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Iraq, il terrorista va in tv
by jack Sunday, Mar. 27, 2005 at 1:10 AM mail:

il reality show iracheno...

Una madre sconvolta velata di nero, piange e maledice l'assassino di suo figlio. La telecamera si sposta su un uomo barbuto con l'occhio sinistro tumefatto. E' il presunto omicida che ha appena confessato il suo terribile gesto.
E' in onda "Terrorismo nelle mani della giustizia", una sorta di reality show trasmesso due volte al giorno da Al Iraqiah la televisione di Stato irachena, finanziata dall'amministrazione Usa. Poco prima delle elezioni del 30 gennaio l'emittente ha inaugurato il singolare programma che mostra le confessioni dei terroristi catturati dalle forze speciali irachene.

Al di là dei dubbi sulla sua autenticità, "Terrorismo nelle mani della giustizia" è diventato il programma di punta dell'emittente. Il pezzo forte di un'intensa campagna condotta dall'amministrazione irachena per convincere una popolazione intimorita e sfiduciata che il giovane governo e i suoi apparati di sicurezza sono riusciti a rendere l'Iraq più sicuro. Un grande successo, che rischia di togliere il sostegno popolare ai ribelli e che ha scatenato le ire degli ulema sunniti e le terribili minacce di Ansar al Sunna.

In onda due volte al giorno come una sorta di contrappunto ai video dei ribelli che mostrano ostaggi tremanti e truculente decapitazioni, ogni puntata dura circa un'ora. Mohammed Adnan è un presunto terrorista. Sta di fronte ad una donna affranta dal dolore che tiene stretto al suo fianco il nipote. Il bambino indica l'uomo e dice tra i singhiozzi che Adnan era vestito da poliziotto quando è entrato nella loro casa e ha trascinato via il padre, che non ha più rivisto. Adnan, il presunto killer, era un tenente della polizia di Mosul, dicono le autorità. La polizia di Mosul, come tutte le altre, è vittima di pesanti infiltrazioni. E' una delle più drammatiche video-confessioni trasmesse da al Iraqiah.

Inni militari, immagini di moschee e altri luoghi sacri si alternano a scene di ordinaria violenza all'inizio di ogni trasmissione. La chiamata alla preghiera - in versione sciita e sunnita - introduce la puntata. Molti episodi sono stati girati nella Mosul dilaniata dalla guerriglia. Un intraprendente comandante di una forza speciale anti-guerriglia che opera sotto il comando del ministero dell'Interno fa spesso da anfitrione. "La Brigata dei lupi scova i terroristi dalle loro tane", proclama con orgoglio il comandante il cui nome di battaglia è Abu al Waleed e che esibisce tre stellette sulle spalline. "Catturiamo questi terroristi senza sparare un colpo - dice Waleed - noi non vogliamo distruggere la città come hanno fatto gli americani a Falluja. Questa è un'operazione esclusivamente irachena", precisa.
I tagli alle immagini sono evidenti, e ogni video è montato in modo da trasmettere messaggi ben precisi. Spesso i presunti ribelli dichiarano di combattere in nome della santa jihad, e a questo punto una puntuale regia mostra la veemente indignazione di colui che conduce l'interrogatorio e dei parenti delle vittime. "Questo è il killer di mio figlio", dice una madre disperata vestita di nero mentre con una scarpa picchia un contrito reo confesso. "Sei un animale", continua la madre mostrando la foto del figlio. "Voi siete la feccia della società, che razza di religione avete?!" E il presunto killer inizia a singhiozzare nascondendo il volto per la vergogna.
Il ribelle ha l'occhio tumefatto e la madre della vittima si affretta a spiegare brandendo una scarpa: "Sono stata io a picchiarlo". Interviene anche il comandante Waleed e precisa che tutti i sospetti saranno portati di fronte ai giudici iracheni. "Questi terroristi hanno commesso crimini orribili in un modo che voi non vedrete in nessun altro luogo al mondo e - assicura Waleed ai telespettatori - la legge non sarà clemente con loro".

Sebbene molti iracheni guardino la serie con stordita fascinazione, alcuni seguono il programma per cercare informazioni sui propri cari che fanno parte del folto gruppo degli scomparsi. Così, dopo gli interrogatori, la telecamera inquadra regolarmente gruppi di persone che mostrano istantanee o brandelli di documenti d'identità di loro congiunti lanciando invettive contro i cosiddetti ribelli.

Le provocatorie immagini sembrano avere presa anche sui più scettici e la popolarità del programma è in ascesa. Bushra, una donna curdo-sciita di Bagdad vede il programma con la famiglia tutte le sere: "Per noi è un appuntamento fisso. Quelle facce sono le stesse di quei macellai che per troppo tempo ci hanno fatto vivere nel terrore, ma Dio è giusto ed è più potente di loro". Mohammed, sciita, dice:"Io sono contro gli americani perché non ci portano rispetto e hanno distrutto la città santa di Najaf. Ma - aggiunge - non ho nessuna pietà di questi criminali che ora confessano i loro delitti". Alla domanda "sono sunniti?", risponde: "Questi sono quasi tutti mercenari arabi. I sunniti iracheni non fanno saltare in aria le nostre husseiniah (le moschee sciite), sono i wahabiti che vengono da fuori, non lo vedete voi il programma?".

