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Barriera difensiva: il voto e la parzialità dell'Onu e dell' Europa
by Squalo Thursday, Jul. 22, 2004 at 7:30 PM mail:

A pagina 6 di La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio - Il Riformista - Libero del 2004-07-22, Fiamma Nirenstein - Angelo Panebianco - Emanuele Ottolenghi - un giornalista - Carlo Rebecchi firma un articolo dal titolo «Analisi sul voto dell' assemblea generale dell'Onu»



Tra gli innumerevoli articoli pubblicati oggi a proposito del voto assembleare dell'Onu sulla legittimità dela barriera difensiva ve ne sono alcuni che spiccano per acume intellettuale e spirito critico; ne segnaliamo alcuni in modo che il lettore possa farsi un'idea precisa a riguardo.
Da La Stampa pubblichiamo l'analisi di Fiamma Nirenstein che dimostra come l'Onu non sia mai stata equidistante negli ultimi 30 anni nelle sue prese di posizione sul conflitto arabo-israeliano.

A pagina 6. "Ma l'assemblea generale non è un giudice obiettivo"

Il voto di conferma della Sentenza dell'Alta Corte dell'Aja - 150 a 6 con 10 astenuti - per i palestinesi è «meraviglioso», è «una svolta». Ma, mentre non si può contestare che sia bene per la loro parte quanto è successo, tuttavia davvero non si può dire che si tratti di una vicenda straordinaria. La cornice storica porta due nomi: l'atteggiamento dell'assemblea delle Nazioni Unite verso Israele, e, in secondo luogo, quella dell'Europa. Le Nazioni Unite hanno da molti anni nella loro tradizione un atteggiamento di parte che si è accentuato dopo la guerra del ‘67 e con l'acuirsi della Guerra Fredda.
Il blocco di sinistra e dei non allineati dettero allora vita a quella politica che ha partorito la risoluzione del 1975, che poi l'Onu si è rimangiata, «sionismo eguale razzismo»; la maggioranza è rimasta tale anche col crollo dell'Urss, per la forza dei Paesi musulmani, cosicché addirittura un terzo delle risoluzioni della Commissione per i Diritti Umani condannano Israele mentre immense violazioni altrui vengono ignorate, non c'è una definizione né una condanna univoca del terrorismo; l'Onu mantiene dopo cinquant'anni l'Unrwa, l'organizzazione che estrapola da tutti i profughi solo i palestinesi per quattro generazioni e oltre, e unica fra tutte è incaricata non di risistemarli ma di tenerli nei campi; sempre l'Onu ha promosso nel settembre 1991 nel picco dell'attacco terroristico contro Israele, la grande conferenza contro il razzismo di Durban, che di fatto ha usato tutta la potenza delle Ong, Human Rights Watch, Amnesty, Christian Aid, Oxfam e tanti altri insieme ai gruppi palestinesi per creare una risoluzione che, targata di nuovo Onu, fa di Israele uno stato criminale, coloniale, di apartheid… Su 100 pronunciamenti dell’Human Righst Watch sul conflitto israelo-palestinese in quattro anni, solo 13 parlano del terrore palestinese. In genere l'Onu non menziona mai il termine «terrorismo» e «terrorista», proprio come nel caso della sentenza dell'Aja che non solo non usa il termine, ma ne ignora l'aggressività: la corte nominata dall'Onu e con una presenza fra i suoi quindici giudici di parecchi appartenenti a stati totalitari (per esempio il presidente cinese) non hanno mai nominato la parola terrorismo per sessantacinque pagine di sentenza, ignorando del tutto la posizione sostanziale degli israeliani che dicevano: «abbiamo avuto mille morti e diecimila feriti, e adesso il recinto (che è muro per il 3,8 per cento, e invece chiamato così in tutta la sentenza) evita il 90 per cento degli attentati».
