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Inchiesta su alta velocità - Parte II
by Diario.it Wednesday, Dec. 07, 2005 at 4:12 PM mail:

Vedi alla voce: alta velocità (seconda parte) - Tutto quello che avreste voluto sapere sulla più grande mina vagante per i conti pubblici del Paese... di Alberico Giostra

http://www.diario.it/index.php?page=frame.print&id=cn04091703

Incalza Ercole. Ex presidente della Tav ed ex direttore generale del ministero dei Trasporti. Attuale consulente del ministro Lunardi, secondo De Michelis è il più importante tecnico italiano dei trasporti. Già implicato negli scandali delle opere fantasma di Italia 90, il 7.2.1998 fu arrestato su mandato dei giudici di Perugia. Accusato di concorso in corruzione insieme a Necci (V.), Pacini Battaglia (V.), Maraini (V.) avrebbe corrotto l’ex capo dei gip di Roma Squillante e il pm Giorgio Castellucci (V.) che dovevano indagare sulla Tav, Incalza e Maraini hanno affidato per quattro anni consulenze miliardarie a tre avvocati amici di Castellucci: Di Amato, Grollino e Petrelli. Secondo i giudici Incalza faceva parte integrante di quella «struttura bene organizzata composta da manager pubblici e privati» che manipolava gli appalti per «creare fondi extracontabili per erogare tangenti verso il potere politico che quei vertici avevano sponsorizzato e verso gli stessi amministratori pubblici per garantire il loro illecito arricchimento». Insomma il sistema Tav come, secondo i giudici, fu ideato da Necci e Pacini.

Interessi intercalari. Sono gli interessi che lo Stato sta già pagando ogni anno e che continuerà a pagare fino a quando la Tav non entrerà in funzione. Si tratta di interessi su prestiti che la Tav ha avuto dalle banche e dalla Cassa Depositi e Prestiti a tassi il cui importo si conosce solo per la Cassa Depositi e Prestiti (5,5 per cento) ma che è sconosciuto per i prestiti avuti dalla Bei o dal San Paolo di Torino. La spesa prevista per gli i.i. nel 1991 era di 770.000.000 euro. Nel 2010, quando (forse) i lavori Tav saranno ultimati, avremo pagato 8.690.000.000 euro, una spesa undici volte superiore.

Lavoratori. Nel dicembre 2003 erano 13.779. Lavorano a ciclo continuo, ovvero 24 ore su 24 in squadre composte da sei operai. I turni possono impegnarli anche 48 ore di seguito e la pausa mensa non è conteggiata nelle ore giornaliere di lavoro. Le condizioni di lavoro sono usuranti: in galleria si respira male, l’aria è inquinata, l’illuminazione scarsa, i rischi molti. Vivono in prefabbricati privi di comfort e di intimità, in camerate e con docce comuni. La maggioranza di loro viene dal Sud e vive lontano dalle proprie famiglie. Ma soprattutto nei cantieri Tav si muore: l’1.2.03 al Careggi di Firenze è spirato Giovanni Damiano, 42 anni, di Benevento, padre di due figli. È solo l’ultimo in ordine di tempo. Il 31.1.00, nel tunnel di Vaglia (Fi), al Carlone, moriva Pasquale Costanzo, 23 anni, elettricista di Petilia Policastro. Il 26.6.00, moriva a Ponte Nuovo a Calenzano (Fi) Giorgio Larcianelli, camionista, 53 anni, di Scandicci. L’1.9.00 moriva nella galleria di Monghidoro Pietro Giampaolo, 58 anni, di Chieti, schiacciato dalle ruote di un camion. Il 5.1.01 moriva Pasquale Adamo, 55 anni, di Quarto (Na), sposato e padre di tre figli, stritolato dalla coclea di un posizionatore nella galleria di Monte Morello. Tutti operai dei cantieri Cavet della Fi-Bo. Il 29.11.01 la prima vittima della tratta Milano-Bologna: nel cantiere Cepav nei pressi di Campogalliano, è morto Francesco Minervino, 57 anni, travolto da un’escavatrice. Poi il 26.1.04 è morto Biagio Paglia, travolto da una ruspa a Lesignana di Modena. Il 19.4.04 è toccato a Kristian Hauber e il 10 maggio scorso Mario Laurenza, un carpentiere campano di 37 anni, è rimasto folgorato in un cantiere di Castelfranco Emilia.

