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A proposito di MSI/AN, Israele, sionismo , fascismo...
by Avicebron Thursday March 25, 2004 at 08:26 PM mail:  

Ambigui rapporti tra sionismo e fascismo (ieri) e MSI/AN e Israele (oggi)

Israele e MSI-AN di don Curzio Nitoglia

I Israele e il MSI

Dal 1938 al 1945 il fascismo e la RSI furono antisemiti, seguendo la legislazione razziale (1) nazista, ma non fu sempre così. L’inizio del fascismo, sin dal 1919, vede una forte presenza di israeliti sia in seno al “movimento” che al “regime” (2).
Per quanto riguarda il MSI, nato dalla RSI nell’immediato dopo guerra-civile, Almirante e Michelini sono stati sin dal 26 dicembre del 1946 filo americani e poi filo israeliani sin dalla fondazione dello Stato d’Israele (1948).
Nel 1948 «il quotidiano del MSI guarda con palese simpatia a quelli che chiama in un primo tempo “sionisti” e dopo qualche giorno semplicemente “ebrei”, scaricati dagli inglesi» (3).
Col 1967 (la guerra dei sei giorni), quasi tutti scoprono che Israele è il “baluardo dell’occidente” contro l’espansionismo sovietico! Franz Maria D’asaro (direttore del Secolo d’Italia, sin dai primi degli anni Cinquanta) racconta che «Almirante sin dai primi anni Cinquanta, sensibilizzava il nostro interesse nei confronti dello spirito pionieristico e patriottico con il quale i fondatori dello Stato d’Israele... avevano fondato la nuova nazione» (4).
Nell’aprile del 1972, Giorgio Almirante giunse «ad esaltare i valori della Resistenza in quanto valori di libertà» (5). Fini a Gerusalemme nel 2003 non farà nulla di più, condannerà il fascismo e la RSI solo nei momenti storici in cui hanno partecipato attivamente (1938 con le “Leggi razziali”-1943 con la “carta di Verona”) alla Shoah che per Fini è “il male assoluto”, ossia il “cerchio quadrato”, poiché il male (filosoficamente parlando) è privazione di bene e non può essere un assoluto, sotto pena di non esistere per nulla.
Fini ha condannato “le infami leggi razziali volute dal fascismo” (6), non ha condannato il fascismo in blocco, ma solo alcune pagine della storia del fascismo «quelle vergognose... della RSI... del manifesto di Verona, in cui si definiscono gli ebrei italiani “stranieri appartenenti ad una razza nemica”... l’orrore della Shoah, l’infamia delle leggi razziali del ’38 e del ’43 e le colpe a questo proposito del fascismo. Se l’Olocausto è il mae assoluto, ciò vale anche per gli atti del fascismo che hanno contribuito alla Shoah. Sappiamo che nella storia complessa del fascismo ci sono anche altri momenti [buoni, nda]...» (7).
Il fatto grave è che Fini si contraddica, non solo dal punto di vista filosofico-teologico (non è la sua materia, ma allora perché parlarne?); ed anche da quello politico: quando il 2 dicembre del 2003 su Il Secolo d’Italia in un articolo di Lucilla Parlato, ritoviamo alcune epressioni usate da Fini nella puntata televisiva Porta a Porta di Bruno Vespa: «sfido uno storico... a provare che nella storia esista il male assoluto... Non c’è il male assoluto...
Il male assoluto è nella Shoah... se lo sterminio degli ebrei è il male assoluto, rientrano nella pagina del male assoluto, anche tutti gli atti che hanno contribuito a determinarlo». Come conciliare le due affermazioni? L’unico modo per non cadere nella scissione mentale è quello di fare della Shoah un evento ultra-storico, che non si trova nella storia, infinito, assoluto, una sorta di religione laico-olocaustica, “un passato che non passa” (Sergio Romano) con tutti i rischi che il professor Romano vi vede, ossia gli atteggiamenti tracotanti e razzisti dello Stato d’Israele, che potrebbero essere un boomerang e suscitare una reazione antisemita di scala mondiale. «La regola secondo cui ogni fatto storico è costretto, prima o dopo, a passare in seconda fila, scrive Sergio Romano, soffre un’eccezione. Vi è un avvenimento - il genocidio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale - che diventa col passar del tempo sempre più visibile, incombente ed ingombrante» (8).
Altri politici non ve lo vedono o non lo vogliono vedere, ad esempio il professor Francesco Perfetti, proveniente dal “Fronte Monarchico” e l’on. Alfredo Mantovano proveniente da “Alleanza Cattolica” (9). Addirittura Alessandra Mussolini in una lunga intervista rilasciata al quotidiano israeliano Haaretz - mentre Fini stava a Gerusalemme - ha dichiarato che: «Non solo Fini, ma il mondo intero, compreso il Vaticano e il Papa, deve chiedere perdono a Israele».
Nel documento conclusivo del X congresso del MSI nel 1973, si legge a pagina 44: «Israele ha diritto... a una pacifica e sicura esistenza». Nel 1983 il MSI chiede «una Patria per Israele» (10).
Gianfranco Fini era direttore del quindicinale Dissenso quando, nell’ottobre-novembre 1979, numero 19, Maurizio Gasparri scriveva un articolo Uno sguardo al Medio Oriente in cui, a nome di Fini, allora presidente del Fronte della Gioventù, prendeva le distanze dal mondo arabo.
L’ex direttore del Secolo d’Italia Franz Maria D’Asaro, è sempre stato un ammiratore di Israele «che accerchiato da tutte le parti, difende esemplarmente il suo diritto alla vita» (11), dimenticandosi di aggiungere che ciò avveniva ed avviene ancor oggi, conculcando quella dei Palestinesi, dopo aver occupato abusivamente il loro suolo natio.

