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Nablus: racconto di ordinaria occupazione
by IMC / border=0 Wednesday, Aug. 25, 2004 at 10:57 PM mail:  

Un tipo enorme, rasato, con una maglietta bianca aderente che quasi scoppia. Una botta di clacson e ci fa salire sul suo furgone. Al suo fianco un ragazzo. Il tipo ha un modo di fare rude e deciso, accenna un sorriso beffardo e pigia al massimo il piede sull'accelleratore per le strade serpeggianti delle montagne attorno a Nablus. Sotto il suo sedile ha una mazza da baseball. Ce la indica ridendo fragorosamente e mimando il gesto di spaccare una testa.
Ad un incrocio un giovane colono aspetta da solo qualcosa o qualcuno impugnando un mitra. Gli passiamo vicino con il rumoroso furgone e il nostro enorme autista gli grida qualcosa, non certo un complimento.

Dopo l'ennesima curva accosta a destra, fingendo un guasto al motore.
Mentre apre il cofano ci indica la cima del monte che sale sul fianco della carreggiata. "Jalla! Jalla!" quella e' la roccia che dobbiamo scavalcare. "Give me money" aggiunge frettolosamente, precisando che vuole 100 shekel senza ammettere replica.
Noi incespichiamo per la rupe sassosa a passo svelto, siamo allo scoperto e in pieno giorno e se passano le Jeep
dell'IDF di ronda sono guai seri per tutti. Cento metri di salita e al principio di un sentiero ci aspetta un furgoncino. Cinque minuti fra le mulattiere delle montagne, si riscende, un altro tratto a piedi, si ricambia furgone e finalmente a valle: Nablus.

Passare per le montagne e' il solo (costoso) modo per entrare in questa citta' tenuta d'assedio orai da giorni dalle truppe israeliane. Si incontrano asini, muli carichi e file di uomini e donne che salgono lentamente.
All'ennesimo check-point non si passa, dopo aver fatto 60 km in quattro ore non ci resta che fare come molti palestinesi quotidianamente fanno per evitare i controlli ed entrare nella citta' occupata.

Nablus, la roccaforte di Al Fatah, citta' storica della resistenza palestinese.
In questi giorni le incursioni dell'esercito isrealiano hanno provocato due morti (uno dei quali un bambino di 8 anni assassinato sulla porta di casa) e un elevato numero di feriti.

In realta' il nostro arrivo corrisponde con il ritiro dell'esercito. La citta' formicola caoticamente, benche' non si sappia quando gli israeliani rioccuperanno le strade e imporranno il coprifuoco. Mercatini ovunque, mentre camminiamo per le vie centrali. Tanta rabbia quando nei pressi della citta' vecchia ci portano a visitare le case che l'IDF ha occupato e devastato. Ci sono muri divelti dalle bombe che i militari piazzano per aprirsi i varchi. Preferiscono abbattere le pareti di casa in casa piuttosto che avanzare per strada, allo scoperto. Un buon motivo per perquisire al sicuro e fare dei gran danni.
Malvagi dentro.
Raggiungiamo Balata, campo profughi a sud-est di Nablus. Un angolo poverissimo e combattivo della Palestina, lo leggi negli occhi della gente e lo senti nelle grida di centinaia di bambini.
Ma forse in questo caso i numeri possono rendere l'idea di Balata: 20.000 abitanti, 800 detenuti, 1000 feriti e 450 morti dalla seconda intifada. Ci dicono che solo Gaza ha
pagato un prezzo maggiore in combattenti uccisi.
In questi giorni l'esercito ha fatto numerose incursioni ingaggiando battaglie con i bambini armati di sassi e piazzando i cecchini nelle case strategiche.
Altre case occupate, demolizioni e il solito supplizio per i palestinesi.

Ci raccontano queste cose gli attivisti dell'ISM che incontriamo qui, ma l'aria e' distesa, la gente gioisce dell'assenza delle truppe sioniste, si esce la sera e l'atmosfera e' rilassante.
Andiamo ospiti a dormire in una casa ad un altro campo profughi, quello di Askar.

Alle 6.40 sirene e altoparlante sgretolano il nostro sonno e l'illusione del ritiro degli israeliani.
Ci rivestiamo di corsa e mentre albeggia il tetro profilo delle Jeep ci viene incontro. Violiamo subito il coprifuoco
con gli altri internazionali per precipitarci in strada.
La Jeep dell'esercito accosta, dentro un druso (arabi israeliani o libanesi arruolati nell'IDF) sghignazzando ci dice "Good morning" e subito dopo "Go! Go!".

Benvenuti nell'occupazione.
I megafoni delle Jeep gracchiano "Jalla Shebab!" per esortare tutti gli uomini del campo dai 16 ai 40 anni a
presentarsi alla scuola, dove verranno poi detenuti per 10 ore durante le operazioni per il campo.
La scuola e' di gestione dell'UNWRA, cioe' dell'ONU.
Ma dove sono i responsabili internazionali?
Quando un esercito usa una struttura dell'ONU come prigione, e tutti i gestori latitano, allora vien da pensare che l'ONU e' complice.

