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ancora su Battisti
by zzzz Thursday, Feb. 12, 2004 at 1:01 PM mail:

Battisti - una storia impossibile

Collettivo Autonomo Barona:
appunti per una storia impossibile
Abbiamo voluto scrivere una storia "impossibile".
Impossibile perché affonda le sue radici in procedimenti giudiziari ancora aperti Perché giornali, magistrati, Digos e "pentiti" ne hanno raccontato e distorto i pezzi che gli servivano. Perché molti compagni l'hanno ignorata, o rimossa, o troppo rapidamente archiviata con un giudizio sommario. Perché i percorsi personali. collettivi e politici si intrecciano fra loro in modo ingarbugliato, su un terreno inquinato dalle delazioni dalle reticenze e dalle autocensure.
Questa è la nostra versione, basata sui documenti, sulle cronache, sulle testimonianze dirette, nello sforzo che abbiamo intrapreso di raccontare noi, per frantumamenti e avvicinamenti progressivi, la storia di questi ultimi anni.
Il quartiere Barona si trova alla periferia Sud di Milano, in un vasto triangolo compreso tra il Naviglio di Abbiategrasso e il Naviglio Pavese di Pavia. Insieme ad altri quartieri (S.Cristoforo, Moncucco, Boffalora, Conca Fallata-Gratosoglio-Chiesa Rossa) prende il nome dalle grosse cascine agricole che formavano il territorio dei cosiddetti "Corpi Santi" esterni alle mura spagnole. Un tempo Comuni, vennero inglobati nella grande Milano dall'amministrazione fascista, che iniziò in queste zone un programma di edilizia popolare: tra il 1931 e il 1938 l'Istituto Case Popolari costruì i primi insediamenti collettivi proprio alla Barona, affiancandoli a quelli degli anni venti nelle zone Stadera e Naviglio Pavese. Negli anni cinquanta sarebbero seguiti S.Cristoforo, ancora la Barona, via Conchetta e via Torricelli. Infine negli anni sessanta, in concomitanza con la grande immigrazione interna, vengono costruiti ex novo Chiesa Rossa, Gratosoglio Nord, Sud e Torri, S.Ambrogio I e Il , Lodovico il Moro (Negrelli).Molte di queste costruzioni sono IACP e questo determina la formazione di una vasta zona a carattere proletario e popolare.
Il vertice di questo triangolo tra i due Navigli e' rappresentato dalla Darsena di Porta Ticinese, determinando una complessa relazione di. scambi umani e politici tra le due zone, tanto che nella "geografia del politico" milanese la zona Sud é stata sempre considerata un prolungamento logico della capacità di produzione politica del quartiere Ticinese-Genova, che é stato senza dubbio il quartiere di massima concentrazione delle sedi politiche del "movimento" cittadino.
Il CAAB (Collettivo Autonomo Antifascista Barona) nasce nel novembre del 1974 per iniziativa di Fabio, quindici anni, e di Umberto, quattordici anni, amici da sempre. Nel giro di pochi mesi si aggiungono altri amici, soprattutto ex compagni di scuola media di Fabio, come Sante, Bob, Ivano, Fabrizio Marco Tonino: "ci si trovava in uno scantinato, in un bar oppure per strada e si parlava di noi e di che cosa ci offriva il futuro, era il tempo del Collettivo Autonomo Antifascista Barona, un gruppuscolo di ragazzi che senza cercare nessun appoggio e senza allinearsi su posizioni di Partiti e movimenti politici esistenti volevano cercare di costruire politicamente qualcosa di nuovo in zona. ( Eravamo nati soli e volevamo fare tutto da soli)".1
Il passaggio all'impegno politico di quella che era una compagnia o banda di quartiere avviene per gradi e quasi naturalmente. All'inizio la compagnia si ritrovava in Piazza Miani, intorno a una panchina. Alcuni venivano solo per la passione della pallacanestro o per organizzare delle feste, ma si parlava anche delle manifestazioni e dei problemi del quartiere-ghetto, senza campi di gioco o palestre, senza spazi associativi per i giovani. Con il passare del tempo 'l'amicizia si impasta con i bisogni, con la cultura e l'emarginazione proletaria. C'é la voglia di organizzare qualcosa che dia senso alla vita quotidiana, c'é l'incontro alla scuola media con i figli degli occupanti di viale Famagosta,2 uno dei primi grandi movimenti di occupazioni di case a Milano. Alcuni di loro hanno cominciato a disegnare col pennarello i pugni chiusi sui banchi di scuola, poi hanno continuato a riempire i muri del quartiere di scritte "per sentito dire", firmandole M.S. o A.O. ancora prima di sapere cosa significassero queste sigle.
Poi ci sono i contatti a livello personale con gli extra-parlamentari che cercano di muoversi nei quartieri e la crescita per affinità culturale con i modelli della cultura del mitico '68, che passa anche attraverso la esperienza scolastica, secondo un percorso che accomuna la grande parte dei Collettivi giovanili dei quartieri proletari ai margini di Milano. Per ciò che Collettivi vanno estendendosi in tutti i quartieri a tradizione operaia e proletaria come Rozzano, Gratosoglio, Piazza Abbiategrasso, Conchetta al Ticinese, Barona, S.Ambrogio, Tessera, Giambellino, Baggio, Quartiere Olmi, congiungendosi poi con quelli più a Nord di Pero, Limbiate, Cinisello per saldarsi infine con la grande area di Crescenzago, Padova, dove operano Collettivi nelle zone Loreto, Leoncavallo, Lambrate, Ortica, Segrate. Si comincia quasi sempre da temi astratti come l'antifascismo, la Cina, il Vietnam e l'antimperialismo, ma per la loro collocazione nella vita e nella memoria del quartiere i Collettivi passano rapidamente a tematiche concrete e di classe, tra cui la lotta per la casa e le occupazioni, le autoriduzioni, la lotta contro il lavoro nero, il collegamento scuola-lavoro.
Su questi temi concreti, sull'inchiesta nel quartiere si avvia l'impegno politico del Collettivo, fin dall'inizio deciso a mantenere il controllo sulle proprie azioni e sul proprio spazio, in accordo con la sua identità e omogeneità di banda di compagni e amici. Per questo il Collettivo si definisce prima di tutto "autonomo", senza nessun riferimento a quell'autonomia operaia che proprio in questo periodo si esprime attraverso Rosso, ed è ancora sconosciuta alla Barona. Nell'altra definizione che si dà il gruppo, "antifascista", c'è sia un'eco della cultura di movimento di questi anni, dove tutto è antifascista (è anche il periodo degli scontri fisici con i "sanbabilini"), sia una nuova interpretazione del tipico obiettivo di una banda di quartiere: "sorvegliare" la propria zona con una vigilanza antifascista, cercare un nuovo modo di egemonizzare politicamente uno spazio dove non possono giungere o comunque non sono tollerate iniziative esterne.
