distinguere le attività appartenenti alla cultura di massa, alla comunicazione o all'informazione (1). Per di più le mega-imprese mediatiche, vere catene di montaggio per la produzione di simboli, moltiplicano la diffusione di messaggi di ogni tipo in cui si combinano e si intrecciano televisione, cartoni animati, cinema, videogiochi, cd musicali, dvd, edizioni, villaggi a tema sul tipo di Disneyland, spettacoli sportivi eccetera.
In altri termini, i gruppi mediatici presentano oramai due nuove caratteristiche: in primo luogo si occupano di tutto ciò che passa attraverso la scrittura, l'immagine, il suono, e diffondono il tutto attraverso i canali più diversi (stampa scritta, radio, televisione hertziana, via cavo o via satellite, Internet e ogni sorta di reti digitali). Seconda caratteristica: questi gruppi sono mondiali, planetari, globali e non più soltanto nazionali o locali. Nel 1940, in un suo celebre film, Orson Welles prendeva di mira il «super-potere» di Citizen Kane (in realtà il magnate della stampa dell'inizio del XX secolo William Randolph Hearst). E dire che il potere di Kane era insignificante al confronto di quello dei grandi gruppi mondiali di oggi. Proprietario di alcuni giornali di un solo paese, Kane era un nano del potere (benché non privo di efficacia sul piano locale e nazionale) (2) a fronte dello strapotere dei megagruppi mediatici dei tempi nostri. Attraverso meccanismi di concentrazione, queste iper-imprese contemporanee si impadroniscono dei settori mediatici più diversi in numerosi paesi e in tutti i continenti, e divengono così, grazie al loro peso economico e alla loro importanza ideologica, i principali attori della globalizzazione liberista. Dato che la comunicazione (estesa all'informatica, all'elettronica e alla telefonia) è oramai l'industria pesante del nostro tempo, questi grandi gruppi cercano di espandersi attraverso incessanti acquisizioni, e fanno pressione sui governi affinché sopprimano le leggi volte ad arginare la concentrazione o a impedire la costituzione di monopoli o di duopoli (3).
La globalizzazione è anche globalizzazione dei mass media, della comunicazione e dell'informazione. Preoccupati soprattutto di perseguire il proprio gigantismo, e quindi costretti a corteggiare gli altri poteri, i grandi gruppi non si propongono più l'obiettivo civico di essere un «quarto potere», né di denunciare gli abusi contro il diritto o correggere le disfunzioni della democrazia per rifinire e perfezionare il sistema politico. Non aspirano più ad erigersi a «quarto potere», e tanto meno ad agire come un contropotere.
Nei casi in cui possono costituire un «quarto potere», è per aggiungerlo agli altri poteri esistenti - politico ed economico - e schiacciare a loro volta i cittadini con tutto il peso aggiuntivo del potere mediatico.
La questione civica che ci troviamo davanti a questo punto è: come reagire? Come difenderci? Come resistere all'offensiva di questo nuovo potere, che in qualche modo ha tradito i cittadini passando armi e bagagli dalla parte del nemico?
Dobbiamo, semplicemente, creare un «quinto potere». E contrapporre così una forza di impegno civico alla nuova coalizione dominante.
Un «quinto potere» la cui funzione sia quella di denunciare il superpotere dei media, dei grandi gruppi mediatici, complici e propagatori della globalizzazione liberista. Quei media che in talune circostanze non solo hanno cessato di difendere i cittadini, ma conducono a volte vere e proprie azioni antipopolari. Come possiamo constatare in Venezuela.
In quel paese latinoamericano, dove nel 1998 l'opposizione politica fu sconfitta attraverso elezioni libere, plurali e democratiche, i principali gruppi della stampa, della radio e della televisione hanno scatenato una vera e propria guerra mediatica contro la legittimità del presidente Hugo Chávez (4). Mentre questo presidente e il suo governo hanno sempre rispettato il quadro democratico, i media, in mano a un piccolo gruppo di privilegiati, continuano a utilizzare tutta l'artiglieria delle manipolazioni, mistificazioni e menzogne in un tentativo di intossicazione mentale della popolazione. In questa guerra ideologica, hanno totalmente abbandonato la funzione di un qualsivoglia «quarto potere», e cercano invece disperatamente di difendere i privilegi di una casta, opponendosi ad ogni riforma sociale, ad ogni tipo di distribuzione un po' più equa dell'immensa ricchezza nazionale (si veda l'articolo alle pagine 16 e 17).
Il caso venezuelano è esemplare della nuova situazione internazionale, nella quale gruppi mediatici inviperiti assumono apertamente la loro nuova funzione di cani da guardia dell'ordine economico costituito, e il loro nuovo status di potere antipopolare e anticivico. Questi grandi gruppi, al di là del loro ruolo mediatico, costituiscono soprattutto il braccio ideologico della globalizzazione, e la loro funzione è quella di contenere le rivendicazioni popolari tentando di impossessarsi del potere politico (come è riuscito a fare in Italia, democraticamente, Silvio Berlusconi, proprietario del principale gruppo di comunicazione transalpino).
