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Jeremy Rifkin: «L'avevamo detto, sarà sempre peggio»
by syd Sunday, Sep. 04, 2005 at 1:20 PM mail:

Nei 35 anni trascorsi a Washington, non ho mai visto un presidente gestire una crisi nazionale di tali dimensioni in questo modo. La cosa incredibile è che si ostina a non volere realizzare il problema.

INTERVISTA
Jeremy Rifkin: «L'avevamo detto, sarà sempre peggio»
Parla l'economista americano e guru dell'economia globale: gli effetti dell'uragano erano stati previsti, Bush ha nascosto la verità e non ha voluto far nulla per evitare tali catastrofi. Ora parliamo seriamente di ambiente
SARA FAROLFI
«Gli Stati Uniti sono stati colpiti dall'effetto serra e non da un semplice uragano. In queste ore la Casa Bianca sta nascondendo all'opinione pubblica mondiale ciò che la comunità scientifica internazionale ha previsto da anni, cioè che il surriscaldamento del pianeta è dovuto allo scellerato modello di sviluppo neoliberista». Non ci sono giustificazioni per la tragedia di New Orleans, secondo Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on economic trends e guru dell'economia globale, ospite di riguardo ieri della platea di «Sbilanciamoci». «L'unica cosa positiva è che finalmente si apre uno spiraglio per discutere seriamente di sostenibilità ambientale».

Bush è sotto l'attacco della stampa americana per la gestione dell'«emergenza New Orleans»: gli aiuti sono lenti e, anche se da tempo si sapeva del pericolo, nulla è stato fatto.

Nei 35 anni trascorsi a Washington, non ho mai visto un presidente gestire una crisi nazionale di tali dimensioni in questo modo. La cosa incredibile è che si ostina a non volere realizzare il problema. E mi lasci dire che il problema a New Orleans viene da lontano. Il fatto è che da anni tutti sapevano quello che sarebbe potuto accadere, dal governo federale alla città di New Orleans, e nessuno ha preso le misure necessarie. Anche ora, tutti si preoccupano della ricostruzione e nessuno pensa al fatto che potrebbe accadere di nuovo, con conseguenze sempre peggiori. Il vero nome di Katrina, e della maggior parte dei cicloni che hanno investito la costa del Golfo, è «global warming». Si parla di una sfortunata calamità naturale, e non si vuole riconoscere che questo è un prodotto dell'uomo. Si può anche costruire un muro di protezione per la costa del Golfo, e ci vorrebbero anni, ma non servirebbe a nulla di fronte a un'altra furia così devastante.

Crede che, nella cattiva gestione della tragedia, c'entri anche il fatto che New Orleans è una «città di neri»?

No, non credo. Quello che però il governo avrebbe dovuto sapere è che New Orleans è una città anche molto povera e che i poveri, bianchi o neri che siano, molto difficilmente avrebbero potuto trovare facilmente il modo di scappare o un posto dove rifugiarsi. Non è una questione di razza, ma una questione sociale. E mi riferisco anche alle persone con handicap, gli invalidi e gli anziani. Ma anche gli animali, che non vengono mai considerati nei piani di evacuazione. E' ora che iniziamo a preoccuparci del nostro mondo e il modo migliore di farlo è cominciare a occuparci della questione «effetto serra».

Ben Bernanke, uno dei consiglieri economici di Bush, ha parlato nei giorni scorsi dell'uso di fonti di energia alternative come unico rimedio all'impennata dei prezzi del petrolio. Si è trattato di una presa d'atto tardiva o solo di un modo di prendere tempo?

Katrina ha messo in allarme, e l'unico aspetto positivo è che ora, per la prima volta negli Usa, si apre uno spiraglio per ripensare alle fonti di energia rinnovabile. Ci vorranno almeno 25 anni, anche se si mobilitassero tutti i capitali finanziari del mondo, ma bisogna cominciare ora. Basta con il petrolio, bisogna cercare una strada alternativa alla produzione di energia.

Il barile è sopra i 70 dollari, e sembra definitivamente tramontata l'era del «petrolio facile».

Tre anni fa, in un libro, ho scritto che i prezzi del petrolio sarebbero saliti oltre i 50 dollari al barile. Superata la soglia dei 70, ora si va verso i 100 dollari. I prezzi sono destinati ad impennare e noi dovremo fronteggiare la possibilità di un rallentamento dell'economia mondiale. E anche quella di cataclismi geopolitici perché l'instabilità in Medio Oriente, in Venezuela e in Africa ad esempio, è un fatto evidente a tutti. Credo che, insieme all'11 settembre, questo sia uno dei momenti più drammatici che stiamo vivendo, per gli effetti che avrà sulla nostra società.

Ha parlato più volte dell'idrogeno come della fonte di energia rinnovabile da perseguire. Ma, a differenza del petrolio, l'idrogeno non è un bene naturale. E poi in America c'è il problema dei consumi record di carburante...

L'idrogeno necessita di essere estratto da qualcos'altro. Si può estrarre dal petrolio, dal gas naturale, ma così si rimane sempre nel campo del petrolio. La cosa migliore sarebbe utilizzare fonti di energia rinnovabile, come quella solare, quella eolica o geotermica. Poi c'è il mercato: il 52% dei veicoli del mio paese sono Suv, e gli americani non possono permettersi che nessuno li compri. Sono le macchine a cui sono abituati e ora diventa difficile usarle per il prezzo della benzina, e anche venderle, perché nessuno le comprerebbe. Adesso stiamo imparando sulla nostra pelle tutto quello che non abbiamo fatto finora: non abbiamo risparmiato energia, non abbiamo usato energie rinnovabili, non abbiamo tassato la benzina, non abbiamo firmato gli accordi di Kyoto. Non abbiamo nessuno da incolpare. Noi siamo responsabili di New Orleans, e con noi la nostra classe politica.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/03-Settembre-2005/art24.html


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