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Una breve ma necessaria introduzione alla vicenda colombiana.
by comitato fonseca Friday, Sep. 02, 2005 at 12:01 AM mail:

Prima di iniziare ad affrontare i contenuti veri e propri della mia ricerca, mi sembra utile trattare il controverso tema del conflitto colombiano. Nel mondo esistono molti conflitti dimenticati, che arrivano alle nostre orecchie o ai nostri occhi raramente e spesso in maniera incomprensibile, filtrati dalle asettiche notizie dei nostri quotidiani; ma forse non è questo il nostro caso. La Colombia, per quanto riguarda l’attenzione mediatica, si trova su questo piano: compare nei notiziari solo nel caso d’omicidi o rapimenti illustri o di massacri con più di venti morti, preferibilmente se compiuto dalle guerriglie e non dall’Esercito Nazionale o dai gruppi paramilitari. Ma non è così per quello che concerne l’attenzione degli studiosi: l’anomalia colombiana, un conflitto eterno con attori che apparentemente avrebbero più senso se ubicati negli anni ’60 o primi ’70 al massimo, porta molti a compiere analisi su quanto avviene, ma la conclusione più gettonata è sempre quella dell’anacronismo degli attori armati, la loro astoricità ed estraneità alla realtà sociale e civile del paese stravolto dalle loro armi. Molte di queste analisi sono fuorvianti per una mancanza totale di lettura storica del conflitto e di valutazione di elementi che non possono in alcun modo essere ignorati. Incredibile, se si vuol continuare a credere alla buona fede degli opinionisti o degli studiosi, che questi non prendano in considerazione alcuni dati troppo eclatanti per non essere visti.

Un po’di storia.

Si potrebbe iniziare a raccontare il conflitto colombiano dai tempi di Simon Bolivar o da quelli della rivolta dei “comuneros” ma esulerebbe dagli obiettivi di questo studio seppur contribuirebbe a restituire questo conflitto alla storia.
Desidero iniziare allora dal conflitto tra liberali e conservatori e dal massacro bananiero compiuto dalla United Fruit nel 1927, entrambi modelli predittivi di quello che il futuro riserverà ai colombiani.
Il massacro bananiero viene descritto in modo illuminante nelle pagine del capolavoro di Marquez “Cento anni di solitudine” che racconta la sanguinosa repressione di uno sciopero di lavoratori della compagnia United Fruit: il massacro di circa tremila scioperanti fu dichiarato mai esistito dall’autorità che si rifiutò di ammettere persino l’esistenza delle piantagioni. Il libro di Marquez è solo un romanzo, certo, ma nella realtà non si riuscì a conteggiare neppure il numero dei morti e, cosa ancora più tragica, negare l’evidenza, nascondere le responsabilità in maniera tanto sfacciata, come riportata dal testo, è rimasto nel tempo un costume tipico dei governi colombiani.
L’antico conflitto tra liberali e conservatori, se per il modo di trasmissione, quasi ereditaria, dell’appartenenza politica potrebbe essere assimilato quasi ad un conflitto etnico, a scarso o nullo contenuto politico, si tinge a partire dagli anni ’20 di una connotazione radicalmente politica; questa diventerà sempre più evidente fino ad esplodere con la leadership liberale di Gaitan, assassinato nel 1948, caratterizzandosi con la rivendicazione di migliori condizioni lavorative per gli operai, specialmente delle imprese bananiere e di una radicale riforma agraria che ridistribuisca realmente le terre, costante aspirazione, peraltro, di tutti i movimenti contadini dell’America Latina.
Mentre i contadini senza terra e senza risorse colonizzano a lacrime e sangue la selva, portando avanti la frontiera agricola, i grandi latifondisti continuano ad aumentare i loro vasti possedimenti facendo sempre più spesso ricorso a gruppi armati privati (embrione di quelli che saranno successivamente i gruppi paramilitari) o alle stesse forze armate nazionali per “convincere” i coloni più testardi a vendere o regalare la loro terra ed a non giungere mai a vedere i frutti del proprio lavoro di colonizzazione. Su questo perverso meccanismo la guerra tra liberali e conservatori non fa altro che innescarsi come un detonatore: i primi si presentano con Gaitan come difensori dei contadini mentre i secondi dei latifondisti. La recrudescenza del conflitto fa sì che si formino bande armate dall’una e dall’altra parte che talvolta, ma questo fa parte forse della storia di ogni conflitto, compiono massacri che nulla hanno a che vedere con le rivendicazioni in campo facendogli assumere le caratteristiche di una guerra tra bande. L’inevitabile degenerazione della guerra si spiega con il momento di caos bellico e con la spaventosa quantità di armi in circolazione ma non può cancellarne le ragioni sociali ed economiche. Il voluto e ricercato silenzio sulle profonde radici socio economiche del conflitto costituisce il reale difetto di molti approcci al problema.
Nel 1958 liberali e conservatori si accordano per una spartizione del potere per disinnescare le bande armate dell’uno o dell’altro partito che, ormai troppo potenti e fortemente influenzate delle idee socialiste, sono diventate pericolose per gli interessi dei membri della classe privilegiata, liberali o conservatori che siano. Ma alcuni gruppi armati contadini consolidatisi nella lotta per la difesa delle comunità dalle prepotenze dei latifondisti hanno ormai preso coscienza della loro condizione e continuano a rivendicare quella riforma agraria ormai abbandonata dai liberali. Non accettano pertanto il disarmo e continuano ad esistere, sotto forma di piccole bande, fino al loro incorporarsi nelle guerriglie, sorte nel 1964.
Un dato storico, tanto fondamentale quanto sistematicamente ignorato dagli analisti, riguarda la nascita di uno dei presunti “attori” del conflitto. Nel 1962, due anni prima della formazione delle guerriglie in Colombia, il presidente Kennedy, ricordato oggi nel mondo per le sue idee progressiste, per contrastare l’avanzata delle idee socialiste in America Latina, da sempre considerata cortile domestico degli Stati Uniti, auspica e promuove la trasformazione degli eserciti regolari in battaglioni controinsurrezionali e la formazione di gruppi di civili armati per azioni che l’esercito regolare non avrebbe potuto compiere in quanto al di fuori dei limiti dettati loro dalle leggi. Fino alla fine degli anni settanta questa auspicata e necessaria formazione di gruppi civili per azioni sotto copertura si incontrerà in tutti i manuali in dotazione all’esercito ma già il meccanismo è stato messo in moto: nel 1968 viene approvata la legge 48 che autorizza il governo a formare pattuglie di civili equipaggiate con armi di uso esclusivo dell’esercito. È evidente quale uso sia stato fatto di questa legge che ha permesso, tanto per fare un esempio, la nascita delle discusse cooperative di sicurezza privata “convivir”. Per meglio capire l’entità di questa strategia è necessario valicare i confini colombiani. Gli squadroni della morte, l’alleanza anticomunista americana, l’operazione condor, la mano negra, la contras sono solo alcuni dei nomi assunti da quella che è una strategia su scala continentale e che inizia proprio in seguito dell’illuminante intervento Kennediano. In tutti i paesi dell’America Latina scossi da moti di protesta, ondate rivoluzionarie o governi semplicemente progressisti il fenomeno paramilitare si è manifestato con inaudita ferocia colpendo i movimenti popolari ed i civili inermi e favorendo l’istaurarsi di dittature militari, tomba dei diritti umani nonché servili vassalle delle imprese transnazionali e delle oligarchie locali.
L’eccezione colombiana consiste nella accanita resistenza dei movimenti sociali e sindacali resa possibile, perché no, anche dalla presenza dei gruppi insorgenti che, li si voglia o meno criticare, sono stati l’unico freno all’espandersi dei gruppi paramilitari sul territorio e al trionfo della loro barbarie.

