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Non tutti i bambini sono uguali
by Deborah Fait Wednesday, Jun. 29, 2005 at 8:46 PM mail:

Spesso vengo accusata di non provare pieta' per i bambini palestinesi.
Pieta' per le loro vite, le loro morti e per la violenza in cui vivono. Mi investono con la frase piu' banale e retorica "Tutti i bambini sono uguali".
No, non e' vero, non tutti i bambini sono uguali, non tutti gli uomini sono uguali, non tutti i valori sono uguali.
I bambini palestinesi hanno diritto alla nostra pieta' perche' sono vittime delle loro famiglie e della loro societa' ma se le loro mamme e i loro papa' non provano pieta' e li allevano nell'odio; se l'ONU, la Comunita' Internazionale, Amnesty International restano sordi agli appelli di Israele "Guardate cosa stanno facendo ai loro figli", con quale faccia tosta si osa dire, scandalizzati " Israele ha ammazzato due bambini e tu non provi pieta'? tutti i bambini sono uguali".
Ehhh no! Israele non ammazza bambini, Israele risponde al fuoco nemico e se il nemico porta dei bambini, dei ragazzi per le strade e li usa come scudi umani e li mette vicino alle rampe del razzi qassam che vengono sparati contro altri bambini, quelli israeliani, allora nessuno puo' lamentarsi e nessuno puo' accusare senza rischiare di essere ipocrita.
Se la tragedia dei bambini palestinesi sta bene ai loro genitori, Israele non puo' fare altro che denunciare al mondo la situazione. I soldati in guerra non possono e non devono uscire dai loro merkava', prendere i bambini per mano e portarli via prima di incominciare la battaglia, morirebbero prima di poterlo fare e , anche portandone via dieci, e ne arriverebbero mille urlanti jihad, armati di bombe a mano.
Israele evita di colpire in profondita' proprio per non dover fare stragi di giovani vite, di bambini che corrono come mosche dove si spara, di ragazzi col fucile in mano e quando un ragazzino di 13 o 15 anni ha in mano un fucile o sta per lanciare un razzo o una bomba non e' piu' un bambino.
Io provo pieta' per i bambini palestinesi, doppia pieta', disperata pieta' perche' oltre a rischiare la vita vengono uccisi dai loro genitori e dalla societa' in cui vivono.
Non permetto pero' che mi si accusi quando nessuno fa niente per evitare lo stupro morale in cui vivono.
I bambini palestinesi vengono violentati nell'anima da mamme che li vestono da kamikaze per portarli in parata a urlare "a morte", da papa' che li portano fin da piccolissimi per le strade a tirare sassi, ogni sasso un dollaro, e bombe incendiarie. Vengono violentati dalla TV di stato che trasmette senza interruzione filmati di bambini martiri che corrono felici nei prati di Allah, prati pieni di giochi e di tanti Mohamed al Durra che cantano ai vivi che guardano "venite, venite anche voi, qui si sta bene, che bello il martirio, venite".
Sono distrutti , questi bambini, dalle loro stesse famiglie e da chi obbliga le madri a partorirli e allevarli come piccoli mostri pieni di odio, violenza e desiderio di morte.
Si, io ho pieta' dei bambini palestinesi perche' vivono senza infanzia , buttati nelle strade, alla merce' di gente senza scrupoli che li usa da vivi e da morti.
Ho pieta' dei bambini palestinesi perche' vengono cresciuti per diventare martiri e servire cinicamente alla vile propaganda di Arafat.
Perche' nessuno ha mai avuto il fegato o l'onesta' di dire a lui di piantarla? Perche' nessuno lo ha fermato prima che creasse milioni di piccoli mostri? Perche' nessuno al mondo lo accusa di utilizzare i bambini come armi?
No, non e' lecito dire che tutti i bambini sono uguali, non lo sono in vita e nemmeno in morte a causa dei "grandi".
I loro genitori li fanno vivere nella violenza, gliela insegnano la violenza, i loro fratelli grandi li portano per le strade per farli morire spesso con un colpo sparato proprio da loro.
Toni Capuozzo in Terra ha rivelato le parole di una ragazza turca sequestrata e poi liberata in Iraq: "Avevo paura anche dei bambini che vivevano nel covo insieme ai miei carcerieri".