La crescente popolarità del programma non è passata inosservata tra gli insorti, che hanno lanciato la loro controffensiva. Su un sito web islamico firmato con il nickname Bashir, il temibile gruppo di ribelli sunniti Ansar Al Sunna ha diramato il suo minaccioso comunicato: "Oggi vediamo i blasfemi sulla terra dell'Iraq che dopo essersi accorti dell'impossibilità di fronteggiare la marea di fede stanno ricorrendo alla menzogna per deformare la reputazione dell'Islam e combattere la Jihad e i Mujahidin". Il proclama si chiude con una netta condanna: "Imporremo la giustizia di Dio" a chi lavora per al Iraqiah, "agente della massoneria mondiale".
Raeda Wazan, reporter per la tv consociata di al Iraqiah a Mosul, è stata rapita il 20 febbraio e più tardi uccisa. Non è chiaro se la sua esecuzione sia correlata alla messa in onda del programma, ma il marito ha riferito che sul suo corpo è stato trovato un biglietto con scritto "traditrice".
Ma i funzionari di al Iraqiah non si arrendono alle minacce. "Far vedere i filmati dei terroristi è un dovere morale che abbiamo verso il popolo iracheno", ha dichiarato al corrispondente del quotidiano Usa del Los Angeles Times Karim Humadi, il nuovo direttore della tv di Stato irachena.

Secondo il Los angeles Times non c'è un modo diretto per scoprire se si tratta di confessioni autentiche, estorte o del tutto artefatte e inventate. Gli americani dal canto loro dicono di non aver nulla a che fare con simili video. A Washington un funzionario dell'intelligence Usa si limita causticamente a dire: "Gli analisti non possono né confermare né smentire le affermazioni contenute in tali video".

In ogni caso l'interrogatorio sommario, l'assenza di prove e i dubbi sull'autenticità delle video confessioni non sembrano essere troppo importanti, e gli iracheni restano incollati al video di fronte ai ribelli che parlano di decapitazioni e altre atrocità. Il programma a volte manda in onda anche i video degli stessi insorti con raccapriccianti esecuzioni. "Dovrebbero appendere questi criminali nel centro nella piazza di Bagdad", dice Karim Zubeidi, 47 anni un impiegato del governo nella capitale e un affictionados della serie tv.

Di fronte alle telecamere sfila un ribelle dopo l'altro. In un video un uomo mostra come lui e gli altri commilitoni abbiano fatto pratica per le future esecuzioni macellando animali. Un altro dice che il suo gruppo rapisce e stupra le donne a Mosul come forma di intimidazione. Un altro prigioniero racconta che bisogna aver compiuto un certo numero di decapitazioni prima di diventare capo ribelle o emiro o principe, l'equivalente di leader di una cellula. E' un lavoro vero - dice - e viene pagato fino a 30mila dollari al mese per le operazioni più importanti. Altri ricevono 200 dollari per assassinio, aggiunge.

In una puntata un uomo appare nel video e con freddezza fa una rivelazione esplosiva. "Il mio nome è Anas Ahmed al-Essa. Vivo a Halab, e sono siriano." "Qual è il tuo lavoro?" Chiede qualcuno che non è inquadrato. "Sono un tenente dei servizi segreti". Seconda domanda: "Quali servizi segreti?" Risposta:"I servizi segreti siriani". E così inizia la dettagliata confessione del tenente siriano 30enne reclutato - dice lui stesso - per "portare il caos in Iraq e impedire all'America di avvicinarsi e colpire la Siria".
Il presunto siriano racconta di aver insegnato agli insorti a decapitare, costruire autobombe per attaccare le truppe americane e irachene, portare a termine rapimenti. "Ricevevamo tutte le istruzioni dagli ufficiali dell'intelligence siriana", dice l'uomo che appare insieme a 10 iracheni che affermano di essere stati reclutati da funzionari dell'intelligence siriana. Più tardi al Iraqiah manda in onda un altro round dell'intervista con altri due uomini, che dicono di essere un sudanese e un egiziano anch'essi addestrati in Siria per sferrare i loro attacchi in Iraq.
Ancora una volta appare il comandante della Brigata dei Lupi, Abu al Waleed, che racconta come i suoi uomini hanno arrestato il gruppo di ribelli il 29 gennaio - un giorno prima delle elezioni - in una moschea e in alcuni hotel di Mosul. Il comandante dichiara che ci sono 8 siriani, un libanese, 12 egiziani e 10 sudanesi. Gli uomini sono stati trovati in possesso di esplosivi, armi e mappe dei seggi di Mosul. Armi, esplosivi, equipaggiamento venivano tutti forniti dall'intelligence siriana, confessa al-Essa. I due video sono stati diffusi quando l'amministrazione Bush ha iniziato a fare pressioni sulla Siria affinché smettesse di intromettersi negli affari iracheni, permettendo agli insorti di attraversare i confini siriani per andare a combattere in Iraq e dando rifugio ai membri dell'ex regime iracheno. La Siria ha naturalmente respinto le accuse. Ma l'amministrazione Bush ha rilanciato intimando al presidente siriano Bashar Assad di togliere i suoi 15mila soldati dal vicino Libano. Al-Essa dichiara di essersi infiltrato in Iraq nel 2001, circa due anni prima dell'invasione Usa, perché i servizi segreti siriani erano convinti che l'invasione americana fosse all'orizzonte. Un ribelle dopo l'altro dichiara di essere stato pagato dall'intelligence siriana e addestrato in Siria e Pakistan. E che proprio gli agenti dei servizi segreti siriani sono coloro che gli hanno isegnato a sgozzare gli ostaggi.