Il Collettivo non si identifica con tutta la compagnia di amici della Barona: quando nel 1975 acquista una fisionomia più precisa è formato da una decina di militanti molto attivi, in grado di coinvolgere, a seconda del tipo di iniziativa, altri venti o trenta ragazzi che costituiscono o frequentano la compagnia. In questo stesso anno il CAAB trova una sede provvisoria nello scantinato di un fiorista e comincia i suoi primi interventi sulle occupazioni di viale Famagosta: i primi volantini vengono fatti a mano e attaccati con il Vinavil. Una delle prime uscite "ufficiali" é al Fabbrikone,3 un vecchio stabile occupato in zona Genova, dove si fanno notare per la loro divisa: giacca militare camicia delI'aereonautica, scarpe anfibie e basco con la stella rossa. Se la divisa si ispira all'iconografia di Che Guevara e della guerriglia sudamericana, le loro letture preferite sono soprattutto nord americane: Prateria in fiamme dei Weathermen, L 'autobiografia di Malcolm X, Col sangue agli occhi di George Jackson, la storia e gli scritti delle Pantere Nere; ostici e lontani i classici del marxismo e i loro epigoni. i film più ammirati e discussi sono quelli di Costa Gavras, come Zeta e L 'Amenkano.
Fin da quando il quartiere comincia ad avvertire la presenza del Collettivo l'atteggiamento della sezione locale del PCI è ostile: nel corso degli anni il giornaletto comunista di zona, La sedicesima, non mancherà di attaccare i giovani autonomi, anche se i rapporti personali non arriveranno mai allo scontro fisico. Atteggiamento per altro generosamente ricambiato dal Collettivo, non solo per la generale cultura antirevisionista che circola nel movimento, ma anche per l'opposto giudizio sul fallimento dell'esperimento cileno di Allende, che porterà il partito comunista all'elaborazione della strategia del "compromesso storico".
Anche il rapporto con i gruppi extra-parlamentari si presenta subito in modo conflittuale. Trattati dai militanti dei gruppi "da sbarbati", per la giovane età e l'inesperienza, sono però costretti a frequentare le loro organizzazioni per poterne utilizzare i mezzi tecnici, come per esempio il ciclostile per la quasi quotidiana produzione di volantini. Tutti di famiglie proletarie, i giovani autonomi soffrono di una carenza cronica di soldi e di mezzi per la loro attività; per questo si divertono a identificarsi con gli eroi del popolare fumetto di Max Bunker, Alan Ford e l'agenzia TNT: una banda di scalcagnati che sopperiscono con il volontarismo e i miracoli d'inventiva all'assenza di fondi e di mezzi. Bob è Grunf, l'autore dei "miracoli tecnici", Ivano è Alan Ford, Fabio è la Cariatide e così via.
Il contatto con i gruppi produce dei tentativi di reclutamento, che diventeranno abituali nel corso della storia del Collettivo. Il Movimento Studentesco è la prima organizzazione a corteggiare gli autonomi della Barona. Fanno insieme delle riunioni e delle ronde antifasciste in zona, discutono di antifascismo e di temi come l’Italia fuori dalla NATO". Il CAAB si stanca presto di questo rapporto, problemi come quelli della NATO o del Fronte Popolare sono troppo lontani e non trovano seguito nel quartiere, i membri del Collettivo si sentono alieni dalla logica di organizzazione, dalle gerarchie, dai dirigenti e dai quadri. Si divertono di più con l'autoriduzione al cinema o la organizzazione di feste diverse, "proletarie" nel quartiere. Conducono una grossa campagna contro l'ATM per avere migliori collegamenti con il centro e contro l'aumento del prezzo dei biglietti. Riempiono i mezzi pubblici di scritte spray, ci salgono sopra col megafono a fare propaganda. La loro presenza nel quartiere cresce e nel settembre 1976 producono un giornaletto ciclostilato, Revolucion, un po' per la "libidine" di vedersi scritti e un po' per mettersi alla prova: scrivono di aver voluto dimostrare "che dei ragazzi anche se non intellettualisti (per fortuna) possono prendere iniziative di qualsiasi tipo !!!!". In questo primo numero i pezzi forti sono un articolo sul problema delle abitazioni nel quartiere ghetto e una ricostruzione grafica degli scontri di via Mancini finiti con la morte di Zibecchi. travolto da un camion dei carabinieri. Lo slogan finale è Contro lo stato della violenza ora e sempre resistenza. Incredibilmente il ciclostilato, distribuito all'edicola di via Santa Rita, viene venduto tutto e questo li spinge a continuare la esperienza in un rapporto col quartiere non più personale e frettoloso.
Il Collettivo, ora semplicemente CAB (Collettivo Autonomo Barona), fa uscire altri due numeri. In quello di ottobre/novembre ci sono analisi del quartiere, tipico ambiente "AFRIKANO" (rione negro)", temi esistenziali, una "CAB story" un identikit del nemico delle masse comuniste: "non è solo il fascistello sanbabllino, il burocrate DC, il clero reazionario, ma anche chi professandosi comunista, tradisce gli interessi della classe operaia", temi di politica internazionale. Concludono avvertendo: "Con questo 20 numero abbiamo cercato di eliminare le pecche e le eventuali ingenuità che caratterizzavano il l° n. (SPERIAMO DI ESSERCI RIUSCITI). Ma nel numero di dicembre sentono il bisogno di sottolineare: "Questo giornale è scritto da dei compagni adolescenti", concludendo con questo slogan: "La nostra lotta cresce di zona in zona siamo i PELLEROSSA della Barona".
Il giornale esce come supplemento di Katù - Flash (Vogliamo Tutto); il rapporto con i compagni che fanno capo a questa esperienza aiuta i membri del CAB a "smaliziarsi" nel linguaggio e nell'impegno politico e li fa entrare in contatto con Rosso. Accettano di vendere questa rivista nel quartiere, ma lo fanno soprattutto come occasione per contattare la gente; non riescono a leggere più di due articoli per numero e lo trovano troppo difficile. Anche il tentativo di leggere collettivamente Proletari e Stato di Toni Negri si fermerà alla prima pagina e il libro sparirà, probabilmente bruciato nella stufa.
Quando Vogliamo Tutto confluisce in Rosso i membri del Collettivo non approvano questa operazione e si tengono distanti. Ma se il percorso del Collettivo, con una storia simile a quella di tanti altri micro-organismi autonomi, si sviluppa comunque "dentro, fuori, ai bordi dell'area dell'autonomia organizzata", rimane vivo il rapporto di scambio e non di subalternità con le organizzazioni maggiori, tipo quella che fa capo a Rosso. Tramonta invece definitivamente ogni possibilità di rapporto con gruppi come Avanguardia Operaia e Movimento Studentesco, con i quali il CAB e altri collettivi (5. Ambrogio, via Teramo, "Fornace", piazza Negrelli) occupano la Cascina Boffalora per fame un centro comune: il contrasto fra il "dirigismo" dei gruppi e l’autonomia dei collettivi farà fallire in breve tempo questa esperienza. Da qui in poi il rapporto fra gruppi e autonomi sarà quasi sempre conflittuale, contraddistinto spesso dallo scontro fisico.