Bambini che fanno paura, dunque, questi sono i bambini del mondo arabo, a questo vengono educati, Arafat ha fatto scuola.
Allora perche' accusare Israele?Perche' dire a me che non provo pieta'?
Perche' questa frase non viene rivolta a chi li rende feroci e a chi permette che questo avvenga?
Tutti i bambini sono uguali?
Bene, ditelo allora ad Arafat, alle mamme palestinesi, all'ONU, all' UNRWA, a Amnesty, persino a Simona e Simona. Gridatelo!!!
Tutti i bambini sono uguali ma nessuno ha il coraggio di urlarlo in faccia a chi li inselvatichisce limitandosi a tacitare la propria coscienza accusando Israele.
"Ecco, noi diciamo che Israele li ammazza, ci scandalizziamo, quindi siamo a posto"
Questa si chiama ipocrisia. Pelosa , pelosissima ipocrisia.

Due giorni fa altri bambini israeliani hanno visto la morte in faccia. A Taba un terrorista suicida ha lanciato un camion pieno di esplosivo contro l'Hotel Hilton pieno di turisti israeliani. Al momento si contano 33 morti, per lo piu' israeliani, e molti sono ancora i dispersi.
Migliaia di israeliani erano in Sinai sordi agli avvisi del Mossad "non andate, c'e' pericolo di attentati". Gli israeliani vivono con i piguim, gli attentati, vivono col terrorismo e rifiutano di farsi condizionare da esso. Per questo riescono a sorridere e a divertrisi nonostante le tragedie quotidiane , per questo i loro figli, i nostri figli vengono allevati senza odio, come bambini normali anche se normali non sono perche' ogni nostro bambino puo' essere divorato dall'orco terrorista.
L'orco e' andato a cercarli anche in vacanza, in quel Sinai che una volta era Israele e al quale tutti si sentono ancora molto legati. L'orco e' arrivato su un camion e ha fatto crollare 30 metri di albergo con chi c'era dentro, tanti bambini appena andati a dormire sognando i giochi in spiaggia dell'indomani.

No, non tutti i bambini sono uguali.
Ci sono quelli che vengono uccisi tra le braccia disperate delle loro mamme e ci sono quelli che vengono mandati a morire dall'odio delle loro mamme.
Ci sono bambini che odiano e ci sono bambini che piangono.
Ci sono bambini che vogliono giocare e ci sono bambini che vogliono uccidere.
Ci sono bambini che restano invalidi per sempre e sorridono circondati di amore e ci sono bambini che fanno la raccolta delle figurine dei terroristi che hanno ridotto i primi all'invalidita' e alla morte.
Ci sono bambini che hanno paura e ci sono bambini che fanno paura.


Deborah Fait

Occhio, squalo
by ;) Wednesday, Jun. 29, 2005 at 8:48 PM mail:

Squalo, se ti nascondi sotto le gonne di debborah corri i tuoi bei rischi.
La vecchia scorreggia spesso, fai un po' tu.

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Tu sei nato qui perchè QUI ti ha partorito una FIGA.
by Io vengo dalla luna. Wednesday, Jun. 29, 2005 at 8:57 PM mail:

...e mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia
...


...
"Torna al tuo paese, sei diverso!" - Impossibile, vengo dall'universo, la rotta ho perso, che vuoi che ti dica, tu sei nato qui perchè qui ti ha partorito una fica. In che saresti migliore? Fammi il favore, compare, qui non c'è affare che tu possa meritare. Sei confinato, ma nel tuo stato mentale, io sono lunatico e pratico dove cazzo mi pare. Io non sono nero, io non sono bianco, io non sono attivo, io non sono stanco, io non provengo da nazione alcuna, io si, io vengo dalla luna....

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sempre più malata di protagonismo
by x l'antisemita deborah Wednesday, Jun. 29, 2005 at 9:17 PM mail:

L'occupazione tranquilla
di Ran HaCohen
parte prima









Qual e' la prima immagine che il termine "occupazione" suscita nella nostra mente? Probabilmente un tipo di estrema violenza condotta contro i civili: fuoco letale nel mezzo di una città, bambini terrorizzati in pigiama che osservano soldati armati rovistare le loro case, un elicottero che spara missili nel centro di Gaza. Tutte queste scene di violenza avvengono, ma non danno un'immagine adeguata di ciò che e' realmente l'occupazione.

Pochissime persone capiscono che Israele ha trasformato la vita nei territori occupati (esclusa quella dei coloni israeliani) in una miseria totale senza alcun bisogno di sparare un solo proiettile. Un'occhiata unica, incommensurabile, nei meccanismi che formano questa occupazione "tranquilla", di solito nascosta dietro la cortina fumogena delle violenze, e' data dal primo rapporto annuale che il gruppo israeliano per la difesa dei diritti umani, Machsom Watch, ha presentato a Tel Aviv la settimana scorsa, nel corso di una conferenza stampa.

