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Per non dimenticare Pinelli
by Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa Tuesday, Mar. 21, 2006 at 8:41 AM mail:

Per non dimenticare Pinelli

La notte del 18 marzo, il comune di Milano, con un blitz notturno, si è impossessato della lapide in memoria di Giuseppe Pinelli per sostituirla con un'altra.
Nella lapide del comune non compare l'espressione "Giuseppe Pinelli, ucciso innocente".
La verità non piace al potere.
Appuntamento per giovedì 23 marzo alle 18:00 in Piazza Fontana per installare una lapide identica a quella sottratta accanto a quella menzognera e falsa del comune.
Interverrà Pasquale Valitutti, l'ultimo compagno anarchico a vedere vivo Pinelli.

Quello che segue è una piccola parte del dossier 12 dicembre che potrete trovare sul sito del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa.

http://www.pontedellaghisolfa.org
http://www.ecn.org/ponte


Articolo tratto dal quotidiano "La Notte" DEL 16 DICEMBRE 1969

CLAMOROSO COLPO DI SCENA NELLE INDAGINI SUI TERRORISTI

UN ANARCHICO si è ucciso e altri due sono a S. Vittore



Il morto è Giuseppe Pinelli di 41 anni: abitava a Milano in via Preneste 2, era sposato con due figlie - Lavorava come ferroviere allo scalo di Porta Garibaldi - Fermato dopo la strage aveva fornito un alibi risultato falso - Al momento decisivo dell'interrogatorio si è buttato da una finestra al 4° piano nel cortile della Questura Centrale: erano le 23.50 - Un'ora dopo è spirato all'ospedale - Gli altri due fermati sono pure anarchici.

Un anarchico, fermato per accertamenti sulla strage di Piazza Fontana, si è ucciso questa notte nella sede della centrale di Polizia di via Fatebenefratelli. Altri due anarchici si trovano ancora a S. Vittore e sono al centro delle indagini. Questa la sensazionale svolta che nelle ultime ore ha impresso un nuovo ritmo alle operazioni di ricerca dei responsabili dell'eccidio della Banca Nazionale dell'Agricoltura.

Il suicida è un ferroviere milanese, Giuseppe Pinelli, di 41 anni. E' morto alle 1.40 di stanotte. Al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli dove lo avevano portato pochi minuti dopo il drammatico volo dal quarto piano della Questura, il medici lo hanno sottoposto al massaggio cardiaco per oltre un'ora. Il cuore aveva ripreso a battere con una certa frequenza, e c'era ancora una speranza che potesse salvarsi.

Le ferite riportate nella caduta dalla finestra del quarto piano con tuffo di venti metri erano così gravi che il trapasso dell'anarchico sarebbe stato comunque questione di ore.

La notizia del luttuoso episodio avvenuto in Questura è stata oggetto di una conferenza stampa che il dottor Guida (direttore del confino di Ventotene durante il regime fascista, carceriere di molti antifascisti tra cui Pertini, N.d.R.) ha tenuto verso le 2.30 affiancato dal dottor Allegra capo dell'ufficio politico, dal dottor Calabresi che durante la notte stava interrogando il Pinelli assieme al tenente dei carabinieri Lo Grano, a due sottufficiali della polizia e a uno dei carabinieri.

Giuseppe Pinelli, sposato con Licia Rognini, una donna intelligente e volitiva, che aiutava il bilancio familiare eseguendo lavori di copiatura a casa, aveva due figlie, due belle bambine di 9 e 8 anni e abitava in via Preneste 2, oltre San Siro. Faceva il frenatore allo scalo delle ferrovie della stazione Garibaldi. Era stato fermato venerdì sera, cinque ore dopo il terrificante e barbaro attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana 4. L'ufficio politico lo teneva sotto controllo da diversi mesi, da quando, cioè, si erano verificati gli attentati alla Fiera Campionaria, alla stazione Centrale e in numerose altre città d'Italia.

