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pestato dalle guaardie, ucciso dagli psichiatri
by pseudo-clerical Sunday, Oct. 08, 2006 at 11:14 AM mail:

pestato dalle guardie, ucciso dagli psichiatri

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pestato dalle guardie,
ucciso dagli psichiatri

Leggere e diffondere il piu' possibile, e' importantissimo

Un uomo e' stato ucciso dagli psichiatri,
era di Quartu S.Elena (provincia di Cagliari),
la sua unica colpa:
quella di vendere verdura in strada senza licenza.

sembra incredibile,
siamo abituati a pensare, perche' ce lo insegnano
da piccoli, che nel nostro mondo esistano competenze e
responsabilita' differenziate, garanzie, separazione di poteri, etc. .
I politici si preoccupano dell'amministrazione,
le guardie tutelano "l'ordine pubblico",
i medici curano,
i magistrati giudicano e perfino tutelano il cittadino
contro gli abusi dell'autorita',
etc.

Poi guardi cosa succede in concreto nel mondo reale,
nelle piazze che frequenti ogni giorno, e ti
accorgi che la realta' e' ben diversa.

Giuseppe Casu lo hanno ucciso
il 22 Giugno di quest'anno, in un
reparto di psichiatria
(ospedale di Is Mirrionis a Cagliari, un lager).

Era vendirore ambulante di verdura senza licenza.
Gli amministratori del suo comune avevano dichiarato
"guerra" agli ambulanti nel nome della legalita'.
Lo hanno prima perseguitato i vigili con le multe,
poi lo hanno aggredito in strada, vigili e carabinieri
e lo hanno portato con la forza in psichiatria,con
la solita scusa: "stato di agitazione psicomotoria"
(nemmeno si sono preoccupati di avvisare
i familiari del TSO).
In psichiatria infine lo hanno ammazzato a forza di "trattamenti farmacologici" e di "contenzione fisica",
come dicono loro.
Un'indagine interna della ASL ha confermato tutto,
sette giorni legato al letto senza ricevere cure lo
hanno finito.
Nessun magistrato ha pensato
di doversi interessare al caso.

Non e' un caso isolato,
l'uso disinvolto della psichiatria per sbarazzarsi
di chi crea in qualche modo disturbo dalle mie parti
e' prassi.
L'arroganza dei politici, dei magistrati,
delle guardie, pure.

Questo non vuol dire rassegnarsi.

Oggi, con il nome di Giuseppe Casu, nasce
un comitato per esigere verita' e giustizia
per lui e per tutte le altre vittime delle politiche
"securtarie", dell'impunita' delle "forze dell'ordine",
della bassa macelleria degli psichiatri.

Ci vediamo Mercoledi' 11 Ottobre dalle ore 19:00
in via Baronia 13 a Cagliari per programmare
future iniziative.

Gli assassini di Casu non devono dormire sonni tranquilli

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xx
by xx Sunday, Oct. 08, 2006 at 11:38 AM mail:

ti aggrediscono tu ti difendi o ti limiti a dire : lasciatemi , lasciatemi e se ne escono dicendo che sei un agitato psicomotorio., succede spessissimo, tipica mentalità mafiosa meridionale . ma il TSO nel caso di questo venditore abulante e conseguente sua morte va al di là

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dal comitato
by pseudo-clerical Sunday, Oct. 08, 2006 at 11:49 AM mail:

Comitato Verità e Giustizia per la morte del signor Giuseppe Casu


“Coloro la cui vita rappresenta l’inferno della Società Opulenta sono tenuti a bada con una brutalità che fa rivivere pratiche in atto nel medioevo e all’inizio dell’età moderna. Per gli altri, meno sottoprivilegiati, la società prende cura del bisogno di liberazione soddisfacendo i bisogni che rendono la servitù ben accetta e fors’anche inosservata ...”
Hebert Marcuse, da “L’uomo ad una dimensione”

In morte del Sig. Giuseppe Casu.

