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esternalizzazione e ideologia cooperativa
by uomonero Thursday, May. 06, 2004 at 9:46 AM mail:

dalla pubblicazione "quattro cose che sappiamo su di lei" gabrio - torino -1998

Esternalizzazione nella Pubblica Amministrazione ed ideologia dell'impresa sociale

-) Il fenomeno dell'esternalizzazione nella PP.AA. non può essere considerato come un fatto isolato, ma va collocato nel quadro del più generale mutamento del paradigma dell'organizzazione produttiva, intervenuto nell'ultimo venticinquennio.
Le ragioni di fondo di questo mutamento sono da ricercarsi nella ripresa di una conflittualità intercapitalistica generalizzata, causata dalla rottura dell'egemonia incontrastata degli USA impostasi nel 1945.
La ripresa della conflittualità intercapitalistica necessariamente comporta la raccolta di capitali da utilizzare nella competizione; si avvia quindi, alla metà degli anni '70, un gigantesco trasferimento di capitali dai salari ai profitti attuato tramite il "downsizing" aziendale (dimagrimento), il taglio del salario in tutte le sue componenti (diretta, indiretta e differita) e le politiche monetarie deflattive che, rallentando la crescita e riducendo i consumi, concorrono anch'esse al taglio del salario.
In un secondo tempo, alle politiche di downsizing si aggiungono quelle di "outsorcing" ossia di esternalizzazione produttiva, diretta, a seconda del paese e del suo tessuto produttivo, verso piccole imprese, microimprese, bacino del lavoro autonomo.
Le politiche di outsorcing hanno il fondamentale vantaggio, rispetto a quelle di downsizing, di ottenere una forte riduzione dei costi per le imprese senza perdere l'apporto di capacità lavorativa e riflessiva dei lavoratori. Apporto che tendeva a perdersi in un modello di downsizing "puro e duro", dove il terrore del licenziamento e la caduta del salario limitavano molto l'apporto cooperativo con significativi cali della produttività per addetto nelle fabbriche ristrutturate.
In un terzo momento, a queste due politiche si sono aggiunte quelle volte alla flessibilizzazione del lavoro dipendente. Politiche queste che possono essere lette come "interiorizzazione" di ciò che sinora era stato esternalizzato, ossia come adeguamento dell'ambiente interno all'azienda a quello costruito all'esterno in questi anni. La forma della flessibilità, d'altra parte, é quella che permette alle aziende di imporre al proprio interno quelle caratteristiche di individualizzazione del rapporto lavorativo e di scarico dei costi sullo stesso lavoratore tipiche del meccanismo dell'outsorcing.
-) In questo scenario, attorno alla PP.AA. vengono giocate due partite fondamentali. In primo luogo viene trasformato il rapporto tra questa ed il cittadino; mentre nel modello classico del Welfare State il cittadino-lavoratore acquisiva tramite il lavoro ed il conseguente versamento di tasse e contributi un accesso egualitario a servizi, assistenza e formazione, nel modello che viene a costituirsi la figura centrale é l'utente-cliente, posto sul mercato dei servizi, che acquista individualmente la prestazione dal pubblico o dal privato. possiamo quindi a ragione parlare di Welfare market, visto che le eventuali prestazioni gratuite che permarrebbero in questo modello si configurano in modo tale da assomigliare più alla carità ottocentesca che non al moderno Welfare State.
In secondo luogo viene aperta la strada a criteri di valorizzazione mercantile in tutto il settore, stravolgendo la razionalità burocratica che lo aveva governato fin dalla sua creazione. Il caso più eclatante in questo senso é il passaggio della previdenza da un sistema pubblico a ripartizione ad uno privato a capitalizzazione.
Queste due partite sono, ovviamente, fortemente interconnesse tra di loro e concorrono a formulare il quadro delle trasformazioni dei processi lavorativi nelle Pubbliche Amministrazioni ed entrambe vengono perseguite tramite la metodologia del pareggio del bilancio pubblico.
Questa metodologia, diretto derivato dell'ideologia deflazioniostica, pone come limite insuperabile nelle politiche della spesa pubblica una quota, stabilita in modo apparentemente scientifico, del bilancio che ne consenta il progressivo pareggio. naturalmente il conto viene sfalsato dal fatto che la spesa per interessi (che non ha assolutamente gli stessi destinatari di quella primaria) viene calcolata insieme alla spesa primaria, mentre è questa solamente che produce i disavanzi di bilancio agitati terroristicamente ogni volta che si procede ad un taglio della spesa pubblica. Prova ne sia che dal 1993 il bilancio italiano denuncia un avanzo nella spesa primaria mentre non accennano a finire le operazioni di taglio della stessa.