Il narcotraffico

Agli inizi degli anni ottanta, grandi estensioni di terra strappata alla selva, fu colonizzata da famiglie contadine espulse da altre regioni a causa della violenza. In queste terre iniziò il periodo d’oro della coca.
Si formò allora un settore di economia illegale che riprodusse le strutture dell’ingiustizia sociale: una “base”, calcolata in 300mila famiglie portava il peso della coltivazione e della raccolta in condizioni estreme e di altissimo rischio; un settore intermedio che raffinava ed esportava e che si è andato via via organizzando in “cartelli”; alcuni grandi trafficanti che, stanziatisi in Europa e negli USA si accaparravano i dividendi più sostanziosi del business.
Col passare del tempo i coltivatori sono rimasti l’anello più debole e sfruttato della catena mentre i cartelli hanno dato vita ad una spirale di violenza che ha avuto il suo apice tra il 1986 ed il 1990.
Abbiamo già visto come gli eserciti privati dei cartelli di Cali e di Medellin sono rimasti coinvolti nella “guerra sucia” portata avanti contro le organizzazioni popolari garantendosi così l’immunità di fronte alla giustizia e la possibilità di armare veri e propri eserciti di sicari.
Oggi, in Colombia, le coltivazioni della pianta di coca e del papavero occupano almeno 65.000 famiglie, vale a dire circa mezzo milione di contadini poveri ed interessano poco più di 120.000 ettari di terra, sparsi in 300 municipi dei 1.065 del paese.

La questione della terra è alla base del conflitto sociale ed armato in atto nel paese da oltre un terzo di secolo: il 1,5% dei colombiani possiede il 98% delle terre; dei 114 milioni di ettari di terra colombiana, 63 milioni sono boschi e selva, aree urbane, parchi naturali e corsi d'acqua; 51 milioni sono terra coltivabile. Di questi ultimi, oltre 30 milioni sono latifondi incolti, coperti da erba e sterpaglie, destinati all'allevamento estensivo, 8 milioni sono destinati all'allevamento intensivo e solo 4 milioni sono coltivati. La politica neoliberale contribuisce a cacciare i contadini dalle loro terre: le importazioni alimentari sono incrementate in pochissimo tempo del 700% e ciò ha favorito la voracità dei latifondisti che continuano a sottrarre terra ai contadini, non di rado con l'uso della violenza paramilitare.
Comunità contadine, neri ed indigeni, cacciati dalle terre, seguono il corso dei fiumi e si inoltrano nelle foreste come " desplazados "e hanno come sola alternativa la semina della pianta di coca e del papavero, non avendo un mercato per i loro prodotti, “antieconomici” rispetto a quelli importati e non commerciabili per mancanza di vie di comunicazione.
I contadini che coltivano la pianta di coca continuano a vendere la foglia a pochi dollari il chilogrammo; il traffico di cocaina porta in Colombia 4.000 milioni di dollari l'anno, che finiscono nelle tasche di latifondisti e politici corrotti, narcotrafficanti e paramilitari.

L’accusa mossa alle Farc di essere un gruppo di narco terroristi è stata clamorosamente smentita dalla stessa Dea che attribuisce loro la gestione di una “fetta” della produzione di coca non superiore all’1% ma questo non ha impedito la propaganda bellicista di fare della lotta contro il gruppo armato uno specchietto per le allodole della inefficace lotta al narcotraffico. Mentre con ’utilizzo di defolianti si minano le già deboli basi dell’economia agricola locale, la macchina da guerra finanziata dagli stati uniti per combattere contro la coca viene utilizzata esclusivamente contro i gruppi insorti.

