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Contro il rifinanziamento delle truppe militari italiane.
by Gianmario Tuesday, Jun. 27, 2006 at 12:05 PM mail: informa@progettocomunista.org

L'Unione si prepara a rifinanziare le missioni coloniali all'estero.

Via le truppe d’occupazione, ritiro immediato dall’Iraq e dall’Afghanistan


Il primo mese di operato del governo Prodi indica le linee generali su cui verrà articolata la sua politica economica ed estera. Qui fermiamo l’attenzione sulla politica estera, in particolare per quanto attiene la spinosa questione del rifinanziamento delle missioni militari all’estero, e con esse, della guerra dispiegata in Iraq e Afghanistan.
Nello stesso momento in cui Pier Ferdinando Casini offre pubblicamente i voti dell’Udc per il rifinanziamento delle missioni militari, il Pdci di Diliberto e Rizzo chiede a Romano Prodi di mettere la fiducia sul decreto, mentre Bertinotti assicura Prodi della fedeltà del Prc-Se e il nuovo segretario del partito Giordano chiede una mozione parlamentare di indirizzo sulla politica estera. Di passata ci chiediamo cosa avrebbe fatto un Ferrando senatore, in base alle dichiarazioni rilasciate alla stampa (Manifesto di sabato 17 giugno) probabilmente "sarebbe potuto uscire dall'aula o salvare capra e cavoli con qualche altra diavoleria parlamentare" secondo una modalità che il giornalista definisce "di scuola più dorotea che marxista-rivoluzionaria" .
Insomma, è evidente come la sinistra di governo, in cambio di vuote assicurazioni, si prepara ad ingoiare e far ingoiare ai propri militanti e iscritti l’amara cicuta della guerra. La storia si ripete.

La ridislocazione delle truppe su altri fronti (mantenendo il sostegno all'occupazione dell'Irak)
Il ritiro italiano dall'Iraq sarà completato "entro l'autunno" annuncia il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, dopo aver incontrato il 7 giugno il primo ministro iracheno Nuri al Maliki. Dieci giorni dopo, il 16 giugno, terminato l’incontro con il segretario di stato Condoleezza Rice a Washington, dichiara che rimarranno nel Paese occupato una trentina di ufficiali militari (addestratori) nell’ambito di una struttura Nato.
"L'Italia non intende abbandonare l'Iraq - ha precisato il titolare della Farnesina - semmai ha intenzione di concludere un vero e proprio accordo di cooperazione con l'Iraq e gettare le basi per rafforzare la presenza politica, economica e umanitaria", a questo scopo è stata invitata una delegazione del governo iracheno che nei prossimi mesi sarà a Roma per firmare l'intesa. L'obiettivo del governo Prodi è di salvaguardare gli interessi imperialistici dell’Italia in territorio iracheno, dai pozzi petroliferi dell’Eni alle imprese di ricostruzione, ma con modalità differenti rispetto al precedente governo Berlusconi: mediante un maggior coinvolgimento degli organismi multilaterali “Onu, Nato e Ue” precisa D’Alema. Sul territorio, come a Nassiriya, potrebbero rimanere le strutture miste militare-civile quali i Prt (Provincial reconstruction team). E’ il modello Afghanistan, dove la cooperazione e le ong accompagnano lo sfondamento militare.
Per il ridispiegamento di truppe e mezzi, dall’Iraq all’Afghanistan, tornerà utile, pur con altri tempi e modi, il modello spagnolo. Il socialista spagnolo Zapatero infatti nel momento stesso in cui portava via le truppe dall’Iraq accresceva il numero di quelli in Afghanistan. Il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer, dopo aver incontrato il 9 giugno il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, e il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, in un'intervista al Corriere della Sera ha sollecitato l'Italia a rafforzare la sua presenza in Afghanistan con più truppe, aerei (cacciabombardieri Amx) e forze speciali nell'ambito della missione Onu-Nato. Forze necessarie per l’offensiva militare (Operation Mountain Thrust) iniziata il 15 giugno, la maggiore dal 2001, nelle province meridionali e orientali di Kandahar, Helmand, Uruzgan e Zabul, dove la resistenza islamista afgana in questi mesi si è riorganizzata e rafforzata.
L'Italia è infatti impegnata in Afghanistan nell'ambito della missione Isaf-Nato con circa 1.300 militari, di cui 900 nella capitale Kabul e 400 a Herat, nella parte occidentale del Paese, dove ha la guida del Provincial reconstruction team. Entro il 30 giugno il governo Prodi porterà in parlamento il rifinanziamento delle missioni militari all’estero, tra cui la missione in Afghanistan: e la sinistra di governo (Prc-Se, Pdci, Verdi e sinistra Ds), al di là dei distinguo non farà mancare il suo sostegno.
Intanto, sempre sotto l’egida dell’Onu, Ue e Nato, il governo Prodi si dice pronto ad ulteriori “missioni umanitarie” in Africa, a cominciare dal Sudan.
Da sempre l’imperialismo ha giustificato le sue imprese militari con la pace, la giustizia, la civilizzazione, la democrazia, la libertà, ecc, queste giustificazioni non sono mancate nemmeno negli ultimi decenni di guerra, dalla Jugoslavia all’Iraq. La copertura dell’Onu, "un covo di briganti" per utilizzare la definizione di Lenin a proposito della Società delle Nazioni, è sempre avvenuta una volta ricomposti gli interessi tra le diverse nazioni imperialiste.