La Corte, e questo è un punto cruciale, ha sostenuto che l'articolo 51 della Carta dell'Onu, che recita: «niente deve impacciare il diritto all'autodifesa del collettivo o dell'individuo quando un attacco armato avvenga contro un membro delle Nazioni Unite» in questo caso non si applica perché: «l'articolo 51 si limita agli attacchi di Stato contro Stato». Un punto di vista molto apprezzato dai palestinesi ma non solo, dato che così l'Onu dà licenza di grandi attacchi terroristi senza diritto di difesa neppure passiva. Il punto teorico cruciale della sentenza è questo, non la questione umanitaria dei diritti dei palestinesi: a questa ha dato una riposta adeguata la Corte Suprema israeliana quando ha dichiarato il diritto alla legittima difesa, ovvero la legalità del muro secondo il diritto internazionale ma anche l'urgenza di spostarne dei tratti per cercare un miglior assetto, sempre temporaneo fino ad accordi da raggiungere, per i palestinesi.
E qui veniamo allo sfondo su cui l'Europa ha accordato il suo assenso, anche se l'Italia e l'Inghilterra hanno trattato a lungo per ottenere una posizione mitigata, molto irritati dall'atteggiamento sull'articolo 51 ma ottenendo, come del resto a Durban, miseri frutti diplomatici (la mozione invece di accettare prende nota della risoluzione della Corte). La risoluzione è così drammaticamente antisraeliana da escluderla quasi sicuramente, per il futuro, da qualsiasi sgombero o trattativa: ma l'Europa è stata sopraffatta dalla richiesta della Francia di votare con i palestinesi. La Francia ha una posizione tanto estrema che il suo ministro degli Esteri solo pochi giorni fa, e a fronte delle rivolte di Gaza ciò appare straordinario, visitava Arafat, e al suo fianco chiedeva di farne di nuovo un protagonista. In secondo luogo, la Francia ha nella questione araba e palestinese un terreno privilegiato di contrapposizione con gli Usa, e ne fa uso per la sua leadership sull'Europa. In terzo luogo, lo scontro Chirac-Sharon ha dato fuoco alle solite polveri. Non dimentichiamo che il 18 giugno scorso l'ex primo ministro francese e membro del Parlamento europeo Rocard ha dichiarato tranquillamente che la promessa di lord Balfour di un focolare nazionale per gli ebrei «fu un grave errore». Così come l'ambasciatore francese a Londra chiamò Israele «Quel piccolo paese di m…». Il fatto che l'Europa abbia seguito compatta la Francia ha acuito la sofferenza provata da Israele nelle continue occasioni in cui l'Europa, al contrario degli Usa ha parteggiato per i palestinesi. Difficile anche per Israele dimenticare che l'indagine dell'Onu di un anno fa mostrava che la maggioranza degli europei vede Israele come «il maggior pericolo per la pace», o che intellettuali come Theodorakis o il premio Nobel Saramago definiscono gli ebrei «il cancro dell'umanità» o «simili ai nazisti». Israele da questo voto porta a casa la certezza che quanto più l'Onu e l'Europa stanno lontano quanto più si respira. Intanto certo Sharon, ma neanche Shimon Peres, intendono lasciare entrare dei terroristi con la cintura pronti a farsi saltare sugli autobus o nelle scuole per far piacere all'Onu.

