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Lilli Gruber: «Via dall’Iraq. Non ci sarà la guerra civile»
by dall'Unità Thursday, May. 06, 2004 at 11:50 AM mail:

Intervista a cura di Luana Benini

ROMA Le dimissioni di Lucia Annunziata? «Confermano che in Rai la situazione è diventata ormai ingestibile ed ha raggiunto un livello di interferenza e di pressione politica, da parte delle forze della maggioranza, insostenibile e inaccettabile». Le denunce di Lucia Annunziata, del resto, sono le stesse che lei aveva messo nero su bianco la scorsa settimana nella sua lettera al direttore del Tg1, Mimun, annunciando l’intenzione di candidarsi nel listone «Uniti nell’Ulivo». Il centro destra l’accusa di aver «gettato la maschera», di aver svelato il suo essere «di parte»? «Stupidaggini». Lilli Gruber, ricorda il documento votato a Strasburgo, il severissimo richiamo sul conflitto di interessi e la concentrazione dei media in Italia. Da brava giornalista si è anche documentata in merito al rapporto annuale sulla libertà di informazione dell’organizzazione americana Freedom House (di cui il nostro giornale ha dato notizia lo scorso venerdì) che declassa l’Italia da «paese libero» a «paese parzialmente libero», e lo confina al 74esimo posto nel mondo, ultimo fra i paesi europei insieme alla Turchia. «Freedom Hause non è presieduto da un pericoloso comunista, ma da un signore che si chiama James Woolsey, ex capo della Cia». Lilli, anzi Dietlinde, che in tedesco significa «colei che guida i popoli». «Nessuno mi ha mai chiamata così neppure la mia mamma...». Ieri ha fatto il suo primo discorso elettorale. «Ero emozionata. È un lavoro diverso. Ma credo esista una linea di continuità fra ciò che ho fatto per vent’anni e il fare politica: essere al servizio dei cittadini. Credo nell’impegno civile, nella trasparenza e nell’assunzione di responsabilità. Non dipende tanto da quale lavoro fai ma da come lo fai».
Cosa accadrà in Rai? La situazione è diventata paradossale dopo le nomine a valanga e le dimissioni della presidente. Non sarebbe auspicabile che qualche figura istituzionale facesse da arbitro?
«Se i quattro del Cda avessero un po’di senso etico e morale si dimetterebbero. Sarebbe un gesto dovuto. Siccome non sembra che questo sia nelle loro intenzioni, credo anch’io che qualcuno, ad esempio i presidenti delle Camere, dovrebbe prendere in mano la situazione per assicurare che la campagna elettorale si svolga in modo corretto».
Lei ha vissuto la situazione in Rai dall’interno. Ne ha potuto seguire l’evoluzione. Gli ultimi tempi ha subito anche attacchi personali da parte di esponenti della maggioranza di governo...
«La Rai è sempre stata un oggetto di desiderio da parte di tutti i partiti politici e di tutti i governi. Vorrei ricordare che il sindacato dei giornalisti, l’Usigrai, insieme agli altri sindacati, ha fatto negli ultimi anni molte battaglie per liberare l’azienda di servizio pubblico da questa specie di maledizione del controllo dei partiti politici sull’azienda. Qualche battaglia l’abbiamo anche vinta. Io sono stata nell’esecutivo dell’Usigrai nel 1994. Abbiamo anche costretto l’azienda ad assumere i giornalisti per concorso pubblico, cosa che adesso non accade più: si assume in libertà, senza regole. La situazione è sempre stata difficile, ma non c’è dubbio che mai l’ingerenza e l’interferenza della maggioranza di governo e dei partiti che stanno al governo è stata così forte come negli ultimi due anni. Prima, pur nella aberrazione e nella anomalia della lottizzazione c’era un minimo rispetto delle posizioni dell’opposizione, adesso basta accendere la tv per rendersi conto che il pluralismo è seriamente messo in discussione e negato. E non può che essere così quando un ricco imprenditore che possiede l’altra metà del cielo televisivo diventa primo ministro. La situazione non poteva che peggiorare. Ed eccoci qua».
Quale sarà il suo impegno in Europa?
«Libertà di informazione, conflitto di interessi, concentrazione del potere saranno sicuramente i miei cavalli di battaglia. Io però vorrei dedicarmi anche ad altri temi che riguardano la politica internazionale. Mi piacerebbe molto lavorare affinché l’Europa su questioni cruciali come la pace e la guerra riuscisse ad avere un ruolo più incisivo. L’Europa deve uscire dai suoi confini e occuparsi più responsabilmente del mondo. È un compito che non possiamo lasciare alle amministrazioni americane. Anche perché l’Europa è sempre stata capace di mantenere un dialogo con il mondo arabo e musulmano...».
Le hanno contestato le sue posizioni sulla guerra in Iraq. L’hanno accusata di aver usato nelle sue corrispondenze un linguaggio antiamericano, di aver parlato di «occupazione» da parte degli Usa e di «resistenza irachena». Che cosa risponde?
«Che queste sciocche accuse di antiamericanismo vengono smentite subito da una laurea honoris causa che mi verrà consegnata il 17 maggio prossimo dalla American University. Io non potrei mai essere antiamericana perché ho vissuto negli Usa dove ho molti amici. Una cosa è criticare l’amministrazione Bush come ho fatto nel mio libro sull’Iraq dove ho espresso anche un punto di vista sulla guerra e sui ruoli dei vari governi, un’altra è essere antiamericana. Per quanto riguarda l’utilizzo di alcune parole che hanno fatto infuriare la destra, vorrei consigliare al ministro Frattini di andarsi a leggere la grande stampa internazionale, dal “Financial Times” all’”Economist”, al “New York Times” e via dicendo che non sono giornali di estrema sinistra e che utilizzano le parole “resistenza”, “forze di occupazione”, “mercenari”, nelle loro analisi e nei loro reportages. Posso solo rispondere che l’ignoranza è una brutta bestia».
La situazione in Iraq sta precipitando sempre di più. L’opposizione non è ancora riuscita a convergere su una mozione unica per il ritiro delle truppe italiane da presentare in Parlamento. Lei cosa ne pensa?
«Io credo che la parola d’ordine, anche per le prossime elezioni europee, dovrebbe essere “unità” non solo per quanto riguarda i quattro partiti della lista “Uniti nell’Ulivo” ma anche “unità di tutto il centrosinistra”. Qui si tratta di battere Berlusconi e il suo governo. Non dimentichiamocelo mai. Anche sulla mozione mi piacerebbe che si trovasse un accordo».
La sua posizione personale sul ritiro delle truppe?
«Possono restare solo se un governo sovrano iracheno chiederà loro di restare. Altrimenti non abbiamo nessun diritto di restare. Sarà possibile avere un governo sovrano iracheno tramite un intervento dell’Onu? Non lo sappiamo, stiamo aspettando che l’Onu decida di rimettere al Consiglio di sicurezza una nuova risoluzione. Sarà comunque un percorso complicato e lungo. Una cosa è sicura: coloro che affermano che non ci può essere il ritiro immediato perché si potrebbe scatenare una guerra civile, dicono il falso».
Perché?
«È una affermazione falsa alla luce della storia di un paese come l’Iraq, ed è falsa perché è un pretesto. I sunniti e gli sciiti non sono in guerra fra di loro. Come scrive anche “Financial Times” nessuna occupazione militare americana o di altro tipo riuscirà mai a risolvere i problemi iracheni. Solo gli iracheni riusciranno a risolverli».