Lodigiani Vincenzo. Costruttore, nome storico di Tangentopoli. Finisce sotto inchiesta per la Tav nel filone milanese delle indagini. Di Pietro viene in possesso nel 1993 della cosiddetta agenda «Paparusso», dal nome del centravanti della Lodigiani, la squadra del costruttore. In quell’agenda c’è l’elenco delle mazzette che gli imprenditori dovevano pagare per entrare nel giro degli appalti ferroviari. 1.510 milioni era la richiesta del Dc Citaristi, 1.020 quella del socialista Balzamo, 500 quella delle Cooperative Rosse da destinare al Pds. Ma erano previsti pagamenti anche ai ministri Bernini e Cirino Pomicino, al membro dc della Commissione Trasporti della Camera Cesare Cursi (125 milioni) e ai partiti minori, Msi compreso. Secondo L. questi soldi però non sono mai stati effettivamente dati. L. riferisce a Di Pietro anche delle mazzette date alla Cisl e alla Uil. 450 milioni a D’Antoni (che lo ha querelato vincendo la causa a Roma e vedendosela archiviare a Milano) e 350 alla Uil sotto forma di pubblicità sulla rivista Lavoro, circostanza che verrà negata da Giorgio Benvenuto. In cambio L. avrebbe chiesto di non creare problemi sindacali nei cantieri Tav. L. è tuttora sotto processo a Perugia. Il pm Vinci, poi deceduto, aveva indagato e prosciolto L. nell’inchiesta sui palazzi d’oro della capitale e per le sue indagini, secondo l’accusa, volutamente superficiali, fu rinviato a giudizio a Perugia. Vinci attraverso gli appunti di L. si sarebbe dovuto accorgere dei suoi rapporti con il banchiere Pacini Battaglia (l’annotazione «Karfinco 8000T Pappalardo» si riferiva al conto Timor Overseas Corp della Karfinco di Pacini), e della congerie di riferimenti all’Alta Velocità e a Necci. Vinci si difese addossando alla Procura di Milano l’insabbiamento delle indagini. Ma Pacini Battaglia è stato arrestato il 22.1.1998 su ordine della magistratura milanese per le tangenti per lo scalo Tav Fiorenza. E a Milano si è celebrato il processo. In primo grado, il 16.5.2000, L. e Necci sono stati condannati per corruzione a cinque anni di reclusione, Pacini Battaglia a quattro anni e tre mesi. Nel processo d’appello il 4.10.2001, le condanne sono state confermate ma le pene attenuate: tre anni a L., tre anni e due mesi a Necci, tre anni e tre mesi a Pacini Battaglia. Il 4.4.2003 la Cassazione ordina la ripetizione del processo a L. Necci è invece riconosciuto colpevole, ma la Suprema Corte chiede al Tribunale d’appello di attenuare la condanna a 3 anni e due mesi di carcere. La Lodigiani è stata acquistata dalla Impregilo.

Maraini Emilio. Numero uno della Italfer, la società incaricata dell’Alta Vigilanza sulla Tav. Insieme a Incalza era il dirigente Fs più vicino a Necci. «Il Munifico» lo nominò nel 1993 nonostante avesse due rinvii a giudizio a Napoli e Milano e fosse indagato a Roma. M. era stato arrestato nel 1993 dal pool Mani pulite e nel corso degli interrogatori aveva ammesso pagamenti di tangenti come amministratore delegato di Ansaldo Trasporti per partecipare ai lavori della metropolitana di Roma e per quella leggera di Milano. È stato nuovamente arrestato il 7.2.1998 per ordine dei magistrati di Perugia.

