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[Parigi-ESF] report donne parigi
by valeria savoca Tuesday November 25, 2003 at 12:37 AM mail:  

-

Lo sguardo delle donne sul mondo cambia il mondo


Il mondo cambia a partire da noi. Questo hanno detto ai popoli d’Europa le donne di Bobigny e del Fse, tra il 12 e il 16 novembre.

Laboratori, plenarie, gruppi di lavoro, seminari: ancora una volta le donne hanno messo al mondo il mondo: il loro sguardo lo cambia, le loro azioni ne rivendicano il cambiamento.

La globalizzazione neoliberale aggrava le ineguaglianze.

Nadia De Nond, che ha seguito i lavori del gruppo di continuità del Fse a nome della Marcia Mondiale delle Donne, con queste parole ha aperto i lavori della giornata delle donne, di fatto di tutto il Social Forum: nelle sue parole riconosciamo la denuncia di donne e uomini che ella là rappresenta, alle quali e ai quali ha offerto generosamente, come tutte le organizzatrici e gli organizzatori, la sua voce, le sue energie, sobbarcandosi costi, fatica, spendendo gambe, braccia, fiato.

Tra tutte le disuguaglianze, l’accento sulla condizione e lo statuto sociale e politico delle donne è il tema di ogni intervento.

A livello europeo, la distruzione dello Stato sociale rigetta sulle nostre spalle assistenza e cura, servizi alla persona e all’infanzia: Giovanna Capelli e le compagne francesi di Attac si assumono il compito di approfondire l’argomento, denunciando la gratuità del lavoro di riproduzione e di cura e chiedendo il riconoscimento del suo valore economico e la sua redistribuzione. Salario sociale viene denominato da Lidia Cirillo il riconoscimento in termini economici del lavoro riproduttivo.

Il rapporto tra questo tipo di lavoro, tradizionalmente assegnato alle donne e invisibile, e il lavoro di produzione viene approfondito da Antonella Picchio, insieme a rappresentanti della MMF e di associazioni dei paesi dell’Est in una plenaria che rivendica la qualità della vita, oltre al valore economico del lavoro riproduttivo nella ridefinizione della composizione del prodotto interno lordo, i due terzi del quale è fornito dalle donne.

Picchio denuncia la debolezza del soggetto maschile, che proprio perché non difende la qualità della propria vita, delegata alle donne della famiglia, non ha competenza adeguata in questo genere di contrattazione. Bisogna che protagoniste delle lotte siano i soggetti che si occupano di garantire vivibilità alla vita quotidiana; gli uomini si facciano indietro accettando la direzione delle donne.

Ciò non vuol dire che il lavoro di cura non vada redistribuito, anzi, socializzato, dice Capelli, in modo da non essere più il principale impedimento al protagonismo femminile nella società e nella politica. In particolare, l’atelier sul lavoro di Bobigny ha valutato chiaramente quanto il lavoro di cura pesi nella capacità contrattuale delle lavoratrici. Capelli poi ha fornito delle cifre ben precise per l’Italia: le casalinghe svolgono 80 ore di lavoro alla settimana; le lavoratrici almeno 40, oltre il normale orario di servizio nel mercato. Ciò significa che gli uomini delle famiglie italiane non accettano ancora alcuna redistribuzione dei compiti riproduttivi.

Ma Picchio rivendica anche la dignità della vita, a tutte le età, e denuncia che questa possa essere subordinata al profitto.

Infatti le compagne francesi di Attac- Francia sostengono che tra i 15 e i 30 anni il tempo di vita e le energie possono portare ad una massima contrazione del tempo di riposo: questo è quanto pretende il neoliberismo, un ritorno al passato che assicuri al profitto ogni energia possibile, anche quella che si presenta come lavoro aggiuntivo e volontario, in più rispetto al lavoro salariato. Il profitto capitalistico pretende di usare il volontariato sociale, o di prossimità, per risolvere i problemi aperti in occidente dalla demolizione dello Stato sociale; di essi si farebbe carico un “privato sociale” non garantito né sovvenzionato da fondi pubblici, che depoliticizza, secondo la compagna Geneviève Azam, i problemi, depoliticizzando in tal modo anche l’impegno e la militanza sociale.

Non si può che concordare sul giudizio su questo nuovo genere di corvées e sull’universalità e non monetizzabilità di una serie di beni, patrimonio dell’umanità: il sapere, la cultura, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione.

