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E Rebubblica tira fuori l' intervista
by repost Thursday, Mar. 10, 2005 at 3:22 PM mail:

il giornale fondato da quel fulmine di guerra di Eugenio Scalfari, diretto da un certo Mauro che in questi giorni si è esibito in pericolosi salti mortali con i suoi scribacchinii di punta (D' avanzo, oggi addirittura Maltese) cercando in tutti modi di proteggere l' Americano oggi pubblica l' intervista al marine Massey che racconta la vera situazione in Iraq. ____l'unico problema è che questo marine parla da giorni o da mesi, un intervista era già stata riportata dal Manifesto giorni fa ma non sembrava rilevante allora a lor signori. A cosa dobbiamo quindi tale slancio del quotidiano Repubblicano? semplicemente si spera porti acqua al mulino dell' incidente.........................meglio tardi che mai comunque, contando che forse 'il pubblico' è meno fesso di quello che pensano. Di una cosa gli scribbacchini però si dimenticano quando farneticano su regole d' ingaggio, mancata professionalità, e strategie dei ricatti. Tutto quello che succede all' italia è dovuto al suo appoggio ad una guerra colonialista. è inutile parlare degli effetti senza guardare alla causa.




Intervista all'ex marine Massey: "Uccisi 30 civili in due giorni"
Dissi al comandante che stavamo facendo massacri inutili
"Noi, killer ai checkpoint
le regole non ci sono più"
di RICCARDO STAGLIANO'


Marines Usa a Saqlawiyah
non lontano da Falluja
Il sergente Jimmy Massey è stato nei marines per 12 anni prima di finire in Iraq. Nell'aprile 2003 al checkpoint che comandava sono stati uccisi, in 48 ore, una trentina di civili: "Ci sono voluti due giorni perché ci spiegassero che il nostro alzare il braccio per intimare l'alt era interpretato come un gesto di saluto". Ha cominciato a non dormire più e ha protestato con i superiori. Rispedito a casa per "disordine da stress post-traumatico" è stato "congedato con onore" nel dicembre 2003. Oggi gira l'America raccontando quello che ha visto "perché in Iraq tutte le regole d'ingaggio e la Convenzione di Ginevra sono saltate".

Com'è possibile un malinteso del genere?
"Ricevevamo quotidianamente intelligence che ci mettevano in guardia contro gli attacchi suicidi, la nostra ansia veniva ingrassata da inviti a sospettare di donne e bambini, delle ambulanze: tutti gli iracheni erano dipinti come terroristi. Le dita scattano più facilmente sul grilletto con un trattamento del genere".

Sì, ma le regole d'ingaggio?
"Prima alzavamo il braccio - o accendevamo un faro di notte - poi una raffica di avvertimento (in un paese dove tutti sparano per aria per festeggiare) e quindi si mirava all'auto. Ma l'intervallo tra queste tre fasi si riduceva sempre più. Avevamo chiesto delle vere barricate per costringere al rallentamento ma i nostri genieri ci dissero che non erano essenziali. In verità si era pronti a correre il rischio di fare vittime innocenti per dimostrare chi fosse il più forte in campo".

Erano davvero terroristi?
"Nessuno, dalle auto su cui abbiamo sparato, ha mai risposto al fuoco. E mai, nelle perquisizioni sulle vetture, abbiamo trovato armi. Soldi in contanti, piuttosto, di gente che cercava di scappare. Ricordo la faccia insanguinata di una bambina di 6 anni, e gli occhi dell'unico sopravvissuto di una Kia rossa dalle parti dello stadio di Bagdad che continuava a ripetermi: "Perché avete ucciso mio fratello?"".

E lei cosa ha fatto?
"Io sono andato dal mio comandante e gli ho detto che stavamo facendo dei massacri inutili. Lui mi ha detto che avevo bisogno di riposo e di vedere uno psicologo. Mi hanno rimandato a casa".

I suoi soldati la pensavano come lei?
"Non è il loro mestiere mettere in discussione gli ordini. Erano ragazzi contenti del loro lavoro. E quando qualcuno ha cominciato a venire da me con dei dubbi, il mio compito era di mantenerli motivati per far sì che tornassero a casa interi. A loro dicevo "tornate a combattere", ma dentro non resistevo più. Violavamo tutte le regole che ci avevano insegnato".

