La vita nel campo profughi sembra apparentemente normale, i negozi sono aperti, la vita scorre apparentemente tranquilla, la gente esce, i bambini giocano per le strade.
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Dopo piu' di due anni torniamo al campo profughi di Deheishe, vicino a Betlemme. Avevamo lasciato l'area, nella Pasqua del 2002, un cumulo di macerie e desolazione dopo l'ennesima occupazione dell'esercito israeliano.
La trasformazione ora e' sorprendente e ce ne accorgiamo subito. Le strade sono completamente asfaltate la dove il passaggio dei carri armati e dei bulldozer le aveva rese impraticabili.
Arriviamo a Ibdaa, il centro culturale che ci ospita di nuovo. La vita nel campo profughi sembra apparentemente normale, i negozi sono aperti, la vita scorre apparentemente tranquilla, la gente esce, i bambini giocano per le strade. Ma questa normalita' e' solo una patina sotto la quale e' celata l'angoscia e lo sconforto provocati da una occupazione snervante che si protrae ormai da troppi anni.
Infatti, addentrandoci nel campo ci fanno notare le case abbattute la settimana scorsa dall'IDF. Spesso gli israeliani fanno delle incursioni mirate per colpire le case dei combattenti palestinesi, punendo sommariamente le loro famiglie, demolendone le case con la dinamite.
E' la settimana in solidarieta' con i prigionieri politici detenuti nelle carceri israeliane. I detenuti sono quasi 8000 e vivono in condizioni disumane, fuori da ogni diritto internazionale, non essendo ritenuti prigionieri di guerra.
Con tutti i bimbi e le bimbe di Ibdaa ci rechiamo a Betlemme dove, nella sede della croce rossa e' stata messa una delle tante tende allestite in tutta la Palestina, in solidarieta' con lo sciopero della fame iniziato dai detenuti qualche giorno fa.
Siamo tanti e sul pullman si canta Bella ciao in italiano, ed incredibilmente, soprattutto le bambine, la sanno tutta a memoria. Arriviamo al sit-in e sfiliamo davanti alle numerose fotografie portate dai familiari dei detenuti. Gli uomini parlano, i bambini cantano e danzano balli di liberazione e di pace. L'atmosfera e' abbastanza distesa e sembra ormai lontana da quella di qualche anno fa. A ricordarci che le restrizioni e l'oppressione israeliana non sono finiti, e' il pensiero che i presenti dedicano ai 28 uomini che furono deportati a Gaza nel giugno 2002. Deportati perche' cercarono di resistere all'invasione israeliana e come ultimo gesto si serrarono dentro la chiesa della nativita' portando in salvo molte famiglie di Betlemme.
Gli anni sono passati, le strade ricostruite ma loro a Deheishe non ci possono tornare, di loro per ora rimangono solo quelle foto attaccate ad un muro.
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