Necci Lorenzo. Il padre della Tav. Ex amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato e prima ancora presidente Enimont, Lorenzo «Il Munifico» Necci ha avuto persistenti rapporti con la politica. Per anni nella direzione del Pri, poi legato ad Andreotti, attualmente milita nel Nuovo Psi di De Michelis. Necci è stato in corsa per diventare ministro nel naufragato governissimo Maccanico del 1996, ma era così utile alle Fs, che Fiat e Mediobanca posero un veto alla sua nomina per salvaguardare i 9 mila miliardi investiti nei lavori Tav. Il regno di questo potente boiardo di Stato finì il 15.9.1996 quando fu arrestato dai giudici spezzini. Un’inchiesta nata per caso indagando su un autoparco della mafia prima e su un traffico di armi poi e che vedeva coinvolto Pacini Battaglia. Il cuore dell’affare alta velocità è infatti il legame di Necci con il banchiere di Bientina dal quale riceveva 20 milioni al mese in nero prelevati da un conto doubleface con il quale Pacini pagava anche la domestica. Un prestito amichevole per pagare una casa a Parigi e un terreno a Tarquinia, ha detto Necci. Una spiegazione che non regge, per i giudici. Secondo i magistrati il sistema Necci-Pacini si metteva in moto in occasione di ogni appalto ferroviario, immettendo le tangenti raccolte in un complicato giro di conti bancari riconducibile a società offshore, soldi infine utilizzati per pagare i magistrati romani del cosiddetto «presidio giudiziario» che insabbiavano le inchieste su di loro o pubblici ufficiali come il maresciallo D’Agostino e il capitano della Guardia di Finanza Floriani. Il sistema Necci-Pacini, altrimenti detto «Tangentopoli 2», era diverso dalla Tangentopoli 1 in due punti: erano coinvolte non solo una ma tutte le maggiori imprese del Paese e per schivare il reato di corruzione e far schizzare in alto i ricavi, fu coniata la madre di tutte le bugie, che la Tav fosse un affare privato (V. alla voce Tav). Necci si è sempre dichiarato estraneo alla presunta associazione a delinquere contestatagli dai giudici e dice di essere stato assolto 42 volte. Non è vero: il 4.4.03 ha subìto una condanna definitiva per corruzione nel processo per lo scalo Tav Fiorenza (V. Lodigiani). Il 12.3.1992 infatti Necci percepì a Parigi la tangente Derwood di un miliardo e cinquecento milioni proveniente dalla Svizzera. «Sono figlio di ferrovieri», dichiarò nel 1999 Necci «e volevo portare avanti un progetto per il quale pensavo che mio padre sarebbe stato contento».

Nomisma. Società bolognese fondata da Romano Prodi indagata dal pm Geremia di Roma per aver ricevuto nel 1992 dalle Fs una consulenza miliardaria sull’Alta Velocità. Nei 39 volumi si potevano leggere frasi del tipo «il beneficio dell’alta velocità è la velocità» o «la velocità consente di risparmiare tempo». L’inchiesta della Geremia è stata archiviata.

Pacini Battaglia Pierfrancesco. Detto Chicchi, finanziere italo-svizzero. Insieme a Necci, Pacini è il grande manovratore del sodalizio d’affari che ha sorretto la Tav. «In qualche modo P.B. ha svolto il ruolo più importante dell’associazione di predatori. È riuscito ad assicurare ai suoi complici disponibilità economiche assolutamente riservate all’estero. Ha mosso una mole enorme di denaro. Ha ostacolato ogni possibile ricostruzione della provenienza del denaro. Ha custodito il denaro e lo ha smistato su fondi fuori contabilità per destinarlo al pagamento di funzionari pubblici e al finanziamento illecito dei partiti» (Imposimato, Pisauro, Provvisionato, Corruzione ad alta velocità, Koinè). L’inchiesta sulla Tav nacque a Firenze e La Spezia quando i pm Cardino e Franz indagando su un traffico di armi misero sotto controllo i telefoni di P.B : dai colloqui con la segretaria Eliana Pensieroso e con l’ex Dc e piduista Emo Danesi, emersero smistamenti di denaro di P. B. oltreché a Necci anche a magistrati e avvocati romani. Secondo i magistrati di Perugia che hanno ereditato le indagini, P.B. «l’uomo un gradino sotto dio» avrebbe ideato un unico disegno criminoso che si sviluppò dalla fine degli anni Ottanta fino al biennio 1996-97, unendo le vicende dei fondi neri dell’Eni, le tangenti ai partiti politici, gli appalti per i grandi progetti ferroviari e la corruzione di magistrati romani. È la Tangentopoli 2 alla sbarra a Perugia. L’associazione descritta dal pm Della Monica vede Pacini e Necci «attivi» fin dagli anni Ottanta a costituire provviste di denaro illecite. Necci dopo aver lasciato l’Enimont per passare alle Ferrovie, avrebbe continuato a operare con Pacini e gli altri presunti componenti dell’associazione a delinquere. I progetti Tav sarebbero stati il nuovo campo d’azione della lobby.
Portaluri Salvatore. Presidente Tav dal 1991 al 1993. Fu costretto a dimettersi da Necci per l’ostilità nei suoi confronti di Mediobanca, Imi, Banca di Roma e San Paolo di Torino che premevano per avere più consulenze. Portaluri voleva annullare i contratti con i general contractor Iri, Eni e Fiat, per indire gare europee e abbassare i costi e Mediobanca temeva che Portaluri favorisse consorzi stranieri. Portaluri voleva annullare anche i contratti con la Italferr di Maraini (V.) perché arrestato due volte.