Giovedì 15 Giugno 2006 in piazza IV Novembre a Quartu il signor Giuseppe Casu, accanto alla sua ape parcheggiata, come ogni giorno vendeva un poco della frutta e verdura contenuta nel cassone.
Nulla di notevole sino a quel momento in una giornata che sembra tranquilla. Poi, in tarda mattinata, il dramma. Tutto avviene molto rapidamente, intervengono i carabinieri con le guardie municipali, spunta fuori anche un’ambulanza. Gli agenti lo afferrano con la forza, di fronte a tutti, lo sbattono a terra, lo immobilizzano. Giuseppe Casu viene caricato, ammanettato, alla barella e portato via. È in atto un ricovero coatto in psichiatria.
“Sgombero Forzato: se ne va anche l’ultimo ambulante” titola trionfalmente l’Unione Sarda il giorno dopo, in un pezzo chiaramente ispirato dalla giunta comunale. È falso, Giuseppe Casu non è l’ultimo ambulante, ma è forse il più vulnerabile e viene colpito in maniera esemplare per ottenere il risultato di sgomberare finalmente la piazza dagli abusivi. Perché altrimenti tanta forza e tanta violenza è stata impiegata contro un individuo intento in una attività così pacifica?
Per completare il quadro di questa vicenda occorre fare qualche passo indietro.
Il fatto è che da qualche tempo la giunta comunale di Quartu ha intrapreso un’energica azione contro i venditori ambulanti privi di licenza, per il ripristino della “legalità”, dunque anche i venditori di piazza IV Novembre erano da tempo nel mirino della giunta.
Nell’ambito di questa “guerra agli ambulanti” però le guardie municipali di Quartu, per ragioni che andrebbero chiarite, si sono accanite, in maniera assurda e ingiustificabile, quasi esclusivamente contro il signor Giuseppe Casu. Questo accanimento selettivo viene ammesso anche dal vicesindaco di Quartu, Tonio Lai, che nel dibattito in giunta del 6 Settembre 2006 dice: “Siamo a conoscenza di un fatto certo, che la polizia municipale ha emesso numerosi verbali a carico del cittadino, signor Giuseppe Casu. Ne ha emesso soprattutto a partire da Maggio 2005, tantissimi …”. A questa persecuzione il signor Giuseppe Casu, benché preoccupato, ha reagito pagando le multe e continuando ad andare in piazza IV Novembre per vendere.
Ma torniamo al giorno prima dell’agguato, il 14 Giugno 2006. I vigili si presentano dal signor Casu. Come sempre gli elevano una contravvenzione, ma questa volta il verbale raggiunge la cifra stratosferica di 5000 euro per la vendita senza licenza di frutta e verdura in strada. Una cifra che, questa volta, il signor Giuseppe Casu non farà a tempo a pagare.
Evidentemente nelle stanze dell’amministrazione comunale qualcuno proprio non sopportava l’ostinazione del signor Casu. Pensando ai drammatici fatti dei giorni successivi l’imposizione di questa multa sproporzionata assume l’aspetto sinistro di un avvertimento e di una provocazione.