Salute e istruzione che, De Mond denuncia nella sua apertura, nel sud del mondo vedono in primo luogo l’esclusione delle donne; e man mano che le politiche neoliberali imposte dal FMI e dagli accordi internazionali lo pretendono, si estende la fascia delle esclusioni, ma soprattutto delle escluse. Tali politiche avanzano anche in Europa, trovando sempre più spazio nelle scelte dei paesi di vecchia e nuova aggregazione all’UE.

Oggi l’attacco alle pensioni, denuncia De Mond, si sviluppa simultaneamente in Europa su fronti diversi, minacciando, dice Picchio, la qualità della vita e quindi la dignità delle persone anziane.

Le donne sono quelle che hanno percorsi lavorativi più accidentati, interrotti dalle gravidanze e penalizzati, nelle scelte e nelle carriere, dal peso della cura.

Le compagne moldave, bulgare, serbe, polacche, denunciano il peggioramento del loro statuto di cittadine dopo la caduta del muro dell’89. Tra di esse, quelle che vivono in situazioni di guerre nazionaliste con le loro dolorose testimonianze, dice Imma Barbarossa della Convenzione permanente di Donne contro le guerre, mettono dolorosamente in scena i nazionalismi storici in cui s’incarna il nesso guerra- cittadinanza maschile.

Le polacche si sono viste togliere il diritto all’aborto a causa dell’ingerenza della chiesa cattolica nello Stato, che riesce persino a condizionare l’ingresso nell’UE alla soppressione di quel diritto. C’è da chiedersi che cosa significhi in termini economici quella soppressione per le vecchie e nuove borghesie polacche. Per le donne significa la perdita dell’autodeterminazione.

Anche nel lavoro i problemi all’Est sono gravi: prima lavorare era obbligatorio e lo “Stato socialista” forniva servizi di sostegno e redistribuzione del reddito tramite quello che in occidente è stato chiamato Stato sociale, Ma ciò non toglieva alle donne i compiti riproduttivi. La demolizione delle misure di assistenza e previdenza, la mercificazione dei servizi alla salute e dell’istruzione, oggi tutti privatizzati, hanno spostato sulle donne tutto il peso dei servizi, peggiorando la loro condizione. Non esistono leggi contro la violenza e le molestie sul lavoro, lavoro che spesso le donne devono pagare per ottenere; mentre le figure maschili riprendono atteggiamenti discriminatori, le donne vengono indirizzate verso i livelli più bassi e meno retribuiti.

La tratta delle donne e delle bambine/dei bambini, è diventata una delle attività più redditizie dell’imprenditoria criminale. Senza costi e senza investimenti di rischio i corpi delle donne e dei minori si fanno profitto puro. La compagna greca, Vicki

, della MMD, denuncia lo stato di più di 500.000 donne che in Europa vivono in condizioni di schiavitù, donne che per la legge e per il diritto non esistono, usate per la prostituzione coatta, per fare figli o per cedere organi.

Ma anche lo statuto delle migranti del sud del mondo, alle quali le europee affidano lavori di riproduzione e cura, ci parla di noi. Tanto meno diritti e riconoscimenti la nostra società concede loro, tanto più la nostra condizione e la loro si identificano. La loro oppressione è doppia, come donne e come straniere; a queste si aggiunge una terza discriminazione: la difficoltà di farsi accettare come donne migranti dalle altre donne. Questa è la denuncia di Brice Mannou, del Forum delle organizzazioni di solidarietà internazionale, che a nome di tutte le donne di Bobigny e del Forum sociale chiede:

- diritto d’asilo per motivi di guerra, lavoro, per crimini contro l’integrità della persona, per persecuzioni e crimini di natura sessuale

- libera circolazione delle persone nel territorio europeo

- lotta contro la discriminazione di razza, di sesso, di orientamento sessuale

- lotta alla dequalificazione e alla precarietà del lavoro e della vita.

E sembra quasi incredibile ascoltare Lidia Senra, della Confederazione delle donne contadine della Galizia, quando ci parla della discriminazione a cui queste ultime sono soggette; nel loro paese le vedove non possono entrare in possesso del patrimonio che pure marito e moglie hanno costruito insieme, i giudici possono attribuirne alla vedova non oltre il 50%.

