Viaggio nei call center siciliani
tra i lavoratori a progetto del gruppo Cos
Salve, risponde Lucia. Per 38 centesimi l'ora
ANTONIO SCIOTTO
INVIATO A PALERMO
Il primo stipendio di Lucia? Quarantasei euro netti, o 56 lordi se preferite. La scorsa estate ha lavorato alla Cosmed di Palermo, gruppo Cos, per un intero mese, 6 ore al giorno per 5 giorni a settimana, ma le pagavano solo i contratti che riusciva a procurare alla Wind: a conti fatti, la bellezza di 38 centesimi all'ora. D'accordo, era il primo mese, quello di «rodaggio», ma non è che le cose siano poi migliorate troppo: oggi è una lavoratrice a progetto in scadenza ogni trimestre, riesce a fare tra i 300 e i 400 euro al mese, ma non è detto. E' pagata a cottimo, solo per i «contatti utili»: 25 centesimi lordi per ogni telefonata che superi i 25 secondi. Altrimenti è come se non avesse lavorato: Lucia non stava lì. Ironia della sorte, deve fare anche gli «straordinari»: 8 ore al giorno anziché le 6 da contratto, senza alcuna maggiorazione, anche loro a cottimo ed esposte alla stessa incertezza. «Spesso non riesco a fare neppure i giorni di riposo - ci spiega seduta al tavolino del bar Recupero di Palermo, dove l'abbiamo incontrata - Dovrei farne due a settimana, ma ci chiedono di continuare a lavorare senza sosta. Non vuoi fare 8 ore? Nei riposi puoi farne 6 o 4, mi dicono, ma ti consigliamo caldamente di venire. Come sai, il tuo contratto è in scadenza, e un eventuale rifiuto potrebbe pesare...». Lucia non riesce a capire che senso abbia continuare a lavorare al call center, ma non vede al momento alternative: la disoccupazione in Sicilia è altissima, sul tavolo dell'ufficio personale della Cosmed si accumulano montagne di curriculum. Tutti ragazzi, ma non solo, pronti a lavorare per una busta paga incerta: «Ieri - ci spiega - ho guadagnato solo 10 euro in otto ore: tre telefonate utili e un contratto. Ho speso di più per la benzina e il pranzo». E da fine gennaio c'è un sistema di compenso ancora più perverso: se non si riesce a tenere una media complessiva di durata delle telefonate di 2 minuti e 36 secondi, vengono retribuite soltanto il 25% delle chiamate utili.
Accanto a Lucia c'è Alfonso, il suo ragazzo, come lei ha 25 anni. Anche lui immerso in pieno nella giungla dei call center, campagne per Wind e Tim, ma sempre attraverso gli appalti della Cos. Ha lavorato per la Alicos, gemella minore della Cosmed, che gestisce tra l'altro il numero verde Alitalia: due settimane fa hanno scioperato per ottenere un compenso fisso. «Spesso lavoro per pochi euro al giorno, mentre per la benzina e il pranzo vanno via 12 euro - ci spiega - L'attuale campagna ce la pagano 42 centesimi lordi a chiamata, è un lavoro in perdita, non riesci a mettere da parte nulla. Io non riesco a permettermi neppure l'affitto, devo restare a vivere con i miei genitori».
I «lavoratori a progetto» - che qui a Palermo molti chiamano sinteticamente «lap» - sarebbero la versione aggiornata dei «cococò»: la legge 30 li inquadra come una sorta di autonomi, a compenso libero, e dunque dovrebbero almeno gestire liberamente i propri orari. In realtà i «team leader», i capetti, li controllano da vicino: vogliono essere avvisati quando mancheranno, li rimproverano per le assenze, impongono gli straordinari. La Cos, il gruppo nazionale di cui è proprietario Alberto Tripi (e che di recente ha acquisito anche la Finsiel), nel capoluogo siciliano occupa circa 1200 «lap» (1800 nei periodi di picco), ripartiti tra Cosmed e Alicos; nelle due società gemelle ci sono anche 1400 operatori con contratti subordinati. Ma se consideriamo pure gli altri call center della città, i lavoratori a progetto diventano oltre duemila: «Una condizione di precarietà di cui si comincia a prendere coscienza - ci spiega Angelo Candiloro, della Slc Cgil, che organizza gli operatori con microfono e auricolari - E finalmente riusciamo a fare mobilitazioni più serie».