Vi sono tre conseguenze importanti di queste modificazioni; la prima é il taglio operato sui salari indiretti e differiti tramite la trasformazione dei diritti acquisiti in merci da acquistare sul mercato.
La seconda é la sottrazione delle decisioni sulla spesa pubblica (ampiezza, determinazione e ripartizione della stessa) ad un ambito politico che basa il proprio giudizio sulla determinazione dei bisogni sociali e sulla soddisfazione di un numero elevato di questi, per trasferirle ad un ambito "tecnico" dove la compatibilità tra entrate ed uscite complessive é il criterio con il quale vengono definite le prestazioni e le modalità di erogazione.
La terza é l'irruzione su un mercato prima inesistente o marginale di soggetti privati operanti al fine del profitto. I fondi-pensione, le aziende operanti nel campo della sanità e dell'assistenza, scuole private e centri di formazione fuoriescono da una dimensione marginale, di nicchia, per assumere un aspetto concorrenziale sui mercati che si aprono.
Questo dato determina il passaggio di beni come la sanità, l'assistenza, la formazione, da una natura di beni non quantificabili ad una di merci il cui valore viene stabilito a partire dalla prestazione e dalla concorrenza mercantile.
-) In tutta Europa (i casi americano e giapponese sono diversi, innanzitutto perché é sempre stata diversa sia la composizione sia la ripartizione della spesa pubblica), nell'apparente molteplicità di situazioni, la strada seguita per conseguire questi obiettivi è stata una sola, segnata dalla centralizzazione sulle decisioni di spesa e dall'autonomia a livello periferico degli Enti incaricati di gestirla.
Al di là delle differenze superficiali, questa logica é stata applicata a tutta la spesa pubblica. Le leggi riguardanti l'autonomia scolastica, quella universitaria, quella delle USL, quella dei Comuni, convergono tutte in un'unica direzione. Sostanzialmente, si può parlare di una vera e propria aziendalizzazione de questi Enti, ai quali viene riconosciuta una forte autonomia, sia nella ricerca di fondi aggiuntivi a quelli pubblici, sia nella ripartizione della propria spesa. L'autonomia però si riferisce esclusivamente a questi aspetti, essendo stato, nello stesso tempo, esaltato il controllo del più alto livello dell'amministrazione pubblica sul livello complessivo della spesa.
In pratica, lo Stato (nella persona dei competenti ministeri) determina la quantità di trasferimenti monetari alle varie unità periferiche secondo il criterio del vincolo di bilancio; in secondo luogo detta gli indirizzi generali ai quali deve ispirarsi l'azione degli Enti, lasciando poi questi liberi di perseguirli in forme anche diversificate, che abbiano però come limite quello di mantenere il bilancio in pareggio. Anzi, una delle ultime direttive del Ministero della Sanità prevede gratifiche ed aumenti salariali per quei direttori di USL che riescano a raggiungere l'avanzo di bilancio.
Non occorre ribadire come un meccanismo di questo genere implichi la centralità del vincolo di bilancio nel determinare la spesa a scapito dell'individuazione dei bisogni sociali.
Allo stesso tempo il risultato é quello di trasformare gli Enti periferici in aziende il cui agire è determinato da una politica di taglio dei conti e dal perseguimento dell'efficienza mercantile nella loro azione. In soldoni, tolte una serie di prestazioni minime garantite per legge, gli Enti periferici sono indotti dal vincolo di bilancio a privilegiare determinati servizi a pagamento piuttosto che altri, a ridurre i costi fissi in attrezzature ed immobili ed a ridurre il proprio intervento diretto a favore dell'esternalizzazione di alcuni servizi.
Se la riduzione del costo per il personale è garantita dal downsizing gestito a livello statale, ossia dal blocco delle assunzioni nel settore pubblico, a livello periferico viene ampiamente praticata l'esternalizzazione di sevizi prima svolti dall'Ente stesso, dapprima tramite il meccanismo della convenzione, successivamente (dopo il varo, nel 1991, della legge 381) tramite l'appalto.