La «sporca guerra mediatica» condotta in Venezuela contro il presidente Hugo Chávez è l'esatta replica di quella condotta in Cile dal quotidiano El Mercurio, dal 1970 al 1973 (5), contro il governo democratico del presidente Salvador Allende, arrivando fino a spingere i militari al colpo di stato. Campagne del genere, ove i media cercano di abbattere la democrazia, potrebbero riprodursi domani in Ecuador, in Brasile o in Argentina, contro ogni riforma legale che tenti di modificare la gerarchia sociale e di ridurre le sperequazioni nella ripartizione delle ricchezze. Ai poteri dell'oligarchia tradizionale e a quelli della reazione classica si aggiungono oramai i poteri mediatici.
E tutti insieme si scagliano - in nome della libertà d'espressione! - contro i programmi concepiti in difesa degli interessi della maggioranza della popolazione. Questa la facciata mediatica della globalizzazione liberista, che ne rivela l'ideologia nel modo più chiaro, più evidente, più caricaturale. I mass media e la globalizzazione liberista sono intimamente legati.
Di conseguenza è quanto mai urgente sviluppare una riflessione su come i cittadini possano esigere dai grandi media più etica, più verità, più rispetto di una deontologia che consenta ai giornalisti di agire secondo coscienza, e non in funzione degli interessi dei gruppi, delle imprese e dei proprietari dei media che li ingaggiano.
Nella nuova guerra ideologica imposta dalla globalizzazione, i media sono utilizzati come un'arma di combattimento. L'informazione, in ragione del suo esplosivo sviluppo, della sua moltiplicazione e sovrabbondanza, si ritrova letteralmente contaminata, avvelenata da ogni sorta di bugie e voci mistificatorie, inquinata da deformazioni, distorsioni, manipolazioni. Per un'informazione non contaminata In questo campo si ripete ciò che è già avvenuto in quello dell'alimentazione.
Per lungo tempo i viveri erano scarsi - e scarseggiano tuttora in molte parti del mondo. Ma quando, grazie alle rivoluzioni agricole, le campagne hanno incominciato a produrre raccolti sovrabbondanti, soprattutto nell'Europa occidentale e nell'America del Nord, ci si è resi conto che molti alimenti erano contaminati o avvelenati dai pesticidi, che provocavano malattie, infezioni, tumori e problemi di salute d'ogni sorta, fino all'esplosione di panico di massa nel caso della «mucca pazza». Insomma, se in passato si poteva morire di fame, oggi si può morire per aver mangiato cibi contaminati...
Lo stesso avviene con l'informazione, che storicamente era merce rara. Ancora oggi, nei paesi dittatoriali non esiste un'informazione di qualità, affidabile e completa. Al contrario, negli stati democratici l'informazione trabocca da ogni parte fino ad asfissiarci. Empedocle diceva che il mondo è costituito dalla combinazione di quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco. L'informazione è divenuta talmente abbondante da costituire, in un certo senso, il quinto elemento del nostro mondo globalizzato.
Ma nello stesso tempo, ciascuno può constatare che come il cibo, anche l'informazione è contaminata. Ci avvelena la mente, inquina il nostro cervello, ci condiziona, ci intossica. Tenta di istillare nel nostro inconscio idee che non ci appartengono. Perciò è necessario elaborare quella che si potrebbe chiamare un'«ecologia dell'informazione».
Per pulire l'informazione, per liberarla dalla «marea nera» delle bugie. Ancora una volta, la recente invasione dell'Iraq ha dato la misura dell'enormità delle mistificazioni (6). L'informazione dev'essere decontaminata. Così come è stato possibile produrre alimenti «bio», a priori meno contaminati degli altri, abbiamo bisogno di una sorta di «bio-informazione». I cittadini devono mobilitarsi per esigere dai media appartenenti ai grandi gruppi globali il rispetto della verità, dato che in definitiva solo la ricerca della verità conferisce all'informazione la sua legittimità.
Perciò abbiamo proposto la creazione dell'Osservatorio internazionale dei media (in inglese: Media Watch Global). Per disporre infine di un'arma civile e pacifica, di cui i cittadini possano servirsi per opporsi al nuovo superpotere dei grandi mass media. Questo Osservatorio è un'espressione del movimento sociale planetario confluito a Porto Alegre (Brasile). Nel pieno dell'offensiva della globalizzazione liberista, questo movimento esprime la preoccupazione di tutti i cittadini a fronte della nuova arroganza dei giganti della comunicazione.
I grandi media privilegiano i loro interessi particolari, a discapito dell'interesse generale, e confondono la loro propria libertà con la libertà d'impresa, che considerano come la prima delle libertà.