L'apertura al quartiere dà buoni frutti e la gente segue con simpatia le iniziative del CAB, ormai riconoscibile e riconosciuto alla Barona. Attraverso l'inchiesta di massa si impegnano nei problemi di zona come lo sfruttamento, il carovita, le abitazioni, l'eroina, il lavoro nero. Su questi punti i membri del Collettivo formano delle commissioni di intervento. Organizzano frequenti' mostre fotografiche davanti al supermarket di viale Famagosta, sull'ATM e sull'ospedale San Paolo, una struttura-fantasma che potrebbe, se funzionante al completo, garantire una maggiore assistenza sanitaria e uno sbocco di lavoro agli abitanti della Barona. In questo lavoro collaborano con il gruppo anarchico di via Conchetta. Contro il lavoro nero il CAB organizza delle ronde proletarie tutti i sabati: in circa una trentina, con striscioni e volantini, entrano nelle piccole fabbriche della zona e invitano gli operai a sospendere il lavoro nero e a non fare gli straordinari. A volte l'intervento funziona, gli operai ascoltano o discutono, in qualche caso segue l'assunzione con i libretti. Se questo è possibile nelle fabbrichette con più di dieci operai, più problematico è l'intervento in quelle con pochi lavoratori, spesso legati da parentela con il padrone. Impossibile risulta intervenire sul lavoro nero fatto in casa, come quello delle casalinghe che fanno i giocattoli per poche lire al pezzo. Sui muri vengono scritte le denunce contro i padroni del lavoro nero, ogni giorno cancellate e puntualmente riscritte. L'intervento nel territorio, nel giro di tre anni, è diventato capillare e quasi quotidiano:
"Lavorare nel territorio per la ricomposizione proletaria su basi rivoluzionarie, non e. affatto facile: è un progetto di lunga durata che viaggia tra mille difficoltà di ogni genere, ma che abbiamo fatto nostro da sempre, sgombrando il campo da ogni ambiguità democraticistica. Rompere la tranquillità sociale nel territorio significa intervenire complessivamente, anche in situazioni o su temi specifici che ci erano sconosciuti o che avevamo sottovalutato, spesso ricominciando tutto da campo o addirittura da O, in ogni aspetto della quotidianità metropolitana per materializzare collettivamente i bisogni proletari. Usare l’inchiesta di massa come dato di partenza, costruire un rapporto continuo con gli abitanti per non autoemarginarsi dagli emarginati". 4
ll quartiere si è ormai abituato alla presenza del CAB, alle mostre fotografiche e ai cortei, ai volantini su vari problemi lasciati nelle caselle delle abitazioni, agli interventi nel consiglio di zona e alla distribuzione dei giornali. il vero giornale del Collettivo è rappresentato dalle scritte murali che tappezzano la zona, accompagnate da una germinazione spontanea di messaggi di ignoti che si firmano CAB. Anche i negozianti collaborano di buon grado alla raccolta di fondi per rinsanguare le magre finanze del Collettivo. Si allargano anche i contatti con gli organismi autonomi limitrofi come Chiesa Rossa, Gratosoglio, Zona Sud; ottimi sono i rapporti col circolo giovanile di S. Ambrogio, con cui spesso si lavora insieme e si organizzano delle feste. Importante è anche la collaborazione con il Co-Cu-Lo5, che per alcuni mesi affianca il CAB nell'intervento sul lavoro nero. A differenza di quello con i gruppi, si tratta di un rapporto abbastanza corretto: non ci sono i soliti pesanti tentativi di cooptazione, vengono messi a disposizione del Collettivo il ciclostile e altri mezzi tecnici per la propaganda.
Nel 1977 si trovano finalmente una sede, occupando due locali in via Modica, ornati dai murales di Sante, il "grafico" del Collettivo. Il CAB si autoseleziona, la politica diventa una attività a tempo pieno: dei nuovi compagni di origine sarda, Sisinnio, Marco e Sebastiano trovano nell'attività del Collettivo una risposta alle loro istanze di emigrati delusi ed emarginati.
Il 1977 segna un passaggio qualitativo per tutti gli organismi autonomi milanesi: è l'anno di via De Amicis e dell'Assolombarda, dei cortei armati e del dibattito di massa sulla lotta armata. A livello nazionale c'è l'uccisione di Lorusso, la cacciata di Lama dall'università di Roma, il movimento del 77, il convegno di Bologna.
I collettivi autonomi milanese, con la loro identità e la legittimità di massa frutto del rapporto con il proprio quartiere, nell'urgenza di un progetto politico che unifichi le loro esperienze si trovano esposti alla superiore organicità progettuale delle organizzazioni maggiori che si muovono nell' area dell'autonomia. Queste, sia clandestine che di massa, sono guidate da quadri politici formatisi sin dalla metà degli anni sessanta. Un quadro politico che rimane sostanzialmente di tipo leninista e tende quindi a legittimare le aggregazioni spontanee di movimento nella prospettiva di forzarne i contenuti per arrivare a un successivo loro reclutamento organico al proprio interno.
In questo periodo le dinamiche delle organizzazioni dell'autonomia sono scosse dalla discussione su due problemi fondamentali: l'emergenza massiccia della "tendenza armata" e la fine della "centralità operaia". Il dibattito si ripercuote in modo confuso nelle strutture dei collettivi senza che questi abbiano gli strumenti per comprendere pienamente le diversità di motivazioni, di strategie che determinano le posizioni tattiche, le alleanze, le proposte che circolano. Alle riunioni dei collettivi partecipano spesso militanti organici delle organizzazioni e, viceversa, i collettivi partecipano spesso alle riunioni nelle sedi delle organizzazioni: tutto ciò oltre a determinare un forte scambio di suggestioni politiche, costruisce una grande complessità di rapporti soggettivi e di solidarietà, che troverà la sua espressione più clamorosa nei 'cosiddetti "cortei armati", dove si troveranno quindi a convivere "immaginari" della pratica armata e militanti organici della stessa.
In questa zona di incontro-scontro fra la cultura della violenza di massa contro il sistema, propria del movimento, e la messa in atto minoritaria e clandestina della lotta armata, non è semplice decifrare i percorsi e le collocazioni dei singoli (e infatti si sa che è stato molto più facile fare di ogni erba un fascio, affidandosi al criterio ignobile ma funzionale della "contiguità").