Alto un po' più della media, robusto, il volto incorniciato da una barbetta romantica, Giuseppe Pinelli era noto negli ambienti della Questura. Quando scoppiava qualche ordigno, la pratica "Giuseppe Pinelli anarchico individuale"(sic!) saltava subito sul tavolo del funzionario. E gli agenti andavano a prenderlo. Così è stato anche venerdì verso le venti. I poliziotti a caso non lo avevano trovato, ma sapevano dove rintracciarlo.

Al circolo anarchico della Ghisolfa. Era seduto al tavolo con alcuni compagni. (in realtà Pinelli venne fermato vicino la sede anarchica di via Scaldasole; questo particolare, ed altri, fanno pensare che, probabilmente il "cronista" ha confezionato l'articolo sotto dettatura , N.d.R.).

Non si era mostrato sorpreso e aveva seguito gli agenti tranquillamente. Nel passato, a suo carico, non erano state trovate prove inconfutabili che avesse fatto parte delle squadre attive terroristiche (quali squadre?, N.d.R.). Rispondeva agli interrogatori con calma, pacatezza e a volte sarcasticamente.

In questi tre giorni di permanenza in camera di sicurezza (il fermo di Pinelli era illegale: non solo non c'era una sola prova contro di lui, ma non avrebbe potuto durare più di due giorni la permanenza in questura, N.d.R.) Giuseppe Pinelli non aveva mostrato particolari titubanze. Ha detto il questore dottor Guida: " Su di lui avevamo dei sospetti che, in seguito, si erano fatti più pesanti perché il suo alibi era saltato (falso!, N.d.R.). Il Pinelli aveva detto che venerdì 12 dicembre aveva lavorato fino alle 8 del mattino. Riposatosi fino alle 14.30 si sarebbe poi recato in un bar dove sarebbe rimasto fino alle 17.30 .

Ma le sue dichiarazioni erano state smentite dal barista il quale ci aveva affermato che il Pinelli era sì stato nel locale verso le 14.30, ma si era fermato un minuto o poco più, giusto il tempo di bere un caffè. Ma non è stata solo questa contestazione a farlo crollare. Era fortemente indiziato non solo per venerdì, ma anche per una serie di attentati compiuti sui treni in Italia nel mese di agosto. Il gesto di Pinelli certo a noi non fa piacere.

L'anarchico era stato condotto nell'ufficio del dottor Calabresi verso le 22 e dentro ad aspettarlo, c'era anche il tenente dei carabinieri Lo Grano con un sottufficiale dell'arma e due della polizia.

Più che un serrato fuoco di fila di domande il Pinelli veniva sottoposto a normali contestazioni che tendevano a chiarire importantissimi particolari. Sono sono probabilmente state queste precise domande (quali?, N.d.R.) a far scattare nella mente del Pinelli l'idea del suicidio quale unica possibilità "liberatrice" da una situazione che stava aggravandosi e che poteva inchiodarlo con le spalle al muro con pesantissime responsabilità. "Sei stato tu, confessalo". "Tu conosci gente di questo gruppo X dillo e falla finita ormai sappiamo molte cose". Domande che, legate a quattordici vittime e a 90 feriti avranno senz'altro indotto Giuseppe Pinelli a ritenere che la polizia avesse tra le mani prove e indizi che potevano annientarlo.

Ma, come ha detto il dottor Calabresi, con Pinelli si stava più discutendo che effettuando un massacrante interrogatorio. Lo si voleva lasciare con pause volute di silenzio e di tempo libero affinché pensasse. Una battaglia psicologica, condotta sul filo del tempo, preparata con sottigliezza dalle domande degli inquirenti. Ed è stato verso le 23.50 che il dottor Calabresi e il tenente Lo Grano si sono allontanati dall'ufficio per mettere al corrente del loro lavoro il dottor Allegra, capo dell'ufficio politico. Nella stanza rimanevano Giuseppe Pinelli e i tre sottufficiali. Un' atmosfera tesa, ma, se così si può dire, paradossalmente tranquilla.