I CHECKPOINT DELLA CISGIORDANIA: PER COMINCIARE

Machsom - in ebraico "blocco stradale" - sta per l'intero arsenale di ostacoli sparsi in tutti i territori occupati: blocchi stradali temporanei o permanenti, checkpoint o strade chiuse mediante pesanti massi di cemento, cancelli nel Muro, trincee, montagne di terreno, torrette di osservazione. Il fatto meno conosciuto ma più significativo di questi vari ostacoli fisici e' che quasi tutti non sono "checkpoint di frontiera" collocati tra Israele ed i territori occupati, ma sono posti ENTRO i territori occupati e minano qualsiasi spostamento dei palestinesi da una città o villaggio all'altro.

Negli ultimi quattro anni - i segni erano già chiarissimi all'inizio del 2002 - Israele ha reso dipendente dal permesso israeliano qualsiasi spostamento di palestinesi. Incredibile ma vero: un palestinese che voglia uscire (o rientrare) dal suo villaggio, città, periferia o da una sezione di villaggio arbitrariamente tagliata fuori, deve ottenere un permesso israeliano in anticipo e mostrarlo a tutti i checkpoint. Non puoi lavorare, fare compere, andare a scuola, far visita a parenti o amici, andare in ospedale se prima non attraversi diversi checkpoint israeliani.

I numeri sono terrificanti. L'Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umani (OCHA) ha contato, nel novembre 2004, non meno di 719 ostacoli fisici in tutta la Cisgiordania. Machsom Watch riporta che meno di 70 di essi sono stati rimossi nel recente periodo di "calma", alcuni solo per essere rimpiazzati dal Muro, che progredisce rapidamente. Un generale dell'esercito ha dichiarato che i 25 checkpoint centrali sotto il suo comando abbisognano di circa 1000 soldati, e, nei periodi di allerta speciale, vengono impiegati fino a 5000 militari (Ha'aretz, 22 luglio 2003); non c'e' da meravigliarsi che i checkpoint siano costantemente affollati, con file interminabili.

Dunque, nessuno degli oltre due milioni di palestinesi di Cisgiordania vive a più di un paio di miglia di distanza da un blocco stradale o un checkpoint. Una breve corsa in Cisgiordania ti farebbe imbattere inevitabilmente in molti checkpoint israeliani, alcuni di essi a cinque minuti di distanza dall'altro. Ti senti fortunato per averne attraversato uno? Il prossimo e' a pochi minuti, dove dovrai ricominciare tutto daccapo.

I checkpoint sono chiusi durante le festività israeliane, ebraiche, musulmane ed altre e nelle occasioni pubbliche, paralizzando in tal modo la vita economica e sociale palestinese. Machsom Watch riporta che

"Da marzo a maggio [2004], e' stata imposta una chiusura che include l'accerchiamento completo di molte aree della Cisgiordania. La chiusura e' cominciata nella festività di Pasqua, e' continuata senza interruzioni fino al Giorno dell'Indipendenza (molte settimane dopo) e da allora fino al referendum del partito Likud, per essere finalmente alleggerita dopo i giochi playoff del Final Four".

UNA PARENTESI PERSONALE

Quando avevo 18 anni, cominciai l'addestramento militare con un'unità israeliana nota per la sua ferocia. L'aspetto più difficile dei 100 giorni che trascorsi lì, all'inizio del 1983, non furono le difficoltà fisiche: esse erano un pezzo di torta paragonate allo stress permanente della politica sistematica ed intenzionale di tenere le nuove reclute in uno stato di completa incertezza. Non avevamo idea di cosa sarebbe accaduto tra pochi minuti - se saremmo andati a lezione, se avremmo avuto degli esercizi fisici, un pasto o trasportati presso una base remota. Venivamo spediti a letto tardi, di notte, per essere svegliati mezz'ora dopo; un weekend di riposo a casa veniva annunciato e smentito molte volte fino al venerdì pomeriggio; e militari individuali venivano puniti per le ragioni più incomprensibili. Come in seguito ci disse il mio ufficiale, l'idea era di "spezzarci come civili e formarci come soldati". La prima parte, almeno, fu ottenuta con successo: l'insopportabile stress causò severi danni mentali a molti di noi, come shock, identificazione con l'aggressore o sindrome post-traumatica.

