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Domande con risposta?
by Domingo Aniello Tuesday, Feb. 14, 2006 at 6:13 PM mail:

Saggio breve sulla moltitudine sommersa dell'arte scartata di produzione.

Domande con risposta...
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Quesiti sistemici e parziali risposte incomplete.....





Il problema dell'arte è solo un problema distribuitivo?

La distribuzione è uno dei noccioli del problema arte oggi, poli galleristici a parte distribuire arte senza delegare qualcuno per farlo costituisce uno dei problemi del fare artistico contemporaneo.

L'arte la si può godere soltanto all' interno di canali e di circuiti preposti?

A parlare con gli addetti ai lavori sembrerebbe di sì, ricordo una discussione questa estate a Piazza Bellini a Napoli con Gigione l'incanutito precoce, per lui l'arte ha bisogno di concentrazione ed è follia proporre di goderla direttamente nello studio d'artista. Mancherebbe la giusta concentrazione, logicamente dissentivo con forza ed il risultato è stato che mi ha dato del tonto su Ex Art, insomma a sentire gli addetti ai lavori l'arte è una questione di contesto più che di testo.


Quando parliamo di arte e società di che cosa parliamo in concreto? Su che cosa ragioniamo?

Ragioniamo sulla possibilità di fare con l'arte qualcosa di socialmente utile e non solo becere e tristi speculazioni mercantili.


Quanto l'arte contemporanea è pronta per essere socialmente condivisa?

Non all'interno di questo sistema che appare strutturato in una maniera tale da allontanare il potenziale fruitore dall'arte.

Ci rendiamo conto fino in fondo su quello che osserviamo o giudichiamo il contesto espositivo perché qualcuno sostiene che l'arte ha bisogno di concentrazione?(sarà poi vero?)
Cosa ci lascia dopo aver visto un’opera d’arte?

In realtà quello che dovrebbe rimanere è la comunicazione pura, il rapporto opera fruitore può avvenire in maniera indipendente dal contesto, l'importante è che il fruitore trovi il giusto canale di comunicazione con l'opera.


L'arte contemporanea oggi è solo un gioco di speculazione dei potenti?

Quantomeno quella proposta dagli addetti ai lavori sì, non esiste arte senza progetto e non esiste progetto economico culturale senza arte, questo relega logicamente il fare artistico e la comunicazione artistica in secondo piano rispetto alle speculazioni finanziarie.
Pensate ad esmpio a quante banche (la Deutsche Bank su tutte) stiano investendo in collezioni d'arte contemporanea.

Se si accetta solo la visione di come noi siamo, è un non senso per la nostra crescita?
Che funzione dovrebbe avere oggi l’arte figurativa?

L'uomo dovrebbe tendere culturalmente ad un miglioramento permanente, da questo punto di vista distinguere oggi tra arte concettuale e pittura e tra pittura astratta e pittura figurativa è un finto problema.
La pittura oggi è un ipermedia in grado di contenere diversi messaggi, è un cross over stilistico dove niente esclude niente altro.
La pittura può essere nel contempo figurativa e concettuale, una cosa non esclude l'altra a meno che non si rincorrano etichette logo di mercato.

Ci vengono proposte caterve d’immagini di ogni fattispecie, la maggior parte provocatorie, è solo decadimento in confronto al passato?

Assolutamente no, una estetica decadente dell'arte ha attraversato la storia di tutte le arti, il vero problema è che all'interno del tempo presente è sempre questine molto problematica distinguere ciò che è arte da ciò che non lo è, talvolta lo è anche per esperti e navigati addetti ai lavori. Ricordate a tale proposito la beffa Tirana da parte del finto Oliviero Toscani a Giancarlo Politi-co (http://www.geocities.com/tiranax).

Secondo me Arte è tutto questo, ma è anche di più un grosso calderone dove si muovono presenze occulte e visioni positive, una supericie moltitudinaria visibile ed un sommerso multidinario invisibile.
Tutti e due i livelli sono specchio corrotto e corruttibile della società , specchio introspettivo o riflessivo di un modo pensare, di un potere che è sia provinciale locale che transcontinentale globale e patinato.