I medici psichiatri, che si son presi l’incarico di risolvere il problema dell’ultimo ambulante resistente di Quartu, sono stati dunque anche responsabili del destino del signor Giuseppe Casu, dalla mattina 15 Giugno sino alla sua morte. A pensarci è una ben strana cosa, visto che formalmente sono dei medici e, in teoria, il loro compito sarebbe quello di curare la gente e non quello di togliere le castagne dal fuoco al comune in lite con gli ambulanti.
Il ricovero coatto (Trattamento Sanitario Obbligatorio o TSO) viene giustificato da uno stato di agitazione psicomotoria: il signor Casu dava in escandescenze. Ma il semplice buonsenso ci dice che questo poteva essere casomai inteso come un segno di salute mentale. Vorrei sapere infatti chi di noi non darebbe in escandescenze dopo che, coloro che il giorno prima ti hanno messo 5000 euro di multa, si presentano, ti intimano di andartene, e, al tuo rifiuto, ti mettono altri 5000 euro di multa, poi ti saltano addosso e ti immobilizzano...
Cerchiamo di capire cosa hanno fatto davvero questi “medici” per la salute del signor Giuseppe Casu, all’interno del reparto di psichiatria dell’ospedale di Is Mirrionis a Cagliari, nella settimana in cui il paziente è riuscito a sopravvivere ai loro trattamenti.
Qualcuno si è preoccupato delle ferite che il signor Giuseppe Casu aveva subito durante le aggressioni di cui era stato vittima? Qualcuno si è preoccupato di quella mano gonfia? Della presenza di sangue nelle urine? O piuttosto la loro unica preoccupazione è stata quella di iniettargli un potente sedativo che spegnesse il suo cervello per qualche giorno, di legarlo al letto, di metterlo in condizioni di non rompere le scatole?
I familiari del signor Giuseppe Casu, quando vanno a visitarlo, lo trovano sempre legato al letto, sedato, col panno e privo di coscienza. Nei momenti in cui riprende coscienza chiede di essere slegato. Gli stessi familiari segnalano l’evidente gonfiore ed il colore violaceo della mano destra, ma nessuno si preoccupa del suo stato di salute.
Dopo una settimana il signor Giuseppe Casu muore, all’improvviso, sempre legato a quel letto da cui nessuno lo ha ancora liberato. Aveva 60 anni e non soffriva di nessuna malattia che lo potesse portare ad una fine così rapida ed improvvisa.
Anche dalla relazione della commissione d’inchiesta della ASL, istituita in seguito ad una denuncia dell’ASARP, risulta che il signor Casu è stato vittima di un ‘trattamento inaccettabile’: nel reparto di psichiatria lo hanno sedato e immobilizzato, legandolo al letto mani e piedi per sette giorni, dal suo arrivo al momento della sua morte e non gli hanno fatto nessun esame per verificare il suo stato di salute. Nonostante le gravi responsabilità accertate la ASL si rifiuta però di prendere qualsiasi provvedimento.
Per noi la morte del signor Casu è la diretta conseguenza di una politica precisa, della prassi violenta delle “forze dell’ordine” e del trattamento pseudo-medico che gli è stato riservato. Lo hanno ammazzato loro.
Morti come queste, di solito, sono presto dimenticate. Per la magistratura e gli investigatori non sono certo casi degni di interesse. Familiari ed amici, quando vogliono insistere per accertare la verità e le responsabilità, incontrano difficoltà di ogni tipo. Il più delle volte la gente finisce per rassegnarsi e lasciar perdere. Questo le guardie e gli psichiatri lo sanno bene, anche su questo contano per garantirsi l’impunità. Le loro vittime sono destinate a essere sepolte in fretta e dimenticate.
Questo sarebbe stato anche il destino del signor Giuseppe Casu, se non fosse stato per l’insistenza della sua famiglia che non si è rassegnata all’esito della frettolosa autopsia effettuata dai medici dello stesso ospedale il giorno dopo il decesso, e sta cercando di far riaprire il caso.
Diverse procedure amministrative e giudiziarie sono attualmente in corso, ma, come spesso accade, queste rischiano semplicemente di fare da anticamera all’oblio.
Per questo è assolutamente necessario che l’attenzione su questo terribile caso non venga meno nei prossimi tempi, non deve essere liquidato come normalità della vita di ogni giorno.
L’orrore della vicenda, suo malgrado esemplare, del signor Giuseppe Casu non può scivolare via dalla memoria. Verità e giustizia sono dovute a lui e a noi. Non dimentichiamolo, né dimentichiamo che verità e giustizia reali non coincidono con la versione ufficiale dei fatti.



Le ragioni del comitato.

Il comitato si propone di compiere ogni sforzo perché la terribile vicenda che ha portato alla morte del signor Giuseppe Casu non sia dimenticata ed insabbiata, ma, al contrario, perché possa emergere la verità e sia fatta giustizia. In questo vogliamo collaborare ed appoggiare sia la famiglia della vittima, sia tutti coloro che condividono con noi questo scopo.
Ci spinge a questo un naturale senso della solidarietà umana e della giustizia e un altrettanto spontaneo disgusto per lo spettacolo della violenza inflitta dai forti contro i deboli, dalle “istituzioni” contro i singoli, dai “pubblici ufficiali” contro i semplici cittadini. Ma le nostre motivazioni non si esauriscono qui.
Siamo infatti convinti che quanto accaduto al signor Giuseppe Casu non sia affatto un episodio isolato ed assolutamente eccezionale. Al contrario, pensiamo che si tratti di un caso in qualche modo esemplare.
Vi sono fasce della popolazione definite “marginali” che vengono costantemente sottoposte a forme di violenza brutale e frequentemente ne restano vittime. Parliamo di coloro che il potere definisce di volta in volta “pazzi”, “drogati”, “clandestini”, “vagabondi”, etc. . Di questi ferimenti, di queste morti, raramente si viene a sapere, difficilmente si sente parlare e mai viene fatta giustizia. Sono morti che vengono dimenticate in fretta.

