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"Basta morire di carcere"
by info Monday, Oct. 18, 2004 at 11:40 AM mail:

Stop alle carceri sovraffollate e alla mala sanità penitenziaria, sì alla piena applicazione della Legge Gozzini: i detenuti italiani chiedono condizioni detentive più umane e per questo, a partire da domani, protesteranno tutti insieme, in decine di carceri, con una mobilitazione nazionale e pacifica che si snoderà per settimane con scioperi della fame e altre forme di protesta.

L'associazione culturale dei detenuti del carcere romano di Rebibbia, «Papillon», tra i principali promotori della mobilitazione, spiega che scopo della manifestazione è anche sollecitare le istituzioni - parlamentari e amministratori locali - a presentare proposte di legge contenenti un «reale» provvedimento di indulto e amnistia oltre a provvedimenti che rendano obbligatoria l' applicazione «piena e integrale della legge Gozzini in tutti i tribunali di Sorveglianza per tutti i detenuti» e la limitazione dell' «uso e l'abuso» della custodia preventiva.

Sulla legge Gozzini i detenuti hanno anche chiesto che sia indetta anche una Conferenza nazionale, promossa dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato. E proprio oggi l'associazione in una lettera ai parlamentari che suona come implicita risposta alle recenti dichiarazioni di Berlusconi, sostiene che «la prima riforma della Giustizia è quella che riguarda il sistema penale e penitenziario italiano». Di fronte alla gravità della situazione, «prodotto di oltre 13 anni di lento degrado», invita perciò tutti i partiti a mettere da parte «sterili contrapposizioni e a ricercare in Parlamento un'unità di intenti».

«Non si può far finta - denuncia Papillon - di non vedere che in tutte le carceri viene ridotto ogni giorno il diritto ai permessi premio, alle misure alternative, al differimento della pena, all'uscita dall'incostituzionale art. 41 bis e alla liberazione anticipata». Tutto questo, spiega l'associazione «non fa che moltiplicare gli effetti di un sovraffollamento».

Nella capitale oltre a Rebibbia si mobiliteranno anche i 940 detenuti del carcere di Regina Coeli riprendendo la loro protesta con la battitura delle grate dalle 21 alle 22 in tutte le sezioni, nessuna esclusa. Durerà quattro o cinque giorni,e proseguirà con lo sciopero ad oltranza dal vitto dell'amministrazione e dai lavori e, probabilmente, con il rifiuto dei colloqui con gli avvocati difensori. Lavorare dentro o fuori dal carcere. E' quello che chiedono, dal sud d'Italia, i detenuti del carcere di San Severo, che hanno fatto un appello - affidato nelle mani del cappellano dell' istituto di pena - alle autorità locali e agli imprenditori affinchè si apra un dibattito sul tema della funzione riabilitativa del lavoro all' interno del percorso carcerario.«Siamo consapevoli - spiegano i detenuti- degli errori che abbiamo commesso; accettiamo la pena che ci è stata assegnata.

Ma la funzione del carcere è quella di riabilitarci, di darci nuove possibilità per un nuovo futuro. Potremmo impiegare il nostro tempo - concludono i detenuti - lavorando in carcere o fuori dall'istituto. Le leggi dello stato italiano lo consentono, e in modo particolare la legge 193/2000 cd. Legge Smuraglia lo favorisce, assicurando notevoli sgravi fiscali alle aziende e alle cooperative che offrono ai detenuti lavoro fuori e dentro il carcere». Da domani sciopero della fame, tra gli altri, anche dei detenuti del «Malaspina» a Caltanissetta. Ad un mese dalla plateale protesta dei detenuti di Regina Coeli per sollecitare l' amnistia per coloro che si trovano in cella per reati considerati non gravi,i detenuti siciliani spiegano: «vogliamo evitare che sulla questione scenda nuovamente il silenzio». «La decisione di protestare, tutti insieme e pacificamente - è scritto in una nota diffusa da Alfredo Maffi, responsabile dell' associazione culturale Onlus 'Papillon' di Caltanissetta - è un necessario atto di civiltà per richiamare alle sue responsabilità un mondo politico che sembra fatichi ad accorgersi che nella stragrande maggioranza delle oltre 200 carceri italiane il diritto è stato in un certo senso sospeso a tempo indeterminato, poichè tutto si può dire tranne che dentro le carceri siano davvero perseguite la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi».

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