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Liberazione: L'Italia dietro la decisione di chiudere il sito?
by alice Sunday, Oct. 10, 2004 at 2:31 PM mail:

da Liberazione del 10/10/04

Liberazione: L'Itali...
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L'Italia dietro la decisione di chiudere il sito?

Le smentite del Viminale non chiariscono il giallo
Indymedia, prove di repressione globale


Applicazione della dottrina repressiva di Bush, secondo la quale, nella guerra preventiva e senza limiti al terrorismo, anche Internet si deve considerare territorio degli Usa. E' certo che nell'attacco a Indymedia - sequestro di "hard disk" e oscuramento di siti - c'è la partecipazione della polizia e della magistratura elvetica. Dubbio il coinvolgimento anche dell'Italia. Ne ha fatto cenno il funzionario dell'Fbi Joe Parris in un'intervista a France Presse. Dopo aver detto che «l'intervento è stato fatto a nome di paesi terzi», ha indicato Svizzera e Italia. Secondo lui l'autorità giudiziaria americana si sarebbe limitata ad «aderire agli obblighi legali contenuti nei nostri trattati di assistenza reciproca». Nell'aggiornamento dei trattati, fatto dopo l'11 settembre, l'applicazione delle norme di reciprocità è stata estesa dai reati di riciclaggio e sequestro di persona ai reati di terrorismo. Le richieste di sequestro seguono la procedura della rogatorie: l'Interpol deve fornire al Paese al quale è chiesto l'intervento una documentazione giudiziaria preventivamente vagliata dall'ufficio rogatorie penali del ministero della Giustizia. Se l'Italia fosse implicata, gli atti dovrebbero essere transitati per la polizia delle telecomunicazioni, che dipende dal Viminale, e per il ministero della Giustizia. In un caso come questo, dove s'invocano per giustificare il sequestro gli accordi di reciprocità nella lotta al terrorismo, ne doveva essere al corrente anche la polizia di prevenzione, il braccio del Viminale nel contrasto dell'eversione. Ed era impossibile che non ne fosse informato Pisanu, perché il ministro dell'Interno di regola viene messo a conoscenza di qualsiasi atto della polizia riguardante gli organi dell'informazione. Ma il Viminale non ha dato nessuna luce sul mistero. Un funzionario della polizia di prevenzione ha detto che qualche suo collega ieri mattina, dopo che la notizia era sui giornali, si è solo attivato per sapere se ci fosse del vero ma non ha avuto conferme né dalla polizia delle telecomunicazioni né da altri apparati. Un'altra fonte ministeriale ha escluso che il Viminale potesse essere all'oscuro se l'Italia fosse stata coinvolta. Al ministero della Giustizia è calato il grande silenzio del sabato, giornata in cui la maggior parte degli uffici sono deserti. Nei tentativi fatti dagli avvocati di Indymedia per avere spiragli, da via Arenula è uscita solo qualche voce che non è andata oltre il rituale: «Non sappiamo niente». L'Italia non c'entra davvero nel giallo, oppure è partita qualche sotterranea iniziativa collegabile con le denunce di vilipendio contro Indymedia di cui si occupano sei procure? Gli applausi della destra sono sospetti. Landolfi di An ha detto: «Aver oscurato i siti di Indymedia è stata una cosa buona e giusta».

Se l'Italia veramente non c'entra, il guaio lo avrebbe combinato da sola la Svizzera dando all'Fbi un'occasione ghiotta per far valere la sua strategia intrusiva nei confronti del mondo web. La motivazione con cui le autorità elvetiche hanno chiesto il sequestro dei server della Rackspace (due a Londra e uno a San Antonio in Texas) su cui si appoggiano molti siti di Indymedia, sembra aver poco a che fare col terrorismo. Dal primo al 3 giugno 2003, durante lo svolgimento del G8 a Evian, ci furono oltre che manifestazioni no global anche scorribande di "black blok" a Ginevra. Le foto scattate da un reporter permisero di individuare durante un assalto due agenti camuffati da sfasciatori. Probabilmente erano agenti sotto copertura col compito di fare indagini sui gruppi più violenti. Quelle immagini sono state proiettate sui siti di Indymedia e per provare che i finti "black blok" facevano parte della polizia sono stati indicati anche i loro indirizzi. La Svizzera se voleva proteggere quei poliziotti poteva trasferirli in altre città, con altre funzioni. Poteva anche denunciare chi aveva diffuso gli indirizzi per violazione della riservatezza. Ma tutto questo non può essere preso a pretesto per applicare, in violazione dei diritti di comunicazione sulla rete Internet, gli accordi internazionali sottoscritti con gli Usa per combattere il terrorismo. La decisione della corte federale di San Antonio di accogliere la richiesta svizzera ha fornito al sistema repressivo americano lo strumento giuridico per scatenare un'operazione di censura globale. Alle 18 di giovedì gli agenti federali si sono presentati nella sede statunitense di Rackspace, provider di Indymedia, e hanno sequestrato le macchine e i dischi. Stessa operazione a Londra in due sedi di Rackspace. Contemporaneamente sono stati oscurati gli Indy Media Centers locali attivi in Amazzonia, Uruguay, Andorra, Polonia, Massachusetts occidentale, Francia, Germania, il paese basco, Liegi, Belgio, Belgrado, Portogallo, Praga, Galiza, Italia, Brasile, Regno Unito; più il sito della radio on-line di Indymedia. org. Indymedia ha comunicato di non conoscere i motivi di questa operazione. I suoi avvocati si sono riuniti per capire come muoversi. Due sono partiti per Londra. Aidan White, segretario della federazione giornalistica internazionale (Ifj) ha detto: «Abbiamo assistito ad un'intollerabile e invasiva operazione internazionale di polizia contro una rete specializzata nel giornalismo indipendente. Il modo in cui si è agito ha il sapore più dell'intimidazione contro una legittima inchiesta giornalistica che non della repressione di un crimine». Secondo l'Ifj il sequestro dei siti potrebbe anche essere legato alla diffusione in rete delle denunce presentate da un gruppo di media indipendenti Usa su presunte "magagne" nella progettazione, affidata alla Diebold, del voto elettronico per le prossime elezioni Usa.

Annibale Paloscia

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