Anche la morte del signor Giuseppe Casu viene già fatta passare per un errore, per un caso di “mala-sanità”, si parla di tragica fatalità, di un caso sfortunato, eccezionale, imprevedibile. Non è vero. La morte del signor Giuseppe Casu è invece la logica conseguenza, l’esito naturale, di una politica ben precisa. Oramai le politiche “securtarie” e “legalitarie” sono tanto di moda tra le amministrazioni pubbliche di destra e di “sinistra” (il comune di Bologna primo tra tutti), che anche Quartu Sant’Elena, un comune del meridione più povero e afflitto da problemi sociali, ha deciso di adottarle. Politiche che hanno un punto fermo, una costante: quella di mettere un astratto concetto di “legalità” avanti a tutto, e soprattutto avanti alle più elementari esigenze di giustizia sociale e di solidarietà umana. Così nascono tutte le varie “guerre” che le amministrazioni dichiarano contro settori di popolazione poveri e marginali. Il comune di Quartu, ad esempio, aveva già intrapreso la sua contro gli ambulanti, ed è di questi giorni la massiccia operazione di militarizzazione del territorio a Cagliari, con intere piazze assediate da polizia e carabinieri, centinaia di persone identificate,una cinquantina di schedature, denunce, fogli di via voluti dal prefetto Orrù e dal sindaco Floris, con la stampa ad agitare lo spettro di un improbabile quanto ridicolo "terrore" suscitato da punkabbestia ed ambulanti abusivi nel centro storico cittadino. Si dichiara guerra ai drogati, ai clandestini, agli imbrattatori, etc. . E che si tratti di guerre reali e non metaforiche, condotte con lo spirito ed i metodi della guerra, ce lo dicono le vittime che queste piccole guerre interne seminano nelle nostre strade.


Ne ricordiamo alcune:
- Federico Aldrovandi, viene pestato e soffocato in strada dalla polizia la notte del 25 Settembre 2005. Lo avevano preso per un “drogato” che stava in strada a far casino. Aveva 18 anni. Molti mesi dopo, grazie all’insistenza della madre si apre un’inchiesta della magistratura, è in corso un processo.

- Stefano Cabiddu, muratore di Samassi emigrato a Crema, assassinato da un carabiniere con un colpo di pistola il 20 Luglio 2003 nel parco di un centro commerciale a Roccadelle dove era andato per incontrarsi coi suoi fratelli, anche loro emigrati. Aveva 23 anni. Il carabiniere, a caccia di “spacciatori”, si giustifica prima dicendo che i tre sardi avevano un fare “sospetto”, poi ricorre alla classica risorsa del caramba dal grilletto facile: dirà di aver inciampato e che gli è partito un colpo. Un anno dopo il PM lo assolve e archivia l’inchiesta senza nemmeno un processo.

- Raigama Achrige Rumesh Ku, 19 anni, residente a Como, famiglia originaria dello Sri Lanka. Il 29 Marzo 2006 un vigile della squadra speciale “anti-graffittari” organizzata dal comune gli ha sparato in testa a freddo, trapassandogli il cranio dalla nuca alla fronte. Miracolosamente è sopravissuto, il vigile ha “chiesto scusa”, l’inchiesta è in corso.

- Mario Castellano, napoletano, 17 anni. Il 20 Luglio del 2000 era in motorino senza casco, una pattuglia della polizia gli ordina di fermarsi, lui non lo fa, un agente gli spara alla schiena e lo uccide. Grazie alla testimonianza di un driver del vicino ippodromo l’agente viene condannato in primo grado a 10 anni per omicidio volontario. L’agente è stato poi assolto in appello perché “il fatto non sussiste” (anche a lui “è partito un colpo”).

E si potrebbe continuare a lungo, ma comunque l’elenco sarebbe comunque troppo breve. Sappiamo che sono pochissimi i casi di cui veniamo a conoscenza e che vengono documentati, rispetto a quelli che realmente avvengono. Anche quei pochi poi rimangono per lo più relegati tra le notizie marginali della stampa locale.