Mauro, 34 anni, lavora in Cosmed per la campagna della Sky, riceve le telefonate dei clienti che chiedono informazioni sulla tv satellitare. Anche lui è un «lap», esposto senza protezioni ai capricci delle commesse e del mercato: quando la campagna va bene riesce a guadagnare 650 euro al mese per 4 ore di lavoro in 5 giorni a settimana. Oggi, dato che il mercato langue, riesce a fare sì e no 250-300 euro al mese. «Non ho tfr, malattia, ferie - ci dice - sono a totale disposizione dell'azienda: "valgo" 62 centesimi a chiamata e "scado" ogni 6 mesi. Anche a me chiedono spesso gli straordinari, per 6-8 ore al giorno e senza riposo settimanale. Ho un secondo lavoro in una scuola privata, dove magari guadagno ancora meno, ma almeno lì mi rispettano come persona». Anche Giancarlo, 32 anni, lavora nella campagna Sky: «Duecento euro al mese, ma che ci fai? Spesso non ricevo più di sei chiamate al giorno, neppure 3 euro di guadagno». Giancarlo è dottorando all'università di Torino, ma non frequenta: «Mi porto un libro per riempire i tempi morti - spiega - ma i team leader mi vietano di leggere, devo farlo di nascosto. Secondo me non è giusto, visto che non veniamo retribuiti per il tempo che non riceviamo chiamate».
Del lavoro di apprendista ci parla Giuseppe, 24 anni. Ha un contratto di apprendistato di 18 mesi alla Alicos, in base al quale percepisce una paga ridotta rispetto al contratto nazionale. Si va dai 320 euro dei primi 6 mesi ai 470 dell'ultimo semestre di prova: un part time regolare di 4 ore prende 580 euro mensili. Essendo in attesa della conferma, che sarà decisa in estate, è messo sotto pressione e obbligato a dire continuamente «sì». Come gli altri è costretto agli straordinari forzati, raddoppiando di fatto le sue 80 ore mensili: solo che a lui per 160 ore vanno in busta paga 610 euro, mentre i dipendenti a tempo indeterminato ne prendono 1015. «Quelli che fanno il tuo stesso lavoro guadagnano quasi il doppio - dice - Certo, non me la prendo con loro, è che ormai le aziende ci vogliono mettere gli uni contro gli altri». La compagna di Giuseppe è interinale al 155 Wind, sempre in Alicos, e pure lei «ricattabilissima»: «Il 28 dicembre - spiega - hanno chiamato il suo gruppo e cambiato improvvisamente i turni: dovevano lavorare fino all'una di notte dell'1 gennaio. Noi avevamo già programmato il Capodanno fuori: la mia ragazza ha chiesto cosa sarebbe successo se si rifiutavano. Sapete, hanno risposto, il 4 gennaio si decide il rinnovo, e sicuramente si terrà conto della vostra disponibilità...».