Le guerriglie

Confesso di aver avuto la tentazione di glissare sul tema per via dell’indebita occupazione dell’intero spazio dell’opposizione politica allo status quo cui i gruppi insorti sono costretti dai mezzi di comunicazione nazionali e internazionali. Il prezzo di questa attenzione mediatica è il silenzio sulle rivendicazioni delle organizzazioni popolari che pretendono giustizia per i crimini di cui sono state vittime e che continuano a lottare contro il modello economico neoliberista imposto al popolo colombiano.
È precisamente questa lotta la ragione per la quale vengono sterminate ma pare che il mondo se ne sia dimenticato.
Come già ho scritto le due guerriglie più importanti e più longeve, FARC ed ELN, sono nate nel 1964 sulle ceneri dei gruppi di autodifesa contadini. Realisticamente però, solo 10 anni più tardi sono diventate protagoniste di questa guerra proprio quando l’esercito nazionale cominciò ad attaccarle nelle zone dove si erano concentrate. Gli anni seguenti sono stati segnati da una sbalorditiva serie di vittorie militari e politiche degli insorti. Qualcosa cambia verso la metà degli anni novanta quando la pressione congiunta dell’esercito e dei gruppi paramilitari, esercitata soprattutto contro la popolazione civile residente nelle zone sotto il controllo o l’influenza dei ribelli, li ha costretti ad un lieve arretramento.
La strategia usata è quella di fare terra bruciata attorno alle guerriglie: l’avanzamento d’enormi contingenti militari viene seguito poi dall’opera delle AUC che si stabiliscono nel territorio conquistato terrorizzando la popolazione civile. Durante il mio viaggio sono stato messo al corrente del funzionamento di questa strategia: mi hanno raccontato di un operativo militare nel quale il battaglione era seguito da vicino da un piccolo gruppo di paramilitari ben armati che ostentano una cesta piena di occhi strappati a contadini accusati di informare la guerriglia sugli spostamenti delle truppe.
I gruppi insorti si sono seduti più di una volta al tavolo delle trattative col governo ma il risultato è sempre stato disastroso. Illuminante è il caso del massacro della Union Patriotica. I militanti di questo partito politico, sorto nell’ambito dei negoziati tra le FARC e il governo Betancourt, sono stati assassinati con una impressionante ferocia e sistematicità: in media più di un morto al giorno nel corso dei primi cinque anni di esistenza del partito.
Oggi, conclusasi tragicamente questa come altre esperienze di partecipazione legale alla politica, restano i quasi quattromila morti della Union Patriotica Con loro è sepolta ogni speranza di soluzione negoziata del conflitto almeno fino a quando lo stato colombiano non porrà fine alla sua strategia di annientamento della opposizione politica questa strategia da’ senso alla continuità della opposizione armata, restando impraticabili altre strade.
Le rivendicazioni delle guerriglie sono rimaste le stesse fin dalle origini e consistono nella difesa della sovranità nazionale a fronte dello sfacciato sfruttamento delle risorse del paese da parte di imprese transnazionali straniere e della continua e pressante ingerenza statunitense, nella richiesta di giustizia e verità per i crimini contro la popolazione civile (alla quale accetterebbero di sottoporsi anch’esse), lo smantellamento dell’apparato paramilitare, la riforma agraria, il rispetto dei diritti dei lavoratori, investimenti nello stato sociale e reali garanzie i sicurezza per la partecipazione popolare alle decisioni politiche ed economiche del paese.
Le FARC sono un’organizzazione fortemente gerarchica, d’ispirazione marxista leninista che combatte per la conquista del potere in quanto rappresentante degli interessi delle classi oppresse (ovviamente sto semplificando), obbiettivo per il quale sono giustificabili vari mezzi tra i quali la gestione del commercio di coca e alcune azioni anche contro la società civile aventi lo scopo di conseguire denaro per l’organizzazione.
L’ELN è un’organizzazione guevarista fortemente influenzata dalla teologia della liberazione e promuove un modello di lotta armata ispirato alla guerra popolare prolungata. Nel 1999 propose una la costituzione di grande assemblea (la convenzione nazionale) formata non solo dagli insorti e dal governo ma dall’intera società civile colombiana. Gli Eleni infatti non si considerano rappresentanti del popolo ma una parte di esso.
Le differenze tra i due gruppi insorti sono enormi e nel corso della storia colombiana si sono talvolta manifestate violentemente con veri e propri scontri armati. Altre volte sono riuscite a convivere come per esempio quando le due guerriglie si sono coordinate tra loro nella Cordinadora Simon Bolivar.
Oggi è indispensabile rilevare l’adozione da parte dell’ELN di un codice di condotta rispettoso del diritto internazionale umanitario mentre ancora esistono numerosi casi di violazione di quest’ultimo da parte delle FARC.
In ogni caso occorre ricordare che la stragrande maggioranza delle violazioni continuano ad essere commesse dall’Esercito Nazionale e dai gruppi paramilitari.
Da un punto di vista militare la guerra colombiana sembra in fase di stallo con un lievissimo arretramento delle guerriglie di fronte alla gigantesca offensiva dell’Esercito Nazionale che però è opinione diffusa non possa continuare a lungo con questa intensità per via degli enormi costi in vite umane ed in termini economici che comporta, costi non sostenibili a lungo termine.

I gruppi paramilitari.

