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Esiste solamente una montagna di denaro senza fine sulla quale gettarsi con voracità assas
by Camillo COPPOLA Friday, Dec. 09, 2005 at 10:34 AM mail: camillo.coppola@tin.it

Esiste solamente una montagna di denaro senza fine sulla quale gettarsi con voracità assassina ed una montagna di roccia da sventrare al più presto per garantire la sopravvivenza del bengodi.

Esiste solamente una montagna di denaro senza fine sulla quale gettarsi con
voracità assassina ed una montagna di roccia da sventrare al più presto per
garantire la sopravvivenza del bengodi.

Girato da Camillo COPPOLA,militante SLAI COBAS di Pomigliano d'Arco(Napoli),
uno della tenda dei licenziati della ex fabbrica accumulatori EXIDE
Casalnuovo di Napoli.

da: http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=1112
----- Original Message -----
From: SocialPress <info@socialpress.it>
To: <camillo.coppola@tin.it>
Sent: Thursday, December 08, 2005 8:31 PM
Subject: Articolo inviato a camillo.coppola@tin.it tramite
Socialpress.it:Incubo Tav

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Marco Cedolin

La storia che voglio raccontarvi parla di grandi capitali e di piccoli
uomini, di treni che correranno vuoti a 300 km/h dentro a gallerie scavate
nell'uranio, di società private costituite con il denaro pubblico, piramidi
di Cheope fatte di smarino e grattacieli di fibre d'amianto, di cittadini
che difendono i propri diritti additati come canaglie e di canaglie senza
scrupoli che si fingevano persone attente all'ambiente e ai diritti dei
propri cittadini, di sindaci bastonati dalla polizia in una Valle decisa a
resistere all'ennesimo stupro del proprio territorio, di come un grande
investimento non produrrà altro che impoverimento, di quando le parole
degli esperti vengono trasformate in sussurri ed il biascicare incompetente
dei politici assurge a realtà incontrovertibile.

La storia inizia il 7 agosto 1991 con la nascita di Tav spa, la società a
capitale misto pubblico e privato deputata a costruire in Italia quasi 900
km di linee ferroviarie per i treni ad alta velocità. In realtà dopo il
disastroso risultato economico del tunnel sotto la Manica non si riscontrava
assolutamente traccia di privati disposti a rischiare il proprio capitale
nella costruzione di grandi infrastrutture e quello di presentare Tav spa
come una società a capitale misto era un mero artificio volto a far si che
l'Italia potesse rispettare i parametri di Maastricht che imponevano il
rapporto deficit-pil al 3%. Lo Stato garantì il finanziamento del 40% in
conto capitale, mentre finanziò il restante 60% (quello di appannaggio dei
privati) attraverso prestiti bancari, accollandosi gli interessi degli
stessi fino al completamento dell'opera. Il 10 marzo 1998 le Ferrovie di
Stato che detenevano la maggioranza del capitale pubblico acquisirono il
100% di Tav spa e dal primo gennaio del 2003, ormai nell'ambito della "legge
obiettivo" Tav spa è entrata nell'orbita di Infrastrutture spa, il cui
azionista unico è la Cassa Depositi e Prestiti. Tutto questo gioco di
scatole cinesi, nato una quindicina di anni fa dalla fervida fantasia
dell'allora ministro del Bilancio Cirino Pomicino e perfezionato poi dal
governo Berlusconi sotto il nome di "project financing" ha come unico scopo
quello di permettere allo Stato di contrarre enormi debiti, senza però
doverli iscrivere nel proprio Bilancio, evitando così che essi incidano nei
parametri del Patto Europeo di stabilità. I privati esistono veramente ma
rivestono il ruolo di General Contractor grazie al perfezionamento di
un'altra "intuizione" del buon Cirino Pomicino. Fiat IRI ed ENI (i General
Contractor) sono concessionari con l'esclusione della gestione, hanno cioè
tutti i poteri del committente pubblico nella gestione dei subappalti, nella
direzione dei lavori, negli espropri, ma non hanno poi la gestione diretta
dell'opera, (caso unico in Europa) per cui il loro solo interesse, essendo
disancorati dalla successiva gestione, sarà quello di fare durare i lavori
il più a lungo possibile al fine di fare levitare al massimo la spesa.
Inoltre il General Contractor a differenza del concessionario tradizionale
di lavori o servizi pubblici potrà affidare i lavori a chi vuole anche con
trattativa privata ed essendo un privato non sarà mai perseguibile per
corruzione, in quanto eventuali tangenti potranno essere giustificate sotto
forma di "provvigioni". Un'architettura senza dubbio ingegnosa attraverso la
quale si trasferisce tutto il rischio d'impresa dal privato allo Stato che
alla fine dei lavori sarà però costretto a restituire i prestiti delle
banche, aprendo così una voragine senza fondo nella quale precipiterà
giocoforza la nostra già fragile economia. La conseguenza di tutto ciò è che
il progetto dell'Alta Velocità, presentato nel 1991 con un costo previsto di
26.180 miliardi di lire, rischierà invece di costare, una volta terminato in
un lontano futuro, circa 80 miliardi di euro e gli italiani ne pagheranno i
debiti fino al 2040 ad un ritmo di 2 miliardi e 300 milioni di euro l'anno.

