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[Messico] Il riscatto di Atenco, pianificato dalla PFP ed approvato da Fox
by la jornada Wednesday, Jun. 07, 2006 at 10:10 AM mail:

Annunciatori radio e tv, parte cosciente o no della guerra psicologica per giustificare l’azione paramilitare del 4 maggio

di Carlos Fazio
La Jornada

20 maggio 2006

Il 4 maggio, il governo federale ha ordinato un operativo di guerra psicologica nel paese di San Salvador Atenco. La cosiddetta Operazione Riscatto è stata progettata e pianificata in anticipo da comandi esperti in lotta antisovversiva appartenenti alla Polizia Federale Preventiva (PFP), con appoggio di elementi del Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (Cisen) e dell’Agenzia di Sicurezza dello Stato del Messico (ASE). Data l’ampiezza dell’operativo e la congiuntura politica del paese – la fase finale di una disputa elettorale tinta da “campagna d’odio” e di una guerra sporca mediatica -, l’azione paramilitare, sotto la copertura della polizia, ha dovuto passare alla consulta del gabinetto di Sicurezza Nazionale del presidente Vicente Fox, ed essere da lui approvata.

Si è trattato di un operativo militare chirurgico, preceduto da una breve ma efficace campagna di saturazione propagandistica i cui obiettivi principali erano di recuperare il “controllo” di un paese che era nelle mani di un gruppo di dissidenti politici e sociali, di decapitare il Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (FPDT), i cui membri erano stati segnalati dai comandi dell’azione militare come “delinquenti” e “sovversivi”, e quindi assimilati al “crimine organizzato”.

L’incursione in Atenco, il 4 maggio, mediante un’azione avvolgente eseguita velocemente e con una violenza sproporzionata dalle forze speciali della PFP, appoggiate da elementi della polizia statale, si iscrive in quello che è noto come “controllo della popolazione” in gergo castrense. Questo tipo di operativo che si basa nella “dottrina Lacheroy” – chiamata così dal nome del colonello Charles Lacheroy, che l’applicò nella battaglia di Algeri dopo la sconfitta francese in Dien Bien Phu -, fa parte della guerra psicologica antisovversiva, una modalità di guerra irregolare (non convenzionale) che combina insieme lavori di spionaggio, azione civica, propaganda e controllo di masse su un territorio specifico.

I fatti del 4 maggio sono stati preceduti dal cruento scontro del 3 tra contadini scatenati ed elementi delle forze di sicurezza. In apparenza, lo scontro violento era derivato da un incidente “minore”: lo sgombero di otto fiorai da una zona municipale di Texcoco. Ma una ricapitolazione dello sviluppo degli avvenimenti nella “battaglia di Atenco”, permette di congetturare che la rivolta degli atenquenses avrebbe potuto essere “indotta”, secondo quanto raccomandano i manuali sulle “operazioni speciali” (o “psicologiche”) della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena).

Uno dei componenti di base della “guerra psicologica” è la propaganda, il cui obiettivo è di “guadagnarsi la mente ed i cuori” della popolazione. La propaganda cerca di sfruttare le “vulnerabilità” dell’essere umano (paura, insicurezza, ira, nostalgia, ansietà) e di “influire su opinioni, emozioni, atteggiamenti e comportamenti di gruppi amici, nemici e neutrali, col fine di raggiungere le mire o gli obiettivi nazionali”.

Fissati gli “obiettivi” o i “bersagli” della guerra psicologica che consistono essenzialmente nel rafforzare l’appoggio dei gruppi sociali “amici”, screditare e debilitare i “nemici” ed ottenere la simpatia dei “neutrali”, la propaganda si canalizza attraverso i mezzi di comunicazione di massa, in particolare la radio e la televisione. In questa fase, mediante la denominata psicologia della motivazione, la propaganda cerca di far reagire l’individuo in tre modi differenti: mediante l’aggressione, l’adesione o la rassegnazione e l’apatia.

Se si analizzano, passo a passo, gli avvenimenti del 3, vediamo che un evento “minore”, in un mercato di Texcoco che si poteva risolvere attraverso il dialogo ed il negoziato, è stato seguito da uno smisurato posizionamento della forza pubblica dei tre livelli di governo (municipale, statale e federale) a San Salvador Atenco, per “riaprire” il transito in una strada bloccata.

L’azione di polizia ha scatenato la furia degli atenquenses, che hanno respinto gli uniformati con pali, pietre, bombe molotov e machete. Lo “scenario” era già coperto dagli inviati delle principali catene radio e televisive che hanno trasmesso i fatti dal “vivo” ed “in diretta”. Insieme alla ritirata disordinata di federali preventivi e dei poliziotti statali, le immagini ed i commenti degli annunciatori radio e della televisione si sono centrati sul brutale pestaggio di un poliziotto inerme, a terra, da parte di un piccolo gruppo di ejidatari.

Col trascorrere delle ore, anche nel contesto della brutale rappresaglia paramilitare delle forze dell’ordine, il 4, l’immagine del “poliziotto a terra, semi-morto (che riceve) il criminale calcio nei coglioni” – come raccontava il giornalista Ciro Gómez Leyva, mettendoci una particolare enfasi come pure la sua collega Carmen Aristegui che però ha preferito utilizzare la parola ‘testicoli’ – è stato un elemento chiave per “fissare” nell’opinione pubblica l’idea che gli atenquenses erano “un piccolo gruppo violento”, “sovversivo”, composto da esseri “irrazionali” e “barbari” sui quali doveva ricadere “tutto il peso della legge”.

