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[Guadalajara]: racconto di una sequestro-espulsione
by Indymexico(trad.garabombo) Tuesday June 15, 2004 at 08:50 PM mail:  

da http://mexico.indymedia.org/

10 giugno 2004- Mexico.
All'opinione pubblica messicana, del mondo e a chi può interessare. Dopo 6 giorni di sequestro e violazione ininterrotta dei nostri diritti di esseri umani, sentiamo la responsabilità di rendere pubbliche le confessioni estorte e le minacce che abbiamo subito nelle ultime 48 ore
inquanto internazionali detenuti illegalmente lo scorso venerdi 28 maggio a Guadalajara.
Dopo l'unico colloquio che ci è stato concesso con la nostra avvocata 5 giorni dopo il nostro arresto, in 6 degli 8 "stranieri" abbiamo deciso di ricorrere al patteggiamento martedi 31 maggio alle 13:00 -

Due ore dopo fanno uscire noi donne dalla cella dove si trovavano le altre recluse e ci comunicano che ci stanno per portare all'aeroporto per rendere effettivo il rimpatrio; dopo aver rifiutato, ricordando che siamo sotto iter di patteggiamento ed esigere che ci venga mostrato il provvedimento di espulsione, è lo stesso Avvocato Ayala, capo della Stazione Migratoria di Iztapalapa, a decidere di
usare la forza fisica per sottometterci e portarci sul camion che doveva portarci all'aeroporto con l'uso della forza; a parlare chiaro sul suo intervento in quel momento ci sono i lividi scuri che porto sul braccio sinistro.
Davanti alla nostra resistenza accorrono altri ufficiali e in quattro ci portano mantenendoci per piedi e mani sul camion. Arriviamo all'aeroporto e ci mettono in alcune camionette della Policia Federal su cui arriviamo fino alla pistsa di decollo di un aereo della compagnia
Aeromèxico con destinazione Madrid: sono circa le 18,00.

Fanno salire prima due compagni che provano nuovamente a farsi mostrare il decreto di espulsione e per questo ricevono la minaccia diretta del Licenciado Araico, numero due della rappresentanza locale dell'Ufficio di migrazione dell'aeroporto, che ci ha assicura "Si, se ne andranno
ugualmente ma ben riscaldati....."
Davanti a tali irregolarità il pilota non ci accetta a bordo e così veniamo condotti all'ufficio dellamigrazione dell'aeroporto, e lì ci comunicano che partiremo con il prossimo aereo che partiva alle 21:00 -

Attendiamo ancora la carta con il provvedimento di espulsione che non appare, e ancora adesso a poche ore dall'espulsione compiuta non è apparso alcunchè.

Alle 20,30 ci riportano all'imbarco ma chissà per quale artefizio del destino non riusciamo ad arrivare in tempo per salire sull'aereo. Alle porte dell'imbarco ci troviamo per la prima volta in tutto il periodo processuale davanti a due invitati di punta della giornata: sospettiamo di trovarci davanti al console e all'ambasciatore di Spagna,
perchè questi non si presentano neanche.

Tranne gli spagnoli, gli altri "stranieri" sono stati tutti espulsi. Rimaniamo Jon, Juan, Silvia e Mar, e passiamo la notte ancora isolati sul pavimento dell'Ufficio per la migrazione dell'aeroporto.