Questa limitazione fa pensare a tempi ormai passati e provoca strane deduzioni: il diritto alla proprietà è inalienabile solo per gli uomini, per le donne sì, è alienabile; come dire che le donne possono essre espropriate dei loro beni e ciò non fa scandalo; e ciò avviene in Europa, nel 2003, in regime di neoliberismo imperante, prevalente di certo nello Stato spagnolo di cui la compagna galiziana denuncia l’oppressione, rivendicando con una breve frase, il diritto alla separazione statale.

D’altra parte neanche la disoccupazione femminile fa scandalo; ad esempio in Francia il 47% della manodopera è donna, dice Margaret Maruani della MMF, ma mentre la disoccupazione maschile è del 18%, quella femminile tocca il 23%. Ma ciò non provoca alcuno shoc alle dirigenze politiche e sindacali: infatti tutti sanno dell’essere fuori dal mercato della manodopera femminile che compie lavoro riproduttivo gratuito e/o lavoro flessibile, precario, nero. Tutti sanno che le donne lavorano comunque, ma è come se considerassero tali lavori connaturati alla donna.

Anche i signori feudali credevano che il servaggio fosse connaturato all’essere dei loro contadini. Ma la rivoluzione francese ha distrutto quell’illusione.

La presenza delle donne al Fse si è fatta anche riflessione su di sé, sul movimento e sul nostro stare nel Forum sociale.

La riflessione sul rapporto tra guerra – patriarcato e cittadinanza maschile è approfondita nell’intervento di Imma Barbarossa. Il nesso militarismo – nazionalismo – e patriarcato sono inscindibili dalla cittadinanza maschile, dove simbolico e linguaggio confermano il loro carattere militarista e guerriero. Le donne potranno avere degli interlocutori solo quando gli uomini cominceranno a riflettere su di sé e sul proprio corpo guerriero. Solo un’internazionale delle donne può decostruire il nesso tra corpo guerriero statualità e nazionalismo.

Nadia De Mond, nello spazio di approfondimento su donne e mondializzazione, indica due vie per il futuro:

- la prima è la necessità di declinare insieme le diversità interne al movimento delle donne per trovare denominatori comuni,

- la seconda è la necessità di integrare il movimento delle donne all’interno dei movimenti altraglobalizzazione.

Anche le compagne francesi, Nelly Martin e Anne Leclerc sono ferme nel porre queste priorità. La Carta femminista dei diritti universali, che la MMD proporrà a livello internazionale nel 2005, sarà espressione della visione che le femministe di tutto il mondo hanno di un altro mondo possibile.

Ma altrettanto prioritario è pretendere visibilità, riconoscimento, peso all’interno dei movimenti misti, come dice Anna la Cognata, della rete italiana Parigi_Diverse, dove la presenza delle donne, spesso maggioritaria, non riesce ancora a conquistare la posizione che spetta a questa parte del genere umano, che tra l’altro garantisce i due terzi della produzione mondiale senza che ne possegga o controlli neanche un terzo.

Lidia Cirillo, nel suo intervento sul contributo del femminismo nei movimenti sociali e nella costruzione dell’alternativa, ha trovato una suggestiva chiave di lettura di quanto stiamo vivendo in questo scorcio di millennio:

- la critica delle femministe al mondo, che facilmente possiamo definire “maschile”, ha espresso simbolicamente ciò che l’assenza dei corpi delle donne aveva già espresso da tempo: l’homo hyerarchicus è stato smascherato;

- è tempo che gli uomini ammettano che l’unico soggetto non sconfitto della storia, la donna e in particolare la donna dell’antagonismo politico, può insegnare molto a chi voglia costituirsi come soggetto antagonista, può insegnare ad esempio come continuare a lottare in un continuo sforzo di superamento della frammentarietà, nella complessa frammentarietà che caratterizza il movimento dei movimenti.

E se Lidia Cirillo avesse ragione quando afferma che il movimento dei movimenti non è altro che la politica diventata donna? l’altrove- donna per antonomasia che crea l’utopia da cui nasce il cambiamento? Le protagoniste saremmo noi.



Valeria Savoca, gruppo comunicazione Parigi_Diverse





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Titolo Autore Data
intervista anna la cognata organizzazione donne italiane valeria Tuesday November 25, 2003 at 09:58 AM
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