Come segnalano i manuali di guerra controinsurgente (simili a quelli della pubblicità commerciale), “per riuscire a persuadere, ogni azione psicologica dovrà appoggiare sul potere cumulativo grazie alla ripetizione”. Così, la ripetizione fino alla nausea dell’immagine del poliziotto “semi-morto” (come quella degli aeroplani che si schiantano contro le torri gemelle di New York l’11/09/01), ha persuaso e provocato la suggestione e/o l’eccitazione compulsiva degli annunciatori e degli editorialisti “amici” che, in maniera cosciente o incosciente, si sono uniti alla campagna di propaganda controinsurgente ed hanno lanciato appelli “spontanei” all’applicazione della “mano dura” contro i “nemici” del regime.

“La radio – dice il manuale – ha tutta la forza emotiva della parola parlata. Un esperto propagandista di radio – si allude anche a ‘voci di personalità che spontaneamente sembrano veraci quando parlano’, pensiamo per esempio al “reporter” radio Joaquín López Dóriga – può esercitare un’influenza tremenda sulle emozioni degli ascoltatori semplicemente grazie al tono, alla risonanza, all’inflessione o all’articolazione della sua voce” (la stessa cosa vale, ovviamente, per gli editorialisti dei notiziari televisivi).

Un altro elemento che ha gravitato durante gli avvenimenti – ed ha aiutato ad oliare la visione “confabulatoria” della realtà – è stato l’uso della diceria, elemento proprio della “propaganda nera”, così affine alle operazioni segrete. Come recita un manuale della Sedena, “diceria (è una) relazione la cui autenticità è dubbiosa e la cui origine non si può verificare”. Ed aggiunge: “Le dicerie causano generalmente un isterismo ed un panico demoralizzante”. Così, la diceria di “uno” o “due” poliziotti morti in Atenco, ripetuta come “notizia” (senza verifica) attraverso i mezzi di comunicazione di massa, il giorno 3, ha aiutato a generare un clima di isteria e panico nel pubblico, e per la via della manipolazione delle emozioni (cioè, dello sfruttamento dell’odio e della paura) ha preparato l’opinione pubblica alla repressione brutale del giorno dopo.

Come ha confermato uno dei comandi operativi dell’azione controinsurgente, il viceammiraglio Wilfrido Robledo, capo dell’ASE, uno degli obiettivi chiave era “recuperare il controllo del paese” che era nelle mani, ha detto, di un gruppo di “sequestratori” e di “omicidi”, vincolati alla “delinquenza organizzata”. L’ipotesi della “sovversione”, amplificata fino alla sazietà per vari giorni dai media di massa, ha avuto l’obiettivo di inquadrare le vittime della repressione nei lineamenti della Legge Federale contro la Delinquenza Organizzata, che alla lettera dice: “Si considera che si sia commesso il reato di delinquenza organizzata, quando tre o più persone decidano di organizzarsi o si organizzino per realizzare in modo permanente o reiterato reati come terrorismo, falsificazione o alterazione di moneta, ricettazione e traffico di armi, traffico di clandestini, traffico di organi, assalto, sequestro, traffico di minori e furto di veicoli”.

Ma aldilà dell’uso fazioso e manicheo di questa legge, come nuovo strumento repressivo dello Stato messicano per risolvere i conflitti sociali attraverso la via della criminalizzazione, l’operativo Atenco è stato, inoltre, un’azione di monito diretta a generare terrore e paura paralizzante nella popolazione “bersaglio” dell’azione repressiva governativa. Per questa via, si pretende di inibire o di dissuadere dalla lotta i membri del FPDT e gruppi simili nel resto del paese. Da tutto questo è chiaro il perché si sia represso con accanimento vittime inermi e che si siano utilizzati tortura e aggressione fisica e sessuale su donne ed uomini già inermi e fatti prigionieri.

Con altri elementi complementari: come l’uso del cappuccio durante gli interrogatori, le torture e le vessazioni di detenuti e detenute, la partecipazione di spie, agenti provocatori e delatori, le perquisizioni violente da parte di uniformati armati, la distruzione delle abitazioni ed il saccheggio come bottino. A tutto questo si è sommato, come si segnalava sopra, l’utilizzo dei media con compiti di propaganda, mediante l’omosintonizzazione del messaggio (gleichschaltung), la tecnica usata da Joseph Goebbels nella Germania nazista per ottenere in modo compulsivo un allineamento standardizzato della popolazione. Cioè, si sono coniugati diversi componenti propri della scuola francese, sperimentati dal colonello Massuh e dai suoi paracadutisti nella Casbah (il quartiere arabo), durante la battaglia di Algeri, che si sarebbero irradiati poi nell’America Latina durante la guerra sporca degli anni ‘70, gli anni del terrorismo di Stato e dell’Operazione Condor, così si chiama l’azione genocida dell’alleanza repressiva delle dittature del Cono Meridionale.

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