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Resoconto della visita all'interno del CPT di Lamezia
by da cosenzanome.org Saturday, Nov. 19, 2005 at 6:48 PM mail:

Resoconto della visita all'interno del CPT di Lamezia Terme, in occasione della manifestazione del 12.11.05, fatta dal Adriano D'Amico e dal sen. Francesco Martone.

Resoconto della visi...
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Resoconto della visita all'interno del CPT
di Adriano D'Amico

Per arrivare al CPT di Lamezia Terme abbiamo attraversato un viale angusto che si diparte dalla provinciale e sale su, verso l’alto, verso l’ignoto. Le nostre bandiere al vento davano speranza e conforto a noi ed ai tanti braccianti che, a destra ed a sinistra della strada, incuranti della nostra visita, continuavano il loro quotidiano lavoro di raccolta delle olive. Mi è sovvenuto il verso del poeta: “… a tutto quel fragore non degnò uno sguardo e a brucar serio e lento seguitò …”.

Non era la prima volta che andavo in un CPT, né, tanto meno, la prima volta che andavo al centro di Lamezia Terme. Lungo la strada un cartello ci avvisa che Malgrado Tutto, si continua a lavorare per rendere più dignitoso “il percorso italiano di tanti esseri umani”. Non è così!

Dopo una breve trattativa, entro nel centro con il Senatore Francesco Martone. I miei compagni conducono in proprio una trattativa per sostare simbolicamente nello spiazzale adiacente il centro, che, stranamente, rispetto all’ultima volta troviamo recintato.

La prima immagine che affiora nella mia mente, è quella remota, ma mai dimenticata, di un campo di concentramento nazista: muri di cinta e reti metalliche altissime circondano la struttura muraria del centro; doppia rete alle finestre che, come la scorsa volta (due anni fa), ancora mancano di vetri; polizia ovunque, donne e uomini con uniformi arancione e stivaloni di gomma neri fino al ginocchio, destano ricordi inquietanti.

I migranti, appena intendono il motivo della nostra presenza, cominciano ad urlare “Libertà, Libertà!”. Mi si rizza il pelo, un brivido mi attraversa la schiena. Un interrogativo mi sovviene immediatamente: perché tanta gente è rinchiusa in questo posto terribile se non ha commesso alcun reato?

Il centro è un girone dantesco. Appena entrati all’interno ci ricontrollano e ci trattengono i documenti. I poliziotti paiono abbastanza tranquilli; il commissario ci snobba un po’, preferisce che parliamo con un sovrintendente, che lui chiama “dottore”.

Francesco Martone chiede di parlare con il responsabile della cooperativa che gestisce il centro. Dopo qualche minuto arriva Raffaello Conte. E’ lui il padrone della Malgrado Tutto. Esordisce come al solito: “Sono un comunista, vengo dal PCI. Adesso sono io che voglio chiudere questo centro, ma la sinistra non vuole”. Acconsente a parlare con noi. Entriamo nella stanza ove si celebrano le udienze di convalida. Raffaello Conte si siede al suo posto, quello del Giudice. E’ lui che comanda questo luogo senza legge. Lo sanno tutti, anche i poliziotti, che gli portano grande rispetto. Francesco si presenta; propone al presidente della cooperativa un questionario. Prima di entrare nel centro, avevo informato Francesco dell’esposto alla Procura della Repubblica di Lamezia Terme a firma di Giovanni Russo Spena, sulla gestione del CPT; di quanto riscontrato dagli inquirenti; delle 23 violazioni amministrative contestate dal Giudice alla cooperativa e della miserabile archiviazione.

Raffaello Conte capisce che non è il solito interrogatorio; che è molto diverso da quello cui quasi tutti i giorni assistono i migranti alla presenza del Giudice di Pace e dell’Avvocato in convenzione con la cooperativa. Incalzano le domande: Raffaello Conte risponde, a tratti si arrampica sugli specchi, come quando non sa dov’è la convenzione con la Prefettura, della quale chiediamo, senza esito, una copia.

Ad un certo punto qualcuno dei suoi uomini lo chiama; intanto le urla degli ospiti del centro sono sempre più assordanti: “stanno rompendo la cucina”, grida uno dei suoi. Raffaello Conte si alza di scatto, pare tutto concordato, non gli sembra vero che c’è un motivo per uscire fuori da quell’impiccio. Si mette a gridare come un ossesso, ad ingiuriare un attonito Francesco Martone: “Parlamentare di merda, Parlamentare di minchia, perché venite qui ad offenderci, a rompere i coglioni, andate fuori di qui, perché non vi occupate della mafia, lasciateci lavorare”. Io e Francesco rimaniamo sbalorditi del suo comportamento. Mi ribello alle ingiurie e chiedo ai poliziotti li presenti di intervenire, gli chiedo i loro nomi, pensando ad una futura querela ed avendo necessità di indicarli a testi; si rifiutano: “siamo qui di passaggio”, mi riferiscono; “li chieda al sovrintendente”, quello che chiamano dottore. Intanto Raffaello Conte continua a sbraitare e ad ingiuriare Martone; poi si avvicina pericolosamente a noi con fare minaccioso: i militi capiscono che oltre alle ingiurie potrebbe succedere di peggio; allora lo prendono di peso e lo portano via. Lui continua ad urlare, scalcia il cancello di chiusura, nessuno protesta, lo conoscono bene il presidente della Malgrado Tutto.

Dopo questo spiacevole episodio, per il quale, poi, il commissario, forse informato dai suoi uomini, chiederà scusa a Martone, inizia la visita al centro.

I poliziotti, nella circostanza, sono subdoli: ci chiedono se vogliamo comunque entrare nel centro, dall’interno si sentono urla; gli riferiamo che non abbiamo nulla da temere. Loro non ci accompagnano.