Anna al call center per 100 euro al mese
Busta paga minimal Ecco il salario di Anna, lo scorso gennaio alla Cosmed (gruppo Cos) di Catania: 109 euro netti, durata del contratto tre mesi. In pratica un euro all'ora, zero contributi e l'ansia di non essere riconfermata. Telefonando su commesse Wind e Sky. Ad Alice Service, invece, alcuni operatori raccontano di aver lavorato a nome di Telecom. Pur essendo in nero
ANTONIO SCIOTTO
INVIATO A CATANIA
Un euro all'ora. Anna ci viene incontro con una cartellina marrone, è appena uscita dal palazzone a vetri della Cosmed di Misterbianco, il call center del gruppo Cos, subito fuori Catania, che opera in appalto per Wind e Sky. «Guardate - ci dice mostrandoci la busta paga - in gennaio ho guadagnato solo 109 euro». E non è che abbia lavorato poco: giusto 4 ore e mezzo per 6 giorni a settimana, ovvero 108 ore. Ma parlare di retribuzione oraria, in realtà, non è esatto, e anzi svierebbe dal problema: Anna e i suoi colleghi non hanno neppure la dignità di un compenso fisso, per quanto basso. Lavorano completamente a cottimo, con il sistema del «talking time»: «Quando entro in sede - ci spiega sfogliando l'agenda in cui segna tutti gli orari - mi "logo", ovvero mi attacco al sistema e comincio a fare le telefonate. Ma non mi viene retribuito tutto il tempo che sto in azienda, bensì solo quelle chiamate considerate "utili", cioè in cui il cliente abbia mostrato interesse e ci abbia permesso di spiegare il contenuto dell'offerta che vendiamo. Per tutto il resto, quando non trovo nessuno in casa, o se mi sbattono il telefono in faccia, quando mi insultano o gentilmente mi dicono "no grazie", per tutto questo lavoro gratis». Lo stesso contatto utile è conteggiato soltanto per il tempo di conversazione: ogni 15 minuti fanno 1,70 euro. L'agenda di Anna dice che oggi è stata «logata» per 2 ore e 19 minuti, ma il «talking time» è solo di 1 ora e 18. Il calcolo è presto fatto: stavolta ha regalato alla Cos - e alla Wind - un'ora e un minuto del suo lavoro. La parola «schiavitù» non sarà politically correct, e forse dovremmo astenerci dall'utilizzarla, ma in quale categoria si può inserire il lavoro non retribuito? D'altra parte, mica questi ragazzi sono obbligati a rimanere «logati» con le catene. Gaetano, un collega di Anna, ci spiega che a tutte le loro proteste la risposta è sempre la solita: «Cosa volete, un fisso in busta paga? Noi non possiamo darvelo, la legge Biagi non lo contempla - rispondono i solerti responsabili del personale - Se non vi va bene potete andarvene, abbiamo la fila di persone che chiedono colloqui per lavorare qui». E questo è vero, le domande e i curriculum si affastellano nei file della dirigenza Cos: spesso chi approda alla Cosmed - o alla gemella Sicos - fugge da condizioni di lavoro ancora più selvagge e peggio retribuite. Lo stesso Gaetano ha lavorato qualche mese ad Alice service, il call center della centralissima Piazza della Repubblica a Catania, commesse Telecom: «Non ho mai visto un euro, ci hanno sempre detto che dovevamo aspettare per i pagamenti. Adesso siamo in vertenza per ottenere quanto ci spetta». E allora tocca accettare. Sbarriamo in agenda i giorni in cui non si lavora: non retribuito. Sbarriamo Pasqua e Pasquetta, Natale, Ferragosto e Capodanno: non retribuiti. Sbarriamo le tre settimane di chiusura in agosto: non retribuite. Sbarriamo i giorni di infortunio e malattia: non retribuiti. Sbarriamo la maternità: non retribuita. Sbarriamo anche il tfr, mentre per la pensione forse qualche spiccioletto riusciamo a metterlo da parte, grazie alla gestione separata dell'Inps, quella dei lavoratori di serie Z. Ecco alla fine i 109 euro di Anna: si rifarà per pagare la benzina? Qui, sullo stradone che da Misterbianco conduce a Catania, non arrivano mezzi pubblici, e ai collaboratori a progetto, ovviamente, non è neppure concesso il posteggio nello spiazzo aziendale.