L’ Afghanistan
Il Paese asiatico si trova sulla strada che gli oleodotti e gasdotti, provenienti dai ricchissimi giacimenti delle ex repubbliche sovietiche del Caspio, devono percorrere per raggiungere il Mar Arabico.
L’occupazione dell’Afghanistan e dell’Iraq, il ridimensionamento dell’Iran e della Siria avrebbe permesso, se non ci fosse stata la forte resistenza irachena, agli Usa di controllare una delle regioni centrali del pianeta. Motivi di ordine geostrategico e di controllo energetico stanno alla base delle guerre di questi ultimi anni, riflesso dell’acutizzarsi della crisi economica capitalistica internazionale e con essa dei conflitti interimperialistici. In un contesto mondiale che vede da un lato la costruzione accidentata dell’Ue, il riorganizzarsi della Russia e l’emergere delle potenze di Cina e India.
Dopo l’aggressione militare e il rovesciamento del regime dei talebani con gli accordi di Bonn, in Germania, del 5 dicembre 2001 fu tracciato il futuro dell’Afghanistan. A capo del governo provvisorio è stato messo Hamid Karzai, ex consigliere della compagnia petrolifera americana Unocal.
Karzai con l’aperto sostegno statunitense venne eletto presidente nell’ottobre 2004. La sua autorità si estende, grazie a migliaia di soldati del contingente Isaf-Nato, appena nella capitale Kabul. Nel resto del paese il potere rimane nelle mani dei signori della guerra e dei mullah talebani. I signori della guerra dell’Alleanza del Nord controllano anche il parlamento eletto nel settembre 2005 dopo elezioni parlamentari truffaldine. Nelle regioni centrali e meridionali del Paese, regioni pashtun, gli islamisti talebani hanno negli ultimi anni ripreso il controllo. L’unica attività economica del Paese è la produzione di oppio (oltre i due terzi del prodotto interno lordo), controllata dai ministri di Karzai, dai deputati signori della guerra e dai mullah talebani.
Il Paese è ridotto alla disperazione e alla fame, i diritti umani elementari continuano ad essere calpestati, la condizione delle donne non è migliorata. La ricostruzione post-bellica è un affare da 15 miliardi di dollari solo per gli appalti delle multinazionali occidentali (soprattutto, ma non solo, statunitensi).
La popolazione non è più disposta ad accettare le truppe straniere neanche a Kabul, dove una rivolta scoppiata a fine maggio 2006, dopo l’ennesimo incidente provocato da mezzi pesanti statunitensi, ha visto la popolazione delle periferie della città scendere in piazza e dirigersi verso il parlamento, l’ambasciata Usa e la televisione di Stato al grido “Morte all’America” e “Morte a Karzai”.

Ritiro immediato, totale e senza condizioni
La grande stampa borghese, la Repubblica e il Corriere della Sera, a fine maggio e in queste prime settimane di giugno hanno dato inizio alla campagna stampa contro il ritiro dell’Italia dalla guerra in corso in Afghanistan. Mentre la Repubblica ha paventato in caso di ritiro "il caos" (tutti contro tutti, mischia furibonda, sterminio per fame, fine della speranza per le ragazze, ecc), il Corriere della Sera ha posto soprattutto l’accento sulla differente natura della guerra in Afghanistan rispetto a quella in Iraq. La guerra in Afghanistan, sostiene il Corriere, ha legittimità internazionale in quanto sono stati e sono coinvolti gli organismi internazionali (Onu, Ue, Nato), inoltre in questa guerra l’Italia è a fianco degli alleati europei (Germania, Francia, Spagna). Il ritiro si configurerebbe quindi come frattura strategica, coinvolgerebbe anche la Nato, e con essa gli Usa.
Appena formalizzata la compagine governativa, Prodi si è impegnato a ricollocare l’Italia nel quadro dell’Ue in stretta alleanza con Francia, Spagna e Germania, facendosi interprete di quella parte dell’imperialismo italiano che vede nella strutturazione, anche militare, del polo imperialistico europeo il proprio terreno di rilancio. Proprio per questo il governo Prodi non può permettersi di sganciarsi dagli alleati europei.
Non c’è ombra di dubbio che il governo Prodi, con il seguito di centinaia di ministri e sottosegretari, giustificherà l’aggressione imperialista, il rifinanziamento delle missioni all’estero e la permanenza in territorio afgano con questi argomenti.
Da parte nostra ribadiamo la nostra opposizione alla guerra d’aggressione coloniale, chiediamo il ritiro immediato, totale e completo di tutte le truppe e mezzi dall’Iraq, dall’Afghanistan e da tutti i Paesi in cui è coinvolto l’imperialismo italiano. Esprimiamo il nostro sostegno alla resistenza popolare afgana, pur rilevando come questa sia diretta da forze islamiste reazionarie, auspicando la sconfitta dell’imperialismo e del colonialismo. Nel contempo riteniamo necessaria, per la liberazione reale dei lavoratori e delle masse popolari afgane, un’altra direzione, marxista rivoluzionaria, della resistenza. Essendo coscienti che l’origine del caos, la fame, le guerre tribali e religiose sono da addebitarsi principalmente all’imperialismo e, in subordine, alla classe dominante feudale e borghese del Paese dipendente

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