Preti Luigi. Ex ministro Psdi nella primavera del 1993 inoltrò un esposto alla Procura di Roma nel quale denunciava le procedure seguite per la costituzione della Tav spa. Preti fu il primo ad accorgersi dei lati oscuri della Tav. L’inchiesta venne affidata al pm Giorgio Castellucci (V.).

Tav spa. La storia della Tav spa comincia il 7 agosto 1991. Nacque pronunciando un’enorme bugia, quella che i 100 miliardi di lire del suo capitale fossero al 60 per cento capitale privato e al 40 per cento pubblico. Non era vero, erano tutti pubblici. Le 21 banche presenti erano quasi tutte pubbliche e le private arrivavano al 10 per cento del capitale. La maggioranza assoluta era delle Fs, le quali detenevano il 45 per cento delle quote più il 5,5 per cento attraverso la Banca Nazionale delle Comunicazioni, la banca delle Fs. Dalla madre di tutte le bugie Tav scaturì la possibilità di affidare la costruzione delle infrastrutture a dei general contractor (V.) mediante trattativa privata. Di seguito venne propalata l’altra grande bugia, che l’opera verrà finanziata sempre al 60 per cento da capitali privati. Invece fu lo Stato a garantire «il finanziamento del 40 per cento in conto capitale, mentre il 60 per cento doveva essere ricercato sul mercato dei capitali con prestiti che ovviamente dovevano essere restituiti con interessi di mercato; poco importava anzi bastava tenere riservato il fatto che gli interessi fino alla realizzazione dell’opera dovevano essere pagati dallo Stato così come la restituzione dei prestiti doveva essere garantita dalle stesse Fs e dallo Stato» (I. Cicconi, La storia del futuro di Tangentopoli, pag.188). Nacque poi il problema di legare Fs e Tav. Le Fs dovevano finanziare solo il 40 per cento dell’opera per cui la Tav con un contratto di concessione di gestione poteva rientrare del 60 per cento sborsato privatamente tramite gli incassi della gestione. Ma per rientrare dei soldi spesi Tav avrebbe impiegato almeno 350 anni. Allora venne coniata la «concessione per lo sfruttamento economico» per giustificare il trasferimento di risorse dallo Stato alle Fs. Un trasferimento impossibile: negli accordi di programma non viene mai detto come i privati dovevano finanziare il 60 per cento né come lo avrebbero recuperato. Di fronte a questi silenzi, Eni e Iri, due dei tre general contractor, si fanno da parte, indicando delle loro società collegate, Snam e Iritecna mentre il terzo, la Fiat, firmò all’ultimo momento, il 15 settembre, solo quando ebbe la certezza della copertura da parte dello Stato. Nel dicembre 1991 vennero firmati i contratti tra Tav e i consorzi, Cepav uno e due, Iricav uno e due, Cavet, Cociv, Cavtomi, accordi di massima con una sola certezza: «Tav spa paga il 100 per cento dei costi previsti nei contratti, nessun rischio è a carico degli imprenditori» (Cicconi, op. cit., pag. 192). Il capolavoro è fatto. L’Italia potè rispettare il parametro di Maastricht che impone al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil ed entrare trionfalmente in Europa. Il 10.3.1998 cadde la maschera: le Fs acquisirono il 100 per cento di Tav spa e dal 1.1.2003 la Tav è entrata nell’orbita della società Infrastrutture spa con azionista unico la Cassa Depositi e Prestiti. Infrastrutture si accolla quel 60 per cento finto privato e trasforma in capitale sociale il 40 per cento pubblico, allungando al 2061 la concessione alla Tav. Lo Stato continuerà a coprire la quota relativa agli interessi intercalari fino alla conclusione dei lavori; quando la Tav funzionerà il debito sarà coperto, sia per la quota relativa agli interessi che per quella relativa al capitale, dai proventi dello sfruttamento economico. Lo Stato si farà carico anche di integrare quella parte del debito che i proventi non riusciranno a coprire (50 per cento. Appena Infrastrutture spa sarà operativa, Tav sarà finanziata con il collocamento della prima emissione obbligazionaria.

