Film. Recensione: “The lady in the water”
“Non dimenticare mai/ il mondo di conoscenze/ che solo l’antico bambino dentro di te/ ricorda ancora. / Il fuori e’ dentro./ Il dentro e’ fuori/ E la fiaba e’ eterna/ come eterno e’ l’uomo”.
Ho letto cose curiose su questa opera del trentaseienne regista indiano Night Shyamalan (quello del brutto “Sign”, e dell’interessante “The Village”). Ho l’impressione che i critici, pur elogiandolo, non riescano a comprenderlo. L’osservazione piu’ curiosa e’ che, a differenza di ‘The village’, questo suo film, su una ninfa che appare misteriosamente in una piscina condominiale a Filadelfia, non contiene simboli e metafore. Ora, trattandosi di una fiaba, cio’ e’ oltremodo assurdo. La fiaba e’, per eccellenza, il modo con cui le figure e strutture dell’archetipo si manifestano, originate dall’inconscio collettivo e comunicate all’inconscio individuale. Fiabe, miti e cosmogonie sono modi con cui l’inconscio della specie racconta con simboli universali le dinamiche dell’anima, proiettandole in un cielo senza tempo ne’ spazio, e questo film, emersione in un contesto metropolitano di un’antichissima fiaba cinese, risponde a tutte le connotazioni dell’inconscio collettivo, attingendone le grandi forme che solo i sognatori e i poeti riconoscono, per virtu’ d’anima. La fiaba e’ il sogno che esce dal territorio della notte o dalle oscurita’ del tempo-non tempo della psiche per portarci un messaggio misterioso, scritto in simboli, elementi interdimensionali che aprono la porta dell’altrove, permettendo altre conoscenze che riguardano sempre il nostro viaggio interiore, il nostro dover essere. La trama narrativa individua una esperienza d’anima e trasferisce il senso visibile su un altro ordine, una metarealta’, che e‘, appunto, cio’ che sta di la’; il simbolo si fa ponte in quella zona liminare che sta tra il sogno e la veglia, il mondo tangibile e il mondo dei significati profondi. Syn ballein e’ cio’ che unisce le due dimensioni, ben noto agli entronauti dell’invisibile, irritante ai viaggiatori unidimensionali ancorati alla rudezza della materia densa. La mente intuitiva conosce il mondo per immagini simboliche; cio’ e’ connaturato al poeta, il visionario, il mistico, lo psicoanalista, ma resta alquanto arduo per chi, calato in una mente solo razionale, ha perso il contatto col proprio inconscio e vive il mondo come materialita’ dominante. Una fiaba, o la si guarda con occhio di bambino crescendo emozionalmente in essa senza capirla, come per immedesimazione di un vissuto, o la si interpreta con categorie junghiane, come un sogno dell’anima, appunto. Cio’ spiega la profonda differenza di reazione di questo film degli spettatori, attoniti e sprezzanti gli uni, in piena adesione e convincimento gli altri. L’antica fiaba cinese “della mezzanotte” puo’ essere compresa dal protagonista solo quando egli si finge bambino, riprende cioe’ i moduli di assorbimento dell’infanzia, lascia le categorie ristrette e aride del razionale per respirare all’unisono con la vecchia fabulatrice cinese, l’eterna Mimir, cosi’ aspra col mondo occidentale ma cosi’ larga di accenti quando si ritorna alla facies infantile, prototipo di una memoria antica non piu’ conseguibile da chi entra nella sua dimora con passo invasivo, senza la purezza di un fanciullo. E’, la mezzanotte, il punto intermedio tra veglia e sonno, ponte tra due realta’, tra conscio e inconscio, e la fiaba della mezzanotte che si invera e’ il punto di interconnessione tra mondi, livelli d’anima, stati di consapevolezza. Cosi’ come la piscina e’ lo specchio rilucente che separa il mondo di sopra da quello di sotto, e il condominio dell’anima e’ la coesistenza disarmonica di energie o gruppi di energie che cercano il loro scopo, perche’ “quello e’ il fine dell’anima”, l’individuazione cercata. “L’io e’ un condominio”, disse una volta un’allieva acuta, e Jung lo agiva, drammatizzando le sue energie in attori conchiusi, a volte alleati, piu’ spesso scissi o avversari, prigioniero ognuno nella propria singolarita’, riportando lentamente le inimicizie o le lontananze a una forma di solidarieta’ primigenia. La fiaba racconta appunto la storia di un condominio, la metafora di un cammino