Neanche lo staff di comando fu risparmiato: molti anni dopo, l'ufficiale che ho appena citato emigrò negli Stati Uniti, fu "adottato" da una ricca coppia di anziani ebrei-americani, incantati dall'integerrimo combattente israeliano, e si trova ora in carcere, condannato all'ergastolo per averli uccisi entrambi, sperando di ereditare la loro ricchezza.

ATTRAVERSO IL CHECKPOINT

Gli attivisti di Machsom Watch dicono di aver visto l'idea che e' dietro la politica dei checkpoint scritta su un documento militare: Mantenere la popolazione palestinese sotto incertezza permanente. Dunque si tratta dello stesso principio usato per "spezzare" le reclute durante l'addestramento iniziale applicato ad un'intera popolazione, bambini ed adulti, donne e uomini, vecchi e malati. I checkpoint sono il cuore di questa politica.

Nel momento in cui intraprendi un viaggio attraverso la Cisgiordania, non sei più padrone del tuo tempo. Non sai se ce la farai, né quanto tempo ti ci vorrà. A causa dei "checkpoint a sorpresa" e dei checkpoint aperti solo in determinate ore, non sai neppure in quanti checkpoint ti imbatterai. Qualsiasi checkpoint può essere chiuso a qualsiasi ora, senza alcun avvertimento né indicazioni su quando e se riaprirà. Puoi attraversare tre checkpoint sulla tua strada ed essere fermato al quarto. Attraversarne uno può richiedere pochi minuti o molte ore, a causa di file non prevedibili. L'esercito può anche improvvisamente imporre il famigerato "Stop a tutte le procedure" - un congelamento totale dei movimenti che dura diverse ore ogni volta.

DETENZIONE

Anche quando un checkpoint e' aperto, gli individui sono esposti ad arbitri ed incertezze estremi. Possedere un permesso e' condizione necessaria - ma non sufficiente - per attraversare il checkpoint. Con un impercettibile gesto del suo dito, un soldatino 19enne può decidere che i tuoi documenti necessitano di essere "ispezionati", e ti blocca. Tale detenzione può durare 20 minuti; ma può durare anche diverse ore, durante le quali devi aspettare nel Jora senza tetto ("buco", in arabo, "buco di scarico" in ebraico), dove ti verrà ordinato di restare in piedi, o di sedere a terra con la faccia contro la parete. Se sei un guidatore di pullman, tutti i tuoi passeggeri dovranno aspettare assieme a te. I tuoi documenti possono essere inviati all'ispezione immediatamente, ma possono anche essere trattenuti fino ad accumulare altri 20-30 documenti simili. Quando ritornano con un OK, puoi procedere; alcuni documenti, tuttavia, vengono smarriti durante il procedimento.

Chi viene fermato? Ecco alcune risposte raccolte dagli attivisti di Machsom Watch, che hanno intervistato i soldati ai checkpoint: "Chiunque sembri stressato" (e chi non lo sarebbe, sotto queste circostanze?); "Ogni nono uomo"; "Chiunque si chiami Mohammed"; "Chiunque voglia passare attraverso il mio checkpoint". L'arbitrio incarnato. Molti militari si riferiscono all'arresto ai checkpoint come ad una sorta di punizione o "misura educativa", ed ordinano persino agli incaricati: "Trattieni questo tizio per molto tempo".

TEMPO INGLESE

Dietro questo sistema vi e' una miriade di esseri umani con storie talvolta molto commoventi - il paziente di reni arrestato, lo studente percosso. Alcune di queste storie possono essere classificate come veri e propri abusi. L'efficienza israeliana nel trasformare in un inferno la vita dei palestinesi sparisce allorché si debbano investigare questi crimini: di 100 casi inviati da Machsom Watch nel 2004 a diversi uffici statali e militari, l'87% e' stato ignorato o insufficientemente trattato. Due anni fa, l'esercito ha ammesso che di 1.200 "inchieste" per abusi ai checkpoint, solo 18 avevano condotto ad investigazioni militari; il resto - il 98,5% - era stato completamente rimosso (Ha'aretz, 22 luglio 2003).