E’ uno spettacolo penoso quello che ci appare davanti agli occhi; terribile, da brivido. In uno spazio di 10 metri per 5 , ove i migranti giocano a pallone, tutto recintato da reti metalliche alte più di dieci metri, veniamo circondati da decine e decine di persone. Il CPT dovrebbe contenere 71 ospiti, ci hanno detto all’ingresso: in quel momento siamo attorniati da quasi cento persone. Ci pongono i problemi più vari, ci tirano per il bavero. Conosciamo Mohamed El Khafifi, è del popolo Sahrawi, ha fatto domanda d’asilo l’8.11.03, dovrebbe aver avuto l’asilo non appena entrato in Italia per le note vicende del suo popolo, non si capisce perché è ancora li. Incontriamo Alfred Isia, viene dal Ghana e Youda Dasabi, lui viene dalla Costa d’Avorio, anche loro dovrebbero già aver avuto l’asilo, sono li da molto tempo, nessuno gli ha dato ascolto. Incontriamo Himad Shmide, è nato l’11.1.1988, è minorenne! C’è pure Afif Glassi, è nato il 3.03.1988, anche lui è minorenne. C’è anche Mohamed Slimen, è nato il 23.06.1989 è un ragazzino, già a guardarlo. Nessuno di loro potrebbe stare li; è uno scandalo, nessuno riesce a darci spiegazioni. E’ una violazione nella violazione. Non è rispettata neanche la Legge Bossi-Fini. Incontriamo tanta gente che è stata regolarmente identificata, che ci mostra un regolare permesso di soggiorno e continua a rimanere li: Messaudi Zumaier, Boulaya Tamar, Kerkache Dhocine. Ce ne sono tanti altri. Mi colpisce l’incontro con un ragazzo rumeno: è li da più di quaranta giorni; ci riferisce che gli hanno preso il passaporto; era entrato in Italia con un regolare visto per turismo; non capisce perché si trova in quell’inferno. Penso subito all’estate appena decorsa, a quando con Angelo e Giulio siamo andati in Romania: visitammo la Transilvania, splendida; il castello di Dracula a Bran, i monasteri, non ci ha arrestato nessuno. Come faccio a spiegarlo a questo giovane ragazzo biondo, che mi guarda fiducioso ed incredulo!

Entriamo nelle stanze: ci portano subito nel bagno: “venite a vedere”, ci dicono, “in che schifo viviamo”. Il bagno è in condizioni pessime, i cessi sono intasati; non c’è carta igienica; si cammina sul piscio e si respira il puzzo del piscio; non c’è acqua calda, l’acqua gelida sgorga dai lavandini con una pressione tale da fare invidia alla pompa di un autolavaggio, come faranno a lavarsi questi poveri fratelli nostri. Hanno le lenzuola ogni 10 giorni; ogni tanto un sapone per lavare i panni che funge anche da bagno schiuma.

Entriamo nelle stanze. C’è un fetore terribile: nonostante sapessero della nostra visita non sono riusciti ad ovviare, si vede che la situazione è irreversibile. Non ci sono armadietti per riporre la roba di ciascuno; le scarpe dei migranti sono incastrate nelle grate della finestra che funge da scarpiera. Chiediamo se c’è la biblioteca, memori delle ingenti somme che ogni anno la cooperativa riporta in bilancio per l’acquisto di libri e giornali. Ci dicono che è chiusa. I migranti ci dicono pure che non hanno mai visto un giornale o un libro da quanto stanno li dentro. Ci dicono, pure, che in qualcuna di quelle stanze ci tengono rinchiusi tre migranti con problemi psichici, parlano di due persone. Nessuno sa nulla.

La nostra visita sta per terminare. Con le lacrime agli occhi, da italiano, chiedo scusa a tanti ragazzi che indossano magliette e capelli con il tricolore, che sognavano l’Italia che vedevano in TV ed hanno trovato l’inferno.

Un migrante, che nell’aspetto mi ricorda Rjikard, quel noto calciatore del Milan di tanti anni fa, ci dice che non vuole più essere disturbato, che vuole continuare a giocare, a sognare il suo idolo e ci scaglia il pallone contro. Un altro ci riferisce che la nostra visita provocherà loro solo nuovi guai. La sua, purtroppo, è una previsione che puntualmente si avvera.

Oggi, a tre giorni dalla visita, sappiamo dai nostri amici reclusi che i migranti del CPT di Lamezia Terme non ricevono cibo. Sarà colpa delle cucine rotte di cui riferiva l’amico del presidente della cooperativa? Ne acquisteranno delle nuove, tanto paga il Ministero, che per ogni ospite paga 47 euro al giorno. Poi si farà da mangiare.

Usciamo dal centro di Pian del Duca sconfortati, avvelenati ed incazzati: novelli Davide che combattono Golia; figli di Sancho Panza che si batte contro i mulini a vento.

Ci tornano alla mente le parole di Borghezio, di Giovanardi e di suo fratello; ci appaiono le facce di Rutelli, della Turco e del compagno Napolitano. Che bello sarebbe vederli loro rinchiusi li dentro, seduti sul piscio di Raffaello Conte.

La nostra giornata all’inferno finisce in piazza a Lamezia: una città che vive in un paese civile, l’Italia, assopita nell’oblio del suo perbenismo becero, nel suo qualunquismo poco cristiano, di democristiana memoria.

Avremo la forza di far capire all’esterno che siamo i figli di quegli emigranti descritti da Gian Antonio Stella nel suo libro? Avremo la forza di chiudere questi centri e cancellare questa vergogna?

Adriano D’Amico.

(Dipartimento Migranti PRC Cosenza)

Cosenza, 14.12.05

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