Se si tracciasse una mappa della presenza degli attori armati in Colombia risulterebbe evidente che questi gruppi paramilitari siano presenti solo nelle zone sotto il controllo dell’esercito e che, verosimilmente, l’unico ostacolo reale al loro dominio sia rappresentato dalle guerriglie.
Ma gli elementi che confermano che la nascita, lo sviluppo e la politica dei gruppi paramilitari, oggi A.U.C.(Autodefensas Unidas de Colombia), sono un prodotto dello stesso Stato colombiano sono molti ed estesi nel tempo.
Nel 1982 furono denunciati dalla procura della repubblica poco più di un centinaio di paramilitari del M.A.S., gruppo fondato dal cartello di Medellin “in risposta” al sequestro ad opera della guerriglia di Martha Ochoa sorella dei capi del cartello. Tra i denunciati vi erano 59 ufficiali in servizio accusati di utilizzare quella struttura per compiere delitti che non potevano essere compiuti ufficialmente. Da questa frase non solo si evidenzia la complicità, l’internità, della forza pubblica al progetto paramilitare, ma se ne evince anche la necessità per la forza pubblica di compiere delitti per mantenere “l’ordine” nel paese.
Nella stessa decade iniziò l’addestramento di gruppi di sicari del cartello di Medellin per compiere azioni contro la guerriglia. Per questi addestramenti l’esercito colombiano invitò nientemeno che il mercenario Yair Klein ex-colonnello israeliano, accolto nel paese dalle alte gerarchie militari.
I delitti compiuti fino ad oggi dai gruppi paramilitari (che secondo la defensoria del pueblo rappresentano il 78% del totale delle violazioni) hanno sempre le medesime vittime: sindacalisti, leaders di organizzazioni contadine, di minatori, difensori dei diritti umani, insegnanti, indigeni. Perché?
“ la ragione è semplice e nota a tutti: torturare, uccidere, e incarcerare responsabili sindacali, leader di movimenti contadini e difensori dei diritti umani crea un rapporto sociale di forze favorevole al capitale ed al clima di affari. La Colombia in questo è un caso da manuale con la sua facciata di regime costituzionale che nasconde una società militarizzata.(N. Chomsky).
I sindacalisti sono le prime vittime di questa politica con ben 1925 assassinati negli ultimi 10 anni. Ma questo accanimento contro i sindacalisti non viene indagato né dalla magistratura colombiana né dall’OIL (organizzazione internazionale del lavoro) che lo imputano semplicemente alla recrudescenza del conflitto.
Non è chiaro, allora, come si possa definire la nascita e lo sviluppo dei gruppi paramilitari come reazione alla guerriglia; eppure in molti continuano a mostrare lo Stato colombiano come vittima innocente di un conflitto ad esso estraneo tra attori armati illegali e la sistematica violazione dei diritti umani come un “effetto collaterale” della guerra.
“L’Ufficio dell’UNCHR ha ricevuto testimonianze che indicano la partecipazione diretta di membri delle forze militari nell’organizzazione dei nuovi blocchi paramilitari, nella effettuazione di minacce, in operazioni contro civili. In alcuni casi, la popolazione colpita ha segnalato la loro presenza nei contingenti paramilitari che compivano i massacri. Oltre che per la partecipazione diretta, la forza pubblica è responsabile di aver adottato comportamenti omissivi che, senza ombra di dubbio, hanno permesso ai paramilitari di portare a termine i propri propositi di sterminio. Numerose inchieste giudiziarie e disciplinari coinvolgono membri delle forza pubblica per omissione o azione diretta, per conformazione di gruppi paramilitari, omicidi, associazione per delinquere e altri crimini gravi”.
Perché tutto questo continua ad essere ignorato? È incomprensibile allora come alcuni studiosi rintraccino nella violenza la causa della precarietà dello stato colombiano e degli attori sociali quando è la violenza dello stato a debilitare gli attori sociali. Ugualmente contraddittoria è la definizione dei gruppi paramilitari come attori indipendenti del conflitto perché in contrasto con tutta la storia del conflitto e con le stesse dichiarazioni dell’ONU.

Il governo di Alvaro Uribe Velez.