Questa pratica é particolarmente usata nel settore dell'assistenza da parte delle USL e degli Enti Locali; tale prassi si diffonde però anche in altri settori, perlopiù dipendenti dai Comuni, che vanno dall'intrattenimento allo stesso funzionamento delle infrastrutture pubbliche.
Come in un gigantesco meccanismo a scatole cinesi, gli Enti pubblici periferici, che svolgono una funzione autonoma ma determinata a livello centrale dal vincolo di bilancio e dalle leggi statali sulle assunzioni e sulle prestazioni minime, diventano nel loro campo e nelle loro competenze a loro volta Ente appaltante che determina preventivamente la spesa per un determinato servizio (naturalmente a partire dal proprio bilancio) e, tramite lo strumento dell'appalto, indirizza anche la modalità di svolgimento del servizio stesso, lasciando poi il vincitore della gara libero di organizzare, entro questi stretti paletti, lo svolgimento del servizio stesso.
E' inutile dire come con una siffatta metodologia l'Ente pubblico si configuri non diversamente da un'azienda che riduce drasticamente i propri costi organizzativi tramite l'esternalizzazione di funzioni prima gestite dalla propria macchina, scaricando verso i soggetti vincitori delle gare d'appalto rischi, oneri fiscali, spese eventuali ed eventuali conflitti con i lavoratori e mantenendo nel contempo un rigido controllo sulla prestazione e sulle specifiche operative.
D'altra parte il meccanismo dell'appalto ha sostituito quello della convenzione proprio perché é il meccanismo che consente di mettere in concorrenza tra loro i soggetti che vogliono aggiudicarselo, costringendoli all'efficienza esterna, ossia all'ulteriore abbassamento dei costi per l'Ente appaltante.
-) Le coop. sociali (sia quelle di assistenza, sia quelle di produzione-lavoro) sono state i soggetti preferiti dell'operazione di outsorcing messa in atto dagli Enti pubblici periferici. Fin dagli anni '80 si é iniziato ad assegnargli la preferenza, sino a riconoscerle per legge con la legge 381/1991. Questa legge infatti prevede espressamente che le operazioni di esternalizzazione da parte degli Enti pubblici si effettuino in via preferenziale verso le coop. sociali.
Il motivo di fondo di tale scelta é rappresentato dall'enorme capacità di adattamento e flessibilità delle coop. sociali stesse. Questo discorso vale sia per quanto riguarda la capacità delle coop. sociali (dimostrata nella prima fase della loro esistenza, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '90) di cogliere le domande sociali non accoglibili dalla macchina statale, sia sopratutto per quanto riguarda la forte informalità dell'organizzazione del lavoro, l'assenza di rigidità e la motivazione ideologica dei lavoratori delle cooperative, la peculiare struttura societaria delle stesse, dove la prevalenza della figura del socio-lavoratore configura un tipo di lavoratore particolarmente poco conflittuale a causa del suo coinvolgimento nel rischio d'impresa.
Al rapporto iniziale tra PP.AA. e cooperative, fondato sulla convenzione, si é sostituita nel tempo (ed in modo massiccio a partire dalla 381/91) la diffusione della gara d'appalto.
La scelta della gara d'appalto come modalità di rapporto tra PP.AA. e coop. sociali viene motivata con la necessità di trasparenza negli atti pubblici.
In realtà le modalità delle gare d'appalto si configurano come quelle che permettono un ribasso eccezionale sui costi della prestazione, dal momento che i canoni con i quali vengono prescelti i vincitori prevedono, nei fatti, la ricerca del miglior (per la PP.AA.) rapporto costo/prestazione nello svolgimento del servizio, con conseguenti compressioni nel rapporto lavoro/salario per chi materialmente si ritrovi a gestire il servizio.
D'altro canto il tipo di rapporto determinato dalla gara d'appalto permette all'Ente anche di configurare lo svolgimento della prestazione da parte della coop., prevedendo il tipo di servizio, il tempo del suo svolgimento, gli obiettivi..etc.. La mancata osservanza delle minuziose clausole della gara d'appalto può infatti comportare pesanti penalità (o, addirittura, la rescissione dell'appalto) per quei soggetti che non la rispettino.
Di particolare interesse sono poi le "clausole antisciopero" mascherate che prevedono particolari penalità per quelle coop. che, anche per un solo giorno, non riescano a garantire la prestazione.
