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I brevetti frenano BioShield
by laser Monday, Oct. 02, 2006 at 1:02 PM mail:

Doveva essere il nuovo Manhattan Project, per rilanciare il settore farmaceutico in crisi. Ma il progetto BioShield per ora delude.

Nel 2004, il governo americano ha stanziato 5.6 miliardi di dollari per il progetto BioShield. Con il pretesto della minaccia bioterroristica (vi ricordate la storiella delle lettere all'antrace?), si voleva rilanciare così l'industria farmaceutica. Big Pharma, infatti, da anni soffre di scarsa innovazione, anche perché la maggior parte degli investimenti finiscono in marketing più che in ricerca. Il progetto doveva mettere a disposizione soldi pubblici per realizzare nuovi vaccini e antibiotici, un settore in stagnazione ormai decennale. Guerra e innovazione, negli USA, vanno insieme sin dalla Seconda Guerra Mondiale: la costruzione della bomba atomica fu anche un grande volano di scoperte in un campo strategico della ricerca di base, quello della meccanica quantistica, ma che garantì una supremazia scientifica anche sul piano commerciale agli Stati Uniti.

Eppure, secondo quanto scrive Wired, poche aziende stanno sgomitando per avere i soldi del progetto BioShield (che significa "scudo biologico"). Il problema, tanto per cambiare, sono i brevetti: non è chiaro chi potrà godere dei diritti di sfruttamento dei nuovi farmaci sviluppati con i soldi del governo, secondo aziende, tanto che una nuova legge appositamente scritta per aumentare la protezione delle aziende farmaceutiche, giace nei cassetti del Parlamento americano. Ma finora ha ricevuto scarso supporto.

Una lezione importante, dunque: il progetto BioShield è un importante investimento pubblico, ma va ad alimentare un settore in cui senza la prospettiva del brevetto nessuno muove più un dito. D'altra parte, perché lo stato dovrebbe finanziare ricerche che sono già in grado di sostenersi commercialmente sul mercato? Un settore dell'innovazione importante come quello che dovrebbe curarci sembra ormai immobilizzato dai vincoli brevettuali, tanto da rinunciare ai soldi pubblici pur di non dover avventurarsi in ricerca di base. E una nazione come gli USA, che ha fatto dell'innovazione tecnologica la sua arma di dominio più efficace, oggi non riesce nemmeno a rilanciare il settore dei farmaci con oltre cinque miliardi di dollari in contanti. La ricerca, anche quella con i soldi dei contribuenti, è ormai una variabile dipendente del mercato, e si fa solo se il brevetto protegge dalla competizione dei rivali. Ma allora non è ricerca.

E' una contraddizione sempre più presente nelle politiche scientifiche internazionali. Da un lato, infatti, ovunque nel mondo si spinge verso la privatizzazione della ricerca pubblica. Ma sostituendo le regole del mercato a quelle della comunità scientifica (non certo cristalline ma fondate sulla condivisione dei risultati) si impedisce il funzionamento stesso del sistema della ricerca. Forse è ora che le aziende ricomincino a fare le aziende, e lo stato faccia lo stato.

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