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il manifesto: I mediattivisti attaccano il provider Usa: «Non si sono opposti»
by alice Monday, Oct. 11, 2004 at 11:14 AM mail:

articolo del 10/10/04

GENOVA
I mediattivisti attaccano il provider Usa: «Non si sono opposti»
All'assemblea nazionale degli «indyani» accuse a Rackspace e inviti alla mobilitazione contro la repressione «globale»
SARA MENAFRA INVIATA A GENOVA


A guardarli da vicino gli attivisti di Indymedia, che hanno appena subito il sequestro dei server su cui viveva il loro sito internet, non sembrano troppo spaventati e attaccano il server Rackspace: «Hanno consegnato volontariamente i server, potevano evitare di farlo». Da venerdì scorso e fino a oggi molti di loro sono al laboratorio Buridda di Genova per un'assemblea nazionale. Un appuntamento programmato da tempo, di quelli che almeno un paio di volte all'anno mettono faccia a faccia persone abituate a parlarsi tutto il giorno attraverso uno schermo del pc e un nick name (il nome fittizio con cui identificarsi attraverso la chat). E nonostante il fatto che il sito italy.indymedia.org non esista fisicamente più - anche se da venerdì mattina è attivo un nuovo server che per ora ospita solo i comunicati stampa - la riunione programmata va avanti. Un po' perché la metà dei presenti sono «smanettoni» capaci di tirare su siti internet e reti in poche ore, un po' perché «finché non si saprà con certezza chi ha chiesto il sequestro è inutile parlare solo di questo». Certo il problema c'è e infatti la discussione di ieri mattina è stata dedicata totalmente al sequestro. Ha prodotto un lungo comunicato stampa che comincia prendendosela anche con Rackspace, il provider che ospitava i server sequestrati e che non ha esitato un minuto a consegnare tutto al governo americano appena è arrivata la richiesta: «E' un atto intimidatorio teso ad inviare un chiaro segnale a Indymedia e a tutti coloro i quali immaginano una realtà altra impedendoci tra l'altro di ripristinare rapidamente i siti». A fine serata un'ipotesi c'è: una rogatoria internazionale partita dall'Italia in seguito agli insulti ai militari di Nassiryia comparsi sulla parte del sito a pubblicazione aperta. «Cambia poco. Che l'ordine venga dall'Italia o da qualche altra parte del mondo non è di per se rilevante - dice Elettrico, un attivista di Indymedia Piemonte - il fatto che nel sequestro sono stati coinvolti almeno tre paesi, l'Italia, gli Usa e la Gran Bretagna è l'ennesima prova che la repressione viaggia su scala globale».

Già una volta Indymedia Italia è stata a un passo dalla chiusura. La procura genovese sequestrò tutto l'archivio video raccolto durante il luglio 2001 al G8 e conservato nel Teatro polivalente occupato di Bologna. Un colpo tremendo, eppure oggi un gruppo di attivisti ha tirato su proprio a Genova un team di supporto legale. Ma di esempi ce ne sono anche altri: «L'episodio di Indymedia - continua il testo - è solo l'ultimo in ordine di tempo di una escalation preoccupante di repressione che non riguarda soltanto il fantomatico mondo del digitale e della comunicazione, ma anche la contestazione di reati gravi come il 270 bis, ter e quater (associazione sovversiva, che prevede pene decennali) solo per aver distribuito volantini in solidarietà ad una persona arrestata, rispolverando il quantomai attuale reato di propaganda sovversiva così amato dai regimi». Ma nell'elenco compaiono anche la censura del sito anarchico anarcotico.net, la causa di Trenitalia contro il server autogestito Autistici/Inventati, colpevole di aver dedicato un sito ai treni che trasportano armi per la guerra in Iraq. Certo in un modo o nell'altro tutte le volte Indymedia e gli altri siti di movimento sono sempre sopravvissuti. Ma la domanda è d'obbligo: che si fa? Il comunicato dice: «Invitiamo tutti e tutte a esercitare pressione e attivarsi sia nella rete che nei territori. Oggi l'informazione è sovversione: uno mille centinaia di migliaia di sovversivi in ogni luogo». In pratica? «Ognuno si organizzerà come vuole - dice "killerina" di Indymedia Sicilia - quello che faremo a Palermo potrà essere completamente diverso da quello che faranno a Milano».

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