Ha letto dell'agente italiano ucciso?
"Sì, e sapendo come funzionano i checkpoint non mi sorprende affatto: prima si spara, poi si fanno le domande. Non c'era alcuna linea guida sulla velocità dell'auto. Lo vado dicendo in giro da un anno ormai. Sapevo che era questione di tempo prima che lo scandalo venisse a galla. Tragicamente ci voleva una vittima famosa per denunciare anche i tanti iracheni morti".

(10 marzo 2005)

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Primo: screditare Giuliana
by = Thursday, Mar. 10, 2005 at 3:29 PM mail:

9 marzo - Primo: screditare Giuliana
Pierluigi Sullo



Informazione. E' partita la campagna per mettere la sordina alle voci libere. E per farlo si getta fango sul Manifesto e la sua inviata



Il check point dei media e della politica italiani ha regole d'ingaggio se possibile più drastiche di quelle dei militari nordamericani a Baghdad. Il paragone è certamente eccessivo, se si pensa alla pallottola che ha ucciso Nicola Calipari. Ma provate voi a mettervi nei panni di persone come Giuliana Sgrena e il suo compagno Pier Scolari, o l'intera redazione del "manifesto", che hanno vissuto - in modi diversi, certo - un mese di tensione e paura, di fatica e di speranza.
Uno di quei momenti della vita che sì, ti cambiano per sempre, come dice Gabriele Polo, ma allo stesso tempo lasciano cicatrici nell'anima e, nel caso di Giuliana, nel corpo, visto che dovrà essere ri-operata per riparare i danni di quelle pallottole. Ecco, mettetevi nei loro panni e immaginate che, subito dopo l'enorme gioia per la salvezza della nostra compagna, e subito dopo il grande trauma della morte di un agente dei servizi che si era conosciuto come una persona seria, competente ed umana, subito dopo questa tempesta di emozioni, vi capiti di essere diffamati, derisi, volutamente malintesi dalla generalità dei grandi giornali e dei grandi telegiornali, e da molta parte della politica.
Ci vogliono nervi molto saldi, e una enorme serenità, per resistere. I nervi e la serenità che aveva Gabriele, martedì sera, nella trasmissione chiamata "Ballarò", quando invece di balzare alla gola di un idiota (sì, ho scritto idiota) come il ministro leghista della giustizia (ossimoro), si limitava a guardarlo, mentre quello diceva che Napoli è molto più pericolosa di Nassiriya, che in Iraq non c'è la guerra e che Giuliana è più amica dei suoi sequestratori che dei suoi liberatori.
Perfino il Comitato di redazione del Tg4 ha protestato contro il direttore, Emilio Fede, per gli insulti che andava scagliando su Giuliana. Anche il Cdr del Tg1 si è ribellato, dopo i trucchi per rinviare la notizia sulla morte di Calipari (e il direttore, Mimun, ha fatto martedì sera leggere un proclama come fosse una notizia, su quanto il direttore del Tg1 è inappuntabile). Perfino il "Wall Street Journal", invece che occuparsi delle azioni delle industrie militari, o forse proprio per questo, ha abbandonato il suo stile "britannico" (che non è mai esistito), per insultare la giornalista del "manifesto". Ed Eugenio Scalfari, con il suo tono alla Camillo Cavour, insiste nel mettere sullo stesso piano l'"errore" di Giuliana, l'essersi fermata troppo a lungo nella moschea, con quello di Calipari, il non aver preso le misure le sicurezza di cui, tutti lo sanno, il fondatore della Repubblica è un grande esperto, avendo frequentato i peggiori quartieri di Baghdad in tempo di guerra. Mentre l'ex umorista Michele Serra - sospinto dal guerrologo Adriano Sofri - fa della triste ironia sull'antiamericanismo e altre fesserie.
Dobbiamo continuare? Feltri e il "Giornale", il "Corriere della Sera" e il suo re-inviato Lorenzo Cremonesi, che sui servizi segreti nordamericani ne sa più di Negroponte, ministri assortiti in ogni radio e tv, Bruno Vespa e Lucia Annunziata… Eppure, due piccole verità restano lì. La prima è che un sondaggio di Ap-Biscom, non del centro sociale Leoncavallo, dice che il 70 per cento degli interpellati vuole il ritiro delle truppe, e pensa che gli Usa non ci faranno mai conoscere la verità, sulla morte di Calipari. La seconda è che Giuliana Sgrena si costituirà parte lesa nel processo, se mai si farà, ai colpevoli della sparatoria di cui è stata vittima insieme ai due agenti del Sismi.