-) Il rapporto tra PP.AA. (committente) e coop. sociali (subfornitore) si configura quindi come una forma fortemente gerarchizzata di esternalizzazione.
Come abbiamo visto, tale rapporto si determina attraverso il vincolo esterno rappresentato dalla gara d'appalto, che costituisce un metodo efficacissimo al fine di ottenere l'efficientizzazione del servizio. Inoltre la PP.AA., oltre a garantirsi un livello inferiore di costi ed un livello di maggiore efficienza della prestazione, si garantisce, tramite il rapporto gerarchico, la possibilità di espropriare il lavoratore delle conoscenze accumulate nello svolgimento del servizio e di centralizzarle al fine dell'organizzazione del servizio stesso.
La capacità delle coop. di aderire flessibilmente al servizio prestato viene infatti utilizzata al fine di indagare lo svolgimento del servizio, le sue eventuali mancanze ed i cambiamenti da apportarvi. Lo stretto rapporto gerarchico infatti fa sì che i responsabili del servizio debbano relazionare periodicamente sullo svolgimento dello steso all'Ente appaltante.
Se la metodologia della gara d'appalto configura un rapporto gerarchico tra PP.AA. e coop., in che modo questo rapporto ha mutato le condizioni interne alle coop sociali?
Il vincolo esterno di efficienza ha, nei fatti, costretto la struttura cooperativa all'efficientizzazione interna. Innanzitutto, gli elementi di democrazia e mutualità presenti in questa esperienza sono stati via via sacrificati all'ottenimento di risultati soddisfacenti sul piano economico interno.
L'avvio della competizione tra cooperative diverse allo scopo di aggiudicarsi gli appalti in gara, imponendo ad ogni cooperativa l'impostazione di offerte che contenessero le richieste più limitate dal punto di vista finanziario rapportate al servizio, ha portato non solo al peggioramento del rapporto prestazione/salario per il singolo lavoratore ma al fatto che tale peggioramento sia astato imposto come risultante di un vincolo interno, per sua natura indiscutibile.
In altre parole, le assemblee dei soci sono diventate un luogo di mera registrazione di condizioni imposte dalla Pubblica Amministrazione. Viene così a cadere l'impostazione che vedeva l'assemblea dei soci-lavoratori come il luogo dove venivano determinate le condizioni di lavoro dei soci, le modalità di erogazione del servizio e le stesse scelte riguardanti i servizi da effettuare.
D'altra parte viene a cadere anche la mutualità cooperativa nell'effettuazione del servizio, a favore di un modello aziendale di divisione del lavoro tra le funzioni dirigenti e quelle esecutive.
Di fronte alla rigida imposizione di obiettivi e condizioni di effettuazione del servizio da parte della PP.AA., le riunioni dei gruppi di lavoro non si determinano come un momento di lavoro collettivo, insieme progettuale e paritario, ma come un momento di organizzazione gerarchica del lavoro ai fini del raggiungimento di obiettivi posti dall'esterno, che la dirigenze delle cooperative si impegnano a rispettare, quindi a far rispettare.
Come detto sopra, l'apporto conoscitivo e progettuale del lavoratore impegnato nello svolgimento del servizio diventa niente più che una trasmissione gerarchica svolta a partire dal terminale del servizio verso l'Ente appaltante il servizio (tramite i responsabili nelle cooperative del servizio stesso) che centralizza e rielabora queste informazioni al di sopra e fuori dal controllo del lavoratore.
-) In questo quadro le dirigenze cooperative hanno una doppia natura derivante dal doppio ruolo che svolgono: da un lato sono costrette a porsi all'interno dei limiti imposti dalla PP.AA., risultando eteronome rispetto alla PP.AA. stessa, dall'altro svolgono un ruolo di management esterno della PP.AA., organizzando l'erogazione del servizio e l'esproprio delle conoscenze dei lavoratori nei limiti e secondo le direttive imposte dalle gare d'appalto.
Nella progressiva perdita d'importanza dell'assemblea dei soci sono le direzioni cooperative a giocare il ruolo di anello di collegamento tra la PP.AA. ed i lavoratori che svolgono esecutivamente il servizio.
