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Chiampa come Coffy
by il manifesto Thursday, Nov. 17, 2005 at 6:10 PM mail:

Chiamparino caccia i rom del Lungostura

Lo sgombero dovrebbe essere autorizzato domani mattina [oggi 17 novembre], in un incontro tra forze dell'ordine cittadine in prefettura. Torino come Bologna, dunque. Per i quattrocento rom che "abitano" il Lungostura non sembrano esserci alternative. Le ruspe arriveranno e raderanno al suolo tutto, comprese le baracche che stanno in piedi alla meglio e che fino ad ora sono servite da abitazione a donne, tanti bambini e uomini. Il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino aveva detto nei giorni scorsi che «qui non è come a Bologna. Noi gli sgomberi li abbiamo sempre fatti e non abbiamo mai avuto problemi». Sarà che al primo cittadino non importa avere sotto le finestre di palazzo civico decine di persone ogni settimana con ghettoblasters a mille. Sono quelli che indistintamente vengono definiti squatters (in senso spregiativo, s'intende), sono i giovani che l'amministrazione comunale si ostina a sgomberare da qualunque posto occupino. Del resto ci sono le olimpiadi fra poco e spazi pubblici e autogestiti non sono all'ordine del giorno. E così, via, ecco la polizia in azione anche la scorsa settimana per chiudere altri due centri sociali occupati da poco. I rom naturalmente sono forse ancora meno presentabili degli squatters, e quindi non se ne parla nemmeno di lasciarli lì, sulle sponde della Stura. Alternative? Forse, sì ci stiamo pensando, mormorano in comune poco convinti. Vedremo se è il caso di allestire un campo transitorio, dice il sindaco. Se si farà potrà essere comunque utilizzato solo da chi è in regola con il permesso di soggiorno, assai pochi. (o.c.)

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E Londra sfratta gli «amici» di Bob Marley
by sempre il manifesto Thursday, Nov. 17, 2005 at 6:13 PM mail:

E Londra sfratta gli «amici» di Bob Marley

200 rasta giamaicani rischiano di perdere le case che occupano da trent'anni. E tra fotografie dell'imperatore Haile Selassie e marijuana libera si preparano a resistere alle ruspe del comune

NICOLA SCEVOLA
LONDRA
Dal balcone della villetta vittoriana sventola un tricolore etiope con il leone imperiale. Tra la musica reggae che rimbomba a qualsiasi ora e i simboli della cultura rasta che fanno capolino dalla maggior parte delle finestre, questa via potrebbe appartenere ad un quartiere coloniale di un'immaginaria città giamaicana. Ma il vento freddo che soffia costante e il bobby dal tipico elmetto tondeggiante che fa la sua ronda raccontano una storia diversa. Siamo nel cuore di Londra, in una strada occupata che ospita da quasi trent'anni una delle più importanti comunità rasta della città. La quale rischia di essere sgomberata da un momento all'altro per far posto ad un nuovo complesso residenziale. Circa 200 persone vivono in questa via, uno dei luoghi più sacri e rispettati della cultura rasta, con tanto di tempio che si dice fosse considerato da Bob Marley come una seconda casa. Per le autorità locali, però, tutto ciò non ha senso. Secondo un'ordinanza divenuta esecutiva, gli edifici in questione sono solo ruderi e i suoi residenti degli abusivi che occupano uno spazio valutato milioni. E nonostante l'area sia di proprietà del quartiere di Lambeth - e non di un privato interessato alla speculazione - il ragionamento non cambia. La scorsa settimana il tribunale ha appurato che, non pagando l'affitto, i residenti non hanno alcun diritto sul luogo e ha dato il via libera alle ruspe. «Qui la gente è attaccata alla propria casa e crede in questa comunità che esiste da trent'anni», dice Ras in un'inglese con un forte accento che tradisce le sue origini giamaicane. «Ma per il sistema capitalistico questo non conta».

Ras chiacchiera con gli amici davanti al quartier generale dell'associazione etiope, un misto fra un centro sociale e un luogo di raccoglimento per i seguaci del credo rastafarian. Le finestre della casa di mattoni sono decorate con foto dell'imperatore Haile Selassie e sciarpe rosse-giallo-verdi e dall'interno proviene un forte odore di marijuana. È pomeriggio inoltrato e c'è un gran via vai di gente di tutte le età, i lunghi dreadlocks portati sciolti o fasciati in fazzoletti dai colori sgargianti. Alcuni hanno chiome così lunghe da riuscire comodamente ad usarle come sciarpe contro il freddo. Il nuovo ordine di sgombero è sulla bocca di tutti, ma pochi credono che la polizia arriverà a farlo eseguire. «In passato ci hanno già provato, ma li abbiamo respinti con le barricate e le pietre», avverte Ras. Alla fine degli anni Settanta le ruspe del comune riuscirono a danneggiare una parte delle 22 villette che formano la comunità di St Agnes Place. Dopo averle cacciate, però, gli abitanti si sono rimboccati le maniche ed hanno riparato i danni. Alcune crepe sono ancora evidenti sui muri, «ma all'interno le case sono solidissime» assicurano i residenti. Oltre a sentire di essersi guadagnati queste case con il sudore della propria fronte, gli abitanti sono orgogliosi del senso di comunità che caratterizza la vita della strada.

Insieme al nucleo originario di rastamen, oggi in St Agnes vive un misto di gente che tiene alta la reputazione cosmopolita della città. Gli abitanti si conoscono tutti tra loro e, nonostante la zona sia famosa per i suoi problemi di droga e criminalità, questa via rimane un'isola felice in cui la gente può ancora permettersi di non chiudere a chiave la porta di casa. «A parte un gran consumo di cannabis non succede nulla da queste parti» conferma una poliziotta che da anni pattuglia la zona. Oltre a non creare problemi d'ordine pubblico, a modo loro i residenti - un melting pot di seguaci dell'imperatore Selassie, migranti e viaggiatori da tutto il mondo - cercano di rendere anche un servizio al quartiere. Al piano interrato del numero 60, c'è una cucina collettiva che distribuisce cibo ai bisognosi. Presso l'associazione etiope c'è uno studio di registrazione che aiuta aspiranti musicisti, e al numero 93 un centro che organizza attività per ragazzi. «E' incredibile pensare che una simile solidarietà si sia sviluppata fra gli abitanti di una via situata nel cuore di una metropoli famosa per la sua riservatezza e diffidenza», dice Dan, un ragazzo originario delle campagne della Cornovaglia, una delle zone più depresse dell'Inghilterra. «Venendo a Londra a cercare lavoro, ho saputo di questa strada e sono venuto a chiedere se c'era un posto per dormire. Per me è stata un'opportunità unica». Ma per l'autorità locale queste considerazioni non contano. «Quelle proprietà sono illegalmente occupate e i residenti non pagano nulla da molti anni», afferma un portavoce del Lambeth Council. «Se da una parte noi abbiamo il dovere di fornire una casa a chi ne ha bisogno, dall'altra abbiamo la responsabilità davanti ai contribuenti di riscuotere gli affitti». Per i residenti di St Agnes Place, le vie legali sembrano giunte ad un binario morto e, da un momento all'altro, la strada potrebbe essere circondata dalle prime ruspe. Ma mentre alcuni abitanti sembrano disposti a difendere il posto con la violenza, la maggior parte pensa che l'unica vera arma a disposizione sia la resistenza passiva. «Dovessero sgomberarci, Londra non perderà certo una comunità modello - fa notare Ken Falloon, un veterano di St Agnes - ma perderà una comunità reale, di quelle di cui c'è bisogno in un mondo reale, che ha bisogno di soluzioni reali».

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