Ma e' importante che i casi di abuso non distraggano dalla "normale" routine: la vita quotidiana dei palestinesi e' insopportabile anche in ciò che gli attivisti di Machsom Watch definiscono "il tempo inglese", cioè una giornata usuale senza alcun evento eccezionale. Se deve essere cercata la radice della frustrazione, della disperazione e della violenza dei palestinesi - definitela "terrorismo", se vi piace - il sistema dei checkpoint e' un luogo eccellente per cominciare.



da Antiwar.com

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vedere
by i bambini di arna Wednesday, Jun. 29, 2005 at 9:21 PM mail:

I bambini di Arna

La commossa recensione, scritta da un israeliano, di un film-documento che rievoca dieci anni di vita di adolescenti di Jenin, dalle prime riprese durante le recite nel teatro fondato da Arna Mer alla loro tragica fine, riportata dal figlio di Arna. Le immagini di Arna Mer si riferiscono alla visita di addio che la grande donna fece al campo profughi, pochi giorni prima di morire e cinque anni prima che il suo lavoro, ed i suoi "bambini", venissero brutalmente fagocitati dall'occupazione.












"I bambini di Arna" racconta la storia di un gruppo teatrale creato da Arna Mer Khamis. Arna proveniva da una famiglia sionista e, negli anni '50 sposò un arabo palestinese, Saliba Khamis. In Cisgiordania, aprì un sistema educativo alternativo per i bambini la cui vita regolare era disturbata dall'occupazione israeliana. Il gruppo teatrale che avviò impiegava bambini di Jenin, e li aiutava ad esprimere le loro rabbie quotidiane, le frustrazioni, l'amarezza e la paura. Il figlio di Arna, Juliano, regista di questo film, fu anche uno dei direttori del teatro di Jenin. Con la sua telecamera, filmò i bambini i periodi di prova, dal 1989 al 1996.

Ora, torna indietro, a vedere cosa e' accaduto loro. Yussef commise un attacco kamikaze ad Hadera nel 2001, Ashraf fu ucciso nella battaglia di Jenin, Ala' guida un gruppo della resistenza. Juliano, che oggi e' uno degli attori più affermati in Israele, torna indietro nel tempo, a Jenin, e cerca di capire le scelte fatte da quei bambini che amava e con cui lavorava. Otto anni fa, il teatro fu chiuso e la vita divenne statica e paralizzata. Andando avanti e indietro nel tempo, il film rivela la tragedia e l'orrore di vite intrappolate nell'occupazione israeliana.





I bambini della Patria

Recensione di Uri Klein, http://www.haaretzdaily.com, aprile 2004.









Motivato da profonda emozione ed identificazione, "I bambini di Arna" e' un film coraggioso, che arriva dal cuore e dall'anima.

In una scena di "I bambini di Arna", Juliano Mer Khamis si abbandona ai ricordi di alcuni dei fanciulli che presero parte alle attività delle case per bambini fondate da sua madre, Arna Mer, nel campo profughi di Jenin nel 1987. Sul tetto di una di esse, fu creato un piccolo teatro, dove Juliano Mer Khamis, un attore di professione, lavorava come regista e metteva su commedie con i bambini del campo profughi. Ashraf, uno di quei bambini, descrive il suo primo incontro con Mer Khamis. Dal momento che Mer Khamis e' un ebreo, Ashraf era sicuro che fosse "una spia degli occupanti".

Juliano non appare in questa scena; egli e' presso la telecamera, e si sente solo la sua voce. Dopo che Ashraf ha parlato, rivolgendosi alla telecamera e non a lui, Mer Khamis gli chiede: "Parli di me?". "Sì, di te", risponde Ashraf. "Pensavi che io fossi una spia dell'occupazione?", chiede, facendo l'eco alle parole del ragazzino. "Sì", risponde Ashraf, nuovamente senza guardarlo direttamente. "Beh, allora ripetilo", ordina Mer Khamis. "Pensavo che Juli ...", comincia Ashraf, ed il regista taglia corto: "Perché dici "Juli"? Dici "tu". Solo allora Ashraf si rivolge a lui direttamente e dice: "Credevo che tu fossi una spia dell'occupazione".

Apparentemente, si tratta della scena più semplice e modesta del film, che sarà trasmesso per alcune settimane alla Cinemateca di Tel Aviv, di Haifa, Gerusalemme, Nazareth e Rosh Pina. E invece, si tratta della scena chiave di "I bambini di Arna", poiché essa rivela ciò che rende il film così bello, commovente e di valore. Il "lui" diventa "tu" e lo spettatore e' costretto a confrontarsi con la possibilità e la necessità di ciò che accade, perché solo dopo questa trasformazione ci sarà una chance per quest'area - nonostante l'orrore e la disperazione che questo film documenta con un'acutezza che spezza il cuore.