Ci sarebbero molte altre cose da raccontare concernenti questi 14 anni nei
quali il progetto Alta Velocità ha preso forma e mosso i suoi primi passi,
anni nei quali la zona del Mugello è stata devastata dalle gallerie con
conseguenze idrogeologiche irreversibili, anni nei quali personaggi legati a
doppio filo alla politica e all'imprenditoria come Necci Lorenzo, Pacini
Battaglia, Icalza Ercole e molti altri si sono spartiti tangenti
miliardarie, sono stati indagati, hanno corrotto giudici, vinto e perso
processi, il tutto continuando a mantenere sempre posizioni preminenti
all'interno delle istituzioni. Anni di grossi guadagni per chi come
l'attuale ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi, attraverso la
Roksoil azienda di famiglia si è aggiudicato un numero infinito di opere e
consulenze o chi come Romano Prodi fondò la Nomisma, società bolognese
indagata nel 1992 nell'ambito di una consulenza miliardaria sull'Alta
Velocità, le cui conclusioni a fronte di un'analisi quanto mai approfondita
e retribuita si manifestavano nell'enunciato che "la velocità fa risparmiare
tempo". Anni nei quali 13.779 lavoratori impegnati nel progetto Tav hanno
lavorato a ciclo continuo con turni che potevano impegnarli anche per 48 ore
di seguito, in gallerie dove l'aria era inquinata, la luce poca ed i rischi
molti, come molti sono stati fra loro gli operai deceduti in incidenti sul
lavoro. Basti pensare che nei soli primi 6 mesi di lavori sulla tratta
Torino - Novara si sono annoverati 350 infortuni dei quali 2 mortali.
Ma la storia che voglio raccontarvi è una storia ad Alta Velocità, dove non
esiste tempo per soffermarsi a riflettere, valutare i giudizi degli esperti,
confrontarsi con le istituzioni locali. Esiste solamente una montagna di
denaro senza fine sulla quale gettarsi con voracità assassina ed una
montagna di roccia da sventrare al più presto per garantire la sopravvivenza
del bengodi. Il progetto per la costruzione della Linea ferroviaria Alta
Velocità - Alta Capacità Torino - Lione si è evidenziato fin da subito come
il più scellerato ed economicamente dispendioso dell'intero programma Tav e
la nostra storia vuole entrare nel merito delle motivazioni che hanno spinto
decine di migliaia di persone ad osteggiarlo con veemenza fin dalla sua
nascita.
L'intenzione dei progettisti è quella di costruire un tracciato che
partendo da Settimo Torinese (periferia nord est di Torino) attraversi buona
parte della Valle di Susa per poi sbucare in Francia attraverso un tunnel di
52 km sotto il massiccio dell'Ambin. Tale tracciato accreditato come parte
integrante di un fantomatico "Corridoio 5 Lisbona - Kiev" viene definito
indispensabile ed irrinunciabile dalla maggior parte degli uomini politici
di ogni razza e colore, nonché dalla Confindustria e da tutti i poteri forti
che attendono di spartirsi le enormi somme di denaro garantite dall'opera
per almeno i prossimi 15 anni. Le ragioni addotte per suffragare la
necessità assoluta del progetto si sono sempre limitate a demagogiche
affermazioni secondo le quali la Torino - Lione sarebbe indispensabile al
rilancio del Piemonte che senza di essa resterebbe isolato dall'Europa,
oppure a proclami privi di fondamento secondo i quali l'opera risulta
indispensabile per l'innovazione del sistema dei trasporti italiano e
garantirà un enorme ritorno sia dal punto di vista economico che da quello
occupazionale. E' stata anche ventilata, in realtà senza troppa convinzione,
la necessità di garantire attraverso l'opera la gestione del supposto futuro
incremento dei flussi passeggeri e commerciali, nonché ipotizzato un futuro
trasferimento alla rotaia del traffico su gomma tramite le navette in grado
di trasportare i Tir, con conseguenze positive in termini d'inquinamento
ambientale.
Quando le commissioni tecniche, scientifiche e gli esperti hanno iniziato
nel corso degli anni ad analizzare il progetto nelle sue varie sfaccettature
è però emersa una realtà in profonda distonia con le roboanti dichiarazioni