Il 24 marzo l'autorevole quotidiano arabo palestinese edito a Londra Al Quds Al Arabi pubblica un articolo dal titolo: "Numerosi leader sunniti chiedono di fermare un programma che deforma la resistenza e divide la società irachena". Il programma incriminato è naturalmente "Terrorismo nella mani della giustizia", colpevole secondo i sunniti di denigrare i Mujahidin e il valore della parola Jihad raffigurando la resistenza come se fosse composta da un gruppo di persone deviate, senza religione o ideale e piccoli criminali. Oltre alle perplessità sul modo in cui vengano estorte le confessioni, il quotidiano fa notare l'escalation della propaganda anti resistenza. All'inizio il programma mostrava soprattutto "combattenti stranieri", infiltrati in Iraq.
Con il passare del tempo la tv ha iniziato a mostrare criminali comuni che asserivano di avere ucciso iracheni che collaboravano con gli occupanti in cambio di cifre in denaro alquanto esigue. Negli ultimi tempi invece le confessioni smentiscono in maniera infamante lo stesso ideale religioso dei combattenti. E così ecco sfilare davanti alle telecamere il presunto Osama Abu Tabarek che racconta come la resistenza organizzasse feste libertine. O uomini della resistenza presentati con nomi che ridicolizzano i predicatori dell'Islam, come Abu Lahab, storica figura religiosa sunnita.
Una campagna denigratoria che ha spinto persino il moderato sceicco Abdul Salam Al Kubaisi, nel suo sermone del venerdì nella moschea di Bagdad a invitare i fedeli a difendere la reputazione della resistenza contro la campagna degli americani e dei loro agenti in Iraq. Molti leader sunniti hanno chiesto di fermare la pericolosa trasmissione che "divide la società irachena su linee confessionali".

L'effetto esplosivo del programma di al Iraqiah pare essere tale che persino un dirigente del ministero degli Interni iracheno ha espresso perplessità: "Forse questo programma ha esaurito il proprio compito". Il funzionario smentisce che si ricorra a torture per estorcere confessioni, ma egli stesso ha dei dubbi sulla veridicità delle confessioni, che "spesso dicono quello che si desidera che dicano".

In una delle ultime puntate di "terrorismo nelle mani della Giustizia" nel video appare un ribelle che si fa chiamare Bahaa. Il suo soprannome è "Lo sgozzatore". In cinque mesi racconta di aver eseguito 3 sgozzamenti, 2 sequestri di donne, due attacchi alla polizia uccidendo 4 poliziotti, e fatto saltare due ponti. Anche lui dichiara che gli ordini arrivano da un emiro siriano. E in omaggio al suo soprannome descrive nei dettagli come ha sgozzato un poliziotto: "Lo sheik ibrahim lo teneva fermo e io con il coltello - dic mimando ho reciso il collo. Non ci ha supplicato perché aveva la bocca tappata con nastro adesivo". Per questo veniva pagato solo 2 fogli (200 dollari) ogni due mesi. "Pochi per uccidere - fa notare il suo interlocutore - si possono guadagnare con un lavoro onesto".

Un giornalista iracheno - che per ovvi motivi di sicurezza preferisce restare anonimo - della radio di Stato dell'Iraq (corrispondente alla tv di Stato al Iraqiah) rivela: "Il programma arriva preconfezionato dal ministero degli Interni iracheno.
E il ministero si fa dare il materiale dalle forze del Battaglione di pronto intervento". Nessun giornalista pare sapere qualcosa sui personaggi e le procedure di interrogatorio/intervista. "Non si sa nemmeno quando ci può essere un nuovo video, perché dipende dagli arrivi del ministero".
La guerriglia è scatenata e nonostante gli slogan trasmessi dalla tv di Stato, il Paese non pare più sicuro. Tra gli iracheni c'è chi ritiene al Iraqiah sia solo uno strumento di propaganda asservito agli americani, ma l'emittente è seguitissima, se non altro perché a differenza delle altre due tv del Golfo Persico - al Jazeera e al Arabya - non ha bisogno di troppo costose piattaforme paraboliche, ma basta un televisore e una semplice antenna. Il quarto potere è all'opera.



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