Mer Khamis - che ha scritto e diretto il film assieme a Danniel Danniel, un cineasta israeliano che vive in Olanda, fa innamorare lo spettatore dei bambini palestinesi presentati nel suo film, prima di spiegare cosa e' accaduto loro molti anni dopo le riprese. Con voce soffice, controllata, racconta che la conversazione con Ashraf ed i suoi amici ebbe luogo sette anni dopo che sua madre ebbe fondato le case per i bambini. Dopodiché aggiunge, sempre con voce soffice e controllata, che sei anni dopo Ashraf fu ucciso nella battaglia con l'esercito israeliano che ebbe luogo nel campo di Jenin nell'aprile 2002.

"I bambini di Arna" non racconta solo la vita e la morte di Ashraf (che sognava, da bambino, di recitare il ruolo del "Romeo palestinese"), ma anche di tre suoi amici - Yussef, Ala' e Nidal. Dapprima, essi sono presentati al pubblico come bambini che prendono parte ad una delle commedie organizzate da Mer Khamis nel teatro fondato da sua madre; poi essi sono mostrati dieci anni dopo, trasformati in giovani uomini. Il film schizza anche un ritratto della madre di Juliano, Arna Mer, morta di cancro nel 1997 - cinque anni prima che la battaglia nel campo profughi distruggesse il teatro e le case dei bambini.

Il film vaga avanti e indietro nei 10 anni che precedettero quella battaglia. Una delle immagini che appare più di una volta, così da sembrare come se il ricordo di essa tormenti il regista, e' quella di Ala' bambino, seduto sui gradini della sua casa rovinata nel 1992, dopo che l'esercito israeliano aveva fatto saltare in aria la casa dei vicini. Dieci anni dopo, Ala' e' ricercato dall'esercito e la sua casa potrebbe essere demolita per la seconda volta, ma lui dice che non gli importa. Lui e la sua famiglia sono già sopravvissuti una volta alla distruzione e sono preparati ad affrontarla ancora. In mani meno abili, la storia di Ala' avrebbe potuto facilmente trasformarsi in un genere di allegoria eroica, con un piglio romantico e persino sentimentale. Ma Mer Khamis riesce ad evitarlo, e non solo in questo caso, ma anche quando presenta le altre storie dei bambini del film - e la sua storia, e quella di sua madre.

"I bambini di Arna" sgorga da una tale profonda identificazione, coinvolgimento e dedizione che Mer Khamis riesce a non fare neanche un passo falso in tutto il suo tragitto cinematografico, che non era né semplice né comodo. Questo e' un film che arriva dal cuore e dall'anima, non da un distaccato pensiero analitico e teoretico Ma, proprio perché l'emozione che lo motiva e' costantemente accompagnata dall'identificazione e dalla dedizione, il risultato e' un film di pensiero e decenza - ed anche di grande coraggio.

Juliano Mer Khamis non cerca di semplificarsi la vita. Il suo film tratta di questioni molto delicate: la morte di sua madre (in una delle scene più tenere e intense, il corpo di lei, avvolto in un sudario blu, viene spostato dalla stanza nel seminterrato dell'ospedale, e, mentre suo figlio aiuta a sistemarlo nella bara, scopre per un momento il suo volto per identificarla); le battaglie nel campo profughi (nell'ultima parte del film, Mer Khamis si trova proprio in mezzo ad una di esse e la racconta dal lato palestinese); e gli attacchi kamikaze - il soggetto più duro di tutti, almeno per gli spettatori israeliani.


Due dei bambini, Yussef e Nidal, una volta cresciuti di fecero esplodere in un attacco kamikaze ad Hadera, in cui rimasero uccisi 4 israeliani. Il film mostra i corpi di Yussef, Nidal e Ala', che avevamo incontrato bambini ed avevamo ammirato in spezzoni della commedia recitata nel teatro di Arna Mer. Il teatro fu costruito con la donazione che Arna ricevette quando le fu consegnato il Premio Nobel Alternativo, a Stoccolma, per le sue attività nel campo profughi di Jenin. I bambini interpretavano l'affascinante fiaba di una principessa che doveva essere liberata con l'aiuto del sole, portato fin dentro il suo palazzo. Nel momento in cui ci vengono presentati i corpi di Yussef, Nidal e Ala', i tre - come gli altri personaggi del documentario - sono stati trasformati da "essi" in "voi", sicché la forza di nostri sentimenti causati dalla loro morte e' stupefacente.

