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Come è possibile pensare di fermare la guerra a mani nude?
by Matteo Pasquinelli Saturday June 05, 2004 at 11:39 AM mail:  

Leggetevi questo saggio di Matteo Pasquinelli e guardatevi il filmato!!!!! Lo consiglio a tutti i pre-post-anti-punk allergici al cattocomunismo disobbediente asessuato.............

URL: http://www.rekombinant.org/article.php?sid=2364


Warpunk, una flotta di B52 che sgancia bombe libidiche e immagini radicali nel cuore dell'immaginario occidentale.




Il ghigno della scimmia

Come è possibile pensaredi fermare la guerra a mani nude? L'opinione pubblica nowar che riempie le piazze di tutto il mondo e le democrazie cosmetiche dello stato di diritto dimostrano di fare ben poco contro lo scatenamento militare USA. Contro gli istinti di una superpotenza non c'è ragione che tenga, la forza omicida si può fermare solo contrapponendole un'altra forza. Tutti i giorni assistiamo alla dimostrazione della dura legge darwiniana: la storia è fatta da un confronto spietato di forze e il resto è solo libertà d'espressione esercitata nei salotti. Di queste forze anche i pacifisti sono complici: l'istinto animale appartiene a tutti. Dimostriamo continuamente questo assioma quando manifestiamo proprio in noi quella bestialità che condanniamo negli eserciti. Eliminata l'autocensura tipica della anime belle della sinistra radicale (e non solo della maggioranza conformista), dovremmo ammettere pubblicamente che la vista delle immagini pornografiche delle torture di Abu Ghraib non ci scandalizza, ma al contrario ci eccita, esattamente come ci eccita ancora il voyerismo ossessivo delle scene apocalittiche di NY911. Dietro queste immagini abbiamo percepito, ancora una volta, la manifestazione di istinti repressi, di piaceri che riemergono dopo essere stati narcotizzati dal quieto vivere della "società civile", dalle mille forme di sublimazione consumistica, dall'ipertrofia delle tecnologie, delle merci, delle immagini. Abbiamo mostrato i denti come le scimmie, quando sfoderano quel ghigno aggressivo che assomiglia inquietantemente al riso umano. Alcuni pensatori come Baudrillard e Zizek si sono spinti ancora più in là nel riconoscimento del fondo oscuro della natura umana. Se NY911 è stato uno scandalo per la coscienza occidentale, Baudrillard avanza una tesi ancora più scandalosa: siamo stati noi occidentali a desiderare NY911, come pulsione di morte di una potenza che giunta ai suoi limiti altro non sa e non può desiderare se non l'autodistruzione e la guerra. L'indignazione è ipocrisia, è sempre un animale a parlare dietro lo schermo video.



Lo scacchiere della guerra video

Prima di tirar fuori la scimmia dalla televisione, è bene mettere a fuoco lo scacchiere sul quale si gioca la partita mediatica. Più la realtà (occidentale e non) si infittisce di mass, personal , networked media, più le guerre diventano ovviamente guerre di immagine, anche se si combattono nel deserto. La prima guerrra globale comincia con la diretta mondiale dell'evento catastrofico aereo di NY911 e continua con episodi di videoguerriglia : ogni giorno dal fronte iracheno giungono i video girati dagli invasori, dalla resistenza o dalla popolazione, che vengono impugnati sulle televisioni occidentali e arabe come armi di propaganda o minaccia, prove di innocenza o colpevolezza. In questa media war ogni azione viene prima pensata immaginandone le conseguenze mediatiche: i terroristi hanno imparato ogni regola del conflitto spettacolare, mentre la propaganda imperiale, ben più navigata, non si fa problemi a giocare in modo spudorato con falsi costruiti ad hoc (come i dossier sulle armi di distruzione di massa, ecc...). Non è più la burocratica guerra di propaganda del passato. La diffusione di nuove tecnologie e nuovi media ha trasformato lo scenario della guerra mediatica in guerriglia mediatica, aprendo un fronte di conflitto molecolare, una trincea di resistenza dal basso. Le videocamere amatoriali tra la popolazione civile, i weblog dei giornalisti indipendenti come i videofonini usati dai militari americani nella prigione di Abu Ghraib, rappresentano ognuno variabili incontrollabili che possono sabotare qualsiasi apparato di propaganda tradizionale. L'immaginario video costruito dalla tv si intreccia oggi con l'infrastruttura anarchica e autorganizzata dei media digitali e della rete, che diventano formidabili mezzi di distribuzione e trasmissione (vedi la capillare diffusione in rete del video della decapitazione di Nick Berg). La propaganda impara oggi a manipolare un immaginario connettivo piuttosto che collettivo, e l'intelligence prepara i simulacri del vero usando lo stile e le tecnologie della comunicazione in rete.