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=ARKINT&TOPIC_TIPO=I&TOPIC_ID=34257

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finalmente
by roushan Thursday, May. 06, 2004 at 5:31 PM mail:

finalmente qualcuno che mette in discussione l'assioma ritiro=guerra civile, base dell'imperialismo finto-buonista.

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Un articolo anticipatore
by fiorfuoco Thursday, May. 06, 2004 at 6:04 PM mail:

Robert Fisk, The Independent, Gran Bretagna


GUERRA CIVILE IRACHENA
Washington evoca spesso la possibilità di un conflitto tra sciiti e sunniti. Perché?

Strano, vero? Non c’è mai stata una guerra civile in Iraq. Non ho mai sentito i sunniti e gli sciiti iracheni scambiarsi una sola espressione di ostilità. Al Qaeda non ha mai minacciato gli sciiti, pur essendo un’organizzazione di sunniti. Eppure da settimane le autorità americane d’occupazione ci mettono in guardia su una possibile guerra civile. Hanno persino tirato fuori una lettera - scritta, a quanto si dice, da un agente operativo di al Qaeda - in cui si sostiene la necessità di un conflitto fra sunniti e sciiti. E alcuni giornalisti hanno ripreso con entusiasmo l’argomento.
In un certo senso, non ci credo. Non credo che dietro La strage del 2 marzo ci siano gli americani, nonostante le accuse dei superstiti iracheni. Però mi preoccupano i gruppi di esuli iracheni, spaventati dall’idea che queste azioni possano dar luogo proprio a quello che vogliono gli americani: una paura così acuta della guerra civile da indurre gli iracheni ad accettare qualsiasi piano gli Stati Uniti producano per la Mesopotamia.