Il film stimola l'esigenza del riconoscimento, che può essere la cosa più importante, che al di là dei "noi" e dei "loro", vi e' un destino comune, una tragedia comune e soprattutto una necessità comune di mettere fine al bagno di sangue di questa sfortunata regione. Ecco perché, alla fine, "I bambini di Arna" e' un film che suscita speranza; entro questo buio, ci sono piccoli punti luminosi, ed il film di Mer Khamis e' uno di essi.

Recentemente, sono stati prodotti numerosi altri film che trattano del conflitto israelo-palestinese, incluso "Checkpoints", di Yoav Shamir, che ha vinto il primo premio ad un festival per i film-documentari ad Amsterdam. Il film di Shamir registra la routine quotidiana ad un checkpoint dell'esercito israeliano in Cisgiordania, ma proprio perché registra una routine apparentemente monotona, in cui non accade nulla a parte le rituali umiliazioni inflitte dall'occupazione, e' impossibile guardarlo senza aver voglia di urlare. Ma questo urlo e' anche troppo semplice, specie perché Shamir non ha risolto la questione principale che affronta il creatore di un film-documento: chi sta riprendendo la sua telecamera e perché si trova proprio in quel posto particolare? Di conseguenza, emotivamente parlando, il risultato e' confuso ed elusivo.

Il film di Mer Khamis non soffre di questo problema. Noi sappiamo perché era a Jenin e perché vi aveva portato la telecamera - per riprendere la visita d'addio di sua madre al campo profughi e per visitare la madre e la sorella di Ala'. Lui e la sua telecamera sono lì perché questa e' la sua vita e questa e' anche la nostra vita, così che il film balza dal centro della nostra esistenza qui, ed opera nell'ombra della distruzione che costantemente la minaccia.

"I bambini di Arna" collega i concetti di madre, luogo e patria e li intreccia in un film che dovrebbe essere mostrato di continuo e trasmesso su ogni canale televisivo possibile. Non accade spesso che io mi senta obbligato a dare il seguente consiglio: andate a vedere "I bambini di Arna". E' un film importante.




Notizie, immagini e commenti sul film di Juliano Mer-Khamis: http://www.arna.info/Arna/movie.php
http://www.arabcomint.com/perché_lintifada.htm
Leggi anche: Una cronaca di tombe vuote, di Juliano Mer-Khamis


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dal regno dei morti
by in memoria Wednesday, Jun. 29, 2005 at 9:52 PM mail:

Dylan Thomas ha scritto una poesia di guerra intitolata "E la guerra non avrà dominio" ("And Death Shall Have No Dominion"). In Israele, ce l'ha. Qui la guerra governa: il governo di Israele regna su un dominio di morte. Perciò la cosa più incredibile riguardo agli attacchi terroristici di questi giorni è l'incredulità di Israele.

La propaganda e l'indottrinamento in Israele riescono a mantenere le informazioni su questi attacchi separate dalla realtà del paese. Nei media israeliani (e americani) la storia è fatta di assassini arabi e vittime israeliane, il cui solo peccato sarebbe stato l'aver chiesto sette giorni di grazia. Ma qualunque persona la cui mente vada non a un anno, ma solo a una settimana o a poche ore fa, sa che la storia è diversa, che ciascun attacco è un altro anello in una catena di orribili fatti di sangue che ha segnato gli ultimi 34 anni e non ha che una causa: un'occupazione brutale. Un'occupazione che umilia, affama, nega il lavoro, demolisce le case, distrugge i raccolti, ammazza i bambini, incarcera i minori senza processo in condizioni terribili, lascia che i bambini piccoli muoiano ai checkpoint e diffonde bugie.

La scorsa settimana, dopo l'assassinio di Abu Hanoud, una giornalista di Yediot Ahronot mi ha chiesto se mi sentivo "sollevata". Non ero spaventata all'idea che "un assassino come quello andasse in giro libero"? No, non mi sentivo sollevata, le ho detto, e non mi sentirò sollevata finché gli assassini dei bambini palestinesi continueranno ad andare in giro liberi. Le uccisioni di quei bambini, come l'uccisione di un sospetto senza processo o l'uccisione di un bambino di dieci anni poco prima dell'attacco a Gerusalemme, garantiscono che nessun bambino israeliano può andare a scuola sentendosi al sicuro. Ogni bambino israeliano pagherà per la morte dei cinque bambini a Gaza e gli altri a Jenin, Ramallah, Hebron.

I palestinesi hanno imparato da Israele che ogni vittima deve essere vendicata dieci volte tanto, cento volte tanto. Hanno detto ripetutamente che finché non ci sarà la pace a Ramallah e Jenin, non ci sarà pace a Gerusalemme e Tel Aviv. Perciò non spetta ai palestinesi rispettare sette giorni di tregua, ma alle forze di occupazione israeliane.