Siamo pochi e la rabbia monta nel vedere la solita scena. Le Jeep e i blindati girano in continuazione per il campo provocando i bambini.
Questi, come se il loro gioco fosse l'ultimo baluardo della resistenza, fanno di tutto per inventarsi barricate e appena vedono un mezzo militare fanno partire la sassaiola. I criminali in divisa non aspettano altro.
Ben corazzati nel loro blindato aspettano di ricevere le prime pietre, poi scendono al volo e tirano.
Spesso lanciano lacrimogeni e bombe assordanti, talvolta sparano.

E' una follia, non ci sono altre parole.
Uomini armatissimi, coordinati, addestrati e gonfi di odio ingaggiano degli scontri a fuoco con bambini di
6, 10 e 12 anni.
Cerchiamo sempre di non scadere nella retorica del buono/cattivo, del violento contro il bambino: ma la realta' delle incursioni dell'IDF nei campi supera ogni velleita' stilistica o "politically correct", la realta' e' drammaticamente e rabbiosamente cosi'.
Uomini armati contro bambini scalzi.

Bisogna concentrarsi per rendersi utili in questo delirio. I soldati stanno occupando e perquisendo casa per casa. Controllo e consapevolezza.
Dobbiamo andare, coordinati dall'ISM, nelle case occupate e chiedere di farci entrare.
Per un duplice motivo: portare cibo e solidarieta' alle
famiglie (o soccorsi talvolta) e mettere sotto pressione le truppe con la presenza degli internazionali.

Il tempo passa lento sotto il sole cocente, le scene si ripetono in una maniera cosi' ossessionante che quasi ci si abitua a tutto questo via vai di soldati, fucili puntati, insulti.
Ci guardano come alieni, ci puntano il fucile addosso masticando parolacce in inglese e scuotendo la testa.
Qualcuno alza la voce e l'impotenza a volte prende il sopravvento. Teniamo duro e continuamo a visitare case, con in testa bene in mente che quello che per noi e' lo stress di un duro giorno d'assedio, per i palestinesi e' l'infernale e snervante realta' quotidiana.

Una donna grida, chiediamo ai soldati di farci entrare. Sentiamo che stanno picchiando qualcuno dentro. Ovviamente escono quando gli pare a loro e solo dopo aver devastato la casa. Portiamo soccorso a una ragazzina incinta che non smette mai di piangere, e a una donna che ha preso un
calcio del fucile sullo sterno e dal panico non riesce a respirare.
E'rimasta spaventata anche dal cane che l'esercito si porta appresso per perquisire le case.
Tante piccole scene, tanti dettagli di dolore e disperazione, che e' cosi' difficile raccontare e riportare.
Da tanto meticoloso e sistematico odio in divisa, ma che altro puo' nascere se non altro odio?

Passano le ore, mentre facciamo l'ennesimo giro un soldato cerca di portarsi via uno di noi.
Facciamo i cordoni e dopo un violento tira e molla riusciamo a tenerci il compagno e cambiamo zona.
Non appena nascosto il ragazzo in questione tre Jeep e, addirittura!, un cingolato con torretta ci bloccano. Tutto il rancore che covano glielo leggiamo negli sguardi, lo sentiamo nella voce mentre ci prendono un altro compagno,
palestinese, e lo perquisiscono.
Sono tracotanti, colmi di superbia e armi, ma malcelano una paura infinita.
Di che? Di cosa? Dei bambini? Degli arabi, della Palestina? Di gente normalissima ma dignitosa? Dei terroristi
che la loro fobia vede ovunque?

Avanziamo al centro della strada nel tentativo simbolico di bloccare e rallentare le loro operazioni. Battiamo le mani cantando "One, two, three, four, occupation no more, five, six, seven, eight, stop the killin' stop the hate".
Un blindato ci viene incontro e noi ci attacchiamo al suo
cofano, alle sue spalle una truppa di soldati spara in aria e ci tira una sound bomb. Infine ci lanciano due lacrimogeni e ci sparpagliano.
Non importa, serviva a distrarre le truppe per far scappare un "ricercato" e a farci un po' di coraggio. ;)

Il sole tende a rallentare la sua morsa, e verso le quattro e mezza del pomeriggio cominciano a rilasciare le centinaia di shebab detenuti nella scuola. Ne trattengono 8 (oltre ad un internazionale arrestato), due di questi erano ricercati e con la scusa di prenderli hanno devastato tutto
il campo. Altri due che cercavano sono latitanti.
Ma c'e' un'atmosfera piu' distesa, un vociare intenso e una ressa di bambini e adulti che salutano, si abbracciano, si danno pacche sulle spalle.
Ancora una volta piovono lacrimogeni e sound bombs, i bambini continuano a tirare pietre. Quando qualche merda prova a sparare ci mettiamo in mezzo e spieghiamo loro che sono bambini, che i lacrimogeni sono gia' sufficienti
ad allontanarli.

Alla fine, e che liberazione!, quando le truppe israeliane abbandonano la via centrale e se ne vanno definitivamente, uno sciame di bambini gli corre dietro tirando decine e decine di sassi.
E' la fine di incubo (almeno per oggi), viene voglia di correre e gridare con loro, e non possiamo trattenere quel
sorriso che ci vien naturale di fronte a tanta genuina ilarita' e dignita'.

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