Videoclash

Accanto al conflitto tecnologico tra forme verticali e orizzontali di comunicazione, sul mediascape internazionale si confrontano culture dell'immagine secolari. Gli Stati Uniti incarnano lo stadio ultimo della videocrazia, un'oligarchia tecnocratica che si fonda sull'ipertrofia della pubblicità e dello Spettacolo, sulla colonizzazione dell'immaginario mondiale attraverso Hollywood e CNN. Anche le ideologie del novecento, come nazismo e stalinismo, erano intimamente legate al feticismo dell'immagine-idea (e tutto il pensiero occidentale è discepolo dell'idealismo platonico). La cultura araba al contrario è per tradizione iconoclasta: è proibito rappresentare le immagini di Dio e del Profeta, e in generale di tutte le creature viventi. Solo Allah è Al Mussawir, colui che dà origine alla forme, e si commette peccato ad imitare il suo atto di creazione (anche se nel Corano questo precetto non compare mai). L'Islam è una religione che a differenza del Cristianesimo non ha una iconografia sacra intorno a cui ruotare. Nelle moschee la Kibla è una nicchia vuota. La sua potenza forse deriva proprio dal rifiuto non dell'immagine ma della sua centralità, sviluppando così un culto pratico, anti-spettacolare, orizzontale. Nel giorno del giudizio, si dice che saranno i pittori a soffrire di più. Anche se la modernizzazione avanza attraverso il cinema e la televisione (che paradossalmente non hanno subito lo stesso trattamento della pittura), il fondo iconoclasta rimane attivo e si scatena contro i simboli dell'occidente, come è accaduto con il World Trace Center. Per colpire l'occidente nella sua idolatria il terrorismo psuedo-islamico diventa videoclastia, prepara attentati per la diretta televisiva e usa abilmente i canali satellitari come cassa di risonanza delle proprie rivendicazioni video. Al-Jazeera trasmette in continuazione immagini di civili iracheni uccisi, mentre i media occidentali rimuovono questi corpi a favore dello show dell'apparato militare o delle immagini istituzionali. Un immaginario asimmettrico si sta sviluppando tra occidente e oriente, uno squilibrio di odio che presto scatenerà nuovamente nefasti contraccolpi. In questo scontro tra videocrati e videoclasti, come terzo attore il movimento globale cerca di farsi varco e di sviluppare una videopoiesi autonoma. La sintesi di un immaginario alternativo non avviene solo attraverso l'autorganizzazione di media indipendenti, ma riconquistando la dimensione del mito e del corpo. La videopoiesi vorrebbe parlare allo stesso tempo alla pancia e al cervello delle scimmie.