Sulla figura dell’attuale presidente colombiano pesa la sospetta vicinanza agli ambienti dei narcotrafficanti formalizzata in numerose indagini giudiziarie e giornalistiche tutte arenatesi misteriosamente. Non sempre misteriosamente. Quando in un'intervista il giornalista di Newsweek, Joseph Contreras, ha rievocato il problema narco e paramilitare, il piccolo uomo è uscito dai gangheri e ha considerato conclusa l'intervista. Altri sono stati minacciati. L'editorialista di El Espectador Fernando Garavito ha dovuto lasciare il paese a causa dell'articolo molto ironico sulle controverse amicizie di Uribe Velez. Anche Gonzalo Guillen, corrispondente del New Herald di Miami, ha dovuto lasciare la Colombia per alcune settimane. Indagava su un elicottero che era appartenuto al padre di Alvaro Uribe e che era stato poi sequestrato nel 1984 a Tranquilandia,in una famosa operazione contro il cartello di Medellin. Il reporter ha ricevuto una chiamata diretta di Uribe. "Non è conveniente per il paese che si indaghi su di me", gli disse. Due giorni dopo, l'ambasciata degli Stati Uniti ha avvisato Guillen che esisteva un piano per ucciderlo. Uno degli ultimi casi denunciati è quello di Daniel Coronell direttore di Noticiero Uno. Ha ricevuto minacce di morte dopo aver diffuso alcuni reportage sul famoso elicottero. Uribe dice di aver pianto per la partenza forzata di Garavito, ma al tempo stesso ha denunciato la "guerra sporca" che gli fanno i giornalisti.
Ma anche con i paramilitari le sue relazioni non sono chiare.. Il rapporto Nunca Mas, redatto da Ong con testimonianze di abitanti della regione di Maceo e San Roque, menziona la proprietà Guacharacas della famiglia Uribe come l'"epicentro" della violenza paramilitare della zona: "a quanto sembra, fu prima prestata a una base militare della XIV brigata. Poi, secondo le testimonianze, proprio lì è sorta una base
paramilitare". Alvaro Uribe Velez ha chiesto allora che si indagasse su di lui e sul suo fratello Santiago. Il 6 maggio 1996, la procura non ha trovato prove per accusarli. In un altro caso, c'è stato un ordine di cattura contro due cugini di Uribe,i Velez Ochoa, per formazione di gruppi paramilitari ad Armenia Mantequilla (Antioquia). Sono stati lasciati in libertà dopo due anni di latitanza ma su di loro resta pendente un'altra indagine per sequestro e sparizione forzata di persone della zona.
Anche se Alvaro Uribe Velez nega qualsiasi legame con i paramilitari, oggi è certo che il gruppo illegale aveva deciso di fare una campagna in suo favore. A Barrancabermeja un gruppo di donne era stato sequestrato e portato in un accampamento di "paras", dove era stato detto loro di votare per il candidato locale. "È un segreto di Pulcinella che le pattuglie di autodifesa che operano in questa città hanno obbligato la comunità Barranquegna a votare per il signor Uribe Velez, con le buone o con le cattive", ha denunciato il girnalista Dario Echeverry sul giornale Siete Dias di questa stessa città. "In una visita che ho ho effettuato a febbraio, ho ricevuto molte informazioni sul fatto che paramilitari stavano reclutando persone nei paesi per convincerle a votare Uribe", ha confermato Adam Isaacson sul Washington Post del 2 aprile. Alvaro Uribe è stato l'unico candidato che ha ricevuto l'appoggio di un gruppo armato. Carlos Castaño, capo politico delle Autodifese Unite della Colombia, lo ha riconosciuto sul sito Web della sua organizzazione: "non appena arrivata la presidenza, il governo di Alvaro Uribe beneficerà la grande maggioranza dei colombiani, tra cui anche la base sociale dell'Autodifesa(....)".
Uribe aveva inoltre favorito la moltiplicazione delle imprese di sicurezza private “convivir” quando era governatore della provincia di Antioquia (1995-1997). Le aveva poi difese pubblicamente quando la Chiesa e le ONG le avevano accusate di violare diritti umani o di essere gruppi paramilitari camuffati
Prescindendo dalle illuminanti biografia su Uribe come quella di Contreras “il signore delle ombre” o “vita e gesta del presidente Uribe nella macelleria Colombia”, di cui consiglio caldamente la lettura, è sufficiente riferirsi alle sue gesta e alle sue esternazioni nello stesso 2004 per comprendere il personaggio e forse anche l’impossibile soluzione del conflitto. Sempre che per soluzione non si individui una dittatura militare come quelle che hanno insanguinato il continente negli anni ’70.
Nei suoi discorsi pubblici i sindacati, le organizzazioni per la difesa dei diritti umani e le organizzazioni popolari e studentesche vengono definite come complici del terrorismo, gaffe estesa anche ad Amnesty International nell’agosto 2004. Sono all’ordine del giorno inoltre vaste operazioni antisovversive, grandi spettacoli basati su dispiegamenti immensi di forze militari che si concludono con arresti di massa, tutti effettuati sotto la medesima accusa di ribellione, il reato più diffuso in Colombia. Cosa esattamente si intenda per ribellione non è in realtà chiaro ma mi hanno raccontato che è sufficiente che un testimone, l’identità del quale è conosciuta dalle sole forze di sicurezza, dichiari l’imputato vincolato in un modo o nell’altro alle guerriglie. Questo procedimento ha portato all’arresto di quantità incredibili di persone, onesti cittadini, militanti sindacali o popolari, difensori dei diritti umani e a volte anche amministratori locali evidentemente invisi al governo. Arresti eclatanti ai quali succedono sistematicamente, a volte dopo anni di processi e di detenzioni preventive, scarcerazioni e assoluzioni per inconsistenza delle prove o inattendibilità dei testimoni, alcuni dei quali diventati veri e propri testimoni professionisti con alle spalle decine di processi.
Ma il vero e proprio capolavoro dell’attuale amministrazione è senza ombra di dubbio il processo di pace con i gruppi paramilitari.
Dialogo folle tra io e me stesso hanno commentato tutti coloro che conoscendo l’origine delle cosiddette Autodefensas non si sono fatti prendere in giro dal governo e dagli intellettuali che parlano dei paramilitari come belligeranti autonomi nel conflitto.
Ma i punti oscuri del negoziato sono anche altri:
1. non sono chiari i nodi da negoziare dal momento che i gruppi paramilitari non si sono mai dichiarati in guerra col governo ma hanno sistematicamente colpito la popolazione inerme;
2. gli argomenti di discussione sembrano quindi essere l’impunità rispetto ai crimini di lesa umanità a loro attribuiti e la non estradabilità dei narcotrafficanti paramilitari verso gli Stati Uniti;
3. la soluzione prospettata per quanto riguarda i combattenti che abbandoneranno le armi è il reinserimento nell’Esercito Nazionale o nell’”esercito contadino” o in una “rete di informanti”. prospettata dallo statuto antiterrorista che sta per essere votato dal parlamento colombiano;
4. infine, per coloro che si sono macchiati di crimini orribili o massacri tale reinserimento sarà preceduto da una pena non superiore ai tre anni da scontare nelle attività di recupero previste dai servizi sociali.

Gli orrendi massacri che hanno caratterizzato la storia passata e recente del paese Andino saranno, così, destinati all’oblio ed all’impunità. I carnefici di ieri saranno gli informatori, i tutori dell’ordine e del rispetto dei diritti umani che hanno sempre violato. Sarà allora impossibile accertare le ragioni e i mandanti per i quali le A.U.C hanno lavorato, i loro protettori o capi nelle istituzioni pubbliche e nell’esercito.
Del resto lo stesso Alto Commissario per la Pace del governo Uribe nel 1997 spiegava in un illuminante articolo le sue idee sul processo di pace in Colombia e sulla ricerca di giustizia per gli orrendi crimini commessi nel paese: “quando una cultura inizia a convertirsi in un campo di morti non sepolti- che ci seguono con la loro puzza affinché spargiamo nuovamente sangue e saziamo il loro desiderio di vendetta – si fa imprescindibile abituarsi alla professione di seppellitori. Astuti maestri dell’oblio che ci aiutino a recuperare la forza e la innocenza nei momenti nei quali il culto dei morti – ed ai poteri che li rappresentano – rende irrespirabile l’ambiente per i vivi. È il momento di sottoscrivere un nuovo patto con coloro che se ne sono andati, scrivendo il loro nome su comete per contagiarli con la leggerezza del vento. È il momento di dichiararci non solidali con la storia, di divenire apolidi se la patria continua a ridursi nella stupidità collettiva di schiacciare la vita affinché il sangue dei martiri e dei condottieri continui a vivere”.
Quello che si sottintendeva è la rinuncia alla giustizia per quelle migliaia di vittime che continuano ad essere assassinate giorno per giorno dalle stesse mani che, sporche di sangue, continuano a comandare il paese a decidere se un sindacato può o meno esistere, se una comunità che da anni vive pacificamente deve andarsi a sommare ai milioni di profughi colombiani.