In effetti, di cosa stiamo parlando? Di una donna sequestrata, delle mobilitazioni pubbliche e del lavoro riservato (di Calipari, non di quell'esibizionista di Scelli, che a Falluja ha visto solo bambini con la maglietta dell'Inter e del Milan, dato che c'è andato quando esistevano ancora bambini, nella città irachena) per salvarla. E del fatto che, quando l'ostaggio era ormai a qualche centinaio di metri dall'aereo che l'avrebbe riportata tra noi, raffiche di proiettili l'hanno ferita, mentre uccidevano il suo salvatore. E questi proiettili sono statunitensi.
Sarebbe semplice. E semplici sono le domande. Perché hanno sparato? Perché contro quella macchina? Dove si è inceppata la famosa "catena di comando"? E per quale ragione? Fino a che non si avranno risposte certe, tutte le ipotesi sono possibili. Tutte. E continuare a parlare di "incidente", come tutti fanno, compreso il buon vecchio centrosinistra (quasi al completo) è altrettanto fazioso, che se qualcuno parlasse di "omicidio premeditato" (cosa che nessuno fa).
La verità che è di quel che effettivamente è accaduto non frega niente, ai grandi (tele)giornali e a quel genere di politica, altrimenti salterebbero sulla sedia, dopo che il ministro degli esteri ha parlato in parlamento, non nel suo salotto, di un'auto che viaggiava a 40 all'ora, mentre le solite "fonti militari" dicono ad Abc News che l'auto procedeva a 160 (dev'essere la mania italiana per la Ferrari e la Formula Uno). Quel che gli interessa è arginare il vulcano di indignazione, e di dolore, e di verità, che erutta nella società italiana, ossia riparare alla meglio lo strappo nel solo legame davvero indiscutibile della politica italiana, quello con gli Stati uniti d'America. Da quello strappo consegue il crollo di legittimità della guerra.
Una guerra finalmente svelata come tale, perché di colpo di vede che Baghdad o Falluja non assomigliano per niente a Scampia o a Secondigliano, e chi lo dice, come il ministro Castelli, appare per quel che è: un idiota (sì, l'ho scritto per la seconda volta). E anzi sono un posto dopo chiunque può uccidere chiunque, dove ai posti di blocco i soldati statunitensi sparano a prescindere, nella migliore delle ipotesi sulla morte di Calipari e sul ferimentod i Giuliana.
Per ottenere questo scopo, la prima cosa da fare è screditare le voci contrarie, specialmente se sono molto popolari come Giuliana Sgrena. Che per colmo di sfortuna è anche testimone oculare, oltre che vittima e bersaglio delle stesse pallottole che hanno ucciso Nicola Calipari.
Quel che sta avvenendo è impressionante. Non si è mai visto un tale accanimento contro una persona inerme, come Giuliana, e contro un giornale piccolo, come il manifesto. Qui abbiamo cinque milioni e mezzo di copie e quindici milioni di telespettatori contro qualche decina di migliaia di copie. A rigore, dovrebbero aver già vinto. Ma c'è quel 70 per cento che vuole il ritiro delle truppe: Anche questo è impressionante: quanto l'Italia ufficiale sia lontana e diversa da quella reale. Mentre la società dice "la guerra è finita" (ed è il titolo del numero di Carta che esce questa settimana), i media e la politica dicono "la guerra continua".
E' una situazione che si è data più volte, nella storia italiana. Per esempio l'8 settembre del 1943. Non si deve mai esagerare, ma una tale frattura, tra rappresentanti e rappresentati non è tranquillizzante. Ma, intanto, un gesto ciascuno può facilmente farlo: scrivere un messaggio al manifesto (lettere@ilmanifesto.it) per dire, semplicemente, coraggio, vi vogliamo bene, non vi abbattete, siamo con voi.

http://www.Carta.org

:: Articolo n. s3653 postato il 10-mar-2005 03:41 ECT



:: L'indirizzo di questa pagina è : http://www.uruknet.info?p=s3653
:: L'indirizzo di quest'articolo è :
   http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=3759&numero=217


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Errore su Castelli
by Padano Thursday, Mar. 10, 2005 at 3:54 PM mail:

Castelli non è un idiota:
è un grosso figlio di gran puttana

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vecchia
by . Thursday, Mar. 10, 2005 at 4:09 PM mail:

Non è recentissima:io l'ho letta dal veterinario un paio di mesi fa su una rivista che raccoglieva articoli di giornali esteri-

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appunto
by il postatore Thursday, Mar. 10, 2005 at 4:31 PM mail:

appunto. Repubblica la pubblica oggi. vedi commento introduttivo al post.

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