Albeggia (sospettiamo) e ricominciano le pressioni. Ci dicono che finalmente partiamo alle 18,00 del giorno mercoledi 2. Le nostre avvocate sembra che siano a questo punto sul momento di arrivare all'aeroporto affinchè riuscissimo a firmare il provvedimento di patteggiamento
Sono le 16.00 e ancora non arrivano. L'avvocato Reyes della Stazione Migratoria ci comunica che le avvocate non le faranno passare e che qualsiasi decisione in merito al patteggiamento la dovevamo prendere senza consultare i nostri legali e con le sole informazioni che ci avrebbero fornito nell'Ufficio. L'avvocato Reyes della Estación Migratoria ci comunica che questa volta nel caso in cui non avessimo accettato quelle condizioni saremmo stati automaticamente a disposizione del pubblico ministero che avrebbe aperto un altro processo penale. Ci mentono ancora ma finalmente le nostre avvocate arrivano; ci informano delle conseguenze del patteggiamento e tre di noi le accettiamo consci della possibilità di passare
fino a due mesi rinchiusi nella Stazione Migratoria fino alla risoluzione del Giudizio di patteggiamento. Juan, Silvia e Mar firmano ma alle avvocate non permettono di restare oltre e vanno via in fretta.
Jon intanto è già salito su un altro aereo. All'improvviso, 10 minuti dopo l'allontanamento delle avvocate, ci fanno raccogliere le nostre cose perchè pare ci portino alla Stazione Migratoria, ma capiamo, davanti all'impassibilità
del console Gabriel Alou e del cancelliere spagnolo Jose Antonio andrès, che ci stavano riportando verso altre scalette d'imbarco. Chiediamo spiegazioni ma nessuno risponde. Chiediamo al console cosa stesse succedendo e otteniamo come unica risposta: "Non so cosa stia succedendo. Sono solo un testimone" ("E se ci puntano una pistola alla nuca?" ... domando.... Non dice nulla).

>>> Oggi leggo una lettera di una compagna che mi raccontava le seguenti cose: "un'altra cosa, sabato quando ci siamo accorti che c'erano degli spagnoli tra gli arrestati (fino a quel momento si sapeva solo di Silvia e Juan)ho chiamato il console per capire se ne erano a conoscenza e se potessero
garantirvi i diritti fondamentali.
Adessi leggo le vostre dichiarazioni sulla sua visita e non mi stupisco affatto. Ho avuto uno scontro duro con lui: il cabròn mi diceva che se voi non chiedevate aiuto a lui, lui era impossibilitato ad agire, e che non poteva entrare nel merito di nessun processo. Gli ho ricordato che semplicemente richiedevo un suo intervento nel garantire la vostra incolumità giuridica e fisica. Comunque qualche ora dopo lo richiamo e lui vi aveva già incontrati.
Gli ho chiesto di cosa eravate accusati e se era in atto il provvedimento di espulsione, e se avevate incontrato un avvocato, e questo mi ha risposto di no "sono stranieri"; gli chiesi che facesse pressione per ottenere un
avvocato e mi ha detto "non mi pressi oltre"; infine gli chiesi se c'erano altri cittadini stranieri in stato d'arresto e mi ha risposto "non posso darle questi dati"; mi ha chiuso il telefono in faccia e io l'ho richiamato
ma non mi ha più risposto. Quindi se in qualche modo la mia testimonianza vi può servire avvisami perchè a questo bisogna puntargli i piedi bene in terra".
Davanti al portellone dell'aereo l'avvocato Reyes ci dice che se saliamo in quel momento andiamo via senza provvedimento di espulsione. Una nuova strategia.
Siamo stanchi, stufi, confusi. Ci rifiutiamo fortemente di salire. Un altro aereo se ne va senza di noi. Ci riportano ancora all'ufficio per la migrazione dell'aeroporto e adesso comincia il circo. L'avvocato Giovanna, capo dell'ufficio per la migrazione dell'aeroporto, afferma di aver appena ricevuto un ordine direttamente dal Pubblico Ministero per
metterci as disposizione immediata del giudice affinchè cominci subito il processo penale. Ci appelliamo al nostro diritto di patteggiare ma ci dicono che questo
non impedisce l'inizio del processo. Improvvisamente appaiono tutta una serie di personaggi sinistri e nella piccola stanza di 3 metri per 2 in cui ci tenevano
rinchiusi, ci ritroviamo noi tre con 6 o 7 signori che ci minacciano con delle false prove ottenute secondo quanto affermano con una ingente somma di denaro: video, foto e testimoni disposti a testimoniare sul nostro agire durante
il corteo, i danni, gli attacchi alla polizia e ai civili e altre menzogne ancora. Ci fanno capire che se avevamo intenzione di giocare adesso sapevamo che tipo
di gioco avremmo fatto. Ci offrono ancora una possibilità di prendere l'aereo seguente.

