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Influenza aviaria: nessuna prova certa di trasmissione interumana
by Pillole.org Sunday, Oct. 16, 2005 at 2:11 AM mail:

articolo tratto da Pillole.org

I pochi casi di supposta trasmissione interumana del virus H5N1 non sono affatto provati e la resistenza in vitro all'oseltamivir può non essere clinicamente rilevante.

A chi giova tutta questa attenzione mediatica sull'influenza aviaria ? Le prove di una selezione di ceppi resistenti all'oseltamivir, ma sensibili allo zanamivir sono da ritenersi convincenti? Quale ruolo ha il circo mediatico nell'alimentare la psicosi dell'aviaria ? Ci sono delle sapienti manipolazioni o dei "semplici" suggerimenti interessati? E' giusto dare informazioni al pubblico per un evento contro il quale, se mai davvero avvenisse, ben poche sarebbero le difese?
Analizziamo bene le principali segnalazioni di contagio interumano da virus aviario, Se si ha la pazienza di scavare e non riportare meramente i lanci di agenzia contribuendo ad un enorme amplificazione mediatica di slogan allarmistici che hanno il merito di conferire grande notorietà a chi li scrive e a chi li pubblica, si scopre che le prove di un possibile contagio interumano sono assai labili e che molte altre spiegazioni diverse possono entrare in gioco. Partiamo dalla prima: siamo nel 2004 in Tailandia e i polli cominciano a morire e 3 giorni dopo il paziente indice si ammala. La madre, che viene da una lontana città, si reca dalla figlia malata e dopo 16-18 ore di cure non protette muore di polmonite. La zia del paziente indice diventa febbrile 5 giorni dopo la sorella e dopo 7 contrae la polmonite. Dai rilievi autoptici e dai tamponi viene isolato un virus H5N1 geneticamente uguale nei 3 casi familiari, ma anche del tutto simile a quello riscontrato negli uccelli e nelle numerose altre persone morte durante lo stesso focolaio . Ma dov'è la prova provata della trasmissione interumana? Ci sono molte altre possibili spiegazioni diverse dal contagio interumano per l'accaduto. Chi assicura che in Tailandia le notizie siano davvero riportate correttamente e che l'eliminazione dei polli infetti, delle loro deiezioni, etc. sia stata effettuata tempestivamente ed efficacemente dallo scenario del focolaio familiare? Come spiegare la morte a tempo di record della madre? E veniamo alla quattordicenne vietnamita ricoverata per infezione da virus H5N1 a Febbraio. La ragazza aveva accudito la sorella ventunenne e, per quanto è dato di sapere, non avrebbe avuto contatti con i polli. Lo studio delle varianti geniche dei virus isolati dalle due sorelle documenta che i geni per le neuroaminidasi sono identici, ma non quelli per l'emoagglutinina, risultati solo simili e soltanto in alcuni cloni virali isolati dalla ragazza ammalatasi dopo le cure prestate alla sorella. La paziente tra l'altro ha ricevuto prima una dose profilattica di 75 mg/die di oseltamivir per 4 giorni e successivamente una dose terapeutica di 75 mg/ due volte al dì di oseltamivir per ulteriori 7 giorni. La paziente migliora ed a metà Marzo 2005 viene dimessa. Dopo la somministrazione dell'oseltamivir da nessun campione viene rilevata la presenza del virus. Ma lavorando su un campione prelevato il 27 febbraio ossia al termine dei 4 giorni di terapia profillatica e prima di iniziare la somministrazione terapeutica si isola un ceppo virale con una sostituzione in posizione 274 di una istidina ad una tirosina e tale mutazione conferisce resistenza all'oseltamivir alle dosi mediamente ottenibili a seguito di somministrazione nell'uomo dell'antivirale. Ma niente paura, il ceppo risponde bene allo zanamivir, quindi la raccomandazione degli autori è di mettere da parte uno stock anche di zanamivir oltre che di oseltamivir per fronteggiare una pandemia.