Un sottufficiale offriva a Giuseppe Pinelli una sigaretta che l'anarchico accettava e accendeva con mano sicura. Da molte ore quegli uomini fumavano in quella stanza. La finestra veniva socchiusa per consentire un lento ricambio dell'aria troppo viziata e anche surriscaldata. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte. Un sottufficiale si metteva accanto alla porta, gli latri si sgranchivano le gambe. Il gesto di Pinelli è stato fulmineo e coglieva tutti di sorpresa, impedendogli qualsiasi tentativo di bloccarlo.

Alzatosi di scatto l'anarchico raggiungeva con un balzo felino la finestra, la spalancava e si gettava a capofitto. Il corpo finiva su una pianta (chi non condivide la "tesi" del suicidio sostiene che Pinelli sia stato ucciso nella stanza dell'interrogatorio per poi gettare il corpo dalla finestra per simulare il suicidio dell'anarchico, ebbene il "cronista" della "Notte", involontariamente, avvalora la tesi dell'assassinio, infatti, per tutto l'articolo egli parla dell'anarchico chiamandolo con nome e cognome, ma quando si tratta di descrivere il volo dalla finestra usa il termine il corpo come se Pinelli fosse già morto quando esce dalla finestra della questura; che si tratti di un lapsus freudiano?, N.d.R.) proprio sotto la finestra, rimbalzava e cadeva più morbidamente sulla terra mossa di un'aiuola.

Immediatamente soccorso (l'ambulanza è stata chiamata prima dell'ora della caduta, N.d.R.) e condotto con una lettiga al pronto soccorso del Fatebenefratelli, Giuseppe Pinelli vi arrivava cadavere. Con un massaggio al cuore i medici lo rianimavano per quasi mezz'ora. Ma è stato un miracolo tecnico inutile. Giuseppe Pinelli ha portato nella tomba il "perché" del suo folle gesto. Gli inquirenti non hanno avuto la sua confessione. Pesanti indizi, forse anche qualche prova molto indicativa e determinante. Ma le più schiaccianti contestazioni non gli erano state fatte. Si è ucciso sotto il peso di una colpa che non gli concedeva tregua? Si è gettato nel vuoto per disperazione o rimorso? Certo che "pulito" probabilmente non lo era...

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Una finestra sulla storia
by indy_info Friday, Mar. 24, 2006 at 1:38 AM mail:

Il 1968 e il 1969 sono anni dove la contestazione operaia e studentesca sembra portare a grandi cambiamenti.Tra il gennaio e il dicembre 1969 vengono compiuti 145 attentati quasi tutti di matrice fascista.

Il 25 aprile 1969 gli anarchici sono accusati e poi assolti di vari attentati alla fiera di Milano. Un anarchico di nome Braschi viene invitato durante un interrogatorio dal commissario Calabresi a buttarsi dalla finestra.

Il 12 dicembre 1969 a Milano nella sede della banca nazionale dell'agricoltura in piazza Fontana alle 16,37 scoppia una bomba che causa la morte di 16 persone e il ferimento di altre 88.Nella stessa ora a Roma scoppiano altre bombe. Infine nella banca Commerciale di Milano viene trovata una borsa contenente una bomba che in tutta fretta, viene fatta esplodere eliminando una prova preziosa per le indagini.Immediatamente, a dimostrazione di un disegno già preordinato le indagini senza alcun indizio seguono la pista anarchica. Il commissario Luigi Calabresi già alle 19,30 ( 3 ore dopo la strage) ferma alcuni anarchici davanti al circolo di via Scaldasole.

Nella notte del 12/12/1969 sono illegalmente fermate circa 84 persone quasi tutte anarchiche, tra cui Giuseppe Pinelli. Il lunedi 15/12 viene arrestato con l'accusa di starge Pietro Valpreda, anarchico. Dopo più di tre anni di galera, innocente sarà completamente assolto. I giornali partono con una campagna stampa di calunnia e denigrazioni sposando le tesi della questura.