I primi viaggi dei missini a Gerusalemme

Giulio Garadonna, il 28 ottobre del 1973, ottiene una lettera di ringraziamento, per le sue posizioni filo sioniste, dall’ex rabbino capo di Roma Elio Toaff; ne nasce un intenso scambio epistolare che durerà per vari anni. Caradonna ricorda che Almirante portò con sé la lettera di Toaff in America quando vi si recò nel medesimo anno “per contrastare possibili contestazioni di antisemitismo”.
Quindi Caradonna, “va a Gerusalemme” e depone una corona di fiori al Museo dell’Olocausto (Fini non ha inventato nulla di nuovo), a nome del MSI-DN.
Caradonna, massone di famiglia, amico degli ebrei da parte di padre che nel 1938 si oppose alle leggi razziali, ha continuato a sfruttare queste amicizie importanti, appoggiato e spronato da Almirante, il quale fece pubblicare con ampio risalto, sul Secolo d’Italia, tra il marzo e l’aprile del 1976, una serie di cinque articoli di Giulio Caradonna «nettamente schierati con le ragioni dello Stato ebraico, che si appellano al filo sionismo di Mussolini e ribadiscono la radicale differenza tra lo sterminio hitleriano e quanto accadde in Italia... Almirante era perfettamente consapevole e consenziente riguardo al significato politico delle posizioni di Caradonna» (12).
Ma dieci anni prima di Caradonna un altro ex repubblichino, Giano Accame, si era già recato - come inviato del Borghese - a Gerusalemme nel 1962 (31 anni prima di Fini). Accame vi ritornò nel 1967, ancora come inviato del Borghese dell’ex repubblichino (massone ed ebreo) Mario Tedeschi, tenacemente filo israeliano.