La politica e la conseguente politica culturale artistica è il riflesso di un popolo?
I governi sono il risultato di una civiltà?

Ragionando sulla situazione italiana possiamo dire assolutamente di sì, Catenella Catellan e Van Lara Crooft non sono forse l'espressione più alta (o più bassa) della comunicazione forza italiota fatta arte? L'adeguamento dell'arte italiana al nuovo ordine globale dell'arte passa oramai per questi due capostipiti ed i loro epigoni dell'ultima generazione artistica galeristica come Piero Gola Profonda (legittimo erede naturale della risata grossa e grassa alla Catenella Catellan).

Il potere che esercita chi ha le redini dell’arte è la conseguenza dei nostri gusti e della politica?

Se non lo sono , abbiamo delegato noi, sia pure indirettamente come nella politica, il potere di esercitare il “gusto” nelle masse o è solo un gioco d’elite tra potenti e quindi non va a scalfire la cultura di una nazione?

Senza delega non c'è mandato rappresentativo, questo c'è lo insegnano le recenti e vittoriose lotte dei metalmeccanici, purtroppo l'arte e gli artisti rincorrendo la nefasta idea del genio artistico rinascimentale perseverata ad arte da riviste specializzate come Flash Art, poco umilmente si rifiuta d'accettare i loro insegnamenti.

Paradossalmente però lo studio scientifico e contestuale del Rinascimento dimostra la necessità culturale per un’artista di essere svincolato da qualsiasi sorta di annichilimento o di violazione del proprio estro, libertà assoluta di ricerca, sempre che lo si giudichi un ricercatore, un professionista, un sapiente scienziato delle arti.
Questa libertà non è assolutamente concessa da chi invece dovrebbe garantirla; sembra non esistere arte senza critico o curatore in grado d'interpretarla, non esiste arte che non venga presentata come selezione di pensieri, questo è il potere prevaricatore del sistema arte (eppure l'idea dell'opera d'arte come codice aperto ed ambiguo di Eco non è neanche così lontana o poco conosciuta, per il sistema arte specialistico però è semplicemente cancellata).

Hanno fatto per noi utenti e produttori d'arte una buona selezione?

Da quello che leggo e che si vede in giro credo proprio di no.

Quanti, ma quanti “artisti validi” sono sommersi da questo circuito?
E noi dobbiamo sorbirci il rimanente surrogato visibile di superficie che ci propinano come se fosse l'unico esistente? monco di miriadi di artisti esclusi, di un'enorme fetta di arte del nostro tempo destinata aprioristicamente al macero? Ed in base a quali criteri? Quelli di Flash Art e le sue top 100 ad opera di galleristi e curatori? Sarebbero i nipotini di Don Benito Ulivo e Luciano Amanda i custodi sopra le parti del segreto templare dell'arte contemporanea?
E' cultura questa? O non è piuttosto una cultura parziale arroccata sulla riproducibilità sistemica e nepotico baronale culturale?
Possibile che gli utenti di tale sistema (artisti scartati di produzione compresi) non si rendano conto di come sia dettata dall’intolleranza di un pensiero mercantilistico unico del mercato globale privatizzato e transnazionale?
Sappiamo benissimo che oggi il mercato è soprattutto marketing, creazione di bisogni e offerta di modelli identificativi, prima ancora che semplice vendita di prodotti.

A chi serve il marketing artistico?

Che funzione ha tutto questo?

E’ tanto scandaloso proporre valori?

Oggi parrebbe di sì, tanto che, in mezzo a tante finte e strombazzate trasgressioni, questo sembra essere un tabù tanto imbarazzante che nessuno osa proporlo.
Il contenuto di un manufatto appare un finto problema o un problema superato, ragion per cui sfilate di gran figone alla Laura Bee Crooft sono indiscutibilmente opere artististiche.

Estetismo puro e senza discussioni di sorta, possibile che il fare ed il pensare artistico oggi si sia ridotto ad un deterioramento così puro?

Eppure l’arte è come la vita, e da sempre è stata vista ed esperita non soltanto come bellezza ma come portatrice di sani valori intrinseci, insomma l'arte da sempre è anche naturale tensione verso un mondo diverso e migliore possibile, anche socialmente.