Il videocervello globale

Non la notizia delle torture nella prigione di Abu Ghraib o della decapitazione di Nick Berg ha risvegliato i media e le coscienze, ma la forza fisica delle immagini live diffuse in tutto il mondo. Il medium che ha educato le masse ad una reazione pavloviana all'immagine è ovviamente la televisione, che ha prodotto anche la globalizzazione della mente collettiva (con la quale indichiamo qualcosa di più complesso della semplice opinione pubblica). I sentimenti delle masse sono sempre stati viscerali e umorali: quello che la proliferazione mediatica ha permesso è una mutazione video, un divenire-immagine della mente collettiva, la traduzione in una unica narrazione visiva, che chiamiamo immaginario collettivo. Il videocervello globale funziona per immagini come del resto pensa per immagini il nostro cervello individuale. Non è un artificio teorico, si tratta di riconoscere una naturale estensione delle nostre facoltà. Nell'accelerazione elettronica ed economica, e nell'accelerazione degli eventi storici, la mente collettiva non ha il tempo di comunicare ed elaborare messaggi verbali ma reagisce solo a stimoli visivi. L'immagine-video diventa così la forma ed il luogo della lotta politica. L'immaginario collettivo nasce quando una infrastruttura mediatica trasmette e ripete una stessa immagine per milioni di volte, producendo un luogo comune, una allucinazione consensuale intorno ad uno stesso oggetto (che poi è declinato e comunicato attraverso altri vettori, dal passaparola al cinema). Nel caso del medium televisivo questa trasmissione seriale di milioni di immagini è molto più letale, perché avviene nello stesso istante. Altra cosa è invece l'immaginario di rete, che funziona in modo interattivo e non istantaneo, per il quale parliamo di immaginario connettivo. L'immaginario è quindi la trasmissione collettiva seriale di una stessa immagine attraverso media diversi. Parafrasando Goebbels, è come una bugia ripetuta milioni di volte che diventa discorso pubblico, conversazione quotidiana, verità. L'immaginario collettivo è in definitiva questo luogo dove si incrociano media e desiderio, dove una stessa immagine ripetuta un milione di volte modifica contemporaneamente milioni di corpi, inscrive il piacere, la speranza, la paura. Comunicazione e desiderio, mediasfera e psicosfera, sono i due assi che descrivono la guerra per le masse globali, sono il modo attraverso cui la guerra colpisce i nostri corpi lontani dal conflitto, il modo in cui l'immagine si iscrive nella carne.



Narrazioni di specie

Perché la realtà "esiste" solo quando inquadrata da un potente network televisivo? Perché una notizia riesce a modificare il corso degli eventi solo quando "buca" le news serali? Alla costituzione dell'immaginario collettivo non concorre solo la mutazione video delle tecnologie di massa, l'infrastruttura fisica del medium, ma anche gli istinti naturali della specie umana. In quanto animale politico, animale sociale, l'uomo tende a costruire narrazioni collettive, che proseguendo la metafora zoofila possiamo chiamare narrazioni di specie. In questo senso la televisione è un medium "naturale", perché risponde al bisogno di costruire una narrazione collettiva unica per milioni di persone, una narrazione di specie per intere nazioni, come un tempo facevano e fanno ancora altri generi, come l'epica, il mito, la bibbia, il corano. La televisione rappresenta prima di tutto il sentimento ancestrale di specie, il meta-organismo al quale tutti noi apparteniamo, la muta dei nostri simili. Ogni area geopolitica ha il suo attrattore video principale (CNN, RAI1, BBC, ecc.), un macro-attrattore rispetto al quale si declinano tutti gli altri media. Accanto a questi, esistono meta-attrattori con il ruolo di coscienza critica rispetto ai macro-attrattori, funzione spesso svolta da carta stampata e web (Repubblica in Italia, il Guardian in UK). Il modello è sicuramente più complicato, potremmo continuare fino a indicare nei blog i micro-attrattori di gruppo, i più piccoli attrattori in scala, ma qui serve solo dire che l'audience dell'attrattore primo e il suo potere di penetrazione sono assicurati dall'istinto naturale di specie. E' curioso definire i media di massa in questa maniera, perché non sono più push media, media che comunicano in modo unidirezionale (uno-a-molti), ma sono pull media, media che attraggono, che aggregano, media verso i quali prima di tutto siamo noi ad investire desiderio (molti-a-uno). Parafrasando la riflessione di Reich sul fascismo, possiamo dire che non sono le masse ad essere plagiate dai media, ma è la perversione del desiderio gregario a desiderare e sostenere il sistema mediatico.