Una condizione di precarietà e umiliazione comune almeno a tremila operatori, nel catanese. Se si escludono i lavoratori del call center Vodafone, che hanno tutti rapporti di lavoro subordinati - seppure vi sia il ricorso all'interinale - il resto degli operatori si raccoglie nei big della Cos (Sicos e Cosmed, 800 persone), alla Kronos (200), alla Mibi (200), ad Alice service (80), più vari minori: In linea, Regno Verde, Servicom, Touch Down, Biosan. Sicos e Cosmed hanno già scioperato due volte da inizio anno, mentre venerdì 18 marzo, insieme agli altri 6 call center, hanno fermato il lavoro e manifestato per difendere una piattaforma con tre punti qualificanti: un fisso mensile certo, i diritti sindacali, la graduale stabilizzazione dei contratti. Per il momento, infatti, tutti gli operatori sono contrattualizzati come «lap», lavoratori a progetto rinnovabili ogni tre o sei mesi, praticamente prorogabili a vita. A guidare le proteste, Massimo Malerba, segretario provinciale del Nidil: «I lavoratori - ci spiega - sono abbastanza sindacalizzati e cominciano a reagire allo sfruttamento. Abbiamo un incontro con la Cos il 5 aprile, lì puntiamo ad avere garanzie certe». Pippo Di Natale, segretario provinciale Cgil, conferma che un buon risultato al tavolo Cos avrebbe un effetto «trascinamento» sulle altre aziende: «La piattaforma vale per tutti i call center, puntiamo a un fisso mensile e alla graduale stabilizzazione».
Negli altri call center, d'altra parte, i lavoratori hanno dovuto vedersela addirittura con il lavoro nero. A Giuliana, da gennaio a maggio del 2004 ad Alice Service, è stato detto più volte che avrebbe firmato un contratto, ma questo non è mai arrivato: «Lavoravo in nero e a provvigione - racconta - per 2,50 euro all'ora. Per i pagamenti mi chiedevano di aspettare, dicevano di avere problemi finanziari. Ma intanto vedevo che compravano l'appartamento vicino, che acquistavano nuovi computer». I «salari» di Giuliana non sono mai arrivati, e anzi di recente le ha telefonato un sedicente consulente di Alice che le ha consigliato di accettare solo il 40% del dovuto, «è un consiglio da padre», le ha detto alla fine. Altri tre ragazzi ci confermano di avere arretrati non riscossi da Alice Service. Ma la Telecom, che affida gli appalti, conosce la situazione dei lavoratori? Bisogna ritenere di sì. Innanzitutto perché gli operatori si presentano sempre come «Telecom Italia», possono accedere con username e password ai profili dei clienti (e dunque violano potenzialmente la loro privacy anche quando lavorano in nero), hanno avuto l'autorizzazione a partecipare al concorso «Vendi e vinci», che assicura premi a chi vende più prodotti. Da qualche mese Alice service ha scelto di passare ai contratti a progetto, e i collaboratori fanno dai 250 ai 400 euro mensili come part time: niente fisso, tutto a provvigioni. Un'altra giovane ha lavorato per il call center Tin it, sempre a commessa Telecom, ma ha lasciato dopo poche settimane perché i datori di lavoro cambiavano sempre le carte in tavola sull'entità dei compensi, non c'era contratto. Stessa precarietà alla Kronos, dove un'operatrice parla di 400 euro medi al mese per 5 ore di lavoro 5 giorni a settimana.
Premiata ditta Tripi dove l'appalto è d'oro
Il gruppo Cos appartiene ad Alberto Tripi e famiglia (il figlio Marco è amministratore delegato), è stato fondato a Roma nel 1983. Partito con commesse di informatica (tra i clienti, negli anni Ottanta, Lottomatica, il ministero dell'interno, la Bnl), dal 2000 si dedica al business di microfoni e cuffiette. E macina profitti: dai 90 milioni di euro di fatturato del 2002, è passato ai 210 del 2004 e ne prevede 250 nel 2005. Le «risorse umane» (così il sito definisce gli operatori) passano da 5.113 del 2002 a 13 mila dell'anno scorso, toccando i 17 mila quest'anno grazie alla recente acquisizione della Finsiel. Nel 2000 Tripi acquistava il call center Alitalia di Palermo (oggi Alicos), nel 2004 la romana Atesia da Telecom. Con la neo annessa Finsiel, la Cos punta a diventare leader nel settore informatica e dei servizi di tlc per imprese, banche, pubblica amministrazione. Il tutto grazie agli appalti d'oro che continua a ricevere da aziende come Telecom, Wind o Sky, mentre nelle 5200 postazioni si alternano migliaia di «collaboratori a progetto». La Cos ha 11 sedi in Italia e 3 all'estero (a Tunisi, Bucarest e Buenos Aires).
