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diario da beirut n22
by marco pasquini Thursday, Aug. 24, 2006 at 10:38 AM mail: marco@izona.it

diariod i lavorazione di un progetto di documentazione in libano

Un passo dopo l'altro scavalco detriti e macerie a non finire. La polvere si attacca sui vestiti, sulla pelle, sulle labbra e penetra nei polmoni. L'aria e' torbida e l'odore pungente, la temperatura alta, un sapore cattivo si insinua in bocca e non la abbandona. Edifici divisi in due, soggiorni e camere da letto di fronte agli occhi di tutti, mura assenti svelano gli interni degli appartamenti.
Io occhio indiscreto, ospite senza tempo, spio in quel che rimane delle case, mi affaccio in quelle che erano stanze e provo vergogna. E' lo stupro di una citta'.
Seguono inviti, imprecazioni, sorrisi. Mai indifferenza, ma soprattutto non una lacrima. Intorno e' frenesia da ricostruzione: pale meccaniche che scavano, camion che trasportano e ruspe che sgombrano le strade.

El-Dahie, Beirut, un luogo violato. Scheletri di palazzi anneriti e cumuli di macerie dove ce ne erano.
Cammino, cammino senza sosta, mi aggiro tra vicoli e strade fotografando distruzione. Dammar.
Scalo le macerie, fino in cima a questa montagna di cemento. Un uomo anziano cerca tra i resti. Mi guarda, sorride, dice che siamo all'undicesimo piano e che questa era casa sua. Mi avvicino, la sua bocca fa una smorfia che assomiglia a un sorriso, Tfaddal! Mi accomodo, la telecamera registra questo incontro surreale, lontano il rumore delle macchine al lavoro.
Lui finisce, io anche. Ognuno per la sua strada. Mi sposto un po', una famiglia cerca di portare in salvo quel che rimane del loro appartamento. Il palazzo e' accasciato a terra, un angolo di casa e' rimasto sulle colonne, di traverso. Il pavimento inclinato, il lampadario cade a piombo ancora appeso al soffitto spezzato. Mustafa', giovane e magro, si infila in casa ed io con lui, fuori i genitori danno indicazioni. Quando esco la mamma ride, si scusa perche' non ha potuto offrirmi del te' e Mustafa' e' piu' contento di prima perche' e' riuscito a recuperare lo stereo.

Spengo la telecamera e torno sui miei passi, sento chiamare il mio nome. E' l'uomo di prima, siede all'ombra con la moglie e alcuni amici. Wenak enta? Chiede dove ero, e' l'ora di pranzo e mi cercavano per mangiare insieme. Mi siedo, beviamo una bibita sul marciapiede, alle spalle il loro palazzo accasciato a terra. Prima di congedarci giriamo un intervista e mi fanno un regalo. E' la foto dell'edificio prima della guerra, la hanno trovata tra le macerie e dopo averla firmata me la consegnano. La prendo, ci abbracciamo, poi la fotografo tra i resti di quello che era e la porto con me.

Proseguo il cammino, come un fantasma mi muovo in una citta' sbriciolata, scenografia espressionista del nostro futuro. Una donna trascina due grandi buste di plastica, vestiti e oggetti recuperati scavando. Si ferma e mi guarda dritto negli occhi. Cosa rimane dei miei ricordi? La domanda rimane sospesa e lei si allontana, trascinando il suo peso senza aspettare risposta.

Ogni tanto mi fermano le milizie Hezbollah, giovani armati di kalashnikow e radioline che controllano la zona, decidendo chi entra e chi resta fuori. Non fotografare le persone ripetono incessantemente, facendomi passare alla vista del tesserino. Poi passano i giorni, anche loro si abituano a me e il tesserino diventa ornamento.
E' ormai sera, una ragazza si allontana da una collina di cemento e mattoni, ha gli occhi lucidi, tanta rabbia e due sole parole: Sawour el-democratie. Fotografa la democrazia, una frase tagliente come il vetro che qui rimane lontana dalla retorica politica, e' sentimento del popolo.

Le gambe sono stanche dal tanto camminare, gli occhi esausti dal vedere, mi fermo di fronte alla vetrina rotta di un negozio.
Sguardi superstiti, osservatori silenziosi di quello che e' stato. Condannati a rimanere ad occhi aperti, osceni con le loro mezze nudita' rimangono attoniti di fronte all'ntimita' violata dalla guerra. Occhi vitrei congelati nell'attimo della visione, bocche semichiuse, arti rigidi sospesi a meta', busti pietrificati. Soli, costretti a vedere, sopraffatti dall'incapacita' di esprimere il dolore. Impassibili vigilanti di atrocita' inenarrabili, chiudono nell'apparente inespressivita' il loro segreto. Sono stati li tutto il tempo, tra strade vuote e case evacuate, unico sguardo sotto i bombardamenti. Hanno visto e sentito le esplosioni senza potere raccontarle, gli occhi spalancati e le pupille dilatate ne nascondono il segreto.
Sono manichini in un negozio di vestiti di el-Dahie.

da Beirut, Marco Pasquini
Kinoki mrc

Questo racconto fa parte del diario di lavorazione di un progetto di documentazione a lungo termine sul Gaza Hospital a Beirut, se non volete pi_ riceverlo vi prego di comunicarlo e scusare il disturbo.
I dvd di 2 documentari, dai titoli ىIncontriî e ىSaloon al-Fidahî, girati negli stessi luoghi e parte del pi_ esteso progetto, sono in vendita ad euro 15 a copia per auto-finanziamento.

Per informazioni:
Marco Pasquini
Autoproduzioni Abbasso il GradoZero
abbassoilgradozero@gmail.com






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