In questa situazione di confusione e di accelerazione, di verticalizzazione e di indurimento della lotta politica cittadina, si muove anche il CAB, partecipando con i collegamenti Sud Ovest, cioè con S.Ambrogio, Chiesa Rossa e Co-Cu-Lo, a manifestazioni, a interventi nelle scuole e in fabbriche come l'Alfa Romeo. All'inizio dell'anno si impegnano in interventi contro il lavoro nero insieme al Collettivo Autonomo Romana Vittoria, in cui si fa notare per il suo protagonismo Marco Barbone. Avvertono in questo contatto delle spinte esplicite a muoversi nella direzione di Rosso e si allontanano da questa esperienza dopo le forzature dei cortei armati (come quello di via De Amicis che finisce con l'uccisione dell'agente Custrà), dove si accorgono che personaggi come Barbone cercano di provocare scontri armati all'insaputa della maggior parte dei compagni che partecipano al corteo. Si sentono estranei ai "dirigentini" che vanno nelle situazioni a indicare cosa si deve fare. Pur rifiutando di diventare portavoce di Rosso frequentano il collegamento di via Disciplini6 per sapere cosa succede, per essere in contatto con gli altri organismi. A settembre partecipano alla tre giorni di Bologna, che sembra preludere a una organizzazione nazionale delle varie situazioni autonome.
Dopo Bologna l'aria diviene sempre più calda, c'è una gran fretta, il discorso sulle forme di organizzazione e di pratica politica diventa quotidiano e spasmodico. Per qualche mese il Collettivo continua a frequentare via Disciplini, dove il coordinamento è sempre più sottoposto da varie parti a spinte e urgenze di organizzazione . Nel telegrafo senza fili del movimento i coordinamenti e le situazioni collettive sono pieni di sussurri e grida, le idee di formazioni come le BR o Prima Linea sembrano avere dei portatori qua e là, ma il quadro è molto confuso, solo voci e discorsi per sentito dire, mai proposte dirette. Il CAB si sente però estraneo a queste forme di organizzazione, dalla simpatia per le prime attività non cruente delle BR, dagli slogan provocatori a loro favore, è passato alla distanza politica nei loro confronti dopo le "quintalate"di sparamenti.
I giovani autonomi della Barona si rendono conto al coordinamento che ancora una volta il discorso è quello di accaparrarsi gente per la propria organizzazione, di reclutare. Inoltre, una buona metà della gente che frequentava via Disciplini era diversa da loro, "stava bene", sapeva parlare con sicurezza, aveva il culto del personaggio senza incertezze, "andiamo, facciamo". Non c'erano grandi rapporti sul piano personale: si sentono spinti a intervenire ai sabati dell'Alfa Romeo contro il lavoro straordinario, ma provano disagio, sono troppo distanti dal problema, la gente non li segue.
Nella crisi di Rosso vengono sollecitati a prendere posizione sia da parte del gruppo che continua a fare capo al giornale, sia dallo spezzone transfuga di Barbone, ma non seguono nessuno e si allontanano definitivamente da via Disciplini.
Nel corso del 1977 hanno pubblicato un paio di numeri deI Bollettino del Collettivo Autonomo Barona che ha sostituito Revolucion, e hanno collaborato alla redazione di Black Out, un giornale di collegamento delle, lotte autonome, ritenuto "più utile" di Rosso, con un linguaggio più chiaro e inserti sui quartieri che ne rendevano più facile la diffusione in Barona. Ma è forse troppo tardi per un'iniziativa di questo tipo:
è il momento in cui cominciano a moltiplicarsi le testate autogestite dell' "ala creativa", lontane dalla vecchia terminologia, come Apache, Sesto senso, La pera è matura, Wow, Viola, Crach, ecc.
Nel 1978, il CAB viene sfrattato dalla sede in via Modica, e usa come punto di riferimento il centro di S.Ambrogio, frequentando anche la "Fornace", il collegamento zona Sud Ovest e l'affollato coordinamento proletario della zona Sud in via Momigliano.
A questo punto della loro storia i membri del Collettivo cominciano a cercare una strada politica che da una parte li faccia uscire dal ristretto ambito della zona, anche per rispondere alla generale spinta a una organizzazione più allargata, e dall'altra li differenzi dalle altre proposte che circolano nel movimento. In risposta all'ipotesi avanzata da Rosso di fondare un partito dell'autonomia, fanno uscire ... Eppur si muove... un 'foglio per l'organizzazione proletaria nella metropoli", come primo tentativo di analizzare le esperienze comuni dei collettivi territoriali milanesi e di dare delle indicazioni teoriche e pratiche per la realizzazione di un progetto collettivo, passando dall'autonomia diffusa all'organizzazione proletaria nella metropoli. Dopo avere descritto la grande diffusione dei comportamenti antagonisti e la risposta capillare e preventiva delle forze repressive statali e private, capiscono "come a questa estensione sociale di sovversione corrisponda sostanzialmente l'incapacità delle varie forze dell'autonomia cosiddetta organizzata di essere momenti di organizzazione e direzione. Finché le proposte di militanza rivoluzionaria saranno ricche di ideologia e moralismo, l'autonomia diffusa ne rimarrà sempre più estranea: lasciamo agli intellettuali e militanti, che negano la radicalità dei loro stessi bisogni, menarsela su forme partitiche più o meno intergalattiche (salvo poi annegare queste menate frustranti nel pessimo e costoso vino delle varie "operette"7. L'unico terreno di organizzazione praticabile rimane quello del territorio: "il fondare il nostro progetto di organizzazione solo e unicamente assumendo il territorio come momento centrale di ricomposizione proletaria, è il frutto di anni di lotte e di esperienze territoriali lungamente praticate qui a Milano spesso ritenendole terreno secondario o comunque completamente all'organizzazione dì fabbrica. Movimenti di massa autonomi dal capitale si sono sviluppati nelle scuole, nei servizi, nei quartieri ghetto, nelle piccole fabbriche e nelle prigioni, il movimento giovanile ed il movimento delle donne fino al movimento del '77 hanno posto fine alla parola centralità operaia...La via dell'organizzazione si fa ora più complessa e tortuosa e non può che essere il risultato di una lotta sul territorio, collettiva e di massa, per e dentro la ricomposizione di classe. Per essere dentro a questo processo è necessario attaccare le attuali sedimentazioni organizzative. L'esigenza di classe non è quella di trovare alleati, ma di ricomporsi sul territorio battendo ogni tentativo corporativo e riformista. Questa è la prospettiva: officina per officina, casa per casa, unità per unità produttiva." Non si crede più nella possibilità "di agire autonomamente in ogni singola zona e di ritrovare poi momenti specifici di coordinamento su iniziative delimitate e mai stabili": questo ha impoverito il dibattito e impedito la circolazione dei contenuti delle forme di lotta, "creando di fatto una mentalità da banda, che ha provocato seri e infantili settarismi, quando non addirittura rivalità fra i singoli collettivi." Ora è necessario "ricercare tutti i settori del Proletariato metropolitano, comportamenti antagonisti espressi da una parte, spezzoni di organizzazione autonoma già dati dall'altra e dall'insieme di queste due cose porre le basi dell'organizzazione proletaria stessa." Con l'anticipazione repressiva del capitale e con il decentramento produttivo non si può più "intendere il contropotere come una trincea da scavare sul posto di lavoro e la trattativa come modo per imporre i bisogni operai: il contropotere diventa immediatamente. lo scontro con il capitale, uno scontro quotidiano e continuato che vede nel territorio l'unico campo di battaglia, senza più linee di demarcazione e rnediazione tra capitale e proletariato...Costruire le ronde proletarie che vadano a visitare l'organizzazione del lavoro e la composizione di classe territoriale far nascere commissioni e gruppi di intervento che vanno a scovare i covi del lavoro nero, gli spacciatori d'eroina che seminano morte: formare commissioni di controformazione per avere la conoscenza totale della militarizzazione a cui siamo sottoposti; ronde contro il carovita che impongono il controllo dei prezzi e la qualità della merce venduta dai bottegai vari; gruppi di studio che analizzano la nocività della vita metropolitana; scarichi industriali, lavorazioni pericolose, avvelenamento degli inceneritori, dell'immondizia e delle fabbriche della morte (vedi Seveso), rumorosità e igiene del territorio dove i proletari vivono. Questi non sono che i primi momenti di organizzazione e conoscenza che vogliamo costruire. La nostra pratica di intervento deve da subito essere estesa omogenea e contemporanea su tutta la metropoli."