della folta schiera di politici, pennivendoli e mestieranti vari che si sono
prodigati e si prodigano nel tentativo di dare alla Torino - Lione una
patente di "opera necessaria" che non ha assolutamente ragione di esistere.
Quella di un Piemonte isolato dal resto d'Europa è un'affermazione talmente
assurda da meritare di albergare solo nella fantasia di una mente malata.
Lungo la sola la Valle di Susa passano infatti attualmente circa il 35%
delle merci che valicano le Alpi, troppe veramente per una regione in stato
d'isolamento. La Valle di Susa è una valle alpina larga in media solamente
1,5 km con abbondanza d'insediamenti abitativi ed industriali. Attraverso di
essa già oggi passano un'autostrada, due strade statali, una linea
ferroviaria passeggeri e merci a doppio binario, un fiume, molteplici strade
provinciali, acquedotti, condutture del gas, linee elettriche aeree ed
interrate. Dovrebbe essere evidente per chiunque come una realtà naturale
già così fortemente violentata non sia assolutamente in grado di sostenere
il peso di nuove pesanti infrastrutture, se non al prezzo di conseguenze
disastrose sia per il territorio che per la qualità di vita di coloro che lo
abitano. La costruzione della Torino - Lione comporterà nella sola parte
italiana l'estrazione dalle gallerie di 16 milioni di metri cubi di smarino
(almeno 6 volte il volume della piramide di Cheope) per i quali occorreranno
2.500.000 passaggi di camion solo per stoccare nelle varie discariche i
materiali di risulta. I recenti studi d'ingegneria dei trasporti affermano
che quando tra una quindicina di anni l'opera sarà terminata solo l'1%
dell'attuale traffico su gomma si trasferirà sulla ferrovia. La
contropartita di questo deludente risultato sarà
pagata in maniera salatissima dai cittadini della Valle e della cintura di
Torino, in quanto si calcola che durante questi 15 anni almeno 500 camion
circoleranno giorno e notte per il trasporto dei materiali di scavo dai
tunnel ai luoghi di stoccaggio, con il conseguente aumento d'inquinanti,
polveri e rumore. Oltre ai grossi rischi di natura idrogeologica
focalizzati nella bassa valle, ad elevato rischio alluvionale, le cui
conseguenze potrebbero ripercuotersi in maniera drammatica anche sulla città
di Torino, gli studi hanno messo in evidenza due punti di estrema criticità
del progetto Alta Velocità - Alta Capacità Torino - Lione.
Il primo riguarda la galleria di 23 km Musinè/Gravio che dovrebbe
attraversare un terreno caratterizzato da rocce ricche di amianto. Secondo
le analisi commissionate dalla Rete Ferroviaria Italiana ai geologi
dell'Università di Siena il volume previsto di materiale estratto contenente
amianto dovrebbe essere di almeno 1.150.000 metri cubi. Non risulta sia
stato previsto alcun piano di sicurezza volto ad impedire la dispersione
delle fibre d'amianto durante le fasi di lavorazione e di stoccaggio. La
metà del materiale estratto contenente amianto (paragonabile per volume ad
un grattacielo alto 400 metri) è previsto sia stoccata in un sito a cielo
aperto nei pressi del comune di Almese, senza nessuna protezione e
giocoforza esposto ai forti venti di fhon che spesso soffiano nella valle
(mediamente per 40 giorni all'anno) in direzione Torino. In un dossier
curato dal dottor Edoardo Gays, oncologo dell'ospedale San Luigi di
Orbassano viene sottolineato come l'amianto, riguardo al quale non esiste
per l'uomo una soglia minima di tollerabilità, causa oltre ad altre
affezioni il mesotelioma pleurico, un tumore maligno che si manifesta anche
dopo 15, 20 anni dall'inalazione delle particelle, esso porta al decesso in
media entro 9 mesi dal momento della diagnosi ed ha un tasso di mortalità
nell'ordine del 100%. Sempre il dottor Gays nel suo studio esprime grossa
preoccupazione per le conseguenze degli scavi e dello stoccaggio dei
materiali contenenti amianto sulla salute dei cittadini ed afferma che alla
luce di queste condizioni le morti per mesotelioma rischieranno di aumentare
di oltre 100 volte su scala regionale.