E la Cgil firmò l'accordo che piace all'azienda
A gennaio l'intesa locale con la Cos: niente fisso in busta paga, cottimo ratificato. Il sindacato diviso
Palermo per tutti? La Cos vorrebbe proporre l'accordo «flessibile» anche a Catania e in altri territori. Netto rifiuto dal capoluogo etneo e dalla segreteria nazionale Slc
AN. SCI.
PALERMO
Se i lavoratori dei call center palermitani cominciano a ribellarsi, c'è già un accordo tra il sindacato e il potente gruppo Cos che dovrebbe tutelarli. Il condizionale è d'obbligo, perché l'intesa siglata lo scorso gennaio da Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom locali e dalla Cosmed viene molto contestata all'interno della Cgil siciliana e sta facendo discutere anche l'organizzazione a livello nazionale. Il punto più critico riguarda il fatto che non viene individuato un compenso minimo fisso, lasciando dunque i già precari lavoratori a progetto della Cosmed esposti ai capricci del mercato: guadagni solo in base alle chiamate effettuate, a «cottimo». Inoltre, non viene assicurata nessuna prospettiva certa di stabilizzazione, per quanto graduale, dei contratti, configurando per i 1600 operatori un possibile destino di precari a vita. Male dunque sul piano concreto, della certezza della retribuzione, ma viene contestato anche l'impianto «politico» dell'intesa: ratificherebbe infatti la piena legittimità del contratto a progetto, nonostante la Cgil abbia più volte espresso la necessità di abrogare la legge 30 e in particolare i suoi tipi contrattuali più precarizzanti. Abbiamo sentito innanzitutto chi ha firmato l'accordo, il segretario generale Scl Cgil di Palermo, Rosario Faraone: «L'intesa può essere considerata un primo passo in un settore e rispetto a un'azienda, la Cos, dove tutto viene deciso unilateralmente dai manager - ci spiega - E' vero che non siamo riusciti a ottenere un fisso mensile, ma ci sono tanti altri punti importanti. C'è quello che definiamo "incontro preventivo": all'avvio di ogni commessa, valuteremo insieme alla Cosmed la liceità o meno dell'applicazione dei contratti a progetto. Per la prima volta, poi, viene indicata la necessità di una giusta causa per la rescissione anticipata di un contratto. E i lavoratori a progetto diventano bacino privilegiato in caso di assunzioni con contratti subordinati o per nuove collaborazioni. C'è una proroga in caso di infortunio o malattia, e un fondo sanitario e previdenziale del 5% a carico dell'azienda. Infine, abbiamo ottenuto la possibilità di delega al sindacato, l'assemblea nei posti di lavoro e la bacheca: in questo modo ci struttureremo meglio dentro il gruppo Cos, per ottenere migliori risultati in futuro». «Una scelta di strategia», conclude il sindacalista congedandoci.
Non la vedono così nella stessa Slc palermitana: il coordinatore regionale dell'area Lavoro e Società, Angelo Candiloro, contesta il merito e il metodo dell'intesa. «Non assicurare alcun fisso mensile ai lavoratori va contro gli stessi principi della Cgil, e inoltre si ratifica la piena legittimazione politica dei contratti a progetto, mentre il nostro sindacato, a livello nazionale, chiede da tempo l'abrogazione della legge 30. E' anche in contraddizione rispetto alla piattaforma delle telecomunicazioni, che punta a evitare la corsa al ribasso dei diritti attraverso contratti precari quali quelli a progetto: nell'accordo non c'è traccia di una futura stabilizzazione. In più - conclude - non sono stati coinvolti i lavoratori, né la nostra segreteria: si è fatta solo un'assemblea ad intesa già firmata, dove i partecipanti sono stati male informati e non hanno avuto la possibilità di votare».