La sera del 15 dopo 3 giorni di continui interrogatori muore, volando dalla questura del 4° piano della questura, Giuseppe Pinelli. Aldo Palumbo, cronista dell'Unità, mentre cammina sul piazzale della questura sente un tonfo poi altri 2 ed è un corpo che cade dall'alto, che batte sul primo cornicione del muro, rimbalza su quello sottostante e infine si schianta al suoloper metà sul selciato del cortile per metà sulla terra soffice dell'aiuola.

Nella stanza dell'interrogatorio sono presenti il commissario Luigi Calabresi, i brigadieri Panessa, Mucilli, Mainardi, Caracutta e il tenente dei carabinieri Lograno che saranno tutti per 'meriti' elevati di grado. Il questore Marcello Guida, nel 1942 uomo di fiducia di Mussolini e direttore del confino politico di Ventotene, già 20 minuti dopo, dichiara che il Pinelli si è suicidato e che il suicidio è una ammisione di colpevolezza perché "l'alibi era crollato".

Nel primo mese vengono fornite 3 versioni contrastanti di come sarebbe venuto il suicidio. Gli anarchici accusano subito la polizia di assassinio e i fascisti e lo stato di essere gli autori delle stargi. Parte una campagna di controinformazione con assemblee, cortei, libri,fino ad arrivare ad un processo allo stato.

Si scopre che a mezzanotte meno due secondi (2 minuti e 2 secondi prima della caduta di Pinelli) venne chiamata l'autoambulanza. La stanza dell'interrogatorio larga m.3,56x4,40 e contenenti vari armadi e scrivania ela presenza di 6 persone rende impossibile uno scatto di Pinelli verso la finestra. La stranezza che la finestar fosse aperta trattandosi di dicembre e di notte. Pinelli cade scivolando lungo i cornicioni. Non si è dato quindi nessuno slancio. Egli cade senza un grido e senza portare le mani a protezione della testa, come se fosse già inanimato.

Nononstante questo il 3 maggio 1970 il caso per lo stato è chiuso: il procuratore Gaizzi archivia la morte di Pinelli come "Morte accidentale". Nel giugno 1971 nel processo contro Calabresi accusato dal giornale 'Lotta continua' di essere responsabile di omicidio viene riesumata la salma di Pinelli. Sul collo viene riscontrata una ecchimosi di cm 6x3 presumibilmente provocata da un colpo di karaté (metodo usato dalla polizia) sicuramente precedente alla caduta.Vengono fatte prove con un manichino che escludono completamente il suicidio.

Nell'ottobre 1975 il processo si conclude senza né suicidio né omicidio ma con l'allucinante verdetto di malore attivo. Il Pinelli secondo la giustizia si sarebbe sentito male e avvicinatosi alla finestar con attorno 6 persone sarebbe inavvertitamente scivolato. Cosa impossibile perchè il baricentro della sua altezza(1,67 m) era inferiore all'altezza della ringhiera (97 cm).In pochi credono a quella sentenza il 16-12-77 con un corteo i democratici e dli antifascisti milanesi portano per ricordare Pinelli una lapide in piazza Fontana dove si trova tuttora

Dopo 20anni, il 16 maggio 89 a Modena gli anarchici si ritrovano in piazza con una rappresentazione teatrale per non dimenticare. Per aver distribuito durante la manifestazione un volantino che ricorda l'assassinio di Pinelli 2 anarchici vengono denunciati per oltraggio all'onore del corpo della polizia di stato.

L'articolo che segue è tratto da A-Rivista anarchica

L'ANARCHICO DEFENESTRATO

Dall'infanzia nel popolare quartiere Ticinese alla partecipazione quale giovanissima staffetta alla Resistenza. L'impegno nel movimento anarchico, il lavoro nelle ferrovie, la costruzione di una famiglia, l'entusiasmo nella propaganda anarchica e nella solidarietà con le vittime della repressione.