La stessa efficientizzazione promossa dal meccanismo della gara d'appalto ha contribuito largamente a sviluppare il ruolo direttivo separato assunto dalle dirigenze cooperative. L'esigenza della competizione, la necessità di studiare le soluzioni migliori per ottenere i servizi appaltati, il problema di imporre ai soci-lavoratori le condizioni poste dall'esterno, hanno contribuito a formare un ceto di "professionisti delle gare d'appalto" separati dagli altri soci, liberati da funzioni esecutive, allo scopo di permettergli di svolgere esclusivamente il lavoro di organizzazione delle prestazioni della cooperativa e di progettazione della partecipazione della cooperativa stessa alle gare.
In particolare, i consorzi hanno costituito per la loro peculiare struttura il modello dove è più evidente la separazione tra i ruoli direttivi-progettuali e quelli esecutivi. Nondimeno le altre strutture cooperative hanno visto in questi anni il prodursi della stessa separazione.
Questo processo fa sì che oggi nelle strutture cooperative sia pienamente visibile la divisione tecnica del lavoro; al momento attuale questa mantiene una certa fluidità e permette l'assunzione di funzioni direttive anche da parte di chi svolga per anni funzioni esecutive, ma questo nulla toglie al suo sedimentarsi come divisione di ruoli e, al più, determina un mercato interno alle cooperative per molti versi simile a quello aziendale.
Infine ricordiamo come il processo di formazione di un ceto dirigente non si svolga solo attraverso la dislocazione delle funzioni ma proceda anche tramite la dotazione di risorse finanziarie a questo stesso ceto, allo scopo di favorirne la riproduzione e la maggior efficienza.
Queste risorse derivano dal 20% di utile sul quale la legislazione permette l'accantonamento; tali risorse sempre più vengono usate a favore dell'efficienza del gruppo dirigente. In un mercato concorrenziale tendenzialmente esteso all'intera U.E., come quello che si va configurando per molti appalti, per esempio diventa una risorsa della cooperativa la buona conoscenza dell'inglese da parte dei suoi dirigenti. Allo stesso modo, gli stages di studio manageriale piuttosto che la fornitura di mezzi di formazione ed informazione, rivestono lo stesso ruolo.
-) L'ideologia dell'impresa sociale nasce come precipitato della crisi dei paradigmi della sinistra marxista (in particolare di quella operaista) unitamente alla riscoperta dei filoni mutualistici e cooperativistici presenti nel corpo della sinistra già prima del marxismo.
Dal punto di vista della teoria politica, l'affermarsi di tale ideologia segna l'eclisse di un progetto di trasformazione basato sull'organizzazione, il posizionamento e la scontro a favore di un altro basato sulla sottrazione, la cooperazione, il mutualismo. In uno slogan, la sinistra "contro" cede il passo a quella "per".
In buona sostanza, il progetto dichiarato di questa corrente di pensiero é quello di costituire un'altra economia, accanto e contro a quella capitalistica, basata sulla cooperazione al di fuori delle logiche e delle strutture sia mercantili, sia statali.
Gli esponenti di questa corrente di pensiero individuano nel cosiddetto "Terzo Settore", ossia nell'area della cooperazione alla quale aggiungono i Centri Sociali, il volontariato ed altre esperienze similari, il campo nel quale dovrebbe/potrebbe svilupparsi questo progetto.
La loro analisi nasce però già falsificata dalla realtà, dal momento che è incapace di spiegare le ragioni per le quali la pervasività del mercato non dovrebbe toccare esperienze di questo genere.
In realtà, come emerge da tutta la nostra analisi, il Terzo Settore rappresenta nello stesso tempo un'occasione di sviluppo capitalistico ed una concreta possibilità di abbattimento dei costi per la PP.AA., che nel contempo riesce a mantenere la direzione ed il controllo dei servizi.
Risulta quindi non verificata l'ipotesi che vede queste esperienze estranee alla direzione statale, dal momento che dipendono sia sul piano finanziario che su quello normativo dalla Pubblica Amministrazione. Nondimeno, lo strumento della gara d'appalto, strutturando un mercato concorrenziale tra le cooperative, stabilisce dei criteri di funzionamento delle strutture cooperativistiche tutt'altro che extra-mercantili.
Quindi, sul piano generale, si può obiettare a questa ipotesi che la costituzione di sfere economiche extra-statuali é un processo che si espone necessariamente al recupero mercantile e statuale, dal momento che, di norma, queste aprono nuovi spazi alla valorizzazione mercantile e ricadono necessariamente nella normazione pubblica, dal momento che per garantire il fine della loro stessa esistenza (la sopravvivenza economica dei loro membri) devono accedere a risorse che si trovano sul mercato, competendo con altre esperienze al fine di aggiudicarsi tali risorse; il tutto nel quadro di una normazione di questo processo.