L'accordo non piace neppure a Catania, dove i sindacati sono impegnati da tempo su una piattaforma territoriale per i call center: anche in questo caso, al centro c'è il gruppo Cos, che nella provincia dà lavoro a ottocento persone. «Tra i punti qualificanti della nostra piattaforma c'è proprio l'ottenimento di un fisso mensile, dunque secondo noi a Palermo si è andati indietro», spiega il coordinatore provinciale del Nidil Massimo Malerba. «A Catania non è proponibile - conferma Pippo Di Natale, segretario provinciale Cgil - Noi chiediamo un fisso mensile, oltre ai diritti sindacali e a una graduale stabilizzazione». «La battaglia dei lavoratori catanesi dei call center non può essere sacrificata sull'altare di un accordo sicuramente sbagliato sia nel merito che nel metodo», aggiunge Angelo Lagona, segretario generale Slc Catania.
Sonora bocciatura anche dal segretario regionale Nidil, Daniele David: «E' un'intesa sbagliata, andrebbe rinegoziata - dice - Di fatto legittima il lavoro gratuito, non riconoscendo il tempo lavorato senza che siano realizzate chiamate utili. E poi non è stato consultato il Nidil, che si occupa dei precari, nonostante siano coinvolti oltre 1500 collaboratori a progetto». Sembra però che alle aziende l'accordo di Palermo piaccia, tanto che viene riproposto ai sindacati in vari territori, tra cui Torino. Ma lo stop nazionale arriva da Emilio Miceli, segretario generale Slc Cgil: «Non si riconosce un fisso mensile, quell'intesa non è proponibile altrove».
«Puntiamo a un contratto per tutti»
Miceli (Slc Cgil): va tutelato chi lavora in appalto, sono responsabili le grandi compagnie
AN. SCI.
Il lavoro precario nei call center riguarda un'intera generazione, quella dei giovani che oggi hanno 20-30 anni. D'altra parte, in realtà come l'Atesia di Roma, ci sono già operatori con 14 anni di anzianità, precari over 45. «Si ripropone quello che è accaduto in Italia nel dopoguerra e fino alla fine degli anni Sessanta - spiega Emilio Miceli, segretario generale della Slc Cgil, la categoria delle telecomunicazioni - Allora il sindacato e la politica si trovarono di fronte alla generazione di metalmeccanici ed edili senza tutele. Ci fu il boom delle costruzioni, e si svilupparono le catene di produzione dei beni di massa, i frigoriferi, le auto. Le battaglie sindacali e della sinistra portarono allo Statuto dei lavoratori, che alzò l'asticella dei diritti. Sono i genitori degli operatori telefonici di oggi: hanno potuto accedere ai mutui, comprarsi una casa, costruirsi una pensione, fare studiare i propri figli e assicurare loro un'assistenza sanitaria. Tutte opportunità, diritti e tutele che i giovani dei call center, oggi, non hanno per sé».
Si sono persi decenni di conquiste sindacali, e ora i collaboratori a progetto devono ripartire da zero.
Sì, e il problema riguarda non solo il sindacato, ma anche la politica. Noi puntiamo a contrattualizzare questi lavoratori, che adesso, con il cosiddetto «lap» - il lavoro a progetto introdotto dalla legge 30 - si trovano costretti a firmare contratti individuali. Con il libro «No Logo» di Naomi Klein si è posto il problema dei bambini sfruttati dalla Nike in Asia, ma qui in Italia le cose sono poi così differenti? Ci sono migliaia di ragazzi che vanno la mattina a lavorare per diverse ore ogni giorno, e alla sera non sanno se hanno guadagnato o meno. E' una palese violazione dell'articolo 36 della Costituzione, dove si stabilisce che debba esserci una proporzione tra il lavoro prestato e la retribuzione. Del problema dovrebbe farsi carico il Parlamento, aprendo una Commissione di inchiesta sul lavoro nei call center. E non è che si stia male solo nel Sud: oggi la stessa situazione si presenta in tutte le aree in ritardo di sviluppo, come il Piemonte, dove la crisi dell'industria e la disoccupazione creano le premesse per il proliferare di questi lavori.