Avrebbe 60 anni: era nato nel popolare quartiere di Porta Ticinese nel 1928. Sarebbe nonno: una delle sue adorate figlie è già mamma,anche l'altra è già sposata. Ma la storia, si sa, non si può mai scrivere al condizionale. Tanto meno con i "se".
Eppure io ho l'intima convinzione -indimostrabile, certo- che se fosse ancora qui, sarebbe ancora "nel giro". Sarebbe ancora attivo nel nostro movimento: a fare che cosa, non importa. Diciannove anni sono tanti, e in questi 19 anni quanta gente -che pure è stata attiva ed entusiasta, o almeno lo pareva- è scomparsa alla fine nel nulla, si è svaccata, sistemata, allontanata. Quante cose sono successe, quante speranze sono appassite, quante facce sono comparse e scomparse in questi 19 anni!
Ma chi ha conosciuto Pino difficilmente potrebbe immaginarselo diverso da quello che era negli ultimi anni della sua vita - in quegli anni '60 che, ancor prima del '68, avevano visto una progressiva crescita del movimento anarchico a Milano. Niente di travolgente, d'accordo. Eppure, affianco dei compagni vecchi e di mezza età -molti dei quali passati attraverso l'esperienza della Resistenza e poi ritrovatisi intorno al giornale Il libertario ed al suo redattore Mario Mantovani -si era affacciata una manciata di giovani, con i quali Pino- di almeno un decennio più vecchio di loro aveva subito legato.
Lui che, finite le elementari, aveva dovuto andare a lavorare, prima come garzone, poi come magazziniere, aveva però colmato le lacune della mancata istruzione scolastica con la lettura di centinaia e centinaia di libri, ammirevole esempio di autodidatta. E poi, nel '44/'45, men che diciottenne, aveva partecipato alla Resistenza come staffetta partigiana, in uno dei vari raggruppamenti anarchici che operarono efficacemente dentro e intorno alla metropoli lombarda. Poi la Liberazione, l'entusiasmo per la ritrovata libertà, il rapido gonfiarsi delle fila libertarie con l'afflusso di tanti giovani. Tempo qualche anno e l'euforia del dopoguerra è solo un ricordo: il riflusso dell'ondata rivoluzionaria post-bellica "sgonfia" il movimento anarchico. Pino è tra i non molti giovani a rimanere, convinto ed attivo.
Nel '54, vinto un concorso entra nelle ferrovie come manovratore. L'anno successivo si sposa con Licia Rognini, incontrata ad un corso di esparanto.

Il Circolo seconda casa

Nel '63 si unisce ai giovani anarchici della gioventù Libertaria, due anni dopo è tra i fondatori del circolo "Sacco e Vanzetti" - finalmente una sede anarchica, dopo che per un decennio i compagni erano costretti a chiedere ospitalità ai repubblicani o ad altri. Nel '68, dopo che lo sfratto costringe alla chiusura il "Sacco e Vanzetti", il 1° maggio (pochi giorni prima che scoppi il Maggio) si inaugura un nuovo circolo, in piazzale Lugano 31, a pochi metri dal Ponte della Ghisolfa.
Il clima sociale è surriscaldato e tale rimarrà anche per tutto l'anno successivo. Al Circolo si succedono cicli di conferenze, riunioni di studenti, assemblee. Vi si riuniscono alcuni dei primi comitati di base unitari, i mitici CUB che segnarono la prima ondata, in quegli anni, di sindacalismo di azione diretta,al di fuori delle organizzazioni sindacali ufficiali. Pino è tra i promotori della (ri)costruzione della sezione dell'Unione Sindacale Italiana (USI), l'organizzazione di ispirazione sindacalista-rivoluzionaria e libertaria.
Il circolo diventa per Pino la seconda casa ( a volte la prima, si lamenta Licia, che lo vede sempre meno). E' lui a promuovere l'organizzazione della biblioteca (e poi, dopo tante arrabbiature, a mettere i lucchetti agli armadi per farla finita con la scomparsa dei libri - tutti con la loro copertina nera, tutti schedati e ordinati). Alla domenica mattina, quando nel circolo si ritrovano i vecchi ( e qualcuno, lo era davvero: 90 anni, ed anche di più), Pino c'era quasi sempre: lui che era il più vecchio - con Cesare- tra i giovani, ma certamente un giovane tra quei vecchi spesso attivi prima del fascismo, prima cioè che lui fosse nato.