Il secondo punto critico è costituito dal tunnel di 52 km che dovrà correre
sotto il massiccio dell'Ambin, preceduto da una galleria di prospezione
lunga oltre 7 km e del diametro di 6 metri. All'interno del massiccio
dell'Ambin sono infatti presenti numerosi giacimenti di uranio, come
documentato dal CNR fin dal 1965. Per maggior precisione il materiale
presente è pechblenda, una forma particolarmente radioattiva. Una parte
dello smarino estratto sarà perciò con tutta probabilità carica di
radioattività ed estremamente pericolosa sia in fase di scavo che di
stoccaggio. L'uranio si disperde nell'aria e può essere inalato, inoltre
contamina le falde acquifere e va ad inquinare i corsi d'acqua che possono
essere utilizzati per l'irrigazione. L'uranio se inalato o ingerito provoca
contaminazione interna e può essere causa di linfomi e leucemie. Occorre
anche sottolineare che la distribuzione delle falde acquifere all'interno
del massiccio dell'Ambin è estremamente complessa e le conseguenze degli
scavi rischiano di compromettere gravemente il sistema idrografico
dell'area, come già avvenuto nel corso degli scavi delle gallerie per la
linea Alta Velocità Firenze - Bologna nella zona del Mugello.
Se alla luce delle analisi fin qui esposte il progetto della linea
ferroviaria Alta Velocità - Alta Capacità Torino - Lione si dimostra in
maniera incontrovertibile un'opera altamente pericolosa per la salute e
l'incolumità dei cittadini, non solo della Valle di Susa ma anche della
cintura torinese e del capoluogo stesso, anche gli studi inerenti
all'utilità ed al ritorno economico del tracciato mostrano imbarazzanti
incongruenze nel merito delle quali non si può evitare di entrare. I
traffici di lunga distanza sull'asse Lisbona - Kiev, che motiverebbero il
concetto di "Corridoio 5" sono ad oggi irrilevanti. Il traffico passeggeri
di lunga distanza si muove e si muoverà in aereo, poiché risulta ampiamente
dimostrato come le ferrovie ad Alta Velocità non siano assolutamente
competitive nelle distanze superiori ai 500 km. I traffici merci di lunga
distanza sono estremamente esigui, la velocità non è un requisito
fondamentale (basta osservare il successo delle ferrovie statunitensi con
velocità commerciali nell'ordine dei 30 km/h.) anzi contribuisce ad
aumentare i costi a dismisura, favorendo sull'asse in oggetto l'alternativa
marittima.
L'attuale linea ferroviaria Torino - Modane è oggi utilizzata solamente al
38% della sua capacità. Le navette predisposte per il caricamento dei Tir
sono state usate solo durante il breve periodo di chiusura del Frejus,
altrimenti partono ogni giorno vuote. Gli unici due treni giornalieri del
collegamento ferroviario diretto Torino - Lione sono stati soppressi per
mancanza di passeggeri. Una scarsità di traffico davvero disarmante per una
direttrice così importante da giustificare l'investimento di 21 miliardi di
euro (la metà dei quali di competenza italiana) al fine di dotarla di una
linea ad Alta Velocità.
Negli anni passati, quando ancora la pesante crisi economica europea non si
era manifestata in tutta la sua interezza, il governo aveva affidato ad una
società molto quotata, la Setec Economie il compito di valutare i benefici
dell'opera. Tale società aveva analizzato i volumi tendenziali di traffico
per gli anni a venire, stimando con un ottimismo che alla luce della
contrazione odierna del mercato non può che far sorridere, un volume di
traffico che avrebbe dovuto attestarsi nel 2015 intorno ai 174 treni/giorno.
La linea esistente, una volta effettuati gli interventi di potenziamento
previsti, molti dei quali già in corso dovrebbe consentire già nel 2008 una
capacità di circa 220 treni/giorno, un valore ampiamente compatibile con
qualsiasi ottimistica previsione.
Alla luce di questi dati si stenta veramente a comprendere, se non
nell'ottica della spartizione mafiosa dei finanziamenti pubblici, per quale
arcana ragione anziché perseguire lo sfruttamento della linea attuale
ottimizzandone le potenzialità, s'intenda invece portare a termine un
progetto totalmente inutile come quello della linea ferroviaria Alta
Velocità - Alta Capacità Torino - Lione, finalizzata ad una capacità di
trasporto superiore di oltre 5 volte agli attuali livelli di traffico,
oltretutto alla luce del fatto che detti livelli anziché in crescita
