Guardate come hanno ridotto mio figlio: che c’entra la droga?»
Sto da schifo... mi è costato tantissimo mettere quella foto sul blog... guardarla mi provoca un dolore incredibile. Ma è nulla in confronto al dolore che deve aver provato Federico nei suoi ultimi momenti di vita. Quella foto parla da sola». Non dev’essere facile parlare per Patrizia Moretti nel giorno in cui la perizia che spiega la morte di suo figlio è finalmente stata depositata in procura. Ma quelle carte, una trentina di pagine attesa da cinque mesi, sono state rifiutate ai legali di parte civile dalla pm che s’è praticamente blindata in procura dopo aver messo alla porta anche la stampa. Fabio Anselmo e Riccardo Venturi, avvocati della famiglia Aldrovandi, dovranno attendere l’avviso di avvenuto deposito per poter fare una copia della relazione dei periti. Così, a Ferrara, inizia lo stillicidio di anticipazioni che dovrebbe terminare oggi quando Mariaemanuela Guerra, la magistrata che segue il caso, renderà pubbliche le sue conclusioni. Il bivio è tra la richiesta di archiviazione o l’emissione di alcuni avvisi di garanzia. Che la procura parli proprio oggi lo dice Stefano Malaguti, medico all’istituto di medicina legale del capoluogo estense e consulente tecnico del pm, uno dei sei periti che hanno esaminato i dati del diciottenne morto a Ferrara all’alba del 25 settembre scorso durante un misterioso e violentissimo controllo di polizia. Il mattinale della questura suggerì ai giornali locali la tesi del malore fatale dovuto a una presunta overdose. A smentire quasi subito giunse la perizia tossicologica che trovò solo lievi tracce di oppiacei e chetamina insufficienti a spiegare non solo la morte ma anche i comportamenti violenti contro sé e contro gli agenti delle due volanti che intervennero poco prima delle sei del mattino nel parchetto di fronte all’ippodromo cittadino. Malaguti - che si limita ad assicurare che le trenta pagine forniscono una «conclusione univoca» - conferma le «profonde e concrete divergenze», tra i periti del pm e quelli della famiglia, le stesse a cui vuole accennare il procuratore capo, Severino Messina, che solo 24 ore prima aveva convocato i cronisti locali per assicurare che la procura sarebbe andata fino in fondo su questa vicenda. La parola-chiave dell’autopsia sembra «sovradosaggio», che sarebbe la traduzione italiana di overdose. In pratica, si lascia intendere che sarebbe stata l’eroina a stressare il corpo del ragazzo, con una depressione respiratoria che avrebbe influito sull’arresto cardiaco che constatarono ambulanzieri e medici del 118 accorsi sul posto. In questo modo risulterebbe alquanto temperata la conclusione dei periti della famiglia Aldrovandi per i quali Federico non sarebbe stato ucciso dalle botte e nemmeno dalla droga. Piuttosto dal trattamento complessivo subito quel mattino dagli agenti delle due volanti che, dopo averlo pestato, lo avrebbero immobilizzato con la forza fino a metterlo in condizione di non respirare. i Enfatizzare il ruolo della droga - avverte l’avvocato Fabio Venturi - non esclude i comportamenti umani successivi». La foto, quella che «parla da sola», è comparsa ieri pomeriggio sul blog che Patrizia Moretti ha voluto aprire cento giorni dopo la morte del figlio. «Rientrava a casa a piedi. Disarmato, incensurato, solo. Non stava commettendo nessun reato. Non aveva mai fatto del male a nessuno nella sua vita», ripeteva, ieri, il cliccatissimo diario elettronico che ha dato una scossa alle indagini. «Mostrare quelle foto era una cosa che avrei evitato se non fossi stata messa alle strette - continua al telefono con Liberazione - ma ora mi sembra un elemento che serve a capire la situazione... tutti gli atti dovrebbero essere pubblici». Nella foto sembra evidente il segno di una manganellata, probabilmente inferta con lo sfollagente impugnato al