Anarchia digitale. Un videotelefonocontro l'impero

La media war tradizionale ingloba la rete e l'immaginario interconnesso, tra televisione internet telefonia videocamere, diventa campo di battaglia: i personal media come le videocamere digitali permettono di portare la crudeltà della guerra direttamente nel salotto di casa, per la prima volta nella storia con la velocità di un download internet e al di fuori di qualsiasi controllo governativo. Questo immaginario "a rete" non si può fermare, come non si può fermare l'evoluzione tecnologica. La trasparenza assoluta è un destino al quale nessuno può sottrarsi. L'era dei videotelefoni compromette seriamente la privacy, ma all'inverso compromette ogni tipo di segretezza, compreso il segreto di stato. E' grottesco lo sfogo di Rumsfeld di fronte allo US Senate Committee on Armed Services a proposito della scandalo di Abu Ghraib: "We're functioning... with peacetime constraints, with legal requirements, in a wartime situation, in the Information Age, where people are running around with digital cameras and taking these unbelievable photographs and then passing them off, against the law, to the media, to our surprise, when they had - they had not even arrived in the Pentagon". Pochi giorni dopo Rumsfeld vieta ai militari americani in Iraq l'uso di qualsiasi fotocamera o videotelefono. Rumsfeld fra l'altro è stato vittima anche della diffusione in internet del famoso video, ripreso nel 1983, in cui stringe cordialmente la mano a Saddam Hussein. I nuovi media digitali sembrano fondare un'anarchia digitale imprevedibile, dove un videotelefono combatte l'impero. Le immagini delle torture sono la nemesi intestina della civiltà della macchine che sfugge al controllo dei suoi creatori, dei suoi demiurgi. C'è una nemesi della macchina ma anche una nemesi dell'immagine: l'impero dello Spettacolo, come dice Baudrillard, è staato messo in ginocchio dall'ipertrofia dello Spettacolo stesso, dalla sua stessa avidità di immagini, da una pornografia autofaga. La matrice digitale infinitamente replicabile ha permesso l'abbattimento della cultura del copyright attraverso i network P2P ma anche l'esplosione dello spam digitale e del rumore bianco nei contenuti web. I videotelefoni hanno creato una megamacchina fotografica a rete, un panoption superleggero, un Big Brother orizzontale. E in questa rete è rimasta intrappolata la Casa Bianca. La ripetizione digitale non ci lascia più il gioco di specchi del pensiero debole postmoderno – l'immagine come simulacro autoreferenziale – ma un universo interconnesso dove la videopoiesi può collegare punti lontanissimi e innescare cortocircuiti fatali.



War porn

In realtà quello che è affiorato alla superficie dei media con lo scandalo di Abu Ghraib non è un cortocircuito casuale, è l'implosione in un vortice fatale di guerra media tecnologia corpo desiderio. Filosofi, giornalisti, commentatori di ogni estrazione si sono affollati per inquadrare il nuovo punto nodale da una prospettiva diversa. La novità è questa: le foto di Abu Ghraib e il video di Nick Berg (veri o falsi che siano) hanno coniato un nuovo genere narrativo dell'immaginario collettivo. Hanno proiettato per la prima volta uno snuff movie sullo schermo dell'immaginario globale e hanno sdoganato quello subculture di rete che di queste immagini si erano sempre cibate: rotten.com ha raggiunto le masse. Quello che sta accadendo sui giornali e sui weblog di tutto il mondo non è tanto l'elaborazione di un trauma quanto delle ripercussioni politiche, culturali, estetiche di un nuovo genere di Immagine con il quale tutti noi dovremo in futuro fare i conti, che ci costringe ad aggiornare il nostro sistema immunitario e le nostre strategie di comunicazione. Come ha annotato Seymour Hersh, Rumsfeld ha data a tutto il mondo una buona scusa per ignorare d'ora in poi la Convenzione di Ginevra, ma ha anche abbassato la barra del limite di civiltà per quanto riguarda il visibile, costringendoci a convivere con l'orrore. Il giornalismo americano ha sempre chiamato war porn la fascinazione dei tabloid popolari come dei talk-show governativi per il luccichio delle armi, i carri armati hi-tech, le riprese aeree e l'epopea patriottarda dei soldati al fronte, una panoplia che qualcuno considera un sostituto asettico della vera e propria pornografia. Adbusters ha definito puro war porn la copertina di Time quando ha scelto il Soldato Americano come Person of the year : sulla copertina tre soldati ammiccano fieri imbracciando le loro armi. Il war porn indica, alla lettera, anche un sottogenere pornotrash finora poco sconosciuto che simula scene di sesso violento fra soldati o stupro di civili (video pseudo-amatoriali girati nell'est Europa che a volte vengono spacciati per veri). Il war porn viene sdoganato da subcultura di rete e vede il suo interesse feticistico per immagini di guerra snuff trasformarsi in armi politiche, vouyerismo e incubi di massa. E' casuale proprio ora l'affiorare del war porn dalle acque melmose del pantano Iraq?