Il fruitore, l'amante dell'arte, vede oscuramente che ciò che i critici hanno decretato essere arte intuendo come ciò non possieda più alcun valore intrinseco.
Tutto il valore dell'arte contemporanea sembra essere nel contesto istituzionale, patinato e delicato che fa da contorno e dalle strstegie di marketing speculativo alla base.
Il fruitore d'arte contemporanea non capisce ma non può pronunciarsi, sembrerebbe stolto ed ignorante dovesse dichiarare: i giocattoloni in ceramica di Koons mi fanno cagare sangue!(non solo metaforicamente purtroppo).
L'osservatore avverte che le cose innalzate sul piedistallo dell'Arte ufficiale sono spesso complicate masturbazioni mentali volte a giustificare l'ingiustificabile (un poco come Berlusconi quando giustifica il suo operato)o banali trovatine spiegate ancor più complicatamente da letterati intellettuali in "critichese puro"(in genere pagati direttamente o indirettamente dagli stessi artisti), l'imbarazzo e la soggezione ispirata dal contesto impedisce al fruitore di pronunciarsi per non passare (ingiustamente)per sciocco o per provinciale.

La demolizione sistematica di ogni valore intrinseco all'opera d'arte, l'impossibilità di stabilirne l'oggettiva validità ha favorito, tra l'altro, la crescita, ai margini del sistema dell'arte, di una vasta palude che è un fitto e popolato sottobosco in cui si agitano vari faccendieri, sedicenti galleristi o critici, affittacamere perennemente a caccia in mezzo alla fitta selva di artisti ancora sconosciuti, sommersi o semisommersi, offrendo loro a pagamento la costruzione, tassello dopo tassello, di curriculum e bibliografie critiche.
In questa grande fiera delle offerte a pagamento il povero artista può comprare di tutto, purchè paghi:
La mostra più o meno "prestigiosa", personale o collettiva.
Il concorso.
La pubblicazione su cataloghi vari (con varie tariffe a seconda dello spazio occupato) dove può figurare accanto a maestri storicizzati come Campigli o Morandi.
La recensione ed il testo critico.
Si assiste così a un paradosso unico: per prostituirsi bisogna anche pagare.

Per concorsi, collettive, personali vengono richiesti esosi contributi, roba da far accapponare la pelle.

L’artista dovrebbe essere già ricco di suo (come Klimt, Toulouse Lautrec o per fare esenti contemporanei Scotto Scottex, Ivano il lumacone punkgriffatoabbestia, o a Sergej fermacapelli con la sua Villa studio a San Martino al Vomero di Napoli ) e dopo tanto spendere sperare che qualche facoltoso allocco acquisti.
Perché l’allocco ha bisogno della critica prezzolata e parassita, diseducato com'è nella grammatica di comprensione di un oggetto artistico, incapace di notare un qualsiasi valore che non sia "aggiunto" dall'esterno.
Serve vedere ed ostentare un lungo curriculum di mostre e riconoscimenti.
Non si compra se non vede una "quotazione" ufficiale ed un bollino di garanzia.
Mi viene in mente a tale proposito la truffa Schifano, gente che ha comprato degli Schifano direttamente da Schifano oggi paradossalmente si trova dei falsi d'autore in casa eseguiti direttamente dall'artista, altrimenti come fare lievitare la sua quotazione? Ragion per cui la fondazione Schifano nega l'autentica a veri Schifano.

Tanti e troppi poveri artisti (pensate ad Art diary, l'elenco telefonico trash del sistema dell'arte), spinti dalla vanità e da speranze illusorie spendono i loro risparmi a vantaggio di abili speculatori, costruendo così dei curriculum che nessun addetto ai lavori un poco scaltrito prenderà mai in considerazione.
La partecipazione a questo tipo di rassegne a pagamento attira come mosche sulla marmellata esclusivamente altri faccendieri con altre offerte a pagamento.
Incredibile constatare quanta gente riesca a campare disonestamente sulle illusioni di tanti artisti o presunti, questo porta ad affermare senza ombra di dubbio che l'attuale sistema dell'arte fondi tutto sulla frustrazione della moltitudine degli scarti di produzione artistica.
Purtroppo sono gli stessi scarti di produzione artistica che fanno prosperare questo tipo di parassiti.