Dal Corriere della Sera riportiamo l'editoriale di prima pagina di Angelo Panebianco, "I pacificatori improbabili" dove l'autore analizza la posizione, non certo equidistante, dei paesi dell'Unione Europea sia nello specifico del voto assembleare sia in generale nel conflitto israelo-palestinese. Illuminante.


All’Assemblea generale dell’Onu i venticinque Stati dell’Unione Europea hanno votato a favore della risoluzione che, in conformità al parere della Corte dell’Aja del 9 luglio, chiede a Israele di abbattere il muro, costruito per bloccare gli attacchi terroristi, che lo separa dai territori palestinesi. Israele ha bollato come « vergognoso » il sostegno degli europei alla risoluzione e ha stigmatizzato il comportamento della Francia, attivissima nel trascinare al voto gli altri Paesi europei. Nel frattempo, proprio la Francia resta al centro di una controversia tra le più spiacevoli con Israele. Dopo che il premier israeliano Sharon ha invitato gli ebrei francesi a rifugiarsi in Israele per sfuggire a una situazione sempre più pesante ( le manifestazioni di antisemitismo, anche violento, hanno da alcuni anni una cadenza quasi quotidiana in Francia) il presidente francese Chirac, per ritorsione, ha dichiarato inopportuna una visita di Sharon nel suo Paese.
In questa fase storica il risorgere dell’antisemitismo in Europa e il conflitto israeliano- palestinese sono intimamente legati e l’Europa non può più fingere che nella sua politica verso Israele non si siano accumulate ombre pesanti. Soprattutto, se pretende di svolgere un ruolo pacificatore nella regione.
Il caso della Francia è emblematico. Per diversi anni le autorità hanno minimizzato il fenomeno dell’antisemitismo montante ( molti atti di antisemitismo, pare, si devono a estremisti islamici ma molti anche all’estrema destra e all’estrema sinistra francesi). Solo in tempi recenti, quando ormai non era più possibile tenere gli occhi chiusi, il governo ha preso atto della gravità della situazione e si è impegnato a contrastarla. C’è una assai probabile connessione fra il risorgere dell’antisemitismo e la posizione francese nel conflitto israeliano- palestinese.
Da sempre schieratissimo con i palestinesi di Arafat il governo non ha mai fatto nulla per assumere una posizione più equilibrata in quel conflitto né per promuovere presso l’opinione pubblica una visione di esso meno partigiana.
Gli altri Paesi europei, con qualche variazione di accento ( e qualche presa di posizione dissonante, come quelle pro- Israele del governo Berlusconi), seguono per lo più la Francia. Desiderosi di non irritare le loro comunità musulmane e di non compromettere i rapporti con i Paesi arabi, da anni hanno scelto di non avere una posizione super partes nel conflitto israeliano- palestinese. È questa Europa che, due giorni fa, all’Onu, non si è neppure chiesta se fosse almeno il caso di astenersi sulla questione del muro ( in virtù del quale sono drasticamente diminuiti nell’ultimo anno gli attentati kamikaze contro la popolazione israeliana).
L’Europa però si trova a fronteggiare tre problemi. Il primo è che le sue posizioni come si è visto finiscono, sia pure involontariamente, per alimentare l’antisemitismo. Il secondo è che le sue carte diplomatiche in Medio Oriente sono ormai usurate. Il « campione » su cui ha sempre puntato, Arafat, è un satrapo al centro di un sistema di corruzione che l’Europa stessa ha alimentato con il suo denaro e che ora viene contestato da un numero crescente di palestinesi.
Il terzo è che in epoca di guerra fra Occidente e terrorismo islamico portare, come accade in questi giorni, le relazioni fra le democrazie europee e quella israeliana vicine al punto di rottura non può accrescere la sicurezza dell’Occidente e dell’Europa. Piuttosto che atteggiarsi a improbabili pacificatori del Medio Oriente i governi europei dovrebbero finalmente avviare una « franca discussione » su tutti gli errori commessi.

Emanuele Ottolenghi a pagina 4 del Foglio, nell'articolo "L'Europa si allinea dalla parte palestinese della barriera d'Israele", rileva come il voto dell'Europa a favore di una sentenza chiaramente politica e antiisraeliana ne faccia un attore dello scenario mediorientale schierato con una parte e assolutamente improponibile come mediatore. Eccellente.