Venerdì è stato riportato che dei politici di entrambe le parti avevano raggiunto un accordo a Gerusalemme per permettere la riapertura del casinò, da cui dipende la loro sussistenza. Lo hanno fatto senza l'intervento americano, senza commissioni ad alto livello, solo con l'assistenza di legali e uomini d'affari che hanno promesso alle parti ciò che serviva. Questo dimostra che il conflitto non è tra i leader: quando una questione li riguarda direttamente (a differenza della morte dei bambini) sono veloci a trovare una soluzione.

Questo rafforza la mia convinzione che tutti noi, israeliani e palestinesi, siamo vittime dei politici che giocano d'azzardo con la vita dei nostri figli sul tavolo dell'onore e del prestigio. Per loro, i bambini valgono meno che le fiche della roulette.

Ma questi attacchi servono agli interessi della politica israeliana - una politica finalizzata a farci dimenticare che la guerra oggi riguarda la protezione degli insediamenti e la continuazione dell'occupazione, una politica che spinge i giovani palestinesi al suicidio e a portare con sé i bambini israeliani, animati dall'invocazione di Sansone "muoia Sansone con tutti i filistei", una politica escogitata per farci credere che "loro vogliono anche Tel Aviv e Jaffa" e che "non c'è nessuno con cui parlare", nel momento stesso nel quale vengono liquidati tutti i possibili interlocutori.

Ora che sappiamo che i nostri leader sono capaci di pace quando c'è un motivo economico, dobbiamo chiedere che facciano la pace quando sono in gioco cose di minore importanza, come la vita dei nostri figli. Finché tutti i genitori di Israele e della Palestina non si solleveranno contro i politici e non gli chiederanno di tenere a freno le loro voglie di conquista e di spargimenti di sangue, il reame sotterraneo dei bambini sepolti continuerà a crescere. Sin dall'inizio dei tempi, le madri hanno levato con chiarezza la loro voce per la vita e contro la morte. Oggi dobbiamo alzarci in piedi contro la trasformazione dei nostri figli in uccisori e uccisi, dobbiamo insegnare loro a non sostenere crudeli macchinazioni, e costringere i politici - che dicono, con Abner e Ioab: "potrebbero alzarsi i giovani e scontrarsi davanti a noi" - a fare spazio a quelli che possono sedere al tavolo del negoziato e accettare una pace vera e giusta, che sono preparati a portare avanti il dialogo non con lo scopo di ingannare e manipolare l'altra parte, non per umiliare l'altro e costringerlo in ginocchio, ma per raggiungere una soluzione che consideri le ragioni dell'altro, una soluzione priva di razzismo e bugie. Altrimenti la morte continuerà ad avere il suo dominio su di noi.

Propongo che i genitori che non hanno ancora perso i loro figli guardino sotto i loro piedi e prestino attenzione alle voci che salgono dal regno della morte, sul quale camminano giorno dopo giorno e ora dopo ora, perché solo là tutti capiamo che non c'è differenza tra una vita e un'altra, che poco importa quale sia il colore della nostra pelle o della nostra carta d'identità, o quale bandiera sventola su quale collina e in che direzione ci mettiamo quando preghiamo.

Nel regno della morte i bambini israeliani giacciono accanto a quelli palestinesi, i soldati dell'esercito d'occupazione accanto agli attentatori suicidi, e nessuno ricorda chi era Davide e chi era Golia, perché hanno visto in faccia la verità e hanno capito di essere stati imbrogliati e ingannati, che politici senza sentimenti o coscienza hanno perso al gioco le loro vite mentre continuano a giocare d'azzardo con la vita di tutti noi. Abbiamo dato loro il potere, attraverso elezioni democratiche, di fare della nostra casa un'arena di omicidi senza fine. Solo se li fermeremo, potremo tornare a una vita normale in questo luogo, e allora la morte non avrà dominio.


Traduzione di Marina Impallomeni

* La scrittrice e docente universitaria pacifista Nurit Peled-Elhahan, figlia dello scomparso generale pacifista Mati Peled, tre anni fa ha perso una figlia tredicenne in un attentato di Hamas. Ieri, insieme allo scrittore palestinese Izzat Ghassawi, è stata insignita dal parlamento europeo del prestigioso premio Sakharov per i diritti umani per la sua incessante attività a favore della pace e della riconciliazione .

* Da "Il Manifesto" del 13 Dicembre 2001


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