Ma la libertà imprenditoriale non può, in nessun caso, prevalere sul diritto dei cittadini a un'informazione rigorosa e verificata, né servire da pretesto alla diffusione consapevole di notizie false o diffamatorie. La libertà dei media altro non è che l'estensione della libertà collettiva d'espressione, fondamento della democrazia.
Che in quanto tale non può essere confiscata da un gruppo di potenti.
Per di più, essa implica una «responsabilità sociale», e di conseguenza il suo esercizio deve sottostare, in ultima istanza, al controllo responsabile della società. Questa la convinzione che ci ha indotto a proporre la creazione dell'Osservatorio internazionale dei media - Media Watch Global. Perché i media sono oggi il solo potere senza un contro- potere, e creano di conseguenza uno squilibrio dannoso alla democrazia.
La forza di quest'associazione è innanzitutto morale: la sua azione critica si fonda sull'etica e mette sotto accusa le violazioni dell'onestà mediatica elaborando, pubblicando e diffondendo relazioni e studi.
L'Osservatorio internazionale dei media costituisce un indispensabile contrappeso all'eccesso di potere dei grandi gruppi mediatici che impongono, nel campo dell'informazione, la pura e semplice logica del mercato, e propugnano come unica ideologia il pensiero liberista.
Quest'associazione internazionale si propone di esercitare una responsabilità collettiva, in nome dell'interesse superiore della società e del diritto dei cittadini di essere correttamente informati. A questo titolo, essa attribuisce un'importanza cruciale ai contenuti del prossimo Vertice mondiale sull'informazione che si terrà a Ginevra nel dicembre di quest'anno (7). E si propone di mettere in guardia la società contro le manipolazioni mediatiche che dilagano come epidemie in questi ultimi anni.
L'Osservatorio comprende tre categorie di membri, dotati di identici diritti: 1) giornalisti professionisti o occasionali, attivi o in pensione, di tutti i media, sia centrali che alternativi; 2) professori universitari e ricercatori di tutte le discipline, e più particolarmente esperti dei media, dato che nel contesto attuale l'Università rimane uno dei pochi luoghi ancora protetti, almeno in parte, contro le ambizioni totalitarie del mercato; 3) gli utenti dei media, che possono essere comuni cittadini o personalità note per la loro statura morale...
Gli attuali sistemi di regolamentazione dei media sono dovunque insoddisfacenti.
Poiché l'informazione è un bene comune, la sua qualità non può essere garantita da organizzazioni composte esclusivamente da giornalisti, spesso legati a interessi corporativi. I codici deontologici delle singole aziende mediatiche - quando esistono - si rivelano spesso inadatti a correggere o penalizzare le derive, gli occultamenti, le censure. È indispensabile che la deontologia e l'etica dell'informazione siano definite e difese da un'istanza imparziale, credibile, indipendente e obiettiva, nel cui ambito gli universitari devono avere un ruolo decisivo. La funzione degli «ombudsmen» o difensori civici, che era stata utile negli anni '80 e '90, è attualmente mercificata, svalutata e degradata.
Spesso strumentalizzata dalle aziende per rispondere ai loro imperativi di immagine, è diventata un facile alibi per rafforzare artificialmente la credibilità di un organo d'informazione. Uno dei diritti più preziosi dell'essere umano è quello di comunicare liberamente il proprio pensiero e le proprie opinioni. Nessuna legge deve coartare arbitrariamente la libertà di parola o di stampa. Ma questa libertà può essere esercitata da aziende mediatiche alla sola condizione di non violare altri diritti non meno sacri, come quello di ogni cittadino di poter accedere a un'informazione non contaminata.
Le aziende mediatiche non devono poter diffondere, sotto la copertura della libertà d'espressione, informazioni false, né condurre campagne di propaganda ideologica o altre manipolazioni. L'Osservatorio internazionale dei media considera che la libertà assoluta dei mezzi d'informazione, reclamata a gran voce dai proprietari dei grandi gruppi della comunicazione mondiale, non può esercitarsi a spese della libertà di tutti i cittadini. Oramai questi grandi gruppi devono sapere che è sorto un contro-potere, la cui vocazione è aggregare tutti coloro che si riconoscono nel movimento sociale planetario e lottano contro la confisca del diritto d'espressione.
Giornalisti, docenti universitari, militanti, membri di associazioni, lettori dei giornali, radioascoltatori, telespettatori, utenti di Internet, tutti insieme si uniscono per forgiare un'arma collettiva di azione democratica. I globalizzatori avevano dichiarato che il XXI secolo sarebbe stato quello delle imprese globali; l'associazione Media Watch Global afferma che questo sarà il secolo in cui la comunicazione e l'informazione apparterranno infine a tutti i cittadini.