contrario. Uno dei due attrezzi riportati a pezzi in centrale, rotti «in prossimità dell’impugnatura», come hanno dichiarato Pisanu e Giovanardi rispondendo alle interrogazioni parlamentari sulla vicenda. Gli stessi rapporti delle due volanti, intervenute in Via Ippodromo, ammettono il contatto, quantomento “brusco” con il ragazzo esperto di karate. Ma i quattro agenti non hanno mai spiegato perchè non hanno resi pubblici da subito i referti degli effetti della colluttazione su di loro. Il personale del 118 si sentirà riferire che Federico si sarebbe accasciato a terra dopo essere stato ammanettato. Il questore dichiarerà che gli infermieri avrebbero chiesto di non togliergli i ferri dai polsi. Ma tutti gli ambulanzieri diranno di aver trovato «inanimato» il diciottenne già morto all’arrivo dell’auto medicalizzata. Senza che nessuno abbia pensato di mettere mano al defibrillatore che doveva essere a bordo di una delle vetture del 113. Che “Aldro” avesse bisogno di aiuto lo hanno ripetuto i testimoni raccontando i rantoli e la disperazione di un ragazzino che, in seguito, sarebbe stato dipinto dalla questura più o meno come un energumeno tossico. Delle evidenti ferite sul corpo si cercherà di dar conto descrivendo la scena di un forsennato che sarebbe saltato su una volante ricadendo a cavallo dello sportello (da cui lo schiacciamento dello scroto) e ricaduto di schiena sul cofano e poi a terra. Sopra di lui, già ammanettato, mentre gridava aiuto, ci sarebbe stato un poliziotto che lo teneva fermo con un ginocchio puntato sulla schiena e, tirandolo per i capelli, gli teneva alzato il capo con un manganello sotto la gola. Su questo punto le relazioni degli agenti ai loro capi sarebbero contraddittorie. Una delle volanti avrebbe detto che i quattro agenti sarebbero tutti finiti a terra, durante la colluttazione, nel tentativo di ammanettare Federico. L’altra sosterrebbe, invece, che uno solo dei quattro poliziotti era chino sulla vittima. Testimoni diretti e indiretti hanno ricordato frasi precise e l’accento veneto di una poliziotta, unica donna su quelle volanti. Voci di poliziotti increduli che quel moretto, senza documenti, e con le sopracciglia folte, fosse davvero italiano. Voci, subito dopo, concitate e incredule che quel ragazzino avesse smesso di respirare. Nel giro successivo di raccolta delle testimonianze tra i residenti di Via Ippodromo, più di qualcuno ricorda il fare «arrogante» di chi indossava la divisa. Sta di fatto che un possibile testimone-chiave lascerà in fretta e furia la città dopo i fatti e altri aggiusteranno più volte il loro racconto o accetteranno di apparire in tv con la voce e il volto camuffati. Ferrara è una città divisa tra chi ha paura - «Non avete visto come hanno ridotto quel ragazzo?!» - tra chi è indifferente - «Tanto era un tossico...» - e chi continua a chiedere verità e giustizia sul blog e nella piazza centrale tra il comune e la Cattedrale, ogni sabato. Il prossimo saranno cinque mesi esatti dal “controllo” di polizia. Dalla questura si tenterà di accreditare la tesi che, se due carabinieri (uno dei quali restato ucciso in uno scontro a fuoco) hanno commesso l’errore fatale di arrestare un evaso senza perquisirlo, è stato per la «tensione provocata dal caso Aldrovandi». In città ci si chiede perché mai le indagini siano state affidate proprio alla polizia, quando addirittura un capo della polizia giudiziaria sarebbe sentimentalmente legato all’unica donna a bordo di quelle volanti. Eppure la Corte europea per i diritti dell’uomo da molti anni ha stabilito il principio secondo il quale in caso di implicazione di appartenenti alle forze dell’ordine, le indagini devono essere affidate a corpi che siano indipendenti da quelli che coinvolti nei fatti. http://www.liberazione.it/notizia.asp?id=3866
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