d’anima, come l’inconscio farebbe in un Grande Sogno. I Grandi Sogni sono quelli dove va in onda il nostro dramma esistenziale, esso si frantuma e si personifica, e, se si fa spettacolo, puo’ essere osservato dal sognatore come altro da se’, oggettificato, distaccato, e in tale spettacolarizzazione il cammino si fa salvico, diventa soluzione di vita, riarmonizzazione ritrovata. Sia Freud che Jung lo dissero chiaramente, che il Grande Sogno e’ la fiaba della psiche-anima che rappresenta se stessa, scindendosi nelle sue parti e agendole come tanti attori distinti sulla scena di un teatro invisibile. Se “Thea" e’ osservare da "Theos" (dio), il teatro, “Theatron” e’ l'arte di osservare, il luogo dello sguardo che ci porta al divino, e Teoria e’ spettacolo, “Spectaculum” da spectare, guardare, guardare cio’ che si offre distanziandolo da noi e assorbendolo come proiezione di noi, e il film, come il sogno, e’ opera essenzialmente visiva, di piu’: visionaria. Il dio entra in te attraverso lo sguardo, quando tu, oltre a guardare, vedi (vid= sapienza) e, dopo aver separato, abbracci. Poiche’ noi non possiamo vedere che cio’ che si fa altro da noi, oggetto, ma solo nel guardare in modo particolare cio’ che e’ oggetto possiamo tornare a noi, a un noi recuperato. Il soggetto conosce tramite l’oggetto, ma, solo quando entra totalmente in esso e lo riconosce come proprio, crea se stesso. La conoscenza e’ atto di rimandi e ritorni, finche’ e’ finalmente “unione”. Al sorgere del teatro greco, Aristotele lo aveva gia’ detto che, nello spettacolo, le varie parti dell’anima sono proiettate sulla scena affinche’ colui che guarda riesca finalmente a vederle oggettivamente e a distaccarsene, realizzando la sua catarsi. Ma la catarsi avviene (e questo e’ Freud) quando la colpa che teneva bloccata l’evoluzione dell’anima risale a galla, al pelo delle acque, e puo’ essere fissata negli occhi, anche se essa e’ come un mostro che impietra e impedisce all’anima di librarsi verso l’assoluto. O riusciremo a dominare l’inconscio o l’inconscio inglobera’ noi, impedendo l’ascesi dell’anima (aquila). Sono, i contenuti dell’inconscio, come pesci (ninfe) che risalgono dalle acque profonde e ci vengono incontro per aiutarci, per indicarci il cammino, ma qualcosa di noi li tiene lontani, ne rifiuta la visione, e l’opposizione appare allora come il mostro (verde come gli affetti, ma duro come la morte) che impedisce la conoscenza, che blocca l’evoluzione. La fiaba e’ la metafora che riproduce la nostra tragedia con simboli antichissimi, primigeni, la fiaba della colpa e della sua guarigione, che attraversa tutte le cosmologie e tutti i miti e i processi psicoanalitici… Per un lettore di inconscio, come per un poeta-bambino, il film-fiaba viene bevuto con percezione immediata ma, quanto piu’ noi siamo lontani dall’una o dall’altra posizione, quanto piu’ abbiamo ucciso il nostro bambino interiore e siamo invecchiati ma non evoluti, tanto piu’ la fiaba sara’ disarticolata e senza senso, come una conoscenza inaccessibile e fastidiosa, che ci irrita proprio perche’ manifesta il nostro limite, la nostra involuzione. Letto come una visionaria storia dell’inconscio, come un processo di catarsi, il film si snoda in modo fluido non sempre suggestivo, con qualche caduta e alcuni attimi di totale coinvolgimento (suggestivo il sabba delle 7 donne armate di scopa al bordo della piscina, mentre il mostro le guata), giallo dell’anima, in cui, come in ogni percorso investigativo, si raccolgono segni di reato, si cerca il colpevole, si aspira a una soluzione. Tra uno psicoanalista, un detective o un archeologo ci sono affinita’, tutti e tre svelatori di misteri, scavatori del profondo, deduttivi e induttivi insieme, con guizzi di intuizione che aiutano la ricostruzione logica e fantastica e il rinvenimento di senso. Il cammino e’ pieno di inciampi, la fredda mente irrazionale cerca la trama giusta e l’inconscio collettivo inquina coi suoi tranelli, le sua apparizioni duplici e ingannevoli, gli incubi, le rare illuminazioni. Quando il lavoro di salvazione comincia, quando i contenuti dell’inconscio (la ninfa) emergono sullo schermo che separa il conscio dall’inconscio (la piscina), il compito