Dopo il parere della Corte internazionale dell’Aia, anche l’Assemblea generale
delle Nazioni Unite ha dichiarato l’illegalità della barriera difensiva israeliana, sottoscrivendo le tesi palestinesi: Israele deve smantellare la barriera e pagare i danni. La risoluzione equivale a quella del 1975, che paragonava il sionismo al razzismo. Sostenuta da tutti i venticinque membri dell’Unione europea, riflette le reazioni di 29 anni fa: dietro l’ambiguità
diplomatica emerge un sostegno incondizionato alla risoluzione odierna come alla vile equazione di allora. Quando la questione fu posta all’Aia, l’Europa si oppose al dibattimento, ritenendo che spettasse ai vertici politici risolvere
il contenzioso. Ma dopo il parere, l'Europa ne sottoscrive le conclusioni senza
remore, quasi le avesse sostenute fin dall'inizio. La diplomazia europea tradotta in venti lingue e nel consenso di venticinque governi, ha un comune denominatore molto basso. E Israele ha già dichiarato che non terrà conto né del parere né della risoluzione. Ma al di là delle piroette diplomatiche, c’è ora la sanzione ufficiale di un pericoloso cambiamento di corso. Parere e risoluzione infatti sposano le tesi palestinesi sul conflitto, allineando l’Europa a una delle parti in causa e privandola di ogni residua velleità d’imparzialità. I due documenti imputano la responsabilità del conflitto a Israele soltanto, opinione largamente condivisa dagli europei, che vedono il presidente palestinese Yasser come genuinamente dedito alla pace e si schierano, due a uno, a favore dei palestinesi. Pur condannando il terrorismo, la maggioranza degli europei vede gli attacchi suicidi come una conseguenza delle politiche del primo ministro israeliano Ariel Sharon: per l’Europa, Israele è colpevole delle proprie sofferenze. Ritenendo che la diplomazia sia ancora possibile, l’Unione ha votato ieri per condannare quello che considera una violazione del diritto internazionale, quindi un ostacolo al ritorno della diplomazia e un impedimento a una risoluzione ragionevole del conflitto. Per l’Europa la pace sfuggì per un soffio nel 2001: se Israele e palestinesi avessero avuto più tempo a disposizione per trattare, e se Israele avesse fatto
ulteriori concessioni, sarebbe stata raggiunta, risparmiando a entrambi le successive sofferenze. La colpa ricade quindi su Sharon e sulle sue politiche, tra cui la barriera difensiva. Il terrorismo diventa una conseguenza, l’efficacia preventiva della barriera e il rifiuto di negoziati con Arafat l’ostacolo alla pace. Non stupisce dunque che gli europei accolgano con favore il parere dell’Aia e votino in blocco con i palestinesi alle nazioni Unite. L’Europa vorrebbe che Israele abbandonasse il suo progetto di difesa – la barriera e le altre azioni antiterroristiche – per cedere a tutte le pretese dei palestinesi, perché in fondo l’Europa vorrebbe vedere Israele perdere. Parere e risoluzione avallano quindi la visione palestinese del conflitto, contenendo in più tre elementi sovversivi del diritto, compreso quello d’Israele alla difesa: il primo sminuisce la minaccia terroristica palestinese negando l’efficacia della barriera come strumento difensivo. Il secondo riconosce il diritto d’Israele all’autodifesa soltanto contro Stati, non contro attori come il terrorismo palestinese, che diventa quindi legittimo. Il terzo definisce i territori come palestinesi, trasformando la linea verde da linea provvisoria di cessate il fuoco a confine internazionale sacro e inviolabile. Il problema non è il terrorismo, ma l’occupazione; tutto il territorio, nonostante la risoluzione 242 dica il contrario, sarebbe palestinese; la barriera non è uno strumento di difesa ma di annessione di terra non più oggetto di contesa, ma aggiudicata, senza tenere in considerazione la 242,
ai palestinesi. Israele perde qualsiasi rivendicazione e dovrebbe ritirarsi. I negoziati servono a regolare il ritiro israeliano, null’altro. Questo il significato dei due documenti e la natura della posizione dell’Unione europea. Quando le politiche di Sharon stanno dando i loro frutti e la strategia palestinese è a un passo dal collasso, la Corte internazionale e l’Assemblea generale offrono all’Europa una scusa per impedire a Israele di vincere la guerra scatenata dai palestinesi, dandogli la sola opzione possibile di capitolazione e resa incondizionata.

Il Riformista nell'articolo di prima pagina, "La vendetta di Chirac su Sharon", si sofferma sulla querelle franco-israeliana,e spiega come la Francia abbia spinto per una risoluzione la più critica possibile verso Israele, trascinando dietro di sè i paesi dell'Unione.


