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Riesplode la guerra in Kurdistan. Turchia nell'ombra di Kemal
by europassassina Tuesday, Apr. 04, 2006 at 10:41 AM mail:

Riesplode la guerra in Kurdistan. Turchia nell'ombra di Kemal



L'Unione europea non condanna l'assalto ai Kurdi. Lo ritiene un problema «interno turco» attinente al «terrorismo»? In Kurdistan ormai è guerra ad «alta intensità». L'esercito, vera potenza politica in Turchia, tenta un braccio di ferro, e il governo di Erdogan non lo contrasta, anzi cerca di minimizzare le operazioni militari in corso.
Riesplode la guerra in Kurdistan. Turchia nell

In Kurdistan è riesplosa la guerra. O meglio, dopo un periodo di combattimenti a bassa intensità, l'esercito è tornato con operazioni su vasta scala. La reazione della popolazione, la rivolta che ormai si è diffusa in ogni angolo e villaggio del Kurdistan forse non era prevista. Certo è che il governo di Recep Tayyip Erdogan sta facendo di tutto per minimizzare. Complici media asserviti (e non solo quelli turchi), pochissime sono le notizie che trapelano. La bomba a Istanbul, venerdì, che ha provocato un morto e una ventina di feriti è stata l'unica notizia che Ankara è stata costretta a dare, perché sotto gli occhi di tutti. In Kurdistan invece non c'è nessuno. Non ci sono corrispondenti esteri, non ci sono televisioni, non ci sono osservatori stranieri (partiti dopo il Newroz). Quindi ciò che accade in Kurdistan può essere taciuto. Ma fino a quando?

Finalmente, venerdì, al quarto giorno di rivolta popolare e dopo undici morti (tra cui quattro bambini dai tre ai nove anni) e centinaia di arresti, l'Europa ha sentito il dovere di dire qualcosa. Gli Stati uniti lo avevano fatto al secondo giorno di scontri, richiamando il premier Erdogan ed esprimendo preoccupazione (il Kurdistan turco confina pur sempre con quello iracheno). L'Europa l'ha fatto due giorni dopo, per chiedere a Erdogan di continuare sulla strada intrapresa lo scorso settembre quando, proprio a Diyarbakir aveva detto che «la questione kurda è un nostro problema e va risolto».

I pudori di Bruxelles

La Ue ha dunque chiesto di cercare di risolvere con mezzi pacifici la questione kurda. Nessuna condanna esplicita delle operazioni militari di questi giorni, né dell'uso 'facile' delle armi. L'occupazione militare di molte città non ha suscitato condanne e non ci sono state neppure parole di solidarietà per i sindaci e i militanti del Dtp, il partito fondato da Leyla Zana (che pure invece in Europa quand'era detenuta godeva di una certa simpatia).

Questo 'pudore' negli interventi Ue rimanda a una 'riservatezza' quasi uguale: negli anni della guerra anglo-irlandese l'Europa (complice un muro di gomma costruito ad hoc dalla Gran Bretagna) non si è quasi mai espressa per condannare il potente ex impero, giustificando il silenzio con la non opportunità di intromettersi in 'affari interni della Gran Bretagna'. Affari di 'terrorismo', come per i baschi e adesso, sembrerebbe, per i kurdi. Perché la tendenza sembra essere quella di accettare la linea del governo di Ankara, che sostiene di avere un 'problema di terrorismo' da gestire.

In realtà il premier Erdogan (a capo di un governo islamico moderato, come viene definito) ha tentato una forzatura sulla questione kurda, a Diyarbakir in autunno. Ma la reprimenda dei militari è stata durissima. Il potere dell'establishment militare - custode dei valori del kemalismo - rimane molto forte. Perché l'esercito in Turchia non è solo forza militare ma anche potenza economica, sociale e politica. Non è un caso che tra gli obiettivi della folla in rivolta in Kurdistan ci siano le banche di proprietà di Oyak.

Oyak, il potere dell'esercito

Oyak infatti è il braccio economico dell'esercito. Controlla, oltre alle banche, una quarantina di compagnie, nella finanza, nell'industria e nei servizi. E' partner, per esempio, della Renault. Fondata nel 1961 come fondo privato pensionistico per l'esercito, è diventata una delle più importanti potenze economiche del paese. Ha oltre 220mila soci e dà lavoro a circa 18mila persone. E' presente in Francia e Germania, con Omsan che opera nel settore dei servizi. Quanto ai profitti, basti pensare che Oyak Bank ha chiuso il 2005 con un incremento del 40% nel volume di affari rispetto al 2004, raddoppiando i profitti.

L'esercito non nasconde i suoi malumori nei confronti di un ingresso in Europa. Fondamentalmente perché teme di perdere potere. La Ue per il momento sembra più interessata a concludere affari in Turchia che ad affrontare in maniera determinata la questione dei diritti umani e della questione kurda. Così all'audizione del 23 marzo scorso con il presidente della commissione per i diritti umani turca, hanno partecipato pochissimi deputati. Eppure sul tappeto c'erano questioni importanti e il presidente in alcuni casi ha dimostrato che rispetto ad alcune questioni c'è chiusura pressochè totale. «Mi sembra di poter dire - sostiene Vittorio Agnoletto che all'audizione è intervenuto - che su Cipro e sulla sorte di Abdullah Ocalan ci sia un tabù difficile da spezzare».

Mentre su altre questioni, in particolare sugli omicidi d'onore e sui diritti delle donne, sembra esserci una disponibilità a migliorare la situazione, su Ocalan, nonostante la corte di Strasburgo abbia ordinato un nuovo processo, la commissione turca ha risposto che «Ocalan è un terrorista, killer di 30mila persone: in nessuna parte del mondo un simile terrorista sarebbe trattato bene. Non ha problemi di salute perché è costantemente monitorato e può ricevere visite dai legali e dai familiari».

Ma la Ue pensa agli affari

Chiusura sul caso Ocalan. Stessa chiusura su Cipro. E in parte anche sul Kurdistan, visto che per il deputato dei 358mila profughi interni (ma i dati parlano di 1milione e 400mila almeno, costretti a fuggire dai villaggi dati alle fiamme), 200mila sono tornati grazie a investimenti pari a 14milioni di dollari. La realtà, come la rivolta di questi giorni dimostra, è assai diversa. Ma senza una reale presa di posizione da parte dell'Europa la questione kurda rischia di rimanere 'un problema di terrorismo interno'. E questo per il popolo kurdo e per la stessa Turchia sarebbe una vera tragedia.

Il Manifesto, 2 aprile 2006.

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