L’arte figurativa è succube delle stesse contraddizioni che subisce la letteratura.
Un editore importante preferisce pubblicare racconti di cavolate che sono successe ad un ignorantone vip, piuttosto che un capolavoro di uno sconosciuto, insomma mica c'è molta distanza tra Melissa P. e Barney.
Poiché c’è più sicurezza di vendita sulle cavolate di un vip costruito a tavolino e su di un video performer che si muove su budget holliwodiani che l’incertezza dello sconosciuto che ha dato l’anima ed il corpo per un manoscritto o per la sua ricerca artistica.
Occorre una presa di coscienza capace di boicottare le stupidate consumistiche, se vogliamo che qualcosa si muova.
Una consapevolezza critica capace di smascherare e neutralizzare il sottile veleno iniettato dall'assioma per cui la qualità è uguale al successo, per cui tutto ciò che ha successo è automaticamente di qualità eccelsa.
Pensate al successo al botteghino di Boldi, De Sica o Lino Banfi, è garanzia di qualità cinematografica? Su Catenella Catellan e Laura Bee Crooft però si è tutti d'accordo....
Assioma venduto tautologicamente da il Politi-co di Flash Art: la qualità dà il successo.
Ma se la qualità è stabilita dal successo (e di fatto non è dato altro criterio, in questo sistema) non può mai essere posta a fondamento del successo stesso (a meno che non siate in grado risolvere il celebre dilemma se è nato prima l'uovo o la gallina).

Dovremmo smetterla di comprare la famosa rivista d’arte che chiede 1500€ e anche di più, per essere pubblicati, in cui ogni articolo redazionale è anch'esso pubblicità (occulta?), pagata direttamente o indirettamente, e che snobba chi persegue una seria ricerca artistica seria, la Top 100 a cura di curatori e galleristi famosi e rampanti è emblematica da tale punto di vista.
Non dobbiamo ritenere che sia impossibile ridare equità alla dimensione umana dell'arte, oggi il fare artistico è sempre più doopato (e non solo metaforicamente).
Eppure tutti gli artisti farebbero qualsiasi cosa pur di esporre in una delle gallerie private "transnazionali" che occultano gli artisti locali che resistono all'omologazione, e vedersi affibbiare a tavolino una quotazione che, in cuor loro sanno perfettamente di non possedere, nè meritare. Questo fa sentire finalmente "arrivati", anche se il prezzo da pagare è la completa alienazione dal proprio stesso lavoro di artista. Tutto il valore viene aggiunto dall'esterno, e il lavoro dell'artista in sè viene considerato zero.
La dimostrazione e che in sè oggi nessuno è capace di scommettere una cicca usata sulla qualità di un artista, l'unica garanzia è data dalla rete di connessioni sistemiche che si è in grado di muovere.

Maggiore pluralismo


Quando dico potere prevaricatore ed arrogante, intendo che ci dovrebbe essere più pluralismo e tolleranza per le molteplici diversificazioni espressivo artistiche e capire o almeno tentare di farlo, i vari messaggi che giungono da più strati sociali.
Sovente la nostra "cultura" si adagia in una nicchia di mediocre borghesia imprenditrice, l’Italia sembra che abbia radicato una gretta mentalità borghese e provincialotta, appare estremamente difficile entrare nei canali dello strapotere della cultura sistemica ufficiale.

In poche parole quello che viviamo come cultura è una sub-cultura dettata dalle furbizie di menti imprenditoriali di provincia che sono anche lo specchio del vivere quotidiano.

Imprenditori di provincia che sono praticamente i signorotti governatori locali (ma in una rete sistemica transnazionale) di uno stato periferia neanche troppo importante dell'Impero privatizzato dell'arte.