Ma questa volta era diverso

Negli ultimi mesi della sua vita, poi, Pino è particolarmente coinvolto dalle attività connesse con gli arresti dei vari anarchici accusati delle bombe esplose il 25 aprile '69 a Milano, alla stazione centrale ed alla fiera campionaria. Ai compagni detenuti a san Vittore (saranno poi assolti nel giugno '71), dopo aver trascorso - alcuni di loro- 26 mesi di carcere) Pinelli assicura l'invio di soldi raccolti tra compagni ed amici, fa arrivare pacchi di cibo, vestiario e libri che lui stesso porta alla portineria del carcere. Nell'ambito della appena costituita Crocenera Anarchica, si impegna nella costruzione di una rete di solidarietà e di controinformazione, che possa servire anche in altri casi simili.
Quando, verso le 7 di sera del 12 dicembre, Calabresi e gli altri dell'ufficio politico piombano nella seconda sede anarchica milanese -in fondo al secondo cortile di via Scaldasole 5, nel cuore del quartiere Ticinese- Pinelli è appena arrivato per lavorare un pò, con un altro compagno, alla sistemazione dei locali, in vista della prossima inaugurazione.Pinelli viene invitato a seguire i poliziotti in questura, anzi a precederli col motorino. c'era già stato tante volte, in via Fatebenefratelli: conosceva bene le regole del gioco, interrogatori, lusinghe e minacce. richieste di nomi, indirizzi, informazioni. Ma questa volta era diverso.
Tre giorni dopo, il corpo di Pino veniva scaraventato giù dalla finestra di una stanza dell'ufficio politico, al quarto piano della questura. Era la fine di una vita, l'inizio di una tragica farsa, tuttora in corso.

Paolo Finzi

I Funerali di Pinelli

Originariamente apparsa sul primo numero di "Linea d'ombra" ( e successivamente pubblicata nell'antologia "L'ospite ingrato"),questa testimonianza dello scrittore Franco Fortini rende l'atmosfera di quel freddo pomeriggio milanese di ventanni fa. E sottolinea motivi e riflessioni che vanno ben oltre una cerimonia funebre.

L'altra mattina ho attraversato il centro mentre da uffici e fabbriche la gente convergeva in piazza del Duomo per i funerali degli assassinati. Mi è parso di non aver mai veduto una scena simile. Tra via Manzoni e Santa Margherita i portoni versavano gruppi fitti di impiegati che uscivano e si dirigevano verso la Galleria e il Duomo. Pareva si stesse muovendo tutta la città. I negozi si chiudevano, le banche abbassavano le saracinesche. Arrivavano a migliaia gli operai della zona Nord, infagottati nelle tute che celavano panni di casa; aggrondati in viso. Il freddo era molto duro, umido. Non ho voluto restare sulla piazza. Quando ho raggiunto Largo Cairoli fra la folla che si accalcava sui marciapiedi, ho visto passare tre o quattro furgoni funebri, diretti al nodo delle autostrade.
Oggi a scuola ho tenuto la mia terza lezione sul testo di Marcuse a una quindicina di allievi. Ho cominciato alle due e venti. Avevamo finito l'orario scolastico all'una. La presidenza ci ha concesso l'aula. Sono stati gli studenti a chiedermi di parlare dell'Uomo a una dimensione. Quella loro quasi incredibile volontà di impadronirsi del linguaggio di un filosofo della scuola di Francoforte, con Hegel alle spalle. Non hanno mai ascoltata una lezione di filosofia e vengono, quasi tutti, da famiglie operaie della più tetra periferia e dell'hinterland.
Stamani avevo scritto sulla lavagna un appello : si farà un 'ora sola su Marcuse -delle due previste- perchè c'è il funerale di Pinelli. Chi vuole ci venga. Poi ho detto -ma non so se ho fatto bene- che era meglio limitare la partecipazione. Quando alle tre e quaranta quando sono uscito ho capito che nessuno dei ragazzi avrebbe potuto venire. A quell'ora dovevano avviarsi al pullman e ai treni della Nord per tornarsene alle loro case. Ci sono quelli che abitano a un'ora e mezza di viaggio.