Destra sionista e fascismo.
Il Revisionismo ebraico e il nazionalsocialismo

Ho già trattato dei rapporti tra Jabotinsky e il fascismo italiano e il nazismo tedesco (cfr. Per padre il diavolo. Un’introduzione al problema ebraico secondo la Tradizione cattolica, Milano, SEB, 2002, paagg. 313-346; e Sionismo e fondamentalismo, Controcorrente, Napoli, 2000, pagg. 113-123), ora che è uscito un interesante libro (Paolo Di Motoli, La destra sionista. Biografia di Vladimir Jabotinsky, Publishing, Milano, 2001), voglio porgere al lettore il succo di tale opera, che getta ancor più luce su un fenomeno poco conosciuto o volutamente misconosciuto.
“La matrice di destra del sionismo viene spesso ignorata... Bisogna però sottolineare che il movimento Herut, vittorioso nelle elezioni del 1977, si considera come la prosecuzione dell’Alleanza dei Sionisti Revisionisti fondata da Jabotinsky nell’aprile del 1925. Il programma di questo partito chiedeva la ‘revisione’ della polìtica sionista per un ritorno alla matrice herzliana del sionismo. Il primo gruppo di ferventi nazionalisti ebrei fu il movimento giovanile Betàr, fondato a Riga nel 1923... Questo movimento aveva certamente delle affinità con altri gruppi di nazionalisti europei: aveva uno spirito di corpo e un forte senso della disciplina...
È assai difficile studiando Jabotinsky trovare un aggettivo che da solo sia in grado di classificarlo: a volte si difendeva dalle accuse di fascismo definendosi liberale [alla maniera di Keynes, il quale ammetteva un intervento dello Stato nella cosa pubblica e nell’economia, più di Mises, di von Hayek e di Friedman, che vogliono il minimo di intervento statale], altre volte però si diceva un nazionalista ispirato da Garibaldi... Alcuni simpatizzanti sionisti lo ritengono un mazziniano di destra... Certamente molti scritti di Jabotinsky sulla razza, sul militarismo... possono farlo etichettare come leader parafascista” (13).
Il Di Motoli rileva che il padre di Biby Netanyau, Ben Zion, militava nel movimento, assai radicale e violento, Brit Ha’birionim (i briganti); “la parola fascismo non era assolutamente sgradita a questo gruppo di persone, ostìli alla democrazia... Ahimeìr [il fondatore del gruppo, nda] era un grande ammiratore di Mussolini” (14). Jabo era affascinato da Cavour, Garibaldi e Mazzini, da Mickiewicz e da Nietzsche.
Come Mazzini che diceva “noi faremo l’Italia anche alleandoci con il diavolo” (e così fu), Jabo era disposto ad allearsi con il demonio, che per lui era rappresentato dal peggior antisemita, per fondare lo Stato d’Israele. E questo princìpio lo portò a collaborare tatticamente con la Germania nazista, non per edificarla, ma per erigere lo Stato israeliano.
“L’omicidio polìtico era a suo giudizio un atto positivo, uccidere in nome di obiettivi pùbblici era lécito” (15).
Per quanto riguarda Avraham Stern, Di Motoli dice che: “mentre il movimento sionista decise di sostenere gli inglesi contro il nemico più feroce degli ebrei, cioè il nazismo, Stern pensava che gli sforzi dovessero dirigersi contro la potenza imperialista inglese. Il suo scopo era di liberare la terra d’Israele dai dominatori... I terroristi del gruppo Stern [o meglio Gang Stern] erano... i nuovi zeloti che uccidevano sia i romani che gli ebrei moderati [come è avvenuto con Ràbin, ucciso da un estremista di destra o uno zelota ebreo]. (...) In nome della guerra contro la pèrfida Albione pensava di allearsi con l’Italia fascista per instaurare uno stato corporativo e concedere ai fascisti una base militare ad Haifa. Molto più sconcertante fu il contatto preso da un militante del gruppo Stern... con due uomini del III Reich... risulta dai discorsi dei dirigenti dello Stato nazionalsocialista che una soluzione radicale [definitiva]della questione ebraica ìmplica una espulsione delle masse ebraiche dall’Europa... [una soluzione finale geografica e non fisica, ossia definitiva], ma non è realizzabile se non tràmite il trasferimento di queste masse in Palestina, in uno Stato ebraico... L’Organizzazione Militare Nazionale (NMO), conoscendo la posizione benévola del governo del Reich verso l’attività sionista all’interno della Germania e i piani sionisti riguardanti l’emigrazione, stima che:
1) potrebbero esistere degli interessi comuni tra l’instaurazione in Europa di un ordine nuovo secondo la concezione tedesca e le reali aspirazioni del popolo ebraico...
2) Sarebbe possibile la cooperazione tra la nuova Germania e una rinnovata nazione ebraica,
3) la fondazione dello Stato ebraico su una base nazionale e totalitaria, legato con un trattato al Reich tedesco...
A condizione che siano riconosciute, dal governo tedesco, le aspirazioni nazionali del Movimento per la libertà d’Israele, l’Organizzazione Militare Nazionale (NMO) offre la sua partecipazione alla guerra a fianco della Germania’. (...)
Stern tendeva a sminuire i drammi vissuti dagli ebrei del ghetto, dicendo che non tutti morivano di stenti e il vivere tra ebrei senza gentili era un fattore positivo... ” (16).
I concetti di Nazione, Sangue, Razza, Nazionalismo anti- arabo, erano i pilastri della filosofia politica di Jabo (17), che si fondava su un rigido militarismo e un culto quasi liturgico delle parate e cerimonie militari (18).
Jean Claude Valla spiega che gli ebrei tedeschi dal 1930 sino al 1941, scesero tatticamente a patti col III Reich per fondare lo Stato d’Israele. Il 7 agosto del 1933 l’Agenzia ebraica e l’Organizzazione Sionista Mondiale si riunirono al Ministero dell’economia tedesco e firmarono con alti dignitari del Reich un patto di trasferimento dei beni degli ebrei tedeschi in Palestina che avrebbe garantito il loro espatrio e la fondazione di Israele. Ciò significa che Hitler desiderava una soluzione finale geografica pacifica e non fisica del problema ebraico in Germania. David Ben Gurion nel 1933 si augurava la vittoria di Hitler per poter aumentare il flusso d’immigrazione ebraica in Palestina, dato l’antisemismo hitleriano che desiderava espellere dalla Germania, possibilmente colle buone, gli ebrei. Tuttavia la Germania non voleva che si costituisse in Palestina uno Stato ebraico troppo forte, inoltre il III Reich a partire dal 1939, con l’inizio della seconda guerra mondiale, continuò la sua opera di emigrazione degli ebrei tedeschi ma di maniera“organizzata e forzata” (19). Da parte sionista Stern sino al 1941 mantenne dei contatti con il Reich, ma oramai la Wehrmarcht aveva intenzione di “assicurarsi il concorso degli Arabi nella lotta contro la Gran Bretagna” (20). Se poi nel 1944 Begin decretò la fine della tregua con l’Inghilterra, lo fece soprattutto in vista della libertà d’azione dei sionisti in Palestina e non per amicizia verso la Germania (21) che oramai era perdente e non interessava più ai sionisti i quali si erano uniti al Reich solo tatticamente e strumentalmente (e viceversa) per lasciare la Germania (desiderio principale del Reich) ed entrare in Palestina (desiderio primario dei sionisti).
Come si vede lo spirito risorgimental-fascista aveva impregnato di sé anche la destra sionista, che ora governa con Sharon in Israele, il quale è alleato - politicamente parlando - della destra italiana. I pensatori ai quali si rifà il nazionalismo di destra ebraico sono gli stessi che hanno ispirato i movimenti nazionalisti di destra in Europa e specialmente in Italia.
Il culto dello Stato, della Razza, del “Sangue e del Suolo” sono presenti in tutti i movimenti che mettono Cèsare o Israele al di sopra di Dio. Jabotinsky ne è la prova del nove (22).