Ma considerando l' elevata letalità dell'influenza H5N1 il fatto che la paziente sia stata dimessa e non sia deceduta nonostante queste evidenze di una possibile resistenza in vitro solleva dubbi sul significato clinico di tale resistenza. D'altro canto segnalazioni di ceppi resistenti all'oseltamivir anche nell'influenza umana sono già stati ampiamente descritti specialmente nei bambini che sono infettanti anche dopo 5 giorni di trattamento con l'antivirale (Lancet 2004;364:759-65) e dunque la possibile selezione anche di ceppi H5N1 resistenti in vitro ad oseltamivir è verosimilmente tanto più elevata quanto più ampio è l'uso dell'antivirale. Caso mai occorre chiedersi se non sia meglio usare subito dosi più elevate di quelle profilattiche proprio per ridurre le chances di selezionare ceppi mutanti resistenti. Se non sia il caso di riservare gli antivirali per la possibile pandemia, impedendo il loro uso abituale nella comune influenza, ove danno risultati non eccezionali sia in termini di riduzione di morbilità che di mortalità, ovvero riservarne l'uso solo nei casi ad altissimo rischio, proprio per evitare di bruciare i farmaci. Se, come qualcuno teme si avesse una ricombinazione genica tra virus umano ed aviario in caso di coinfezione, la probabilità che si crei un supervirus letale e resistente agli antivirali aumentano quanto più sono i ceppi umani circolanti resistenti.
Autorevoli virologi ed epidemiologi (Webster, Dianzani) sconsigliano l'uso di vaccini in tutti i casi in cui si teme che il patogeno possa essere appunto un nuovo ricombinante (e in particolare un virus che abbia compiuto di recente il salto di specie): visto che, almeno in linea teorica, il vaccino potrebbe causare una produzione eccessiva di anticorpi e peggiorare la tempesta di citochine che sembra essere la vera causa dell'evoluzione maligna della malattia. Quindi paradossalmente vaccinarsi contro l'influenza comune parrebbe una strategia vincente proprio se la pandemia non arrivasse in quanto con minori casi di malati di "influenza normale" eventuali focolai viciniori a rischio di infezione aviaria avrebbero conseguenze meno pesanti sul sistema sanitario per il più contenuto livello di allarme sociale. Ma a che ed a chi serve creare tutto questo allarmismo? La notizia della notevole somiglianza del virus della spagnola con i ceppi aviari e l'ipotesi che più che di un pesante riarrangiamento del virus umano si sia trattato nel caso della pandemia del 1918 di un adattamento all'uomo di un virus aviario ha rinfocolato le preoccupazioni e alimentato la psicosi. La gente va in farmacia e chiede l'antidoto, crede che vaccinandosi contro l'influenza si acquisisca la protezione anche verso l'aviaria e così via. Se il virus H5N1 circola fin dagli anni 90 perchè proprio ora dovrebbe fare il salto di specie ed acquisire le caratteristiche per divenire suscettibile di causare una pandemia mortale?
Ci sono moltissimi interessi in gioco, interessi di dimensioni colossali. Questi interessi hanno convenienza che si crei la psicosi. Quello che sorprende sono le prese di posizione dell'OMS che lancia allarmi di ineluttabili piaghe catastrofiche per l'umanità. Ma concretamente che cosa possiamo fare ? E se possiamo fare davvero poco, perchè aizzare i media per lanciare notizie allarmistiche creando una psicosi di massa che potrebbe avere effetti devastanti in occasione della prossima "normale" epidemia influenzale? Ancora una volta si ripropone l'annoso problema dell'informazione medica al pubblico e della trasparenza sui possibili conflitti di interesse dei vari soggetti in gioco.

Luca Puccetti

Fonte: Nature 437, 1108 (14 October 2005) doi:10.1038/4371108a

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