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Beviamo acqua con troppo arsenico
by Tirreno Tuesday, Feb. 10, 2004 at 11:09 AM mail:

La Regione alza i limiti per far rientrare l’acquedotto nei valori di legge

06-02-04
Tirreno Grosseto


La Regione alza i limiti per far rientrare l’acquedotto nei valori di legge
Beviamo acqua con troppo arsenico


Emilio Guariglia

GROSSETO. Nell’acqua potabile dell’intera Maremma potrebbero esserci, da un giorno all’altro, concentrazioni di arsenico superiori a quelle oggi tollerate dalla legge. Lo segnala l’Acquedotto del Fiora alla Regione Toscana, sollecitando un intervento. E la Regione a stretto giro di posta, sentito il parere del ministero (Consiglio Superiore della Salute), concede al gestore della rete idrica provinciale una deroga: per un anno, a partire dal 25 dicembre 2003, i maremmani possono bere acqua contenente arsenico in misura fino a cinque volte superiore al valore normalmente imposto dalla legge. Un limite che era stato fissato a tutela della salute essendo l’arsenico sostanza riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità fra le più pericolose, legata in particolare all’insorgenza di tumori alla vescica e alle vie urinarie. Sia chiaro: nell’immediato non c’è da allarmarsi. Primo perché il nuovo limite (50 microgrammi/litro anziché 10) è identico a quello rimasto in vigore per decenni, fino al 2001; poi, il rischio paventato dall’Acquedotto del Fiora è sì concreto, ma eventuale e comunque previsto su sforamenti assai inferiori a quel tetto di 50; inoltre l’arsenico è dannoso se assunto a lungo, mentre la deroga è limitata nel tempo, e vincolata a interventi risolutivi per la purificazione delle acque. Ma è proprio qui, sul nodo degli interventi attesi, che Roberto Barocci - responsabile delle politiche ambientali di Rifondazione Comunista - chiama in causa la Regione. Accusandola di aver concesso la deroga senza prevedere soluzioni. Anzi, dice Barocci, ha giustificato la richiesta al ministero «sulla base di affermazioni fantasione, sicuramente parziali, se non false». Il punto, secondo Barocci, è sempre quello: le acque potabili della Maremma pescate nelle falde del sottosuolo, a suo giudizio, vedono progressivamente crescere le concentrazioni di arsenico a causa del pesante inquinamento lasciato in eredità dalle attività minerarie prima, e chimiche poi, condotte per decenni dall’Eni. «Sia l’attuale presidente dell’Ambito Territoriale Ombrone 6, che dovrebbe programmare gli interventi per assicurare acqua potabile nelle nostre abitazioni, sia l’attuale assessore regionale all’Ambiente, sanno perfettamente che all’Eni è stato concesso di smaltire grandi quantità di rifiuti resi tossici per l’arsenico nelle ex miniere allagate, aggirando la legislazione nazionale che lo vietava; sanno che all’Eni è concesso di non bonificare i canali drenanti che da anni scaricano illegalmente a Fenice Capanne, Niccioleta, Boccheggiano e Gavorrano, sul bacino del Bruna e dell’Ombrone, grandi portate d’acqua fuori norma per arsenico; sanno che a Scarlino le falde idriche della piana sono fortemente inquinate da arsenico, ancora per effetto di stoccaggi illegali di rifiuti tossici». Dunque la questione, per Barocci, si risolve solo avviando (a carico dell’Eni) quelle bonifiche dei siti ex minerari che la Maremma reclama da anni. Perché la legge che autorizza le deroghe le autorizza solo se «non vi siano altri mezzi congrui» per rimuovere il problema: e il mezzo congruo, dice Barocci, invece esiste, ed è la bonifica. La Regione invece non impone la bonifica, e giustifica la deroga tornando a sostenere di nuovo, in qualche modo, la “naturalità” della presenza di arsenico nella circolazione idrica sotterranea, in base a uno studio idrogeologico «che sembra non esista», dice l’esponente di Rifondazione, e che se pure esiste, «come tutti sanno non corrisponde al vero». Ma l’ira di Barocci si appunta anche su altre due questioni. La prima. è il fatto che di recente, nel 2002, l’Oms ha ribadito la pericolosità dell’arsenico: dunque, semmai, la Regione Toscana avrebbe dovuto abbassare i limiti di legge, e non concederne un aumento. La seconda è la totale mancanza di trasparenza con cui è stata gestita la vicenda: nessuna informazione pubblica, nonostante il ministero della Salute - nel concedere la deroga alla Regione - prescriva alla Regione stessa l’obbligo di informare i cittadini, affinché questi possano tutelarsi. Invece silenzio.

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