Gli interessi economici.

Se questi sono gli assassini dobbiamo ancora colmare un vuoto presente in molte letture di questo conflitto, individuare i mandanti e risalire così alle cause della tragedia del popolo colombiano.
La Colombia è un paese dalle incredibili, ricche e variegate risorse: il sottosuolo è pieno di oro, smeraldi, uranio, petrolio, argento, ecc…, la terra è fertile, la biodiversità è una delle maggiori al mondo e l’acqua, l’oro blu di questo nostro secolo, è abbondante. Insomma per molte imprese transnazionali è un boccone piuttosto appetitoso.
Queste imprese sono costrette a proteggere i loro affari dalle molestie di sindacalisti attenti alle condizioni dei lavoratori, di comunità indigene colpevoli di avere un territorio ricco di petrolio, di difensori dei diritti umani, dai contadini e dai poveri della Colombia.
Come lo fanno? Finanziando deliberatamente gruppi di difesa privata legati più o meno direttamente al progetto paramilitare. D’altronde il conflitto può diventare di per sé esso stesso un buon affare e la compravendita di armi e di servizi di protezione e d sicurezza è un business che si va affermando sempre di più.
Sembra allora evidente che quella in corso non è una guerra tra sanguinarie bande armate bensì la contrapposizione tra gli interessi dei gruppi economici transnazionali e la vita del popolo colombiano. Numerosi sono i casi che lo confermano: il conflitto tra la OXY e il popolo U’wa nonché con tutte le organizzazioni sociali di Arauca; l’incriminazione da parte di un tribunale della Florida della filiale colombiana della Coca Cola accusata di finanziamento di gruppi terroristici (le A.U.C. sono considerate tali), omicidio, tortura e comportamento antisindacale; la British Petrolium finita sotto accusa di fronte al parlamento europeo nel 1998 per aver violato i diritti dei lavoratori e utilizzato e finanziato le forze armate colombiane per compiere operazioni sporche contro il sindacato USO; la Corona Goldfiels, oggi Conquistador Mines, imputata di aver inviato gruppi paramilitari contro i minatori del Sur De Bolivar. Nessuna di queste imprese è stata fino ad ora condannata ma è difficile stupirsene in un paese dove il 97% dei delitti restano nell’impunità e il restante 3% non coinvolge mai organizzazioni paramilitari.
Se prendiamo la mappa immaginaria che abbiamo tracciato prima noteremmo subito che la più alta concentrazione di esercito e gruppi paramilitari coincide con le zone di maggior interesse economico e di presenza delle più importanti strutture delle transnazionali, zone ovviamente dove le violazioni dei diritti umani sono massive e più feroci. Attraverso il Plan Colombia sono state istituite quattro basi “antinarcotici” esattamente lungo l’oleodotto più importante del paese il Caño-Limon della multinazionale Occidental Petrolium: una curiosa coincidenza visto che la multinazionale, della quale l’ex candidato alla casa bianca Al Gore è un’azionista di rilievo, finanziò la campagna presidenziale di Clinton con 470.000 dollari. L’amministrazione Clinton fu poi quella che approvò il Plan Colombia. Chiuso il cerchio.

Plan Colombia e Laboratorio de Paz

Nonostante le reiterate denuncie delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani e della stessa ONU contro la violenza di stato e contro misure da dittatura militare come le leggi speciali antiterrorismo, alcuni stati “democratici” occidentali continuano a cooperare militarmente con la Colombia e a sostenere questa guerra. Non possiamo fare altro che esercitare pressioni a livello nazionale e internazionale affinché questa collusione venga meno come nel caso della Spagna di Zapatero che ha sospeso la collaborazione militare col paese andino.
Secondo alcuni esperti in strategia militare statunitensi lo stato colombiano avrebbe perso la guerra contro i gruppi insorti nel giro di circa 5 anni se non avesse beneficiato degli aiuti militari stranieri; ma come era facile prevedere questi si sono riversati generosi sulla martoriata Colombia.
Il più grosso e discusso di questi aiuti è noto sotto il nome di Plan Colombia ed è stato approvato dal congresso degli Stati Uniti nel 2000. Piano prettamente militarista, nonostante la prima versione presentata fosse invece incentrata sulla soluzione di problemi sociali, consiste in un fondo di 7 miliardi e mezzo di dollari costituito da denaro colombiano per circa quattro miliardi e da denaro statunitense per 2 miliardi. La restante somma sarebbe dovuta essere finanziata dall’Unione Europea e da altri organismi internazionali che però si sono rifiutati per il carattere decisamente bellicista. Gli aiuti nordamericani sono infatti per almeno il settanta per cento destinati alle tanto discusse forze armate colombiane. Il paese Andino diviene così il terzo beneficiario al mondo degli aiuti militari nordamericani dopo l’Egitto e Israele.
Gli stessi progetti di sviluppo messi successivamente in campo dall’Unione Europea (Laboratorio de Paz) sembrano più che altro un sostegno al governo che in questo modo può stornare fondi dalle spese sociali a quelle militari e rafforzare al tempo stesso la presenza dei gruppi paramilitari, spesso controparte di questi progetti, nelle regioni già “pacificate” a ferro e fuoco. In queste regioni non è più indispensabile mantenere ingenti quantità di truppe e l’onere del mantenimento dello stato di terrore può essere facilmente subappaltato a formazioni paramilitari.
Le regalie generate dalle risorse del sottosuolo sfruttato dalle transnazionali straniere sono state oggi radicalmente ridotte dalla nuova legislazione sul tema (stilata peraltro con la consulenza degli avvocati delle stesse imprese straniere e in particolare da un’avvocata implicata nello scontro per lo sfruttamento dell’oro nel Sud del Bolivar). Esse comunque non vengono mai impiegate come risorsa da investire nei servizi sociali delle regioni interessate (come prevedrebbe la costituzione) che divengono sempre più povere (e militarizzate) con l’aumentare della presenza straniera. Queste risorse scompaiono nei meandri d’amministrazioni locali sfacciatamente corrotte o vanno a finanziare i gruppi paramilitari locali come forma di “gratitudine” per l’opera di pacificazione sociale attuata e per l’efficace risoluzione dei conflitti lavorativi.