Il rigetto corpo-digitale

L'accostamento metaforico tra guerra e sesso fatto dal giornalismo anglo-americano è indice di qualcosa di più profondo che non si è mai esplicitato, di quella libido alienata dal benessere che attende la guerra per scatenarsi secondo istinti ancestrali. La guerra è vecchia quanto l'uomo, l'aggressività istintiva si incarna storicamente in forme collettive e istituzionali, ma la guerra di oggi è separata da numerosi strati di tecnologia dal suo substrato animale. Sono servite le foto di Abu Ghraib per far affiorare il sottofondo osceno di energia animale celato dietro il make-up democratico. Questa riapparizione storica del rimosso è accaduta casualmente solo oggi grazie alla diffusione di massa di camere digitali e videotelefoni o esiste un legame tra corpo e tecnologia che prima o poi è fatale? Come i media di massa si riempiono di notizie tragiche e morbosità, così l'inquadratura dei media digitali sembra orfana fin dall'inizio di qualcosa, di quella passione del reale (Alain Badiou) che esiliata sullo schermo prima o poi riesplode in modo incontrollato. In nuovi personal media si collegano in presa diretta alla psicopatologia quotidiana, potremmo dire che creano un nuovo format, un nuovo genere di comunicazione ma soprattutto un rapporto con il corpo che la televisione, ad esempio, non aveva. Il war porn sembra essere il rigetto della tecnologia da parte delle forze inconscie che vanno ad esprimersi attraverso lo stesso medium che le rimuove: un rigetto che può indicare un adattamento in corso tra corpo e digitale. La proliferazione delle protesi digitali non è così razionale, asettica, incorporea come sembra. Se sembrava che i media elettronici avessero introdotto una razionalità tecnologica, il raffreddamento e l'alienazione dei rapporti umani, appare sempre più chiaro che prima o poi riaffiorano in superficie le ombre del digitale. Ad un certo punto la tecnologia scatena fisicamente il suo contrario. Internet è l'esempio più eclatante: l'incorporea tecnologia di rete nasconde sotto l'apparenza un traffico di contenuti porno che occupa metà della sua larghezza di banda. Allo stesso modo, la proliferazione orwelliana di videocamere non produce un immaginario trasparente, un immaginario apollineo, ma si riempie di violenza sangue sesso. Il prossimo Big Brother della Endemol sarà un Big Brother snuff come il film Battle Royal, in cui gli studenti di una classe sono segregati da Takeshi Kitano su un'isola e costretti ad uccidersi l'un l'altro fino a lasciare un solo superstite. Abbiamo pensato sempre ai media come protesi della razionalità umana, la tecnologia come prosecuzione del logos con altri mezzi. In realtà i nuovi media portano con sè il loro lato oscuro, che con il declino dell'occidente affiora con forza. Questo corpo siamese composto da libido e media, da desiderio e immagine, lo ritroviamo nel war porn, nelle immagini di Abu Ghraib. Due movimenti paralleli che sono lo stesso movimento: la guerra reinveste la libido alienata dal benessere occidentale, i personal media si riempiono della libido disperata da essi stessi alienata. L'inconscio non sa mentire, gli scheletri nell'armadio prima o poi bussano alla porta.