Un altro punto accennato è la difesa dei proletari detenuti "comuni" accanto a quella dei politici. Netto è il rifiuto della pratica esemplare armata: "Niente a che vedere con azioni più o meno esemplari e con relative pretese di insorgenza proletaria attorno a questi attacchi. Intendere il contropotere attacco indiscriminato e propagandistico agli apparati dello stato diffuso e ai centri di comando della fabbrica diffusa, significa impossibilità di tracciare un terreno di ricomposizione e rimanerne fuori...Eliminando lo spacciatore di eroina non si elimina la rete organizzativa di spaccio, la stessa cosa vale per ogni settore dell'offensiva proletaria nelle metropoli, che intendiamo organizzare."
Questo tentativo di elaborare un progetto politico partendo dalla propria esperienza territoriale arriva in una situazione metropolitana dove si sta chiudendo la forbice repressione-!otta armata e sta maturando la crisi del dopo Bologna, dopo l'impatto esplosivo del movimento del '77. Il piano repressivo elaborato dal governo di Unità Nazionale, l’accettazione organizzativa delle formazioni armate, l'impossibilità per l'autonomia organizzata di attestarsi come bastione ai confini dell'illegalità producono per conseguenza l'impossibilità per i collettivi di proseguire nella pratica di autodeterminazione, esponendoli per primi all'ondata repressiva.
Il CAB continua il confronto e la collaborazione con altri collettivi, come quelli del Gallaratese e di viale Ungheria. Inizia un rapporto con il Collettivo Politico Ticinese, con il quale organizza delle ronde contro l'eroina in piazza Vetra. Le iniziative si incrociano, come dimostrano i numerosi volantini del periodo firmati di volta in volta da diversi raggruppamenti di organismi autonomi, ma senza omogeneità e senza più controllo sulla situazione. I membri del CAB, in questo tentativo di allargare l'intervento politico al di là della propria zona, rallentano i contatti con il quartiere e si perdono un pò di vista anche fra loro, muovendosi a volte in situazioni diverse. In modo unitario mandano avanti il discorso politico sul carcere. Nel 1978, in occasione della morte in prigione di Mauro Larghi, producono un eliografato sulla sua morte, costato dei sacrifici in termini di denaro, "San Vittore come Stamheim", anche per reagire all'indifferenza di Rosso e di altri gruppi. Nello stesso anno si ritrovano per una manifestazione con striscioni OPAM, insieme al collettivo "gli Unghari" e al Collettivo Proletario S.Ambrogio contro il carcere e la militarizzazione del territorio; emettono un volantone, "Dovere di tutti è essere liberi". All'inizio del 1979 sono tra i fondatori del Comitato Metropolitano Contro il Carcere alle Colonne di San Lorenzo.
Il 16 febbraio del 1979 un orefice della Bovisa viene ucciso da due giovani a volto scoperto. Si tratta di Pier Luigi Torreggiani, già entrato nella cronaca per avere ucciso in un locale pubblico un rapinatore. I due giovani salgono a bordo di una OpeI Ascona, al volante della quale c'è un terzo giovane, e dopo poche centinaia di metri si trasferiscono su una Renault 4 rossa, che risulterà poi appartenere alla madre di Sante Fatone, un membro del CAB. Fra il 17 e il 18 febbraio scatta un'operazione della Digos, coadiuvata dalla Squadra Mobile di Milano, che porta all'arresto di cinque membri del Collettivo Autonomo Barona, mentre altri due, Sante Fatone e Sebastiano Masala, si rendono irreperibili. I giornali, inaugurando la tecnica del "processo a mezzo stampa" danno grande rilievo agli arresti e "sbattono i mostri in prima pagina": i titoli sono del tenore "sgominata la cellula degli autonomi che ha assassinato Torreggiani"; si parla dei killers dell'autonomia, della "banda" politico-criminale della Barona. Riferendosi ai membri sardi del CAB, Sissinnio Bitti e i fratelli Masala, il Corriere della Sera titola il 21 febbraio: "Come un pastore sardo può diventare un killer degli autonomi". Mentre la stampa prosegue il suo linciaggio, il Presidente della Repubblica si congratula con il ministro Rognoni per la brillante operazione. Ma il 24 febbraio tre dei membri del Collettivo arrestati, Umberto Lucarelli (18 anni), Fabio Zoppi (19 anni) e Roberto Villa detto Bob (18 anni), vengono scarcerati per assoluta mancanza di indizi. Gli altri due arrestati, Sisinnio Bitti (31 anni) e Marco Masala (18 anni), indicati come gli esecutori materiali del delitto, hanno un alibi di ferro, confermato da molte persone: all'ora del delitto erano presenti sul posto di lavoro e in seguito verranno completamente scagionati dall'accusa.
Lo scagionamento e l'estraneità all'omicidio Torreggiani rendono più allucinante e significativo il trattamento subito dai giovani durante 1' "operazione": inaugurando una tecnica che avrà in seguito altre applicazioni, gli autonomi della Barona vengono torturati selvaggiamente da agenti e funzionari della Digos per costringerli a confessare il delitto. Pestaggi a pugni e schiaffoni, cerini accesi sotto i piedi e i testicoli, bastonate sul torace attraverso una coperta per non lasciare segni, ingerimento forzato di acqua mediante un tubo di gomma, botte sulle tempie con le nocche delle mani e cosi via; due degli arrestati devono essere ricoverati in ospedale. Il Collettivo Autonomo Barona, ben conosciuto organismo autonomo, continuamente corteggiato dai "partitini" della città, senza nessuna copertura politica e perfettamente noto alla polizia per la sua frenetica attività, si dimostra all'occasione il modello ideale per la criminalizzazione e la distruzione di una pratica politica incontrollabile e irriducibile. Il Collettivo viene "scelto", per le sue caratteristiche, come esempio per inquinare un'area già fortemente sospetta agli occhi dell'opinione pubblica e per inaugurare un nuovo corso, più selvaggio e indiscriminato, della repressione, che porterà a una lettura esclusivamente criminale di un lungo e complesso percorso politico.