Come vivono e come si organizzano i colombiani.

L’attualità colombiana è caratterizzata dalle scelte ultraliberiste dell’attuale governo, una politica che getta sempre più il paese e le sue risorse in mano alle imprese straniere e che ha visto come recentissimo passaggio il radicale indebolimento dell’industria nazionale degli idrocarburi a vantaggio delle multinazionali del settore. A nulla o quasi è servito il lungo sciopero in difesa dell’Ecopetrol promosso dalla USO (Union Sindical Obrera), ormai indebolito dalle reiterate politiche repressive e criminalizzanti del governo che hanno portato in carcere alcuni suoi dirigenti e militanti mentre altri sono stati brutalmente assassinati.
Le casse dell’erario sono prosciugate dal mantenimento di una macchina da guerra costantemente attiva e per questo il governo ha intrapreso una politica economica di tagli alle spese sociali, specialmente per quanto riguarda la sanità e l’educazione.
Le imprese di servizi pubblici sono state privatizzate facendo lievitare il costo per le utenze contribuendo al drastico impoverimento della popolazione. Ne sono derivate manifestazioni di insofferenza alla situazione con esplosioni di rabbia spontanea e la nascita di strategie organizzative sempre nuove che rigenerano costantemente le organizzazioni popolari devastate dall’azione dei gruppi paramilitari e del potere giudiziario che vede un terrorista nascosto dietro ogni leader.
E mentre il governo accusa tutti e tutte di essere filo terroristi distrugge tutte le forme di stato sociale esistenti deviando i fondi sulle spese militari arriva a colpire recentemente la stessa “defensoria del pueblo”, unico organo, per quanto inefficace, preposto alla difesa dei diritti umani del popolo colombiano.
Più delle parole e delle analisi teoriche valgono le cifre: i dati qui di seguito riportati sono stati raccolti tra il 2003 e gli inizi del 2004. Essi evidenziano come in Colombia la situazione di povertà ed ingiustizia sociale stia sempre più coinvolgendo la quasi totalità della popolazione. Il governo di Alvaro Uribe Vélez, non ha fatto altro che aggravare tale condizione spingendola verso il baratro dell'insostenibilità ed un punto di non ritorno.

- la popolazione colombiana è stata calcolata tra i 43 ed i 45 milioni (il dato è volutamente impreciso per l'alto numero di sfollati difficilmente censibili), dei quali 33.110.000 (ovvero il 77%) vivono in condizione di miseria e povertà (fonte: Dipartimento Nazionale di Pianificazione).

- 9 milioni di colombiani (il 20%) vivono al di sotto della soglia di povertà, e cioè in una situazione di miseria, guadagnando appena 1 dollaro al giorno.

- 24 milioni (il 57%) vivono ai limiti della soglia di povertà, guadagnando 2 dollari al giorno circa.

- Mentre nel 1988 il tasso d'indigenza era del 17,9%, nel 2000 è stato del 23,45%.

- I colombiani indigenti nel 2003 erano 10.200.000, 1 milione in più rispetto all'anno precedente (fonte: CEPAL, Commissione Economica per l'America Latina).

- Mentre nel 1990 il 10% più ricco guadagnava 40 volte in più del 10% più povero, nel 2000 il 10% più ricco ha guadagnato 60 volte in più del 10% più povero.

- L'indicatore di disequilibrio sociale è ritornato agli stessi livelli di quasi 40 anni fa. Le entrate dei poveri crollano del 20% mentre quelle dei ricchi solo del 5% (fonte: DANE, Dipartimento Nazionale di Statistica).

- Secondo un'inchiesta sulla qualità della vita in base al coefficiente di Gini (nel quale 0 è l'uguaglianza perfetta e 1 è la disuguaglianza perfetta tra ricchi e poveri), la Colombia si colloca intorno allo 0,60, indicatore che non ha nessun paese dell'America Latina ad eccezione del Brasile, che ha il più elevato disequilibrio del mondo. I casi più drammatici negli ultimi 6 anni sono a Bogotà (da 0,55 a 0,62) e nel Valle (da 0,49 a 0,55).

- A livello di pensioni, il 70% dei fondi è stato destinato nel 2003 al 20% della popolazione più ricca, mentre al 20% della popolazione più povera meno dell'1% (fonte: ARGENPRESS).

- Il tasso di disoccupazione è passato dal 18,2% del 1988 al 28.9% del 2000.