Reset dell'immaginario

La guerra è lo conseguenza dell'incapacità di sognare, dell'esaurimento dell'energia libidica in una emoraggia di protesi, merci, immagini. La violenza della guerra ha la funzione di farci tornare a credere nelle immagini della vita, nelle immagini del corpo come nelle immagini della pubblicità. La guerra è un reset dell'immaginario, riporta l'eccitazione pubblicitaria al grado zero da dove può ripartire per sentieri facili e già battuti, salva la pubblicità dall'annullamento finale dell'orgasmo, dal nirvana dove i consumi, i valori sono inflazionati e indistinti. La guerra riporta la new economy alla old economy, a merci tradizionali e solide, sbatte via le merci immateriali che rischiano di dissolvere l'economia nel grande potlach, nell'antieconomia del dono rappresentata da internet. La guerra ha anche l'effetto "benefico" di riconsegnarci al pensiero "forte", alla responsabilità politica del nostro pensiero, contro le fughe interpretative del pensiero debole, della semiotica, del postmoderno (il postmoderno è l'immagine occidentale che cerca un alibi per la sua impotenza). Le immagini pornografiche della guerra, abbiamo detto, sono il riflusso dell'istinto animale che il nostro apparato economico e sociale ha represso. Ma non vogliamo fare psicoanalisi, non vogliamo trovare una giustificazione reattiva a nuovi costumi e mode, vogliamo un'analisi "fisica" dell'energia libidica. Attraverso la guerra, assistiamo al ritorno di immagini con una forza autonoma e autopoietica. Esistono diversi tipi di immagine: le immagini war porn non sono rappresentazione, parlano direttamente al nostro corpo, sono una forza affermativa, crudele, lucida, come il teatro di Artaud, sono immagini rimagnetizzate che non lasciano increduli, sono "icone neuroniche sulle autostrade spinali" come potrebbe definirle Ballard. L'immagine radicale ci riconsegna il corpo, l'immagine radicale è corpo, non simulacro. Il suo effetto è prima di tutto fisico e poi cognitivo. L'immagine-movimento e la materia-flusso sono rigorosamente la stessa cosa (Deleuze). Riemerge la tradizione maledetta dell'immagine, la potenza psichica e contagiosa della scena rivendicata da Artaud, una immagine macchinica che congiunge materiale e immateriale, corpo e sogno. Fiction is a branch of neurology (Ballard). Il war porn libera come una bomba libidica le energie animali della società occidentale, energie più o meno represse, energie che possono reinverstirsi in attitudini fascistoidi oppure liberatorie, che possono innescare un effetto di identificazione e apologia alla Ku Klux Klan oppure mitopoiesi di rivolta. Le immagini radicali sono immagini che riescono ancora ad essere politiche, che attraverso una semplice diffusione di massa riescono ad avere un impatto insieme politico estetico carnale.



Videopoiesi. L'immagine-corpo

Come si può fare un uso intelligente della televisione? La prima reazione intelligente è quella di spegnerla. Gruppi di attivisti come Adbusters.org o Esterni.org organizzano da anni giornate di sciopero della televisione. Può la civilità occidentale pensare senza televisione? No. Anche se smettiamo di guardare la televisione per un black-out mondiale da fall-out radioattivo, l'immaginario, le speranze e le paure continuerebbero a ragionare in modo "televisivo". Non è assuefazione, il video è diventato il linguaggio collettivo primario. Un tempo erano la religione, la mitologia, le saghe epiche e i romanzi, oggi è il video il linguaggio del nostro immaginario: possiamo sopprimere il rito (guardare la tv), ma non il mito. La tv si può spegnere, l'immaginario video no. E' su questa constatazione che si fonda l'idea di una videopoiesi autonoma, di una pratica che non produca genericamente altra informazione alternativa ma dispositivi mitici per l'immaginario collettivo. Cercando utopicamente l'immagine perfetta, l'immagine che da sola riesca a fermare la guerra, far cadere l'impero, muovere la rivoluzione, il movimento globale ha teorizzato e praticato il videoattivismo (da Indymedia fino alla Telestreet) e la mitopoiesi (da Luther Blissett a Wu Ming), ma ancora non ha provato a fondere le due strategie, a produrre una videopoiesi ad impatto mitico, icone che sappiano rubare la scena del mediascape a Bin Laden e Bush, format seducenti e inquietanti come i frammenti video diffusi in rete in Pattern recognition di William Gibson. Videopoiesi significa non banalmente la proliferazione di videocamere nelle mani dei videoattivisti, ma la creazione di narrazioni video che abbiano la forza del corpo e quella del mito, significa un lavoro sul genere e sul format piuttosto che sul contenuto informativo. La sfida è l'immagine-corpo. Nella videopoiesi torna questa volta il rimosso del movimento, la questione del corpo e del desiderio che è stata sepolta sotto un immaginario para-cattolico e terzomondista. Mentre l'immaginario occidentale si ripopola di corpi di eroi fatti a pezzetti, il movimento si ritrova ancora una volta impacciato ad affrontare il suo rimosso. Il war porn sfida il movimento non a eguagliare l'orrore ma a produrre immagini che risveglino il corpo assopito. La televisione ha prodotto storicamente macro-corpi, corpi mitici, corpi ingigantiti dal potere dei media, ingombranti come un tempo i corpi delle divinità. Il regime televisivo crea mostri, corpi ipertrofici come quello del presidente degli Stati Uniti, di Al-Qaida o delle star del cinema e della musica, mentre la rete e i personal media cercano di smembrarli, di farne una carneficina, di produre altri corpi assemblandone i resti. La videopoiesi si trova a dover eliminare prima di tutto l'autocensura inconscia che viene praticata nei settori più illuminati e radical-chic, l'autocensura che fedele ad un immaginario cripto-cattolico censura il ghigno della scimmia. Eliminata l'autocensura la videopoiesi può cominciare il suo bricolage con il corpo smembrato.