L'impressione è che stavolta vogliono spaventarci davvero. Abbiamo avuto la disgrazia o la fortuna di conoscere da vicino il sistema messicano, fondato sulle e le falsità. Sono 5 giorni che continuano a ingannarci.
Ci presentano di volta in volta degli attori che fingono di essere reporters dell'Agenzia spagnola EFE o del quotidiano messicano La Jornada per farci parlare. Abbiamo visto nei sotterranei della procura della giustizia di Guadalajarala licenza di torturare che vige. I nostri 5 giorni sono
valsi praticamente per 20. Ogni giorno la nostra realtà variava 2 o 3 volte; le bugie dell'avvocato Ayala, le minacce dell'imminente deportazione, giorni interi prima che si realizzasse la nostra espulsione. Praticamente non abbiamo dormito, ci hanno umiliato e non ci siamo sentiti
in grado di sostenere un regolare processo penale in quelle condizioni e in un paese in cui, come in molti altri, la verità e la giustizia non hanno nulla a che vedere con la legge.

Quindi abbiamo deciso che ce ne andavamo via finalmente. Gli facevamo credere almeno che gli regalavamo vinta la partita. Eravamo circondati dagli uomini grigi, la rappresentanza legale messicana più oscura, e ci siamo sentiti troppo piccoli per affrontarli. Abbiamo capito che dietro la nostra espulsione si stavano giocando partite ed erano in ballo interessi molto più grandi di quelli che eravamo arrivati a immaginare. All'improvviso arriva un altro
personaggetto con un libro sotto il braccio sulle leggi per stranieri, che più tardi conosceremo come Magdaleno Isla, che facendo onore alla sua professione ci mette davanti un foglio di carta bianco per apporvi una firma nostra, ancora il tutto condito con l'impassibilità del nostro cancelliere e del resto degli avvocati. Le cose già si mettevano male quando il Coordinatore generale della Migrazione ci dice che ci darà come ultima possibilità un aereo per la mattina seguente.
Siamo esausti; i giorni si sovrappongono uno all'altro e abbiamo poche forze ancora per resistere. Ci impediscono di contattare le nostre avvocate e continuano a esercitare minacce e pressioni. Arriviamo alla stazione migratoria, dolce luogo dopo due giorni passati all'aeroporto, mentre per un paio di compagni le forze cominciano davvero a scarseggiare.
RIusciamo a parlare con l'avvocata. Fino a quel momento non eravamo stati informati sulla possibilità reale di passare a disposizione del Pubblico Ministero e che si aprisse dunque il processo penale contro di noi.
L'affermazione dell'avvocata dunque arrivò all'improvviso e ci ha colpito.
La nostra resistenza era minata, oltre al numero esiguo che eravamo, dalla realtà vissuta nella stazione migratoria, dalla possibilità di cambiare repentinamente questa realtà per affrontare poi tutto il processo, gli interrogatori e le dichiarazioni estorte, tutto ciò ci è sembrato un mezzo suicidio. Il livello di minacce, estorsioni e manipolazioni di cui siamo stati vittime da parte di semplici funzionari "amministrativi" era incombente.
Ci siamo negati al passaggio attraverso il "filtro" penale.
Eravamo disposti a passare mesi nella stazione migratoria se era necessario, ma era chiaro che avevamo passato un limite di tolleranza. Avevamo già denunciato l'avvocato Ayala (capo della Stazione) per aggressione fisica, e ci hanno fatto capire che non avrebbero permesso ancora una nostra lunga permanenza in quei luoghi.

E' giovedi e albeggia: noi siamo ancora nella stazione migratoria. Continuano ad impedirci di avere contatti con l'esterno e alcuni di noi non hanno ben chiaro il senso della permanenza alla Stazione. Cambiamo opinione ogni mezzora. Il cuore ci dice una cosa, la ragione un'altra. Le nostre famiglie continuano a fare pressione affinchè lasciassimo il paese.