esponenziale come si prevedeva nel passato sono scesi del 9% solamente
nell'ultimo anno. Appare inoltre lapalissiano come il costo esorbitante di
un'opera di queste dimensioni, stimato in circa 11 miliardi di euro per la
sola competenza italiana e passibile (come l'esperienza ci insegna) di
ulteriori notevoli incrementi durante i 15 anni di lavori, non potrà
assolutamente essere ammortizzato attraverso i ricavi derivanti da un
traffico composto da elementi di sola fantasia. Tale costo ricadrà per forza
di cose sulle spalle di tutta la collettività con effetti a dir poco
disastrosi.
La storia che ho voluto raccontarvi si è ormai trasformata in pura cronaca
di attualità, una cronaca che vede riproporsi la biblica lotta di Davide
contro Golia.
Da un lato i cittadini della Valle di Susa e tutti gli abitanti dell'area
torinese che hanno avuto la sensibilità e la capacità di riuscire a
comprendere i termini del problema pur attraverso la disinformazione messa
in atto dai grandi media asserviti alle ragioni della politica. Insieme a
loro i sindaci dei comuni della Valle, alcuni studiosi, medici ed esperti
che si manifestano quali spiriti liberi non aggiogati al carro dei potenti,
nonché esigue frange della politica appartenenti ai Verdi ed a Rifondazione
Comunista.
Dall'altro le arroganti falangi del potere, i ministri del governo insieme
agli onorevoli dell'opposizione, fino ad arrivare al Presidente della
Regione Piemonte Mercedes Bresso (donna che per l'occasione è giunta al
punto di abiurare ogni parola esperita in tanti anni di militanza
ambientalista) ed al sindaco di Torino Sergio Chiamparino. Tutti uniti,
coesi, forti di quella protervia che deriva loro dalla consapevolezza di
poter gestire l'opinione pubblica attraverso le televisioni, i giornali e
gli esperti compiacenti, convinti di potere reprimere ogni forma di protesta
con la furia belluina della polizia e la militarizzazione del territorio.
Il primo scontro si è già svolto il 31 ottobre, quando il potere ha usato i
manganelli della polizia per bastonare i tanti, tantissimi cittadini, nonché
alcuni sindaci che si erano inerpicati sulla montagna sopra Monpantero nel
tentativo d'impedire la conquista del primo lembo della loro terra, sul
quale sarebbe stata installata la prima trivella a sancire di fatto l'inizio
dell'opera. Il lembo di terra è stato conquistato solo con l'ausilio
dell'inganno, in maniera probabilmente illegale ed è ora presidiato dalla
polizia. Le trivelle non hanno ancora potuto mettersi in moto ma la
Presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso ed il sindaco di Torino
Sergio Chiamparino si sono già espressi con durezza, affermando che la
ferrovia Alta Velocità - Alta Capacità Torino - Lione si farà in ogni caso,
poiché si tratta di un progetto irrinunciabile e nessun tipo di protesta
riuscirà ad impedirne la realizzazione. In risposta al rifiuto di ogni
dialogo che non passi attraverso l'uso dei manganelli da parte delle
istituzioni, il 16 novembre tutta la Valle di Susa si è fermata, unita in
uno sciopero generale contro l'ennesima violenza perpetrata nei confronti
del territorio e dei suoi abitanti. Almeno 80.000 persone di tutte le età e
di tutti i ceti sociali hanno ribadito pacificamente ma con estrema fermezza
il proprio no alle trivellazioni e alla militarizzazione della loro terra.
La storia ovviamente non finisce qui e come tutte le storie potrà riservare
infinite sorprese anche a coloro che si sentono onnipotenti quando tengono
in mano il bastone del potere. I contestatori NO TAV della Valle di Susa
potrebbero un giorno di questi apparire al resto d'Italia nella loro veste
reale, non uno sparuto gruppo di estremisti ecologisti, no global, luddisti,
nemici del progresso, bensì semplicemente tanti cittadini coraggiosi
disposti a mettersi in gioco e lottare per difendere i loro diritti, la
propria salute e la propria terra. Quel giorno potrebbero diventare
tantissimi e poi ancora di più, così tanti da uscire dall'invisibilità nella
quale si è cercato per lungo tempo di nasconderli, troppi perché i
poliziotti possano bastonarli tutti, ed allora forse inizierà una storia
diversa che parlerà di treni costruiti per essere utili alla qualità di vita
dell'uomo e non di uomini sacrificati nel nome dei treni e della velocità.

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