II Fascismo e Massoneria

«L’azione e l’influenza della massoneria, in rapporto al fascismo, si inserisce grazie all’interventismo» (23) mussoliniano dell’ante guerra ’15-’18, scrive Michele Terzaghi, già repubblicano, socialista-interventista, massone e uno dei fondatori del PNF. Eletto deputato nel 1921, ha vissuto in prima persona la nascita e l’affermazione del fascismo e ci ha lasciato questo interessante libro, che ho appena citato, sui rapporti tra fascismo e massoneria, pubblicato la prima volta a Milano nel 1950, in cui documenta che:
a) la massoneria non è stata sempre antifascista, come tutti gli italiani che vissero tra gli anni Venti e Trenta;
b) il fascismo non è stato sempre anti giudaico-massonico, anzi durante i primi anni del movimento (tra il 1919 e il 1922), il fascismo si affermò anche grazie all’aiuto - consistente - della massoneria e dell’ebraismo italiano.
Il Terzaghi continua: «si vide una categoria di persone, dopo la vittoria del ’18, che sputava e non solo simbolicamente sulle divise dei reduci... Ci voleva una bandiera ed un alfiere che la tenesse alta: sorsero così Il Popolo d’Italia e il suo fondatore Benito Mussolini» (24).
Terzaghi spiega che in un primo tempo il fascismo movimento rappresentava una «specie di derivazione romantica [irrazionalista e volontarista, nda] del risorgimento... Ma poco a poco il fascismo cominciò a irregimentarsi e a parlare di disciplina... e i fascisti si ritrovarono imbottigliati in un Partito diventato rigidissimo [il fascismo regime, nda]» (25). Terzaghi abbandonò il fascismo che era sorto come movimento “libero, vitalistico e rivoluzionario”, quando iniziò a diventare un regime autoritario, monarchico e in pace col cattolicesimo.
È molto interessante anche la spiegazione dataci da Terzaghi dello scoppio della prima guerra mondiale:
«La massoneria, francofila per tradizione, e austrofoba per definizione, in Italia (a partire dal 1908) aveva due obbedienze: Palazzo Giustiniani [Grand’Oriente Italiano, sinistrorso, anticlericale, figlio della rivoluzione e della massoneria francese, nda] e Piazza del Gesù [Gran Loggia, conservatrice, non anticlericale e di filiazione massonica anglo-americana, nda], esse erano distinte, anche rivali, ma scoppiato il conflitto, e col pericolo che l’Italia agganciata alla Triplice potesse rinunciare definitivamente alla riconquista di Trieste e Trento, sotto il giogo austriaco, le massonerie, superando i loro dissidii interni... non potevano che parteggiare per la guerra contro l’Austria. Esse si schierarono apertamente per l’intervento a fianco della Francia [che vuol dire Liberté, parola chiave per un libero-muratore, nda]» (26) e (27).
Mussolini - continua Terzaghi - «non disdegnò la massoneria... e accettò le non poche e non piccole sovvenzioni per Il Popolo d’Italia... È vero che Mussolini nel ’25 saldò il conto “distruggendo” la massoneria italiana... Egli non aveva capito che la sua era una funzione del tutto tempornea, per ristabilire i valori morali della vittoria, ma pretese di governare sotto la specie dell’eternità» e la massoneria lo impedì (28).
Ecco come il fascismo nacque sotto le ali della massoneria, che voleva servirsene solo come movimento rivoluzionario e difensore dell’interventismo e della vittoria mutilata, ad tempus. Invece Mussolini voleva farne un regime autoritario che creasse l’uomo nuovo italiano, inveramento degli eroi del’antica Roma e del risorgimento. Così venne in contrasto con la massoneria che se nel 1925 perse la battaglia, il 25 luglio del 1943 e l’8 settembre del medesimo anno, vinceva la guerra contro Mussolini, portandolo dalla RSI a Piazzale Loreto.
Simile fu il rapporto che ebbe Mussolini con l’ebraismo, da un’iniziale amicizia (1919-1936) alle leggi razziali (’38), sino all’entrata in guerra a fianco della Germania (1940), alla sconfitta (1943-1945) e morte.
Angelo Livi, in un altro interessante libro sui rapporti fascismo e massoneria, cita De Felice e afferma che «I venerabili di tutt’Italia riuniti a Palazzo Giustiniani per l’insediamento del nuovo Gran Maestro, Domizio Torrigiani in sostituzione di Ernesto Nathan, avevano chiaramente manifestato la più viva simpatia nei confronti del movimento fascista» (29).
Secondo padre Rosario Esposito «il Popolo d’Italia nacque da un accordo fra un vecchio massone piacentino e il futuro duce»(30), che ne avrebbe ricevuto un totale di sei milioni di lire.
Il fascio di Milano fu fondato da Mussolini il 21 marzo 1919, «l’adunanza ebbe luogo il 23 marzo al numero 9 di Piazza S. Sepolcro, grazie al massone [ed ebreo, nda] Cesare Goldmann che mise a disposizione di Mussolini il salone dell’Azienda Industriale e Commerciale di Milano» (31).
I massoni presenti a Piazza S. Sepolcro erano quattordici di cui quattro ebrei (32).
Per quanto riguarda la marcia su Roma, Mussolini la preparava da Milano e «stabiliva un comando supremo della milizia ed invitava il massone Italo Balbo a scegliere altri due nominativi che furono De Vecchi e De Bono, entrambi massoni» (33). Secondo vari storici la massoneria finanziò la marcia su Roma con tre milioni di lire (34).
Allo scioglimento della massoneria del 1925 sopravvissero i «Rotary Club che spuntarono numerosi in Italia negli anni del fascismo, ove si rifugiavano i massoni di estrazione economica e sociale più elevata... Anch’essi al pari della massoneria, suscitarono la diffidenza della dittatura fascista che nel novembre 1938 ne provocò lo scioglimento» (35).


