SOGGETTIVITA' IN FORMAZIONE Note critiche sull’Assemblea generale
I dogmi utilitaristici vorrebbero che il valore di una lotta si misuri in termini di efficacia, di raggiungimento di determinati obiettivi. La lotta viene così ridotta ad una dimensione meramente strumentale, ad un mezzo in vista di un fine. Ciò può essere corretto - sebbene non in assoluto, ma solo in parte e in determinate circostanze. Per altri versi, si può però dire che il reale valore di una lotta risieda nel tipo di soggettività che in essa saprà nascere. Lentamente, lungo percorsi dell’incerto destino, attraverso difficoltà e contraddizioni, da ogni lotta può sbocciare una differente coscienza politica, inedite pratiche individuali, in breve nuove forme di vita. In una lotta, è prioritariamente in gioco ciò che ogni individualità sarà per se stessa e, contemporaneamente, in relazione agli altri.
Dal punto di vista della formazione delle soggettività, l’attuale decorso dell’occupazione dell’Università Statale di Milano mette in luce linee abbastanza chiare, sebbene non consapevoli a tutti.
Da un lato, c’è la gioia vissuta di chi finalmente sente un’aria di libertà circolare tra l’impersonalità dei corridori accademici, di chi percepisce l’eccezionalità di rapporti umani inediti tra individui che erano soliti ignorarsi vicendevolmente, di chi vive sul proprio corpo la bellezza dell’uscita dalla grigia normalità. E su ciò non occorre dilungarsi: è l’appassionata vitalità che coinvolge tutti in una maggiore gioia di vivere condivisa.
Dall’altro lato, assistiamo alla formazione di uno schema – quello dell’assemblea generale –che annulla la specificità delle differenze individuali in nome di una fittizia collegialità, controllata in realtà (lo vogliano o meno) da piccoli leader in formazione. Ciò accade anzitutto per motivazioni strutturali: organizzazione dello spazio, disposizione dei corpi, utilizzo dei microfoni, ecc. sono fattori che inducono automaticamente determinati meccanismi della soggettività e dell’assoggettamento. A prescindere dalla volontà dei singoli, questa disposizione non permette l’orizzontalità dei rapporti, la pacata discussione, il ragionamento condiviso. Certo: ognuno è libero di prendere il microfono e di dire la sua, ma questa libertà è evidentemente un’apparenza. Egli appare e scompare di fronte alla platea, e tutto si riduce al gioco degli applausi e/o delle ovazioni, dopo di che tutto resta come prima, cioè come viene deciso e condotto dall’al di là della cattedra. Ma dovevamo occupare l’Università per replicare la medesima struttura, la medesima partizione sancita da una cattedra?
In occasione della votazione del primo comunicato dell’Assemblea, qualcuno faceva giustamente notare che era una richiesta assurda. Anche accettando il peraltro criticabile criterio della maggioranza, la votazione (in quanto espressione di una scelta e di una volontà) richiede la possibilità di ragionare, discutere, criticare: il che è evidentemente escluso da quel contesto assembleare. Detto in maniera più caustica: escludendo la possibilità di ragionare in vista di una scelta, questa struttura esclude il reale esercizio della libertà. E chi nega ciò o è cieco o è in cattiva fede. E capita che ciò sfugga anche agli stessi ignari relatori che, proponendo qualcosa, la danno perlopiù come già approvata. E non si tratta di distrazioni, bensì del portato strutturale di una certa disposizione pratica. Quanto si sta profilando è in realtà una dinamica dell’assoggettamento, la formazione di soggettività che vengono in qualche modo guidate e sottratte a quella libertà che l’autorganizzazione dovrebbe in realtà donarci.
Questa non è una critica gratuita, ma un invito ad una seria riflessione.
soggettività in formazione
p.s.: il presente testo verrà presentato e discusso alla stessa assemblea di domani, con alcune proposte pratiche per ripensare la forma dell'autorganizzazione della lotta
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