Oltretutto, con la liberalizzazione delle telecomunicazioni e la legge 30 le imprese si stanno scatenando.
Sì, sono due fattori determinanti. I contratti a progetto vengono applicati quasi del tutto nelle società che operano in outsourcing, ovvero che ricevono le commesse dai grandi gruppi telefonici o da tante altre aziende: ormai quasi tutte le imprese, per non parlare degli stessi enti pubblici, dispongono di call center e numeri verdi. In occasione del rinnovo contrattuale che stiamo discutendo proprio in questi giorni, chiediamo dunque alle imprese di ricondurre l'intera filiera in un sistema di responsabilità e regole certe. Non è possibile che non sappiano chi lavora per conto loro e a quali condizioni, noi non ci crediamo. Non è più sopportabile, insomma, che un operatore Vodafone sia inquadrato al quinto livello e abbia un contratto in regola, mentre un lavoratore di un outsourcer sia sprovvisto persino di un fisso mensile. Bisogna assicurare un contratto e un compenso certo a tutti, valido per l'intera filiera. Con Cisl e Uil stiamo creando un osservatorio sui call center. Quanto alla legge 30, precarizza al massimo il lavoro: la Cgil ha espresso il suo giudizio negativo, e ha chiesto alla politica di correggere questi errori.
A Palermo è stato firmato in gennaio, anche dalla Cgil, un accordo con il gruppo Cos che non riconosce ai lavoratori un compenso fisso né prospettive di stabilizzazione. Vi sembra un modello da esportare altrove?
Io stesso sono palermitano e conosco la realtà difficile di quella provincia: capisco che si possa essere tentati di farsi prendere da un estremo realismo, lì c'è veramente fame di lavoro. Detto questo, credo che quell'accordo abbia un limite: non assicura la certezza di una retribuzione certa. L'intento era positivo, si voleva aprire un dialogo con un'azienda difficile come la Cos, ma l'idea di non dare un fisso ai lavoratori è tutta delle controparti, e non possiamo farla nostra. Noi stiamo trattando per il contratto nazionale, e abbiamo già detto chiaramente che l'accordo di Palermo non può essere riproposto altrove. Gli edili di cui parlavo all'inizio, negli anni Sessanta, avevano almeno un fisso a cui aggiungere un cottimo: certo nel 2005 non possiamo permetterci di tornare indietro.
Abusi a Messina ma proteste zero
Emergenza call center anche a Messina. Gli operatori sono circa 450 nella provincia, secondo le elaborazioni del Nidil su dati Inps e Infocamere. Una ventina i call center «censiti». Tra i più importanti, il Fire, con 100 «lap» (lavoratori a progetto), il Bfp di Montalbano Elicona (60 lap), il «Felice Nania» di Milazzo. Lavorano con commesse Telecom, Enel o di altre aziende. I compensi - spiega Daniele David, coordinatore regionale Nidil Cgil - sono «ridicoli»: circa 1,55 euro all'ora, in alcuni casi c'è un fisso mensile di 155 euro mensili, a cui si possono aggiungere le provvigioni per le chiamate utili. Nel caso della Fire, ad esempio, l'azienda apre cooperative ad hoc per ciascun appalto Telecom ricevuto: Telecom fissa degli obiettivi da raggiungere a 3 o a 6 mesi, e se non si centrano può disdire le commesse. «I lavoratori - aggiunge il sindacalista Cgil - ancora non reagiscono, è come se fossero deresponsabilizzati. Spesso vengono imposti orari di 8 ore nonostante i contratti parlino di 4». Difficili anche i controlli, solo 7 gli ispettori in tutta la provincia: «Tempo fa sono riuscito a infiltrarmi dentro la Gmc, un call center messo su in un garage - conclude David - C'erano telefoni antidiluviani e fili scoperti: gli ispettori hanno sequestrato tutto ed emesso sanzioni per 70 mila euro. Ma quanti altri casi simili restano sommersi?». (an. sci.)
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