III Margherita Sarfatti e Mussolini

Margherita Grassini (poi Sarfatti) nacque a Venezia nel 1880, quarta ed ultimogenita di una famiglia osservante ebraica. Suo padre Amedeo Grassini era un avvocato autorevole ed osservante-conservatore membro della comunità israelitica, sua madre si chiamava Emma Levi. «Alla base della sua formazione ci fu un’educazione religiosa rigorosa e ortodossa, con cui... dovette sempre confrontarsi, pur tenendosene volutamente a distanza» (36).
La sua prima giovinezza trascorsa a Venezia (e poi - ventenne - a Milano), fu ricca di conoscenze e frequentazioni intellettuali. Si avvicinò al cristianesimo tramite il modernista scomunicato Antonio Fogazzaro. Anche se mantenne sempre il proprio ebraismo, come retaggio puramente culturale, «come bagaglio dottrinale e intellettuale da sfruttare» (37), ebbe un approccio del tutto modernizzante col cristianesimo adogmatico, liberale e latitudinarista di Fogazzaro (1907-1909 circa), del quale ammirava soprattutto la critica del positivismo e dello scientismo, il suo (falso)-misticismo e l’irrazionalismo volontarista, capace di coniugare “tradizione” e modernità, cosa che le stava molto a cuore e che l’aveva spinta ad allontanarsi dall’ortodossia ebraica. Ella conobbe anche D’Annunzio. Nel 1899 si sposò con l’avvocato socialista ed ebreo Cesare Sarfatti e si trasferì (nel 1902) a Milano, ove entrò in contatto con il futurismo di Marinetti, con Prezzolini e i socialisti rivoluzionari. A Milano, il positivismo, il riformismo socialista e l’ottimismo scientista stavano cedendo il passo all’irrazionalismo volontarista e spritualista e all’antidemocraticismo. Margherita studiò il pensiero di Pareto, Sorel, Bergson e Péguy. Ben presto si formò una sua visione del mondo, secondo cui l’attività politica doveva essere solo un’emanazione di quella intellettuale e dell’estetica. Mi sembra che si possa fare un paragone (su cui tornerò in maniera approfondita, in un prossimo articolo) tra la coppia Raissa / Jacques Maritain e quella Margherita Sarfatti / Benito Mussolini, in cui il ruolo delle due donne intellettuali ed ebree, (mal)-convertite al cristianesimo, fu decisivo sull’attività dottrinario-politica dei loro uomini.
La Sarfatti era convinta che occorresse «educare attraverso l’arte, la letteratura, le iniziative umantario-filantropiche. Ma soprattutto educare diventò presto per lei sinonimo di far politica» (38).
La Sarfatti era una convinta razzista, affermava «la netta separazione tra la razza mediterranea (cui assimilava, oltre al ceppo semita, anche i popoli del Nord Africa [Egitto], e la razza negra, cui - per la Sarfatti - era impossibile assurgere al rango di civiltà» (39). Ella professava anche l’idea di «dominio di alcune razze su altre... e una sfiducia nel ruolo progressivo delle masse» (40). Asseriva anche la necessità di una religiosità laica, un immanentismo vitalistico spinoziano-bergsoniano, un messianismo ebraico e l’idea mazziniana e panteista di un “Dio” inserito nella storia, inquadrate dal concetto di una nuova élite che scalzasse la precedente e che creasse un mondo nuovo e un ordine nuovo. Grazie a Giovanni Gentile, le fu possibile recuperare l’irrazionalismo filosofico bergsoniano nella “riduzione di Dio nell’uomo”. La Sarfatti, come Gentile, aveva un concetto sacrale dello Stato, della formazione del popolo a diventare comunità, tramite la filosofia e l’estetica. La Sarfatti volle «contribuire alla legittimazione politica e culturale della nazione fascista, necessità da lei percepita in anticipo allo stesso Mussolini» (41). sempre la Sarfatti coniò il mito di Roma, rinnovato in chiave moderna, «con cui tentò di dare a posteriori una credibilità ideologica al fascismo... e uno stile nazionale» (42).
Nel 1925 uscì in inglese la vita di Mussolini scritta dalla Sarfatti e nel 1926 apparve la traduzione italiana dal titolo Dux, l’autrice vi lavorò dal 1922 al 1925. Il libro è «operazione di propaganda mussoliniana sapientemente costruita a tavolino... Il Duce non è un italiano di nuovo tipo, ma il leader dell’Italia nuova, [della terza Roma], l’ideologo del regime e il costruttore di un nuovo principio di Stato, incentrato su ordine e gerarchia... la donna (Sarfatti) si era posta l’obiettivo nel confezionare il libro... di legittimare all’esterno il ruolo di Mussolini,... e di normalizzare il fascismo [da movimento a regime, nda]... il libro voleva essere un contributo proprio nel momento in cui si stavano gettando le basi ideologiche del regime, e in cui la mentalità attivista, comune al fascismo e all’idealismo gentiliano, stava diventando il più forte collante ideologico dello Stato in formazione: uno Stato che necessitava anche di una propria teologia laica... Si può prudentemente affermare che la Sarfatti fu la prima “organizzatrice” dell’ideologia mussoliniana, la prima sistematizzatrice del suo pensiero» (43), penso assieme al mazzinianismo di Giovanni Gentile, con i dovuti distinguo, ma con evidenti analogie.
Il fascismo mussoliniano si fonda - sarfattianamente - su due pilastri:
a) il culto del capo,
b) lo Stato etico e assoluto.
Il mito o il culto del Duce per la Sarfatti deve portare alla costruzione di uno Stato assoluto, verso il quale prestare un culto laico, tramite una fede e una religione laica e messianica, di un messianismo millenarista tutto ebraico.
L’univeralismo cattolico poteva al massimo essere «funzionale alla costruzione dello Stato fascista... Incorporando l’universalismo cattolico in quello fascista, il regime affiancava così a sé il solo potere che ne avrebbe potuto minare la vocazione politico-religiosa [modernista-immanentista, nda]... Il mito di Roma/Gerusalemme... la radice ebraico-cristiana [o meglio modernista, nda] doveva essere un elemento centrale nella costruzione ideologica dello Stato, la nuova “Città futura” non più della Religione rivelata; ora corrispondeva alla religione laica e politica dello Stato, visto in prospettiva messianico-romana... nel mito di Roma... Tale lungimiranza... mi pare, in quegli anni, riscontrabile solo in... Giovanni Gentile» (44).
Dopo il 1925 la Sarfatti «che aveva sopravvalutato il suo influsso su Mussolini» (45), fu scaricata da quest’ultimo e rimpiazzata con Giovanni Gentile. L’errore della Sarfatti fu quello di ritenere ancora negli anni Trenta che allo stabilizzarsi del fascismo bastassero solo arte e cultura, invece occorreva la propaganda e il consenso di massa, tramite gli apparati ministeriali, per fondare lo Stato totalitario, che arrivò soltanto all’autoritarismo, senza poter sfociare nel totalitarismo, a causa della forte presenza della Chiesa romana che non aveva nulla a che spartire col cristianesimo modernista di Fogazzaro e della Sarfatti.
Scaricata da Mussolini che si era apropriato delle sue idee, attaccata violentemente - a mezzo stampa - da Roberto Farinacci, Margherita riparò nel 1934 in USA, cercando un nuovo Stato messianico (e lo trovò già pronto e confezionato).


