da aprile online: Quei ''no'' all'alta velocità in Val di Susa, di Massimo Serafini
"Siete corporativi e contro il progresso". Questa è l'accusa più frequente che un potere arrogante e prevaricatore rivolge contro il "no", determinato e largamente maggioritario, delle popolazioni della Val di Susa alle opere dell'alta velocità, grazie alle quali un treno percorrerà in un'ora e mezza la tratta da Lione a Torino. Se poi oltre che egoisti e luddisti si ricorre anche a forme di lotta illegali, quali l'occupazione di strade e binari, allora serve anche un po' di manganello e repressione poliziesca (sarebbe interessante sapere l'opinione del sindaco di Bologna su queste lotte e sui sindaci che le guidano). Niente di nuovo sotto il sole. Più o meno sono le stesse accuse che il potere e gli interessi forti rivolgono a chi si oppone al Ponte sullo stretto o al Mose a Venezia, o più in generale a coloro che denunciano il disastro infrastrutturale italiano che, da decenni, offre ai cittadini più che servizi solo corruzione e opere che spesso si rivelano inutili. Ma o ltre alle popolazioni sott'accusa ci sono anche gli ambientalisti che strumentalizzano la protesta corporativa. Come può un ambientalista essere contro un treno, si strepita da destra e da sinistra? Ecco la prova che gli ambientalisti sono contro tutto e il contrario di tutto, aggiungono interessati cementificatori e speculatori. Proviamo a ragionare e a riproporre invece le ragioni forti delle popolazioni della Val di Susa. Non c'è nulla di corporativo, né tantomeno si è contro il progresso, nel dire "no" a un'opera che rischia di liberare in atmosfera polveri di amianto e uranio. C'è solo una legittima preoccupazione per la salute collettiva di una valle che ha già un triste primato di tumori accertati. Che rassicurazioni sono state date da parte di chi propone l'opera? Nessuna. Basterebbe già una ragione forte come quella della salute collettiva per giustificare sia la protesta sia le forme in cui si esprime. Oltre a ciò, vi sono altre motivazioni forti che inducono a e ssere solidali e partecipi alla lotta contro l'alta velocità in Val di Susa. Ad esempio, tutti i sostenitori di interventi pesanti sul territorio non si chiedono mai quanti interventi può effettivamente sopportare. Insomma, qual è la "carring capacity" della Val di Susa? E' già stata superata, come sostengono gli abitanti della valle con quello che già c'è e cioè un'autostrada, due strade provinciali e una ferrovia, oppure c'è spazio anche per quest'opera senza pregiudicare l'ecosistema? Anche su questo punto alla dettagliata documentazione di chi protesta si contrappone la vaghezza di chi vuole l'opera. Infine, c'è una domanda per chi accusa le lotte della Val di Susa di essere contro il progresso: chi non protesterebbe di fronte alla certezza che la propria vita sarà sconvolta per quindici anni dal traffico pesante, dalle ruspe e dai rumori? Penso tutti: dal montanaro più abituato ai silenzi e ai ritmi di vita meno ossessivi, al cittadino già stressato dal traffico e da i ritmi della città. Si aggiungono infine due obiezioni ulteriori a quest'opera. La prima riguarda la sua utilità. Questo treno, che collega Lione con Torino in un'ora e mezzo, sarà utile a risolvere il disagio dei numerosi pendolari che dalla valle ogni giorno si spostano verso i centri urbani per lavorare o per studiare? Non è un treno per loro, che continueranno a viaggiare su treni lenti, insicuri e quasi sempre non in orario. In realtà, il vero nodo della questione del traffico sta proprio qui. Infatti, a che serve arrivare da Lione a Torino in un'ora e mezza se non si è stati in grado di offrire un'alternativa su ferro all'auto individuale per la gran parte degli spostamenti essenziali, che quasi mai superano i 70 km? In tutti questi casi è quasi obbligatorio l'uso dell'automobile individuale. Ecco spiegate le code spettrali all'ingresso delle città la mattina e quelle in uscita la sera, e soprattutto ecco spiegata l'aria avvelenata dalle polveri sottili e dagli altri inq uinanti. La seconda obiezione riguarda la quantità di merci che la ferrovia, dopo aver realizzato quest'opera, sottrarrà alla gomma e alla strada. Penso che sia più che fondato il sospetto che anima le manifestazioni di questi giorni in Val di Susa, e cioè che oltre alla devastazione ambientale che la realizzazione della Tav porterà, continuerà anche quella dei Tir, perché le merci continueranno a viaggiare su gomma prima e dopo la realizzazione dell'opera. Anzi, ad essere malevoli forse già c'è qualche progettista che sta disegnando un raddoppio dell'autostrada di cui presto si denuncerà le insopportabili strozzature. Infine, se non bastassero tutte queste validissime ragioni per dire "no" a quest'opera, si potrebbe aggiungere quella su cui ci si interroga meno: cioè, che cosa significhi oggi valorizzare un territorio, farne in altre parole occasione di vita e di lavoro per chi lo abita. Non è più vero, se mai lo è stato, che una popolazione sacrificando la qualità del prop rio territorio trarrà però vantaggi di reddito e di occupazione. Non è così. Sempre di più questi interventi creano poco lavoro, spesso precario, e tanta devastazione ambientale. Al contrario, è sempre più evidente che la tutela e la rinaturalizzazione di un ecosistema territoriale offrono qualità della vita per chi vi abita e occasioni di reddito e lavoro. Forse è tempo di capire che un futuro auspicabile non è quello che l'economia della crescita continua ad offrirci, ma quello che può venire dalla progettazione di società capaci di produrre lentamente e in pace con la natura ricchezza collettiva. In Val di Susa, più che un treno veloce, serve solo un treno che passi spesso e sia puntuale e sicuro.
* segreteria di Legambiente [Massimo Serafini *]
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