- Secondo la ACOSET (Asociaciòn de empresas de servicios temporales), la percentuale di lavoro informale nelle principali città colombiane è la seguente:
- Bogotà, 57%
- Medellin, 50%
- Cali, 63%
- Barranquilla, 68%
- Pasto e Cucuta, oltre il 70%

- Secondo ASOBANCARIA, vi sono in Colombia solamente 15 milioni di occupati, dei quali 9 (il 60%) lavorano nel settore informale dell'economia senza un salario nè forme di protezione alcune.

- Secondo dati diffusi all'inizio del 2004 dal DANE (Dipartimento Nazionale di Statistica), 6 nuovi occupati su 10 sono lavoratori informali.

- Secondo EL TIEMPO, il tasso di disoccupazione ufficiale della sola Bogotà è del 17,3%, il più alto dell'America Latina, con un indice di sottoccupazione del 33%. In pratica, su una popolazione di circa 6 milioni di abitanti, i disoccupati o sottoccupati sono 3 milioni (il 50%). Di questi, 1 milione vive nella povertà assoluta (il 17%).

- In Colombia avvengono 555 incidenti sul lavoro al giorno, e cioé 24 all'ora (dati dell'Istituto della Sicurezza Sociale), senza contare tutti quelli subiti da lavoratori non sindacalizzati, non regolarizzati e non iscritti ad uno dei vari enti ed istituti di assistenza sociale.

- In Colombia i giovani tra i 14 e i 20 anni sono 11 milioni. Il 33,31% è disoccupato, tra di essi il 2,6% possiede un titolo universitario.

- Secondo dati del febbraio 2004, l'ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha collocato la Colombia come terzo paese al mondo -dopo Sudan e Repubblica Democratica del Congo- con il maggior numero di profughi interni, circa 3 milioni.

- Si calcola che nel 2005 la popolazione colombiana sarà di 50 milioni; ciò comporterà 8 milioni di poveri in più.

I dati qui presentati spiegano più eloquentemente di qualsiasi analisi sociologica o antropologica il perché della violenza che insanguina questo paese: coloro che detengono il potere e le risorse economiche non possono che essere terrorizzati dalle masse che reclamano un loro benessere tanto più legittimo se si considera la grande ricchezza di questo paese. La reazione verso queste rivendicazioni è agghiacciante: nel solo anno 2002 si sono registrati 3.366 omicidi per ragioni sociali e politiche, 735 sparizioni forzate, 184 sindacalisti assassinati, 353.100 profughi a causa della violenza. Questo è il risultato della politica “antiterrorista” intrapresa dal governo non a caso per “pacificare” (come intendeva Tacito) il paese e prepararlo all’ingresso nell’Alca (Accordo di libero commercio delle Americhe).
D’altronde si sa, essere sindacalista in Colombia è più pericoloso che essere narcotrafficante o guerrigliero, ma stranamente l’OIL (organizzazione internazionale del lavoro) non se ne accorge e accetta la spiegazione che il governo da’ della persecuzione militare e paramilitare portata avanti contro i sindacati ( 1925 morti tra il 1993 e il 2002) ovvero che è solamente un effetto inevitabile del conflitto e della violenza.
Si spiega quindi il perché della legittimità e della longevità della lotta armata, essendo sempre rimasti interdetti i percorsi della lotta sociale e popolare pacifica.
In questo contesto desta interesse la forza manifestata dalle organizzazioni popolari, rinvigorite dal crescente malessere diffuso. Essa ha portato a vittorie importanti quanto inaspettate quali la clamorosa sconfitta del governo nel referendum che avrebbe dovuto sancire le misure economiche imposte dal FMI e che nella mente del presidente avrebbe dovuto rivelarsi un plebiscito in favore della sua politica.
Le decine d’organizzazioni indigene e contadine riescono nonostante tutto a mantenere il loro potere di coesione organizzando continui blocchi stradali e proteste d’ogni tipo forti di un malcontento diffuso e coscienti della profonda iniquità del neoliberismo colombiano.
La risposta a questa forza popolare non si è fatta attendere e la contromisura governativa ha avuto come banco di prova l’Arauca dove centinaia d’arresti e decine d’omicidi hanno disintegrato le organizzazioni di base.
Interessante infine è la convergenza delle organizzazioni popolari in un unico “Frente Social y Politico” che si presenterà alle prossime elezioni con un suo candidato, Carlos Gaviria, e con un programma che prevede una radicale riforma agraria, la difesa degli interessi e delle risorse nazionali e la soluzione del conflitto partendo dal riconoscimento delle sue profonde ragioni sociali ed economiche.

D’altro canto bisognerà attendere la fine del ridicolo processo di pace con i gruppi paramilitari che, nelle intenzioni del presidente Uribe, dovrebbero presto unirsi legalmente (illegalmente lo hanno sempre fatto) alla macchina da guerra uribista con esiti che si prefigurano inquietanti.


Questa breve introduzione mi è necessaria quindi per chiarire il punto di vista da cui parte e si sviluppa questa ricerca, svolta in una delle regioni più violente della Colombia.
Non credo che esista una violenza al di fuori delle sue ragioni materiali, quasi un gene o una predisposizione culturale e, se non si parte da queste, si cade inevitabilmente nel sensazionalismo e dell’ideologia, al di fuori del campo che compete alle scienze.


Bibliografia:
Diritti e resistenza in Colombia. Comitato Carlos Fonseca;
Colombia, il paese dell’eccesso. G. Piccoli, ed. Feltrinelli;
La estrategia integral del paramilitarismo en el Magdalena Medio. Gearòid ò Loingsigh;
Vita e gesta del presidente Uribe nella macelleria Colombia. Autore anonimo, Latinoamerica e tutti i sud del mondo;
Coordinamento giuristi democratici, comunicato assemblea di Napoli il 14-15/7/2000;
La Gran Minerìa en Colombia, las ganancias del exterminio, Sintraminercol, Bogotà 2004;
Il signore delle ombre a Bogotà, Javier Giraldo;
Rapporto annuale sulla Colombia, ACNUHR.

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