L'impatto devastante con le torture e la prigione, la ferocia dell'esperienza subita insieme alla consapevolezza di essere innocenti, in un primo tempo rinsaldano i rapporti fra i compagni del Collettivo e li rafforza nella convinzione di avere ragione, di avere le idee giuste. Nonostante che il caso Torreggiani abbia distorto completamente, soprattutto attraverso la diffamazione della stampa, la loro immagine e la loro attività politica, i membri del CAB continuano ad essere attivi, soprattutto sul problema del carcere. Intervengono alla Palazzina Liberty, partecipano al corteo per i ragazzi di via De Amicis, formano comitati di liberazione, emettono dei volantini contro la repressione, fanno dei piccoli cortei di quartiere con una cinquantina di persone e ronde nei negozi a spiegare la situazione dei compagni incarcerati e a raccogliere sottoscrizioni.
Ma la repressione diventa sempre più incalzante, l'attività dei vari collettivi si riduce sempre più all'autodifesa, sempre con meno cose da dire o sempre le stesse. La costituzione di comitati di liberazione non riesce a tenere dietro agli arresti, l'operazione calogeriana del 7 aprile dà la misura della portata e della qualità del disegno di criminalizzazione nazionale di tutta un'area di movimento e focalizza su di sé gran parte dell'impegno antirepressivo. Tutto questo contribuisce a rimpicciolire il caso degli autonomi della Barona; in questo clima la magistratura archivia con motivazioni grottesche l'inchiesta avviata dopo le denunce contro la tortura8. L'estremo tentativo di coordinamento fra i collettivi sul problema della repressione finisce per sciogliersi anche perché ognuno lavora su questo punto per conto proprio.
Per il Collettivo della Barona il problema più grave è la progressiva perdita di rapporto con il quartiere, l'attività sul territorio che da sempre aveva funzionato come elemento di coesione e di forza. Il quartiere all'inizio reagisce bene al coinvolgimento nel caso Torreggiani dimostrando, dopo il disorientamento provocato dalla campagna diffamatoria, piena solidarietà con gli autonomi scarcerati e gli altri del collettivo. La gente si congratula e si indigna per la vicenda, offre sottoscrizioni, si ferma comunque a parlare con i "mostri" o con gli "eroi". Ma il seguito giudiziario e altri avvenimenti sbricioleranno a poco a poco questo rapporto.
Sui compagni latitanti, nonostante la pochezza degli indizi, è gioco facile della magistratura imbastire una serie di nuove accuse. I nuovi arrestati di presunti membri del CAB in relazione all'omicidio Torregani, come Grimaldi o Memeo, creano confusione e sono difficilmente giustificabili. Anche se si tratta di persone mai state membri del CAB, vengono indicati come tali dalla magistratura: questo non viene smentito né dal collettivo, per un senso di solidarietà con i nuovi arrestati, né da questi ultimi, per avere una legittimazione della loro azione politica. E' un meccanismo che incrina di nuovo la loro immagine, giustificato però dalla vissuta esperienza carceraria. E' Io stesso meccanismo che agisce nell'emanazione di un nuovo numero di.. Eppur si muove... nel dicembre del 1979. Nel nuovo numero si difendono tutti i detenuti politici, si vuole affermare la legittimità di tutti i comportamenti antagonisti allo Stato; "Nessun comunista è innocente per lo stato! Nessun comunista è colpevole per il Proletariato!" E' un tentativo di mantenere un atteggiamento unitario e omogeneo, di fronte alle paure e ai sospetti di una situazione di "caccia al comunista", dove i compagni si smarrivano per strada e tutti i progetti politici si riducevano alla sopravvivenza e all'intervento sul carcere. Ma il bisogno di non fare i giudici, di difendere tutti quelli che comunque pagavano il loro modo di essere contrari allo Stato, è anche il risultato dell'esperienza della prigione, della solidarietà intensa nate dentro questa istituzione totale, che aveva fatto dimenticare le collocazioni, le appartenenze. Si tratta comunque di un errore: difendendo le persone si difendono anche i loro programmi, ma il Collettivo, che ora si firma Organismi Proletari della Barona per staccarsi dalle etichette di killers dovute alla campagna diffamatoria, se ne rende conto solo dopo l'uscita del giornale.
Il grosso dei superstiti del Collettivo si unisce a una parte dei giovani del centro di San Ambrogio e continua una limitata attività sotto il nome di CASBA (Comitato Autonomo S.Ambrogio Barona). Un brutto colpo per gli autonomi della Barona è l'arresto di Sebastiano Masala, uno dei latitanti del collettivo, preso con delle armi che appartenevano a Prima Linea. E' la crisi quasi definitiva dei rapporti con gli abitanti del quartiere: la gente non crede che il passaggio sia avvenuto "dopo", che questo possa essere uno sblocco naturale della latitanza nel particolare clima del momento. Per la gente del quartiere i nuovi arresti di cosiddetti partecipanti al Collettivo, il passaggio alla lotta armata di Sebastiano, la latitanza di Sante Fatone, che viene considerata prova della sua non innocenza, sono tutti elementi che dimostrano o una pratica clandestina armata affiancata a quella fatta alla luce del sole o perlomeno la strumentalizzazione di una banda di sprovveduti presi in un gioco più grande di loro. A questo si affianca l'attività dei "reclutatori" dei gruppi armati che cercano di trarre vantaggio dalla situazione e inquinano i tentativi di fare chiarezza dei superstiti del Collettivo.
Poco tempo dopo il rilascio degli arrestati viene ucciso il poliziotto del quartiere, Campagna, proprio sotto la ex sede del CAB. L'azione, recentemente rivendicata dal PAC (Proletari Armati per il Comunismo), fu seguita allora da un volantino che lo accusava di essere un torturatore. L'influenza politica negativa di questo fatto agisce a dispetto dei tentativi di prendere le distanze e denunciare l'assurdità del gesto. Cominciano ad apparire scritte delle Brigate Rosse sotto le abitazioni dei membri del Collettivo e volantini di reclutamento delle BR nelle caselle dove questi erano soliti porre i loro fogli. Compaiono volantini rivendicanti l'omicidio di Torreggiani nelle scuole o nelle assemblee in cui gli scarcerati del Collettivo vanno a fare dibattiti sul loro caso o sulle torture subite.