IV Giovanni Gentile e gli ebrei

Giovanni Gentile fu il filosofo ufficiale del fascismo, abbiamo visto come assieme alla Sarfatti abbia dato la cornice ideologico-filosofica al movimento squadrista per farlo diventare regime e Stato tendenzialmente totalitario ma realmente autoritario. I suoi rapporti con il modo ebraico furono sempre improntati ad ammirazione verso di esso, anche dopo il 1938 e il 1943.
Egli, tramite la riforma scolastica, la sua vasta produzione storico-filosofica e l’iniziativa di pubblicare una “Enciclopedia Italiana” (iniziata nel 1929 e terminata nel 1937, continuamente aggiornata - anche dopo il crollo del regime - sino al 2002 e vista come il “fiore all’occhiello” della nostra cultura), volle fascistizzare la cultura italiana, spingendola verso una religione immanentista, iper-idealista, ultra-hegeliana, laico-mazziniana, una sorta di culto dello Stato e del littorio. Tuttavia fu incompreso e malvisto sia da parte dell’estremismo fascista (Roberto Farinacci e Telesio Interlandi), poiché essendo un raffinato intellettuale cercava di proteggere anche i pensatori di non “pura fede fascista”; sia da parte antifascista (blandamente o solo speculativamente da Benedetto Croce; ferocemente e praticamente dal Partito Comunista e da Concetto Marchesi sino al suo assassinio a Firenze nel 1944).
Gentile «dimostrò una grande stima e attaccamento a collaboratori anche di origine ebraica... [se si esamina, nda] il contenuto delle voci enciclopediche attinenti alla questione del razzismo... in esse non è possibile rinvenire alcun appiglio in favore di una concezione razzista o discriminatoria» (46). Se si legge la voce “Antisemitismo”, redatta da Alberto Pincherle nel 1929, vi si riscontra «la posizione di Mussolini e del fascismo [regime] nei confronti degli ebrei, di imparzialità ed accoglienza... integrazione e laicizzazione... derivante dal periodo risorgimentale ... e da non poche personalità d’origine ebraica militanti tra le fila del fascismo»(47). In breve l’Enciclopedia Italiana, sino alla prima Appendice del 1938, era del tutto priva di affermazioni razziste di origine atea e materialista, proprie del nazionalsocialismo tedesco. Tuttavia nella prima Appendice del 1938, Gentile dovette aggiornare l’Enciclopedia Italiana con la voce “Razza” (di tenore razzista) redatta da Virginio Gayda. Fu allora che nella vita del filosofo fascista si verificò «la passiva accettazione di uno stato di cose differente, introdotto dal regime... Gentile si adeguò, a malincuore, scegliendo di non protestare... la pubblicazione di questo testo, accettato senza entusiasmo, ma pur sempre accettato, segnò la compromissione di Gentile con il fascismo [delle leggi razziali, nda], nonostante questo avesse superato la soglia della moralità e della logica, cosa che agli occhi di un intellettuale del suo calibro non poteva passare inosservata» (48). L’illusione di Gentile fu quella di poter rimanere nel fascismo dopo il 1938 per cambiarlo dal di dentro.