Tempi di percorrenza. Quando i treni andranno a 300 km. all’ora da Roma a Milano si impiegheranno 3 ore anziché 4 ore e mezzo; da Torino a Napoli 5 ore contro le 9 attuali. Se la stragrande maggioranza degli utenti viaggiasse lungo queste tratte la Tav potrebbe essere davvero vantaggiosa. Purtroppo l’80 per cento dei passeggeri effettua trasferte inferiori ai 100 km. In nessun Paese del mondo l’Alta Velocità ferroviaria è stata un affare. In Francia e in Giappone i treni superveloci hanno devastato i bilanci delle aziende ferroviarie, portando al fallimento quella nipponica.

Tempi di realizzazione. Secondo il sito ufficiale della Tav la Torino-Milano sarà pronta nel 2008, la Firenze-Milano entro il 2007 e la Roma-Napoli per il 2005. Pochi sono disposti a credere a queste previsioni. Non ci crede nemmeno Aurelio Misiti, che di lavori pubblici se ne intende e dopo aver ammesso che il progetto della Firenze-Bologna«non era fatto bene all’inizio» ha aggiunto: «Non credo che siamo alla fine del percorso. Siamo al 55 per cento del lavoro. Otto anni fa si è cominciato: ci sarà altrettanto da lavorare». Secondo l’ex presidente del Consiglio dei lavori pubblici i lavori dunque finiranno nel 2011. Dovevano finire nel 2003.
Terzo valico. Il terzo valico dei Giovi è una parte della Milano-Genova (138 km) pari a 54 km di cui 46 in galleria a doppio foro. Secondo affermazioni mai smentite di Necci stesso (Sole 24 Ore 15.5.1991) la Mi-Ge, nonostante un iniziale progetto lacunoso e privo di attendibilità, è stata una carta di scambio per avere il via libera sulla Tav. Il progetto non ha copertura economica (servono 4.339.000.000 euro) ma intanto è già costato 415 miliardi di lire in progetti e fori pilota. Dopo la bocciatura dei primi tre progetti, nel settembre 2003 ha avuto il via libera del Cipe e dell’Ue, è rientrato nel Piano Generale dei Trasporti (marzo 2001) e nel Contratto di Programma di Rete Ferroviaria Italiana, ma i Comuni interessati non ne vogliono nemmeno sentir parlare e l’opera manca della Valutazione ambientale strategica obbligatoria per la normativa europea ed italiana. Nel 1998 i carabinieri su denuncia del Wwf hanno chiuso i cantieri e il terzo valico è finito in Procura a Milano. L’ipotesi di reato era truffa aggravata ai danni dello Stato per 100 miliardi di lire. Secondo l’accusa erano stati eseguiti dei falsi fori pilota in località Fraconalto e Voltaggio che in realtà erano gallerie di servizio, e il tutto senza alcun progetto. Inoltre i lavori eseguiti in base al finanziamento suppletivo di 100 miliardi di lire del 16 giugno del 1995 risulterebbero gonfiati del 100 per cento. I 100 miliardi erano stati stanziati dal governo Berlusconi I su pressione dell’allora sottosegretario Grillo che però nega l’addebito. Sono stati rinviati a giudizio il senatore di Forza Italia Luigi Grillo, presidente della Commissione lavori pubblici del Senato, Ettore Incalza (V.) e gli imprenditori Marcellino Gavio e Bruno Binasco. Il terzo valico lo dovrebbe costruire il Consorzio Co.civ il cui 94,5 per cento è della Impregilo di Pier Giorgio Romiti.

Tpl. Società di ingegneria da cui è iniziata la carriera di Necci. La Tpl secondo i giudici perugini era il crocevia dei traffici illeciti di denaro tra Necci e Pacini Battaglia. Secondo l’ex presidente Snam Raffaele Santoro, Necci la protesse e finanziò come fosse cosa sua. Nel 1991 la Tpl-Av stipulò un contratto che prevedeva le stesse prestazioni affidate a Italferr per la Tav: un incarico doppione del tutto inutile. Da Necci la Tpl-Av ha avuto un contratto da 60 miliardi per studi sull’Alta Velocità e solo per le attività di consulenza la Tpl-Av ricevette anticipazioni finanziarie ampiamente superiori al suo fatturato stesso: al 31.12.1996 erano ben sei miliardi di lire. Secondo i Ros, il manager Tpl Mario Delli Colli ha riciclato 3 miliardi di lire su ordine di Necci. Il suo presidente Mario Maddalonì, che ha patteggiato un anno e sei mesi per i fondi neri Eni, esercitò enormi pressioni per l’assunzione dell’ing. Savini Nicci, attuale amministratore delegato Tav.

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