Contro questo pedinamento continuo di fantasmi non sanno cosa fare, se non infuriarsi a vuoto e stare male. All'inizio del 1980 la colonna Walter Alasia delle BR uccide tre poliziotti del commissariato Tabacchi della Barona, con una rivendicazione fatta in zona. I giornali escono con pezzi che danno per mandanti gli autonomi della Barona. I resti del Collettivo decidono di intervenire al comizio organizzato dalle forze politiche della città per commemorare gli agenti uccisi, presentandosi con un volantino intitolato "...Per fare chiarezza...',' dove fra l'altro si dice: "In relazione all'uccisione dei tre poliziotti di via Tabacchi avvenuta ancora una volta nel nostro quartiere, gli organismi proletari della Barona prendono posizione sull'accaduto: ci sono totalmente estranee queste assurde azioni le quali non praticano nessun tipo d'intervento politico reale specialmente in un quartiere proletario come il nostro. Facciamo presente che da quando abbiamo iniziato il nostro intervento politico di zona sul lavoro nero, precario, sottopagato, contro l'espandersi dell'eroina, gli sfratti e per l'apertura dell'ospedale S.Paolo, non si è mai sentito parlare di poliziotti assassinati (vedi A.Campagna, Santoro, Tatulli e Cestari), né di bancari (vedi A. D'Annunzio ucciso per sbaglio dalla P.S.), in quanto la nostra pratica politica di massa toglieva e toglie spazio tuttora ad azioni esemplari di questo tipo", fino alla campagna infamante del caso Torreggiani. Il volantino si conclude affermando: "Siamo stufi di essere chiamati in causa tra false righe da tutta la stampa ogni qualvolta succeda un qualsiasi fatto di cronaca in Barona o in zone limitrofe e diffidiamo qualsiasi strumentalizzazione ai danni dei nostri compagni". La Digos ferma e sequestra i volantini perché manca l'indirizzo di dove sono stampati; tutti vengono schedati e processati per direttissima.
Un mese dopo, alla Barona si tenta di fare un grosso corteo degli organismi proletari contro la repressione. Dopo aver concesso l'autorizzazione, la polizia manda a prendere a casa due membri del vecchio CAB, fra gli scarcerati del caso Torreggiani: il vice-questore minaccia di arrestarli se la manifestazione avrà luogo. Non serve affermare di non rappresentare le altre cinquanta persone che vogliono fare il corteo. I due sono costretti a ritornare al centro di Sant’Ambrogio, già circondato dalle forze di polizia, per convincere gli altri a rinunciare alla manifestazione. L'ANSA aveva già dato la notizia della richiesta dell'autorizzazione e il Giorno aveva scritto che gli autonomi della Barona avrebbero fatto il corteo contro il divieto della questura. Così all'interno del centro, nel quartiere spaventato e assediato dalle forze di polizia, si tiene semplicemente una conferenza stampa per i giornalisti accorsi per documentare lo "scontro"; nei giornali del giorno dopo non verrà pubblicato nulla. E' uno degli ultimi atti politici organizzati dal Collettivo, seguito solo da sporadiche raccolte di fondi e dal Comitato per la liberazione di Marco Masala, o da alcuni volantini come quello sulla chiusura dell'istruttoria Torreggiani.
Tagliato il cordone ombelicale con il quartiere, confuso con la pratica dei gruppi armati, assottigliato dai sospetti e dalle paure, sempre nel mirino della Digos o della questura, il collettivo è costretto a rinunciare alla straordinaria voglia di lottare che lo ha sempre accompagnato. Fenomeni analoghi hanno devastato tutto il tessuto connettivo degli organismi spontanei della metropoli. Nessuna iniziativa unitaria è più possibile, neanche a scopo difensivo, perché i superstiti di ogni gruppo sono costretti a frantumarsi nella difesa dei propri "prigionieri", ognuno nel proprio quartiere, chiusi per mantenere un briciolo della loro identità e per non inquinarsi di fronte al pentitismo dilagante, a partire da quello di Barbone verso la fine del 1980. Il pentitismo viene usato per leggere nel senso voluto dalla magistratura i diversi percorsi politici, serve per colpire soprattutto chi non ha delazioni e conferme da scambiare con il potere per attenuare le proprie imputazioni giudiziarie, giungendo così a un'iniqua distribuzione delle pene, che vede pluriomicidi in libertà e persone condannate in modo sproporzionato anche per reati modesti. Il pentitismo si presta utilmente anche alla persecuzione giudiziaria degli autonomi della Barona. Per Sisinnio, Marco, Fabio e Umberto gli ultimi anni sono stati un continuo entrare e uscire dal carcere.
Sisinnio Bitti, prosciolto dall'omicidio Torreggiani, e stato condannato a tre anni e mezzo per "partecipazione a banda armata", perché il pentito Pasini Gatti lo avrebbe visto "discutere con altre persone" nello scantinato di via Palmieri, considerato dai magistrati un covo della lotta armata. In realtà, il luogo è un punto aperto di ritrovo del Collettivo di via Momigliano, messo a disposizione dal PDUP. 1114 maggio 1983 viene imputato di "concorso morale per duplice omicidio" (Torreggiani e Sabbadin, un macellaio veneto ucciso contemporaneamente all'orefice), perché un altro pentito, Pietro Mutti, lo avrebbe sentito dire che era d'accordo con le due uccisioni. Attualmente è detenuto.
Marco Masala, scagionato per il caso Torreggiani, è attualmente in carcere, condannato a nove anni per un attentato contro una caserma di carabinieri, sempre su indicazioni di pentiti. Fabio Zoppi, accusato di "esproprio proletario" di un negozio di Hi-Fi dai pentiti Pasini Gatti Andrea Gemelli e Anna Andreasi, è attualmente agli arresti domiciliari. Poiché si è ostinato a dichiararsi sempre innocente del fatto, il magistrato lo ha definito "irriducibile e socialmente pericoloso". Ha trascorso due anni e due mesi in carcere. Umberto Lucarelli è attualmente in libertà provvisoria; insieme con Fabio Zoppi deve rispondere di un esproprio e del bruciamento di tre "covi" del lavoro nero.
Alla fine del 1980, di fatto, il Collettivo non esiste più a parte sporadiche iniziative di qualcuno dei superstiti. Chi è rimasto fuori dalle disavventure giudiziarie se n'è andato o si è spoliticizzato; anche il legame di amicizia per molti non funziona più. L'apatia e l'impotenza hanno portato alcuni della vecchia commissione sull’eroina a provare su di sé questa sostanza, che ormai ha invaso la zona soprattutto dopo la costruzione del ponte di collegamento con il Giambellino, il centro di spaccio della droga di Milano. La Barona, dopo aver conosciuto anni di militarizzazione a partire dal 1979, sembra oggi ritornata al normale letargo di un ghetto-dormitorio. Non ci sono più collettivi: è rimasto il centro sociale di 5. Ambrogio, dove alla sera si gioca a Risiko, e ogni tanto si suona.