CONCLUSIONE

Se Mussolini ha cambiato attitudine nei confronti degli ebrei e del loro “terz’ordine secolare” (la massoneria), passando da un’amicizia (interessata) alla freddezza e quindi alla lotta per motivi tattici (la fondazione di uno Stato totalitario, l’alleanza - mal gradita ma accettata obtorto collo - con la Germania hitleriana), pagandone, cruentemente, le conseguenze.
Il MSI, poi MSI-DN, quindi AN, è sempre stato filo israeliano, da Michelini ed Almirante, passando per Accame e Caradonna sino a Fini. Allora perché tanto stupore davanti al viaggio-pellegrinaggio di Fini a Gerusalemme? Ignoranza voluta o invincibile? Finzione e combinazione politica, per mantenere i voti di una “minoranza rumorosa” e non perdere completamente la faccia? Francamente non lo so.
Il punto nevralgico invece è la “quasi-onnipotenza” che dal 1948 ad oggi ha raggiunto Israele, sin da portarci alla costruzione di un Nuovo Ordine Mondiale, eseguito dagli Usa, ma comandato da Israele stesso, partendo dal Medio Oriente (Iraq 1°, Afganisthan, Iraq 2°, Libia e prossimamente Siria ed Iran) per arrivare all’Europa e quindi al mondo intero.
Tutto sembra procedere secondo i loro piani, anche se vi sono sacche di resistenza inaspettate (Afganisthan e Iraq) e una parte d’Europa (Francia e Germania contro la preponderanza Americana), che ritardano la costruzione della “Repubblica Universale” e del “Tempio Universale”, sogno millenarista dell’Israele carnale che ha respinto il Redentore e vuole dominare questo mondo, senza curarsi dell’altro.
Tuttavia “l’uomo propone, ma Dio dispone”. Umanamente parlando la lotta è ìmpari, ma le sorti del mondo, della storia, sono nelle mani della Provvidenza che ci ha promesso: “Le porte dell’inferno non prevarranno!”. Non dimentichiamolo mai!
Da parte nostra dobbiamo fare come se tutto dipenda da noi, ma credere che tutto si svolge come Dio lo vuole. Occorre evitare lo scoraggiamento e la viltà, che porta tanti a nascondersi, come pure l’eccesso della temerarietà che porta pochi a peggiorare la situazione (facendo fare nuove leggi repressive, con atti sconsiderati da tifosi di footbal).
La lotta non deve cessare mai, l’uomo deve cooperare con Dio, non siamo fatalisti; ma nello stesso tempo occorre sapere che l’aiuto principale è nel nome di Dio, il quale esaudisce chi lo prega e vive rettamente, senza vendersi né esaltarsi.


NOTE:

