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La Mamma (riformista) va a fare spesa
by Fabrizio Bottini Tuesday, Jul. 19, 2005 at 8:50 PM mail:

Un recentissimo approccio critico inusuale, soggettivo ma sistematico, a spazi e servizi del commercio (f.b.)

Nora Lee, The Mom Factor: what really drives us where we shop, eat, and play, Urban Land Institute, 2005 (152 pp., 19,95 $)

Ci sono cose che succedono dentro a una mamma quando diventa tale. Ce ne sono altre che succedono fuori dalla mamma, e per così dire “trasformano il territorio”, in modo del tutto peculiare. Quali, come, e quanto?
Prova a raccontarcelo Nora Lee, studiosa e divulgatrice dei problemi legati all’uso degli spazi e tempi del consumo moderno, che un giorno scopre di aspettare un bambino. Non se l’aspettava proprio, di aspettare, alla sua età (allora intorno ai ’40, oggi ai ’50) e dopo le ripetute sconsolanti diagnosi di vari dottori. Alla faccia dei dottori, il bambino arriva, e inizia il suo indiretto quanto irresistibile processo di trasformazione del territorio.
Non lo fa, come si potrebbe immaginare a prima vista, (solo) sgattonando o magari obbligando la famiglia a cercare (se può permettersela) una casa più grande, ma in modo sottile condizionando i modi d’uso di spazi e tempi enormemente dilatati. Un condizionamento che si estende dal bambino, attraverso il nodo-chiave della Mamma, su e giù per le generazioni e gli spazi, fino ai nonni e allo spazio metropolitano e regionale. Del resto, basta pensare per un attimo ai famigerati ingorghi di fuoristrada all’ora di apertura e chiusura di asili e scuole elementari, per iniziare a intuire questi aspetti estensivi della maternità. Ma la nostra Nora Lee, da buona studiosa ed esperta, pur senza perdere per un istante di vista la propria preziosa soggettività di Mamma, va molto oltre la semplice sensazione e nota di costume: non a caso le pur leggere e leggibilissime 150 pagine del suo libro, sono corredate da statistiche, indicazioni bibliografiche senza esagerare, e pubblicate dal seriosissimo e specializzato Urban Land Institute di Washington, D.C.

Perché quello che accade “fuori” a una ragazza di qualunque età, quando le succede di diventare anche Mamma, è di scoprire nuovi territori. È il processo spesso raccontato e studiato, che coinvolge ad esempio chi porta o si trova a portare qualche tipo di condizionamento, alla mobilità o all’uso dei sensi. Ma con la Mamma esiste un coefficiente di moltiplicazione che deve far suonare un campanello d’allarme, soprattutto a chi controlla il territorio a fini di profitto: è lei a tenere i cordoni della borsa, a controllare dove e come organizzare i consumi familiari, a condizionare direttamente e indirettamente anche i comportamenti di altri soggetti. E lo fa a maggior ragione, man mano anche come donna e cittadina aumenta il proprio prestigio e produce autonomamente (oltre ad amministrarle) quote rilevanti del bilancio. È insomma la Mamma, a guidare la carica verso i nuovi territori del commercio, dei servizi, del tempo libero.
E come già detto, lo fa in modo molto più selettivo, analitico ed esigente di quando era “solo” una donna. Ora, alla sin ovvia esigenza di proteggere i cuccioli dalle insidie dell’ambiente esterno si somma il suo ampliato ruolo, la nuova articolazione dei tempi, una sensibilità affilata che si applica a tutto campo. Mamma Nora ci guida così su e giù dalle scale mobili di infiniti spazi commerciali, al chiuso o all’aperto, con un occhio attento alle nuove misure del suo corpo: che non finisce più alle unghie o ai tacchi delle scarpe, ma si è esteso alle propaggini dei bambini, dei passeggini, al raggio d’azione autonoma degli uni e degli altri. E anche il tempo è cambiato, nei valori e nella sostanza: tempo degli spostamenti, tempo del consumo, dello sfinimento e del riposo. Siamo insomma a qualche anno luce dall’immagine standardizzata del consumatore-tipo, da cartellone o spot, che a tutte le età e condizioni la comunicazione globalizzata invariabilmente ci ripete e propone a ogni latitudine.