Non ci sono neppure più volantini come questo, del gennaio '80: "la grande stagione della caccia al terrorista si è aperta. I cittadini sono invitati a partecipare e alla fine del gioco saranno sorteggiati ricchi premi per tutti. Ma noi non ci stiamo. La nostra sola pratica di lotta è una condanna al terrorismo. Non ci nascondiamo dietro al mirino di una pistola, ne conduciamo vite parallele, di giorno bravi ragazzi di notte brigatisti spietati, né siamo disposti a chiuderci in casa e far parlare per noi i vari boss dei partiti costituzionali di zona. Siamo decisi, e sempre lo abbiamo fatto, ad intervenire politicamente in prima persona e alla luce del sole nel nostro quartiere."9

Paolo Bertella Farnetti - Primo Moroni

1 Sei giorni troppo lunghi.., dattiloscritto non pubblicato di UMBERTO LUCARELLI, pag. 92.
2 Occupazione iniziata nel 1974 negli stabili IACP. e organizzata principalmente da Lotta Continua e Avanguardia Operaia. Durerà alcuni anni, diventando un punto di riferimento politico per tutta l'area Sud. Nel marzo 1975 circa quattrocento famiglie partecipano all'occupazione degli stabili IACP di piazza Negrelli, coordinandosi con gli occupanti di viale Famagosta. In particolare, dal 1975. le occupazioni si estendono in tutta la zona, interessando particolarmente gli stabili IACP ma anche quelli privati. Si registrano quindi occupazioni in via Teramo, a Stadera, Gratosoglio, ChiesaRossa, Moncucco, Gallaratese, via Conchetta, via Torricelli, ecc. Molti Centri Sociali e Circoli Autogestiti trovano nelle case occupate, consolidando il proprio rapporto organico con il quartiere.
3 Si tratta di una vecchia fabbrica di via Tortona, smantellata da molti anni e occupata nel 1975 dal Coordinamento Autonomo Inquilini Ticinese-Genova L'occupazione nasce come risposta allo sgombero poliziesco del Teatro Uomo di corso Manusardi, richiesto dal parroco della chiesa di S.Gottardo a cui il teatro è annesso. fi Teatro Uomo è infatti destinato a diventare, insieme alla chiesa di S.Lorenzo alle Colonne uno dei centri propulsori dell'emergente Comunione e Liberazione. L'occupazione del Fabbrikone andrà' avanti alcuni mesi tra "scazzi" continui tra le varie componenti che si sono rapidamente aggregate, soprattutto tra i militanti del Coordinamento, che fanno capo all’Assemblea Autonoma Alfa Romeo e quelli di "Rosso". I primi intendono usare il luogo come centro di propulsione di lotte, secondo una tipica ottica operaia, mentre "Rosso" tende a legittimare una serie di soggettività e comportamenti di tipo "nuovo" che la parte operaia rifiuta di riconoscere come autonomi" e respinge liquidandoli come Frikettoni". Nel corso di una festa discretamente "spinellata" si determinano comportamenti distruttivi del luogo stesso e "espropriazioni" delle attrezzature. Questo episodio, insieme a una sterminata polemica sulle responsabilità' determina una progressiva decadenza del Fabbrikone, che diventerà sempre più un asilo di "tossici".
4 "Black Out", numero zero, 1 febbraio 1977, pag. 6.
5 Comitato Comunista (m-l) di Unita' di Lotta, con sede in via Vigevano, nel Ticinese, dove fonda il Circolo Siqueiros. Pubblica fino al 1979 il giornale "Addavenì". e in concomitanza della crisi organizzativa "Controvento". lì Co-Cu-Lo è formato da militanti operai di varie fabbriche della zona sud e da conosciuti intellettuali dl formazione marxista-leninista che fanno un uao dialettico e originale delta cultura maoista. E' presente nella fondazione dei Coordinamenti Autonomi zona Sud e in gran parte delle iniziative di massa della seconda metà degli anni settanta. può essere collocato nella tendenza m-l dell'arca dell'autonomia, ma con forti differenze politiche organizzative nei confronti dell'altra componente m-l che fa capo al giornale "Voce Operaia
6 Sede storica della rivista "Rosso" nella sua seconda versione, che nasce nel 1975 e dura ininterrottamente fino al 1979, quando viene arrestata praticamente tutta la redazione. Sede del CPO (Collettivi Politici Operai) e dei CPS (Collettivi Politici Studenteschi), può essere considerata una delle sedi più stabili dell'area dell'autonomia nel corso degli anni settanta. A periodi alterni e in rapporto al diffondersi dei collettivi autonomi, diventa anche "struttura aperta" di Coordinamento di situazioni di lotta (fabbrica, scuola, quartiere). Sostanzialmente da questa sede sono passate gran parte delle strutture dell'anatomia milanese in un complesso mosaico di dibattito-scontro-rottura che hanno permesso ai magistrati e ai "pentiti" le più diverse interpretazioni. Quello che è certo è che non è mai esistita una struttura centralizzata dell'autonomia milanese e che pur essendo "Rosso" dotato di una propria progettualità politica spesso in duro contrasto con le altre tendenze, teneva la sede "aperta" tentando di porla "al servizio" del movimento.
7 La definizione di operette prende il nome dal locale L 'Operetta di corso di Porta Ticinese, aperto intorno al 1977 da un furbo commerciante che aveva capito e interpretato i primi segnali di riflusso e disgregazione. lì modello è stato poi fatto proprio da molti altri (attualmente ne esistono nel Ticinese una trentina), soprattutto provenienti dalle formazioni di sinistra e molto spesso dalla fabbrica. In questo ultimo caso i capitali iniziali vengono realizzati principalmente attraverso super liquidazioni ottenute spesso per il ruolo di avanguardia di lotta che i futuri gestori delle osterie svolgevano nel luogo di lavoro. Il fenomeno si è diffuso parallelamente alla crisi dei modelli politici e alla conseguente chiusura di molte sedi. Il bar serale diventa quindi un punto di riferimento e di aggregazione. lì cinismo e la furbizia dei proprietari che si avvalgono soprattutto di dipendenti precari (spesso immigrati neri senza permesso), la diffusione di una filosofia del "diverso" basata su aspetti esteriori, l'etica dell' "imprenditore è bello", hanno trasformato questi locali in macchine per far denaro. Cibi quasi sempre pessimi, bevande superpagate vengono accettati in nome del bisogno perduto di comunità e i gestori, che provengono da quella cultura politica, riescono ad agire proficuamente su questo bisogno. La diffusione di questi locali è uno dei segnali portanti dei futuri meccanismi di desolidarizzazione.
8 Vedi LAURA GRIMALDI, Processo all'istruttoria, Milano Libri Edizioni, Milano 1981.
Primo Maggio n° 21, primavera 1984

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emozioni mogol Tuesday, Mar. 30, 2004 at 10:30 AM
ci vorrebbe un po' di chiarezza.. francesca Monday, Mar. 29, 2004 at 3:43 PM
x .... giovavanni Sunday, Mar. 21, 2004 at 3:35 PM
basta con la magistratura politicizzata di sinistra libero Wednesday, Mar. 17, 2004 at 8:20 AM
x giovanni .... Tuesday, Mar. 16, 2004 at 11:16 PM
Non è colpevole giovanni Tuesday, Mar. 16, 2004 at 10:36 PM
----- ..... Saturday, Feb. 28, 2004 at 4:08 PM
---- ...... Saturday, Feb. 28, 2004 at 4:04 PM
------- ....... Saturday, Feb. 28, 2004 at 3:42 PM
infatti Andrea Tuesday, Feb. 24, 2004 at 6:31 PM
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