1) Cfr. C. Nitoglia, Le leggi razziali, in «Sodalitium», n°4, dic. 2002.
2) «Ben 230 ebrei parteciparono alla marcia su Roma. 5 erano sansepolcristi, 4 sciarpe littorio. L’ebreo Enrico Rocca fu il fondatore del fascio di Roma. Ebrei furono 50 podestà... Mussolini vedeva favorevolmente la creazione dello Stato d’Israele e nel 1934, durante un colloquio a Palazzo Venezia con Chaim Weizmann, gli disse:“Continuate, continuate” [e purtropo loro lo hanno preso in parola, hanno continuato e continuano senza fermarsi, nda]. Nel 1937 un gruppo di 134 israelti, guidati da Vladimiro Jabotinsky, lasciò la Palestina e venne ad addestrarsi a Nettuno, insieme alle camice nere... Mentre l’Inghilterra voleva la creazione di un Stato ebraico indipendente in Palestina, Mussolini diede il via ad un suo progetto di insediamento in Etiopia».
F. Monaco, Mussolini e gli ebrei, in «Linea», 6 dicembre 2003, p. 2.
3) G. Scipione Rossi, La destra e gli ebrei. Una storia italiana, Rubettino, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2003, pag. 69.
Per la prima parte di questo articolo mi baso sostanzialmente su tale libro, molto ben documentato, ma del tutto mal orientato.
Cfr. anche L. Lanna-F. Rossi, Fascisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sulla destra, Vallecchi, Milano, 2003.
4) Franz Maria D’Asaro, “Il Secolo”? Doveva durare un anno, in “I 50 anni del Secolo d’Italia”, inserto del 16 maggio 2002.
5) V. De Grazia-S. Luzzatto (a cura di), Dizionario del fascismo, vol. I, voce Giorgio Almirante, Einaudi, Torino, 2002, pagg. 39-40.
6) GF. Fini, Il Secolo d’Italia, 27 novembre 2003.
7) GF. Fini, Il Secolo d’Italia, 28 novembre 2003.
8) S. Romano, Lettera a un amico ebreo, Longanesi, Milano, 1997, pag. 15.
9) Il Secolo d’Italia , 25 novembre 2003.
10) MSI-DN, Il messaggio degli anni Ottanta, Roma, 1983, pag. 40.
11) Franz Maria D’Asaro-E. Landolfi, Socialismo e nazione, Ciarrapico, Roma, 1985, pag. 168.
12) G. Scipione Rossi, op. cit., pag. 125 e 127.
13) P. Di Motoli, La destra sionista. Biografia di Jabotinsky, Publishing, Milano, 2001, pagg. 11-14.
14) Ibidem, pag. 16.
15) Ibidem, pag. 63.
16) Ibidem, pagg. 83-85.
17) Ibidem, cfr. pagg. 99-118.
18) Ibidem, cfr. pagg. 118-127.
19) J. C. Valla, Le pacte germano-sioniste, Librairie Nationale, Paris, 2001, pag. 98.
20) Ibidem, pag. 101.
21) Ibidem, pagg. 101-102.
22) Cfr. Eliahu Ben Elissar, La Diplomatie du III Reich et les Juifs, Juillard, Paris, 1969.
23) M. Terzaghi, Fascismo e Massoneria, Edizioni Storica, Milano, 1925; ristampa Arktos, Carmagnola (Torino), 2000, pag. 9.
24) Ibidem, pagg. 10-11.
25) Ibid., pagg. 12-13.
26) Ibid., pagg. 20-21.
27) Per quanto riguarda la divisione delle due obbedienze massoniche in Italia:
a) GOI (Grande Oriente d’Italia) presso Palazzo Giustiniani;
b) GL (Gran Loggia) a Piazza del Gesù,
si legga Fulvio Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Il Mulino, Bologna, 2003, pagg. 284-299.
28) M. Terzaghi, op. cit., pag. 22.
29) R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Einaudi, Torino, 1965, citato in A. Livi, Massoneria e Fascismo, Bastogi, Foggia, 2000, pag. 41.
30) R.F. Esposito, La massoneria e l’Italia dal 1800 ai nostri giorni, Paoline, Roma, 1979, pag. 361.
Cfr. anche:
G. Vannoni, Massoneria, Fascismo e Chiesa Cattolica, Laterza, Bari, 1980.
C. Castellacci, Massoneria, Socialismo, Fascismo, Antifascismo, in AA. VV., Libera Muratoria, SugarCo, Milano, 1978.
A. Comba, La Massoneria italiana dal Risorgimento alla grande guerra, Utet, Torino, 1972.
A. A. Mola (a cura di), La liberazione d’Italia nell’opera della massoneria, Bastogi, Foggia, 1990.
M. Rygier, La Franc Maçonnerie italienne devant la guerre e devant le Fascisme, (rist. Forni, Bologna, 1978), Paris, 1930.
F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Il Mulino, Bologna, 2003. Cap. VII, par. 6: Fascismo e massoneria, pagg. 300-320.
S. Minerbi, Un ebreo tra D’Annunzio e il sionismo: Raffaele Cantoni, Bonacci, Roma, 1992.
31) A. Livi, Massoneria e Fascismo, Bastogi, Foggia, 2000, pag. 46.
32) Ibidem, pag. 55.
33) Ibid., pagg. 71-72.
34) Ibid., pag. 73.
35) F. Conti, Storia della massoneria italiana. dal Risorgimento al fascismo, Il Mulino, Bologna, 2003, pag. 320.
36) S. Urso, Margherita Sarfatti dal mito del Dux al mito americano, Marsilio, Venezia, 2003, pag. 19.
37) Ibidem, pag. 22.
38) Ibid., pag. 41.
39) Ibid., pagg. 47-48.
40) Ibid., pag. 48.
41) Ibid., pag. 153.
42) Ibid., pag. 158.
43) Ibid., pagg. 160-163.
44) Ibid., pagg. 169-173, passim.
Cfr. G. Gentile, Che cos’è il fascismo, Le Monnier, Firenze, 1923, pag. 145.
45) Ibid., pag. 159.
46) R. Faraone, Giovanni Gentile e la “questione ebraica”, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2003, pag.109.
47) Ibidem, pag. 113.
48) Ibid., pag. 135.

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