Gli esempi e le gags sono infiniti: dall’esodo biblico con pupi e spesa nel deserto arroventato o alluvionato dei piazzali a parcheggio, a un approccio self-service che da un certo punto di vista si traduce “arrangiatevi: sono fatti vostri!”. Scenario, variabile, ma in fondo sempre molto simile, i nuovi territori del commercio dell’America suburbana, in cui anche noi europei e italiani cominciamo a riconoscerci molto da vicino. Il grande shopping mall, le zone centrali pedonalizzate e ri-attrezzate a nuovi usi, gli spazi di incontro e servizi di quartiere, il parco a tema, il cinema multisala, e trasversalmente tutti gli ibridi vecchi e nuovi del retailtainment, dissezionati dallo sguardo acuto della terribile, ipercritica Mamma. La trasversalità interessa anche i soggetti e il tempo. Ci sono nonni, fratelli, nipoti, tutti coinvolti in questo uso complesso del territorio commerciale, su e giù dall’auto, ascensore, dentro e fuori dal fast-food o dalla svendita di articoli sportivi che si rivela in qualche modo una patacca. E ci sono anche i tempi della storia: per quanto “storia” si possa definire (almeno da un punto di vista europeo) il semplice dipanarsi del vissuto individuale intrecciato all’evoluzione sociale e spaziale.
Ma l’io narrante di Mamma Nora va ben oltre le nostalgie e i rimpianti, pur senza trascurare nulla. Scorrono così, ad esempio, le immagini dei primi centri commerciali anni ’50 e dei relativi comportamenti, delle vecchie vie di villaggio con le botteghe emporio a gestione familiare, o dei cinema di terza visione. Anche di tutto questo si tenta un’analisi comparata di qualità dei servizi, degli spazi, del rapporto con l’entità famiglia allargata. Una delle parti più interessanti, da questo punto di vista, è il racconto di come venga percepito (secondo i ricordi personali, e secondo un piccolo questionario nazionale) lo spazio del parco a tema per eccellenza: Disneyland. Spazio della intuizione e filtrata memoria personale di Zio Walt, che attraverso le esperienze delle generazioni di utenti finisce per diventare, da “città dei sogni” che era, attraverso la fase intermedia di “città ideale”, una sorta di virtuale “centro storico” americano, deposito di memorie condivise e spunti per il futuro. In qualche modo inquietante, ma anche stimolante per chi non vuole ridurre la propria interazione con la modernità al solo conflitto istintivo.

E' forse proprio questo rapporto, critico ma al tempo stesso estremamente positivo e propositivo, di Nora Lee con gli spazi della modernità, a lasciare lievemente perplessi. Mi riferisco, qui, all’orizzonte suburbano middle-class che nel libro, dopo un breve esordio fianco a fianco con altri contesti, finisce per sostituirsi tout-court al mondo. Certo, Supermamma ce lo spiega bene, nei paragrafi introduttivi, che esistono vari chiari profili di consumatrice-manager familiare, e che lei per scelta ed esperienza personale esplorerà solo i territori della donna con un certo livello di istruzione, autonomia economica e reddito familiare (100.000 dollari l’anno), nondimeno questo influenza non poco l’effettivo valore sociale del pur acuto e documentato resoconto. In definitiva spariscono come d’incanto, temi di enormi dimensioni come la segregazione spaziale di chi non ha (o ha in modo limitato) un’automobile, o esigenze correnti di socialità più spicciola (il quartiere, o la semplice prossimità fra abitazione e servizi, qui quasi scompaiono, in una contraddittoria a-spazialità da grandi catene, interrotta da qualche gag di bottega o poco altro). Insomma, il lettore che non tenesse sempre a mente quell’appunto iniziale, finirebbe per scivolare in una pur avvincente, ma fuorviante, lettura tipo Paperino e Qui-Quo-Qua al Supermarket.
Decisamente positiva, invece, la capacità di questo libro di rivolgersi contemporaneamente all’operatore commerciale (da qui, probabilmente, la pubblicazione per il tipi dello ULI), allo studioso, e anche al pubblico delle Mamme, per renderle più consapevoli della propria forza d’urto economica, e della possibilità di usarla per ottenere “diritti”, stavolta non dal settore pubblico, ma dal commercio privato. Perché – almeno a parere del sottoscritto – salvo qualche eccezione ha poco senso avere un atteggiamento di rifiuto pregiudiziale nei confronti dell’innovazione, salvo, come questo dilatato “pomeriggio di shopping” ci insegna, andare puntigliosamente a cercare il pelo nell’uovo. Un uovo che, va da sé, non finisce al guscio delle pareti del negozio, del ristorante, ma si allarga al quartiere, alla città, al territorio all’ambiente. E qui, nei territori vasti e selvaggi dell’impresa globalizzata, non basterà certo a salvarci la nursery a palline colorate dell’Ikea. Però un pochino aiuta: basta non accontentarsi.

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