D'altra parte, la caratteristica che i sostenitori dell'ideologia dell'impresa sociale riscontrano in questa, ossia la corrispondenza tra la prestazione eseguita ed il modo di eseguirla (quindi tra la forma ed il contenuto della stessa prestazione) non é riscontrabile in queste esperienze se non allo stato nascente; il loro successivo sviluppo, condizionato dalla loro internità alla sfera statuale e mercantile (come ampiamente ricordato sopra), si muove sui binari della forma-impresa, ristabilendo forme di divisione tecnica del lavoro, separazione di funzioni direttivo-progettuali e funzioni esecutive, producendo un ceto dirigenziale specializzatosi nelle prime, espropriando il lavoratore esecutivo delle conoscenze costruite sul campo e centralizzandole a livello delle funzioni direttive.
-) L'ideologia dell'impresa sociale ha due conseguenze negative principali nel corpo dei lavoratori delle cooperative e, più in generale, nella sinistra. In primo luogo introduce una forma identitaria costruita sulla corrispondenza tra luogo di lavoro e luogo della rappresentanza. In altre parole, quest'ideologia supporta un modello di costruzione comunitaria a livello d'impresa dove viene assunto come impraticabile il conflitto perché l'impresa cooperativa (e, per traslazione, la dirigenza d'impresa) é al contempo il luogo di rappresentanza degli interessi del socio-lavoratore. Questa falsificazione dei reali rapporti di subordinazione presenti nella realtà fa sì che vengano occultati gli elementi di conflitto che sono realmente presenti.
L'illusione é quella della determinazione comune, da parte di tutti i componenti della singola realtà cooperativa, dei destini collettivi ed individuali di questa. Questo naturalmente comporta spirito d'identità, coesione di gruppo e cancellazione del conflitto.
In ultima analisi, l'ideologia dell'impresa sociale di fatto fornisce una copertura alla rimozione del conflitto nelle imprese cooperative.
In secondo luogo, questa forma ideologica immette nel corpo della sinistra antagonista un modello positivo d'impresa. In qualche modo, il modello comunitario d'impresa diviene in questo aspetto specifico una forma illusoria del superamento della divisione del lavoro, della separazione tra attività lavorativa ed attività politica, tra tempo destinato alla prestazione lavorativa e vita.
La pervasività di questa falsificazione permette che settori consistenti della sinistra antagonista abbiano sostanzialmente rivalutato l'istituto dell'impresa, sia pure in questa sua forma particolare.
Dal punto di vista della teoria politica questo dato si rivela come un'involuzione, dal momento che induce settori importanti della già ristretta area dell'anticapitalismo nel nostro paese a pensare come impossibile la fuoriuscita dalla forma-impresa come organizzazione del soddisfacimento dei bisogni umani. Con il rischio estremamente forte di segnare una battuta d'arresto nella ricerca di un'alternativa al capitalismo.

PIOVONO GATTI INCAZZATI
WILD CAT
COMITATO LAVORATORI della COOPERAZIONE

note
1 Di per sé il downsizing (all'italiana: ristrutturazione) comporta necessariamente un aumento dell'intensità di lavoro, della saturazione dei tempi e quindi un'innalzamento della produttività per addetto; tale guadagno di produttività può però andare perso, sino a rivelarsi come una perdita, laddove il peggioramento complessivo delle condizioni di lavoro e di retribuzione induca fenomeni di disaffezione verso la prestazione lavorativa o, semplicemente, rifiuto ad erogare quel di più di attenzione, immedesimazione, cooperazione (lavoro mentale) tanto più necessario al buon andamento della produzione quanto più si riducono le risorse (uomini, scorte, tempo di lavoro, etc..) che sostengono la produzione stessa.
2 Ci si riferisce qui alla spesa per finanziare il debito pubblico che ha, chiaramente, per destinatari i possessori di BOT, CCT, etc..
3 Per "mercato interno" (del lavoro) si intende quel complesso di incentivi, opportunità, scambi, che consente di passare da un ruolo all'altro in un percorso ascensionale di carriera all'interno di un'azienda. L'esistenza di un mercato interno del lavoro viene normalmente considerata come una fonte di consenso e di identificazione nell'azienda da parte della forza-lavoro.

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