note:

(1) Si legga La tirannia della comunicazione e Propagande silenziose, ed. Asterios, rispettivamente 1999 e 2002.

(2) Si veda ad esempio, in Italia, il super-potere mediatico del gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi, e in Francia quello dei gruppi Lagardère o Dassault.

(3) Sotto la pressione dei grandi gruppi mediatici americani, la Federal Communications Commission (Fcc) degli Stati uniti ha autorizzato, il 4 giugno 2003, un allentamento dei limiti alla concentrazione, consentendo a una sola azienda di controllare fino al 45% dell'audience nazionale (contro il limite precedente del 35%). La decisione avrebbe dovuto entrare in vigore il 4 settembre scorso, ma è stata sospesa dalla Corte suprema dato che alcuni hanno visto in essa «una grave minaccia per la democrazia».

(4) Si legga «Un delitto perfetto», Le Monde diplomatique/il manifesto, giugno 2002.

(5) E molti altri media quali La Tercera, Ultimas Noticias, La Segunda, Canal 13 ecc. Leggere Patricio Tupper, Allende, la cible des médias chiliens et de la Cia (1970- 1973), Editions de l'Amandier, Parigi, 2003.

(6) Si legga «Menzogne di stato», Le Monde diplomatique/il manifesto, luglio 2003.

(7) Si legga Armand Mattelart, «La communicazione, nuova sfida dell'aordine globale», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2003.
(Traduzione di E. H.)

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