Warpunk. I like to watch!

Vedere immagini crudeli fa bene. Guardare in faccia le proprie ombre è quello di cui l'occidente ha bisogno, quello che oggi può fare chi non ha le armi politiche della maggioranza e del potere economico. In Atrocity Exhibition di Ballard i notiziari di guerra e le scene di violenza migliorano l'attività sessuale degli adulti e la salute dei bambini psicotici. I signori della guerra stanno occupando l'immaginario collettivo con una dimostrazione di forza. Perché lasciarglielo fare pacificamente? Se nel mondo reale siamo sempre vittime del ricatto della non-violenza, nel reame dell'immaginario possiamo coltivare finalmente i nostri più vivi desideri. Se l'immaginario americano sta avvallando gradualmente una deriva nazista, di fronte all'apologia della violenza, la risposta non può essere che l'apologia della resistenza, l'apologia dell'azione: warpunk! Il warpunk non è una subcultura delirante che abbraccia le armi come gesto estetico ma l'uso di immagini radicali come armi di legittima difesa. Warpunk è usare il war porn in maniera tragica, superare l'autocensura dell'occidente e soprattutto quella di movimento. Parafrasando un detto giapponese, il warpunk strappa alla guerra e all'impero l'arte di abbellire la morte. Dei signori della guerra americani si teme soprattutto la loro hybris, il modo in cui affrontano ogni ostacolo calpestando le regole scritte e non scritte dell'occidente. Non sembrano intenzionati a fermarsi. A questa minaccia che senso ha contrapporre un immaginario vittimistico, le mani dipinte di bianco alzate al cielo, le ammucchiate alla Abu Ghraib in ogni piazza del mondo? Il vittimismo è un cattivo consigliere, è l'avvallo definitivo del nazismo, il belato della pecora che rende il lupo ancor più indifferente. Il movimento globale è un buon esempio di pensiero debole e cultura reattiva. Forse perché, al contrario delle forze del Male e di quelle del Peggio, di guerrafondai e terroristi, il movimento non ha mai sviluppato un pensiero della morte, un pensiero del tragico . Il tragico è lo sguardo che sa danzare su qualsiasi immagine dell'abisso. Nel video I like to watch della Church Of Euthanasia di Chris Korda (scaricabile da http://www.churchofeuthanasia.org ) scene di sesso orale e masturbazione si sostituiscono a partite di football e baseball e si sovrappongono alle arcinote scede dell'attentato alle Twin Towers. La simbologia fallica più massimalista è portata al parossismo: il Pentagono è colpito da una eiaculazione, erezioni multiple sfumano nel profilo delle Twin Towers che diventano oggetto di una fellatio architettonica. Il video è la proiezione degli istinti più bassi della società americana, del fondo comune che lega le immagini spettacolari della guerra, della pornografia, dello sport, un'orgia iperbolica di animalità che mostra all'occidente in modo cristallino il suo fondo reale. Il warpunk è una flotta di B52 che sgancia bombe libidiche e immagini radicali nel cuore dell'immaginario occidentale.




Matteo Pasquinelli
matATrekombinant.org
Bologna, maggio 2004



Web + PDF file: http://www.rekombinant.org/article.php?sid=2364

Grazie a Luca Martinazzoli per la segnalazione del video di Chris Korda.







Rekombinant 2002 Copyleft per uso non commerciale

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il video? uno Saturday June 05, 2004 at 12:48 PM
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