L'impotenza e la rabbia ci fanno arrovellare le budella. Finalemnte ci consegnano i provvedimenti di espulsione dal paese per 3 anni. Alcuni di noi non firmano, altri lo fanno protestando e ancora subendo minacce.
Da quel momento astento parleremo tra di noi. L'impotenza era grande per poter fronteggiare un sistema corrotto che ci teneva rinchiusi, potendo fare qualsiasi cosa di noi. Neanche le pressioni esterne hanno cambiato le cose. Essendo nel mirino dei media e della società civile hanno usato i metodi più vili e oscuri, dalla detenzione illegale alla violazione incessante dei nostri diritti, mettendo a reprentaglio la nostra integrità fisica e mentale, fino al sequestro illegale, come segnala la convenzione ONU del 1990, dei nostri documenti senza prove sulla necessarietà della cosa.
Anche l'articolo 21 della costituzione messicana, che impedisce la detenzione per più di 36 ore per sanzione amministrativa, è stato calpestato.
Inoltre bisogna supporre che non siamo mai stati "arrestati" ufficialmente e che la stazione migratoria non è un carcere. La nostra domanda è: che ne sarà dei 44 compagni che adesso sono sotto arresto, in che condizioni passeranno le ore più belle della loro gioventù per la sola colpa di essersi trovati nel momento sbagliato nel posto sbagliato, in cui a qualche agente antisommossa è stato ordinato di segnalare e trovare i sospetti, come nel nostro stesso caso, tra negozi e vestiti?

Continuiamo a non parlare. L'aereo si leva in volo e a me non restano più lacrime, tanti dei tentativi di esorcizzare la rabbia e l'impotenza con il pianto. Ci siamo sentiti disertori più che espulsi. Non ci dispiace abbandonare il paese in cui avevamo riposto tanti nostri sogni quanto abbandonare i reclusi a Guadalajara con tutti i loro processi pendenti.
Sono accadute troppe cose in pochi giorni e mai con mezzora a disposizione per prendere una decisione. La mancanza di notizie e l'isolamento sono stati inostri maggiori nemici. In qualche momento sentivamo già l'impossibilità di tornare a passeggiare per le strade di Città del Messico. Il ricordo di Pavel ci esaltava contemporaneamente alla sofferenza per l'imminente distacco.

CHe fare? Già adesso mi pento di aver consensuato la nostra espulsione. Non saprò mai se ho fatto bene, non ne sono mai stata convinta. Però dalla Stazione migratoria come dall'altra parte dell'oceano i nostri cuori continuano ad essere ancorati a tutti i volti con cui ci è toccato dividere l'inferno dei sotterranei di Guadalajara. E se la parola è un'arma faremo in modo che in ogni angolo della penisola e del mondo arrivi la nostra denuncia.
Non ci tapperanno la bocca e noi continueremo a essere una spina nel loro interno, anche se agiremo dall'esterno affinchè non si dimentichi e si denunci da ogni angolo del mondo la tortura vigente nei posti di polizia e l'impunità di cui godono i corpi di polizia in tutto il mondo e che scatenano contro ragazze di 20 anni e 40 chili.

Oggi ho ricevuto la lettere di un amico che ha dei contatti ben precisi in lacune "situazioni" visto il suo lavoro e mi dice: "QUalcuno che conosce molto bene cosa vi è capitato dice che se vuoi rientrare tranquillamente in Messico non devi fare dichiarazioni in Spagna contro il Governo Federale Messicano; ne ai media spagnoli ne a quelli del mio paese, perchè verrà tutto registrato qui e potrebbe essere usato per impedirti o complicarti il rientro".

Ci restano la rabbia e i sogni, compagni. Ci rimane la memoria e i nostri desideri. E siamo in molti. Siamo una somma di voci che gridano all'unisono contro il sistema e le sue intelligenze mutilate che immaginano di poter censurarci allontanadoci di un oceano. Non sanno però che la rabbia è un torrente che cresce e deborde quando provano a bloccarlo.

E queste saranno le nostre voci, le nostre azioni, le nostre mani tese come un ponte tra i due oceani accarezzeranno i volti feriti dei nostri compagni, asciugheranno le loro lacrime nelle notti ingiuste di galera, che romperanno il divieto di abbracciarci.

Siamo qui e da qui proseguiremo, non ci chiuderanno la bocca e ogni volta saremo di più per impedire che l'impunità torni a nascondersi vergognosamente sotto l'asfalto e che i personaggi più ripugnanti della specie umana non tornino a nascondersi nei sotterranei umidi e soffocanti di nessuna città.

Ora esigiamo la liberazione, e che tutti vengano scagionati immediatamente, dei 32 compagni che continuano a restare in carcere a Guadalajara; inoltre agli internazionali espulsi va ritirata la sanzione che gli impedisce di tornare in messico per i prossimi 3 anni.
















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