Seri ma non tesi

Ho percorso in auto i viali verso il ponte della Ghisolfa. C'era molto traffico, è l'iltimo sabato prima di Natale. Dopo via Bodio, sulla discesa del ponte che si prolunga verso occidente con un lungo nastro sopraelevato di cemento m'è venuto addosso, accecandomi, il sole già basso, al tramonto, rosso tutto faville. Riconescevo la Milano futurista, espressionista anarchica, degli anni Dieci.
I raggi trapassavano un'aria polverosa, gelata. Foglie e carta. I piazzali convulsi, l'erba secca sulle aiuole spartitraffico. La starda era nera di folla,fra le due pareti di case popolari. Donne, gli occhi rossi e lo scialle, si affacciavano. Qua e là, fotografi appostati.
Mi sono detto: quanta gente. Ma non era vero. Neanche un migliaio di persone. Quanti debbono aver avuto paura. C'e' un mazzo di bandiere nere con la A in rosso. Due o tre bandiere rosse. Di quelli della Quarta Internazionale , credo. Molti , forse i più, erano giovani; ma molti anche gli anziani e i vecchi. Quando sono in mezzo a una folla non mi rammento di essere già, per i più, un vecchio. La bara veniva avanti da fondo della strada, su di un furgone identico a quello che giorni fa aveva portato via Umberto Segre. Poi, tra la gente che guardava dalle finestre, venivamo noi.
Cercavo con gli occhi Vittorio e Giovanni e così mi volgevo, camminando e guardando in faccia la piccola folla. Non si sentiva neanche lo scalpiccio. I visi erano seri ma non tesi. Una vecchia magra, gli occhi rossi di lacrime. Mi ha salutato. L'ho riconosciuta, stupito: è una comunista, di quelle che per vent'anni hanno fatto la Milano alto-borghese -che ci ha portato fin qui. Di altri comunisti del PCI, ne ho veduti pochissimi: vecchi i più, alcuni vecchissimi. Come mai sono qui, confusi con i marx-leninisti e gli anarchici? Sono, ora capisco, i nostagici dello stalinismo, sempre più respinti ai margini del partito. Poco dopo essere uscito sul viale -la folla si è fermata. Ho visto R., alto, già molti capelli bianchi, sua moglie, piccola e muta. Goffredo dice che domattina Enzo Paci parlerà al cinema Anteo. Il PCI non voleva dare il locale, aspettasse dopo le feste. "Dopo le feste -avrebbe risposto Paci- siamo tutti in galera."
La polizia non permetteva al corteo funebre di proseguire. Insieme a N. sono arrivato a Musocco che era ormai crepuscolo. Faceva sempre più freddo. Abbiamo camminato svelti attraverso la pianura di croci e monumenti. E' sterminata, sino all'orizzonte non vedi che cippi e croci. Al campo 76 ci sarà stato un centinaio di persone, un gruppo cupo sulla terra calpestata, sotto il cielo verde e viola. Su di un viale poco discosto, sotto grandi pioppi ignudi, una ventina di agenti in borghese guardavano i compagni del morto. Eravamo ai due lati di una trincea. Qui scavano con una benna, giudicando a occhio quante bare dovranno entrare in giornata. Quando siamo arrivati i becchini stavano calando la bara di Pinelli. Accanto alla sua ho visto calare, poco prima, un'altra cassa. Abbiamo alzato i pugni a salutarlo. Un frate ha cominciato a dire in latino un preghiera. Pregava per quell'altro e i parenti dello sconosciuto si allontanavano da quella gente strana, venuta a sovrapporsi alla loro pena. Qualcuno, con tono brusco e professionale,mise in mano a una vecchia un foglio, scandendo il numero di riferimento della bara e del campo.