Sostiene l'ambasciatore israeliano all'Onu, Dan Gillerman, che la decisione dei 25 paesi dell'Unione europea di votare a favore della risoluzione dell'Onu contro la barriera di separazione è frutto del ruolo nefasto giocato in questa vicenda dalla Francia. Gerusalemme, beninteso, non ce l'ha solo con Parigi ma con tutti i paesi europei, che a giudizio israeliano si sono giocati ogni possibilità di esercitare un ruolo negoziale futuro. Ma se l'ira nei confronti di paesi come Italia e Gran Bretagna è mitigata dal fatto che hanno ottenuto almeno di emendare il testo originario - inserendo un passaggio di condanna del terrorismo e di conferma del diritto all'autodifesa - l'insistenza con cui la Francia ha ottenuto che l'Europa votasse compattamente sì, anziché astenersi come aveva fatto altre volte in circostanze simili, viene bocciata senza appello. E fa ulteriormente precipitare la già difficile crisi diplomatica tra Israele e il paese europeo col più alto numero di cittadini ebrei.
Tra i paesi europei che contano, da sempre la Francia - che vanta solidi rapporti con molti paesi arabi del bacino mediterraneo - ha la posizione più critica nei confronti dei governi israeliani. Che sia stato l'ambasciatore francese a caldeggiare l'uscita degli europei dal limbo dell'astensione stupisce dunque assai poco. E tuttavia, l'episodio segnala come la crisi innescata dalla gaffe di Sharon - che aveva invitato gli ebrei francesi a emigrare in Israele per sfuggire all'ondata di antisemitismo che sta investendo la società transalpina - e proseguita con l'annuncio francese che Sharon era da considerarsi persona non grata, è ben lontana dalla fine. Al contrario, non è da escludere che lo zelo della delegazione francese fosse proprio una forma di ripicca nei confronti del premier israeliano, il cui appello all'emigrazione era stato recepito come una sfiducia nei confronti dell'insieme delle istituzioni francesi e in particolare nei confronti dell'impegno che il presidente Chirac ha profuso in prima persone nel condannare la risorgenza dell'antisemitismo.
Nella speciale riunione tra gli ambasciatori dei paesi Ue, la Francia avrebbe spinto non solo per far prevalere il sì sulle astensioni, ma anche perché nel testo si dicesse che l'Assemblea generale dell'Onu «accoglie con favore» la sentenza della Corte di Giustizia dell'Aja, che il 9 luglio ha giudicato il Muro contrario al diritto internazionale; termine, quest'ultimo, assai più caloro dell'«accettazione» della sentenza prevista nel testo originario, e soprattutto del «prende atto» caldeggiato senza successo dall'ambasciatore britannico.
Al di là della sponsorship francese, la decisione delle delegazioni europee ha sortito effetti che hanno travalicato i confini continentali. Come i 25, infatti, hanno optato per il sì altri 35 paesi - in prevalenza dell'America centro-meridionale e dell'Asia centrale - che sul Medio Oriente erano soliti seguire l'Europa nell'astensione. La maggioranza schiacciante con cui è stata approvato la mozione di martedì sera (150 favorevoli, 6 contrari e 10 astensioni) si spiega anche così.

Sulla prima pagina di Libero Carlo Rebecchi, nell'articolo "Anche l'Italia all'Onu vota contro Israele e si schiera con Arafat", pone appunto in evidenza l'allineamento del nostro paese al voto deglia altri paesi europei, certamente un passo indietro rispetto alle posizioni più equilibrate assunte dal nostro governo sul conflitto israelo-palestinese.
Ecco il pezzo, nella versione ridotta pubblicata on-line.

L'Onu si schiera ancora una volta contro Israele e il suo diritto a difendersi dagli attacchi kamikaze. E lo fa anche grazie al voto dell'Italia. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha infatti approvato un documento, peraltro non vincolante, in cui condanna la costruzione da parte dello Stato ebraico della barriera difensiva a ridosso dei territori palestinesi, e gli si chiede di smantellarla. Solo 6 su 166 i voti contrari, tra cui quello americano. Il governo israeliano ha parlato di documento «vergognoso». Un voto che più «bulgaro non avrebbe potuto essere, quello dell'Assemblea generale dell'Onu. Dei 166 Paesi che vi hanno partecipato, 150 - tra i quali i 25 dell'Unione Europea, e quindi anche l'Italia - hanno votato a favore. Sei (Israele, Usa, Australia, Micronesia, Isole Marshall Palau) hanno votato contro. Dieci gli astenuti: Canada, Uruguay, Camerun, Tonga, Vanuatu, Salvador, Uganda, Papua Nuova Guinea, Nauru e Isole Salomone. In croce, ancora una volta, Israele. Per via del «muro di difesa» che il governo Sharon sta erigendo ai confini della Cisgiordania per proteggersi dagli attentati dei kamikaze palestinesi, in vista anche del ritiro dai Territori.



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