Uno scenario da evitare
Ripenso all’Oas francese nell’Algeria del 1962, che faceva esplodere bombe tra i musulmani algerini di Francia. Ripenso ai disperati tentativi delle autorità francesi di mettere i musulmani algerini gli uni contro gli altri, tentativi che provocarono mezzo milione di morti. E ripenso anche all’Irlanda e agli attentati del 1974 a Dublino e a Monaghan, nei quali è emerso, a tanti anni di distanza, un coinvolgimento chiaro. attraverso i paramilitari “lealisti” protestanti, di elementi dei servizi segreti militari britannici.
Come che sia, una cosa è chiara: le esplosioni di Karbala e di Baghdad erano coordinate tra loro. C’è lo stesso cervello dietro l’una e l’altra. È un cervello sunnita? Il portavoce delle autorità d’occupazione ha suggerito che gli attentai i fossero opera di al Qaeda. Credo che sappia cosa ha detto: cioè che al Qaeda è un movimento sunnita e che le vittime erano sciite. Non che reputi al Qaeda incapace di un simile bagno di sangue. Però mi chiedo perché gli americani stiano insistendo tanto sul conflitto fra sunniti e sciiti. Cambiamo prospettiva: se un movimento sunnita violento si propone di cacciare gli americani dall’Iraq, perché mai dovrebbe desiderare di mettersi contro gli sciiti, che sono il 60 per cento della popolazione irachena?
Torniamo ad al Qaeda. Gli americani ci hanno detto e ripetuto che gli attentatori suicidi erano “stranieri’. Sarà. Ma non possono fornirei qualche norme a qualche nazionalità? Donald Rumsfeld, il segretario alla difesa degli Stati Uniti, ha parlato di centinaia di combattenti “stranieri’ che entrano in Iraq attraverso il “poroso” confine con l’Arabia Saudita. Dal canto suo, la polizia irachena annuncia di continuo di aver trovato i passaporti degli attentatori. Se è così, perché non rende noti i numeri di quei passaporti?
Stiamo entrando in un periodo buio della storia irachena. Ma c’è un’autorità d’occupazione che, invece di guardare alla guerra civile come lo scenario meno auspicabile (perché così dovrebbe essere), urla senza sosta “guerra civile!” E questo mi preoccupa. Specie quando le bombe danno sostanza a queste
urla.


(Robert Fisk, corrispondente da Beirut dell’Independent, è un esperto di questioni mediorientali. L’articolo è tratto da “Internazionale” - 5/11 marzo 2004 N° 529)

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questioni
by Tito Sunday, May. 16, 2004 at 11:32 PM mail:

cosa sta succedendo in iraq? cosa sta accadendo veramente fra i tigri e l'eufrate? quanto ancora dovremo sorbirci reportage filtrati e collaudati prima di essere messi in onda? ma sopratutto, come finirà? auspicare un intervento dell'onu è comodo e semplice, ma il numero di morti continua a crescere. ad oggi (scrivo nella notte fra 16 e 17) si continua a sentire di attacchi verso le sedi della "coalizione" (pfuì), di decine di iracheni morti e,contemporaneamente, di ritiro "solo se gli iracheni non ci vorranno". contraddizioni? abbondanti.
pochi giorni fa mi è capitata per le mani la fotocopia dell'articolo scritto da kofi annan ed apparso su "repubblica" all'inizio del 2000, su quale avrebbe dovuto essere il ruolo dell'onu con l'inizio del nuovo millennio. carta da culo (chiedo scusa). solo una dichiarazione di intenti che non arriverà mai a divenire concreta. in questo articolo si citavano spesso la "carta internazionale dell'onu" e la "dichiarazione universale dei diritti umani". di errori commessi rimanendo a guardare il massacro degli hitsu ed altre belle frittate. ma quello che accade in iraq sembra essere l'ennesimo fallimento di una organizzazione brava solo a parole, visto quanto tempo ci stanno a discutere per salvare qualche innocente. ho 26 anni, vivo e lavoro a palermo, sono un italiano medio con problemi normali e non ho un minimo di fiducia nell'onu. il mio cruccio è:cosa accadrà dopo l'iraq? bush verrà destituito prima di attaccare la somalia o l'iran? e noi italiani dovremo stare ancora una volta a guardare, aspettando il nostro 11 settembre? sono un pò confuso, qualcuno se può mi schiarisca le idee.

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........
by ........ Sunday, May. 16, 2004 at 11:57 PM mail:

più che "via dall'iraq=guerra civile", l'opzione che mi sembra più realistica è la formazione di un governo teocratico fascista stile Iran, il che sarebbe pericoloso pure per noi.

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