Eppure per questa "cultura" vengono anche stanziati ancora consistenti fondi pubblici, provate a sfogliare Flash Art o Tema Celeste, quante sono le mostre finanziate da enti pubblici presenti nelle prime cinquanta pagine pubblicitarie?
Tutto questo persevera nonostante i tagli delle varie finanziarie, fondi targati UE grazie ai quali tirano a campare non poche gallerie private in cambio di una gestione culturale territoriale che tra l'altro assicura una certa visibilità alle loro scuderie.
Una su tutte, i galleristi partenopei che reclamano studi pubblici per i loro artisti d'allevamento.
Il ruolo dell'istituzione pubblica nel campo culturale è ormai votato quasi interamente al supporto delle strategie di marketing di realtà private nella speranza che possano decollare e trainare tutta la debole economia locale (e nazionale), provate a farvi quattro conti, chi è che in Italia compra arte contemporanea con quello che costa? Sapete cosa mi rispose in uno scambio epistolare Piero Gola Profonda il legittimo erede di Catenello Catellan? Il migliore acquirente dell'arte contemporanea in Italia è Silvio.
I criteri di affidamento a queste realtà private della gestione della cultura spesso sembrano soggiacere ad un'antica logica clientelare e le conseguenze si fanno sentire amaramente specialmente nei territori più periferici (per esempio al sud).

E allora assistiamo all'imposizione culturale di modelli artistici alieni alle realtà territoriali senza che ci sia mai neppure il tentativo di aiutare il pubblico a comprendere il linguaggio dell'arte, il contesto vitale da cui sono scaturite le varie forme stilistiche e i contenuti che esse veicolano.
Il concettuale e la pittura di concetti è sempre difficile capirlo, proprio per la sua natura e lo scarso comprendonio della medio-piccola borghesia, eppure viene ammannito in dosi massicce fin nei paeselli più sperduti dello Stivale senza preoccuparsi minimamente del tipo di approccio che le varie popolazioni possono o non possono avere con questo tipo di arte.
L'importante è che anche il paesello possa sentirsi parte della grande cultura globalizzata, anche se certe operazioni puzzano di colonialismo culturale perfino a Milano (e lo abbiamo visto coi famosi pupazzi impiccati di Cattenello Catellan, l'artista che il Pulito trash amorevolemte fa rientrare all'interno di una operazione di mercato devastante quanto uno tsunami).
Nessuno sforzo viene invece compiuto per fornire un mimino di strumenti che aiutino le persone ad allargare i loro orizzonti in campo artistico, in modo da offrire l'opportunità di condividere anche espressioni meno "facili".
Spesso i concettuali (pittori e non) giocano sulla loro pelle e sulla propria vita il vivere l’arte e hanno contribuito a cambiare il modo di pensare in parecchie parti del mondo (anche se mi preme ricordare comunque che Duchamp ha oramai un secolo) e comunque anche l'artista concettuale, quando viene supportato dal mercato globale viene imposto senza filtri a un contesto culturale che a malapena è arrivato ad apprezzare l'Impressionismo.

Mercato equo possibile?

Mi chiedo: tutti dovrebbero avere dei canali ufficiali attraverso cui avere visibilità e l'opportunità di farsi conoscere e apprezzare?

Credo di si, ma questo non significa automaticamente avere anche una quotazione di mercato ma contribuirebbe a diffondere ed incrementare un altro mercato possibile dell'arte non meno legittimo di quello imposto dai colossi bancari e le multinazionali dell'arte contemporanea.

Il processo mentale che è alla base dell'intendere l'arte è l'avallare, il denunciarsi e denunciare, la leggerezza dell'essere, in ultima analisi la poesia della vita, la sua bellezza e la sua tragedia.
Ritengo che l'arte debba essere una narrazione completa di se stessa, mai come un risultato scontato, mai puerile, mai scevra da letture discordanti ed anche essenza dell'essere."Tutto è utile,tutto è inutile".
Per questo non vorrei che possa essere proprio la parte più interessante ed autentica dell'arte che oggi viene prodotta a correre il rischio di non essere conosciuta e neppure tramandata ai posteri.
L'attuale sistema dell'arte mi sembra favorire pericolosamente proprio questo rischio.
Parafrasando Pessoa lasciatemi affermare che l'arte e l'artista deve essere necessariamente libero per cantare i diritti della libertà.


redazione wiki+ P.A.AFF. Posse Precaria Artisti AFFamati
15-4-2006 ORE 17 Binario 16. Napoli Centrale.

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Titolo Autore Data
considerazioni bene Tuesday, Feb. 14, 2006 at 9:42 PM
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