vitale diventa comprenderne il messaggio e riportare l’energia la’ dove e’ venuta, sublimandola in qualcosa di piu’ alto (l’aquila, simbolo del dio superiore), ma forze oscure della psiche (il mostro verde nascosto nell’erba-cuore) si oppongono a questo trasferimento di salvezza finche’ non saremo in grado di fissarne la vera natura, in un attimo di sincerita’ totale e dolorosa, e, cosi’ facendo, di liberarcene. Noi non siamo uno, la psiche e’ un condominio, un insieme di energie che, da scisso, deve diventare uno, da confuso orientato, da bloccato dinamico, e il lavoro di catarsi consiste proprio in questo, realizzare l’armonia perduta, spingendo alcune parti di noi a un lavoro comune che legge faticosamente con inversioni di ruoli il senso insito nel reale apparente. Il film-fiaba svelera’ che cio’ che il nostro mondo razionale disprezza, la parte bambino, la parte corpo, la parte donna, possono essere il tramite per la salvezza totale. L’energia, energheia, e’ la parte di un sistema. Energia vuol dire azione efficace, parola composta da en, particella intensiva, ed ergon, capacita’ di agire. Il sistema si salva quando le sue parti agiscono bene, fanno un lavoro comune, ma il problema e’ che ognuna ignora la sua funzione in vista dello scopo dell’intero, cosi’ i condomini si appresteranno all’opera riunificante per riportare la ninfa alla sua origine, salvando lei per salvare se stessi, dapprima in modo caotico, confuso, attraverso errori di ruolo, perdita di identita’, aneliti di entusiasmo e cadute di fede, come avviene in qualsiasi percorso d’anima, ma senza parti privilegiate, anzi il critico letterario che rappresenta la mente negativa e sprezzante dovra’ essere proprio sacrificato, e “il difensore” sara’ infine proprio il meno apprezzato, il piu’ muscolare, quello che ha sviluppato di piu’ la parte materiale, e gli attori (archetipi) fissi della fiaba-nella-fiaba saranno impersonati ora dall’uno ora dall’altro, in una ricerca di individuazione delle parti per la costituzione dell’intero, finche’ lo schema non si sara’ compiuto e la lotta verso le forze oscure che si oppongono alla nostra salvezza non avra’ la sua soluzione. Film interessante, storia di prove e di errori, di ascesi e di cadute, che puo’ avere compimento solo se persiste in tutte le parti la buona volonta’ di operare insieme, perche’ e’ solo l’unione che, alla fine, portera’ al raggiungimento dello scopo, non condominio “anima” come nella vita. “E lo scopo e’ l’uomo”. E’ ovvio, alla fine, che in un buon lavoro d’anima debba perire proprio la fredda razionalita’, il critico letterario, quello che delle tante storie di vissuti che analizza non sa cogliere l’anima, il sentimento, unica figura moderna e negativa che deve perire proprio per permettere la fusione dell’intero. Cosi’ “l’interprete”, “il guaritore”, “il sodalizio”… sono le nostre parti oggettificate che si fondono nel lieto fine, come in ogni fiaba che si rispetti e, nell’attimo culminante, la colpa viene a galla, la colpa eterna che attanaglia l’uomo di ogni tempo alla sua verita’, quella che l’io non vuole conoscere, quella da cui fugge, rinnegando se stesso, ma che deve guardare negli occhi (come il terrifico e ispido lupo verde) emergendo dal segreto del suo cuore, quella che rivela infine la nostra debolezza e impotenza di fronte alle forze incommensurabili che distruggono la vita: “Io non ho potuto aiutarli. Io mi perdono perche’ non ho potuto aiutarli”.
Hegel diceva: “Cio’ che e’ razionale e’ reale e cio’ che e’ reale e’ razionale”. Questo film dice: “Non tutto cio’ che e’ reale e’ razionale ed e’ reale molto di cio’ che e’ irrazionale”. .. “Saper estrarre dalle stesse difficolta' della vita un lievito di ascesa, trasmutarle in altrettante forze vive nel piano ultrasensibile e' l'alchimia maggiore contro la quale niente puo' prevalere; non dire neppure una parola quando un tuo progetto non e' coronato da successo. Non metterai molto tempo a capire che era necessario che fosse cosi', e che le disillusioni momentanee dovevano prepararti a inattesi progressi; riconoscerai l'incatenamento sempre ammirevole degli effetti e delle cause" .
(Grillot de Givry )
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