Un lungo momento

Intanto sopravveniva altra gente. Guardavano verso la cassa,in fondo alla trincea. Dall'altra parte del fossato ho rivisto la testa candida di Giovanni.Scivolando sulla fanghiglia, facendomi largo tra i fotografi, anch'io sono arrivato sul ciglio della fossa. Le bandiere nere si abbassavano. Un giovane con una corta barba ha detto con voce tranquilla alcune parole: "Pinelli è stato assassinato. Addio, Pino. Non dimenticheremo né te né quelli che ti hanno ucciso".
E' stato un lungo momento. Mi sono rammentato di quando, cinque anni fa, abbiamo messo in terra Raniero Panzeri, a Torino. La voce roca ha attaccato "Addio, Lugano bella". Erano in molti a cantare ma a bassa voce e il ritmo era lento, davvero una marcia funebre. Che quelle parole potessero essere ancora attuali, faceva impressione e rabbia. Ripetizione, tradizione. Quel canto pareva somigliare a quelli di sconosciute sette, perdute dentro le capitali moderne. M'è parso, per un attimo, di essere in una di quelle città degli Stati Uniti dove sopravvivono le memorie anarchiche del secolo scorso o dell'età di Sacco e Vanzetti. L'orgoglio della miseria e più ancora, l'orgoglio della sconfitta.
Era davvero così? Guardavo i giovani che, non senza incertezza cantavano ora una "Internazionale" stonata; per un tratto, anch'io li ho accompagnati. Vent'anni fa i vecchi carrarini che, dopo il funerale di uno di loro, venivano in riva al Magra a cantare le canzoni del Gori, non erano che una curiosità. Oggi non è più così, i libertari hanno ritrovato, dopo il 1956, non solo i propri morti ma anche le ragioni. E' in quel che accade alle verità che diventano vittoriose dopo la morte, dissolvendosi. Nello squallore di questa fedeltà sento il medesimo odore di cripta che è di certe cappelle protestanti. Eppure quanto di quelle, anche nel loro gelo, non è passato nel cattolicesimo dei nostri giorni. L'anarchia ha fecondato così, senza che ce ne avvedessimo, una buona parte degli operai e degli studenti; e Bakunin si è presa la sua rivincita su Marx.

Il gelo del cimitero

Viviamo nelle paure di una identità irrigidita, di una fedeltà che retrocede a superstizione : questa può essere una delle facce del decadentismo. Le superstizioni sanno addobbare magicamente il dolore e la sconfitta. Il gelo del cimitero, la pietà dei canti stonati, delle bandiere sulla fossa ingiusta, la sera di noi gravati dal senso di un capitolo di storia che si chiude, di un triste futuro di persecuzione e di silenzi: tutto questo è stupenda scena della fedeltà, armonia della ripetizione: ma è anche inganno e conforto. Veniamo via che è buio fitto. Vittorio Sereni, Marco Forti e Giovanni Raboni camminano con me sulla ghiaia del vialetto. Ci sorpassano coppie di giovani, nelle loro vesti militaresche, il braccio di lui intorno alla spalla di lei, carichi -così immagino- di rancore e amore. Che cosa sarà di loro? Non so come ma ho la certezza che con la strage di pochi giorni fa, l'orrendo coro dei giornali e questo assassinio del Pinelli, è davvero finita un'età, cominciata ai primi del decennio. E' possibile il silenzio degli uomini dell'opinione, i difensori dello stato di diritto? Sì, è possibile. La paura è veloce. Lo dico e i vicini sono della mia stessa opinione. Chissà che cosa ci porta il domani. L'alone di luce della città è davanti a noi in fondo a viale Certosa e a Corso Sempione, oltre il Castello. Ci salutiamo, ci stringiamo le sciarpe al collo, ci separiamo, andiamo in cerca delle nostre auto sul piazzale.

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