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Milano - Se la Statale si beve la città
by da liberazione Monday, Nov. 07, 2005 at 11:11 AM mail:

Se la Statale si beve la città.

Milano - Se la Stata...
statale_occupata__2005_.jpg, image/jpeg, 600x449

Venerdì la notizia è circolata via sms sui telefonini di tutta Milano: «La Statale occupa». Increduli, sbigottiti, chi riceveva il messaggio a sua volta lo inoltrava; i più diffidenti solo dopo una telefonata di verifica, «... scusa, sei in Statale? …ma è vero che c'è l'occupazione? …ma chi è che la fa? …come "gli studenti"? …quali?».
Al primo moto di stupore ne seguiva così immediatamente un altro: sì, l'occupazione c'è, è vera, e soprattutto è promossa per la stragrande maggioranza da studenti non riconducibili a strutture politiche preesistenti. Ricercatori precari e soprattutto studenti dei primi e primissimi anni (quelli, per intenderci, forse più avvezzi allo strumento in quanto solo da poco usciti dalle superiori dove le occupazioni negli ultimi anni non sono mai mancate) sono i veri protagonisti di questa improvvisa quanto inaspettata mobilitazione.

Nel recente passato il clima politico nell'università milanese non ha mai toccato punte particolarmente calde. I ricercatori precari, che su tutto il territorio nazionale hanno rappresentato un punto di riferimento per molti, da queste parti hanno dato vita a iniziative e mobilitazioni importanti ma spesso senza riuscire a scardinare la calma piatta che regnava nella componente studentesca. I collettivi studenteschi, uniti da tempo in una rete interfacoltà chiamata Resistenza Universitaria, se da un lato sono stati capaci di lodevoli iniziative, quanto di un significativo superamento delle divisioni che spesso frammentavano in mille microfamiglie gli studenti particolarmente attivi, d'altro canto non sono mai riusciti ad uscire da una dimensione limitata ad un giro di studenti già sensibili ai temi della riforma Moratti.

Mancava il soggetto. Mancavano gli studenti intesi come soggetto ampio numericamente e socialmente. E non appena il soggetto s'è fatto intravedere, chi da tempo macinava lavoro politico in università non s'è fatto scappare l'occasione e ha preso la palla al balzo: più di cinquecento mani si sono alzate in assemblea per dire "Occupiamo! ".

Studenti legati a diversi centri sociali (in particolare Sos Fornace, Vittoria, Cantiere, Deposito Bulk), così come alcuni giovani di Rifondazione o attivisti delle diverse battaglie contro la precarietà della vita del circuito di Chainworkers, sono presenti nella lotta degli universitari: supportano, hanno magari più esperienza organizzativa, mille agganci da offrire per i gruppi di lavoro e contatti utili per far arrivare impianti audio, dj, videoproiettori e quant'altro, però non sono quelli che determinano i lavori.

Le assemblee, i comunicati e i volantini, ogni comunicazione interna e verso l'esterno e soprattutto ogni ragionamento e decisione passa attraverso assemblee fiume che si tengono due volte al giorno e dove prendono la parola decine di studenti, molti dei quali per la prima volta.

Intanto, con una disponibilità pari allo zero, è arrivata la dichiarazione del Senato accademico e del Rettore De Cleva. Sostanzialmente chiedono l'intervento della polizia per sgomberare gli studenti. Bollano come minoritaria la protesta e paventano l'infiltrazione di fantomatici esterni, versione localistico-morattiana dei kamikaze fondamentalisti a cui tutto il peggio possibile e immaginabile è imputabile.

Chi arriva da precedenti esperienze di movimento invece si lamenta di un livello politico basso. Le discussioni nelle assemblee, si dice, sono spesso superficiali, si pongono dei problemi che non dovrebbero esistere, peccano di un moderatismo eccessivo. Però nessuno può negare un livello di partecipazione e protagonismo molto alto. E soprattutto dietro questa critica, oltre a un pezzo di verità, c'è un dato banale quanto innegabile: un po' di invidia! Quanto tempo è che non si occupava l'Università Statale? Quanti, tra quelli che in questi anni hanno dato vita ai movimenti di lotta non-studenteschi, avrebbero ardentemente voluto farlo? Qualcuno dice dai tempi del movimento della Pantera del ‘90, con alcuni piccoli sussulti negli anni passati che però non hanno paragone con quanto succede ora.

Allora forse è opportuno riflettere su ciò che si muove in relazione a ciò che c'era prima di quest'occupazione. E c'era veramente poco, dentro l'università ma anche fuori.

La piazza milanese non brilla di iniziativa da un po' di tempo. Le battaglie contro la precarietà degli Imbattibili e di Serpica Naro, le mobilitazioni degli studenti medi con il Coordinamento dei Collettivi sono tra le poche cose "vive" in città. Per il resto c'è poco. Poco nei centri sociali, molti dei quali in crisi, alcuni in corso di rimessa in discussione della propria esperienza e solo nelle cittadine della provincia vitali e carichi di energia. Poco sul terreno della casa o per i diritti dei migranti e la chiusura dei Cpt. Poco da parte di quella società civile che ha dato vita a esperienze anche molto significative, quali la "Rete scuole" e "Chiedo Asilo", ma che da un po' di tempo latita. Poco, ovvero lodevoli sforzi da parte di tanti ma scarsa risposta a livello sociale.

Letta attraverso questa lente, allora, la mobilitazione dell'università milanese forse può suscitare altre e più veritiere, quanto speranzose, considerazioni. Cominciando innanzitutto a riconoscere il carattere nuovo e genuino di ciò che sta emergendo. Valorizzando l'enorme trasversalità e diversità di riferimenti culturali, politici e di immaginari che stanno coesistendo, a volte collaborando, occasionalmente addirittura cooperando. E riconoscendo a questi studenti il coraggio di aver dato vita ad una occupazione, sapendo bene che la città attorno non era pronta a schierarsi al loro fianco. Stanno facendo da soli, contando cioè sulle loro sole forze. E non hanno timore alcuno: non si preoccupano delle alchimie di movimento, degli equilibrismi che contribuiscono ad impantanare tanto e tante di quelle situazioni sociali che a Milano non sprizzano dinamicità (per usare rispettosi eufemismi), tirano avanti offrendo un'occasione di relazione politica a tutti, ma segnando anche una nettezza nell'autonomia e nell'indipendenza del percorso. Allora, a ben guardare, forse tutto ciò non è poco. E sarebbe opportuno trovare non solo il modo di criticarlo, quanto piuttosto il modo di supportarlo. E rispettarlo.


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