Scorrendo l’elenco delle vittime di queste assurde guerre interne c’é una costante che impressiona, é lo stato di assoluta impunità nel quale agiscono le cosiddette “forze dell’ordine”. Qualunque abuso compiano non si trova giudice che alla fine non li copra, sino all’omicidio.
Questo è evidentemente uno dei motivi principali per cui, in casi come questi, è così difficile stabilire un minimo di verità e di giustizia.

La realtà è che queste “guerre”, dichiarate nel nome della “legalità” contro i soggetti marginali della società, condotte con metodi estremamente arroganti brutali e violenti, rappresentano di fatto un grave pericolo per i cittadini.
Il paradosso di questo mondo alla rovescia è che questa barbarie viene spacciata per una politica ispirata alle esigenze della “sicurezza”. Sicurezza per chi? viene da chiedersi.
A questo interrogativo ha dato una esemplare risposta l’assessore alle politiche sociali del comune di Quartu, che, chiamato a rispondere della sua politica di guerra all’abusivismo, costata la vita al signor Giuseppe Casu, spiega candidamente – La gente si lamenta, non si trovano parcheggi, i bottegai che vendono la verdura in negozio si lamentano della concorrenza... –
Ah legalità bottegaia, quanti delitti si commettono in tuo nome !

Cosa dire infine della psichiatria? Cosa dire di questa pratica che pretende ancora di essere considerata una scienza medica ma che si presta ad essere utilizzata come uno strumento della repressione più brutale?
La pretesa della psichiatria è quella di curare la “mente” e non il corpo, ma si sa, la mente è un’entità evanescente e difficile da individuare, e questo consente alla psichiatria di prendersi una serie di libertà e commettere i più gravi abusi sui corpi dei suoi “pazienti”.

La storia della psichiatria è una storia tragica e criminale, nel passato ha ammesso come metodi di “cura” pratiche quali le mutilazioni cerebrali (lobotomia), lo shock insulinico (stato di coma indotto da iniezioni di insulina), la distruzione fisica e psichica dei “pazienti” mediante segregazione a vita nei manicomi, etc. . Tutte queste pratiche sono state attuate contro la volontà dei pazienti e, a loro tempo, sono state definite “innocue” ed “efficaci contro la malattia mentale”.

Oggi viviamo in tempi apparentemente più civili. I manicomi sono stati chiusi e la lobotomia non si pratica più, l’elettroshock è invece ancora una pratica diffusa, benché attivamente contestata a causa dei gravi rischi (anche di morte) che comporta.
Tuttavia la psichiatria, unica tra le discipline mediche, non ha affatto rinunciato alla pretesa di “curare” i suoi “pazienti” contro la loro volontà mediante pratiche estremamente pericolose per la salute del loro corpo, quali la somministrazione massiccia di psicofarmaci e la “contenzione” a letto. Ancora oggi chi ha l’avventura di visitare un reparto psichiatrico, quello di Is Mirrionis a Cagliari ad esempio, lo troverà popolato di uomini e donne legati ai letti e/o ridotti dai farmaci in uno stato tale da non riuscire né a parlare né a stare in piedi. Buona parte di loro è stata trascinata là dentro contro la propria volontà.
La pratica del ricovero coatto (TSO) è infatti ancora consentita dalla legge, ma, data la delicatezza della cosa, vi sono una serie di garanzie formali per il cittadino: ci deve essere la richiesta di un medico, la convalida di un altro medico e del sindaco, la vigilanza di un giudice e il provvedimento deve essere formalmente comunicato all’interessato. Si può procedere al ricovero coatto solo se ricorrono tutte queste circostanze e se l’interessato rifiuta in assoluto di curarsi (se accetta di “curarsi” può invece scegliere dove e come) e solo se non vi sono altre possibilità. Il ricorso alla violenza non è ammesso se non in caso di assoluta necessità. Queste sono le garanzie formali. La pratica è ben altra cosa ... .

I Sindaci, che dovrebbero garantire i cittadini dagli abusi degli psichiatri, nel migliore dei casi si limitano a firmare le carte senza nemmeno guardarle, nel peggiore dei casi chiedono essi stessi il ricovero di persone che creano fastidi.
La pratica del ricovero coatto (TSO) è estremamente violenta, viene effettuata da molti uomini (infermieri, poliziotti, carabinieri, guardie varie) che immobilizzano la loro vittima, spesso dopo una lotta accanita, e la legano alla barella. Succede naturalmente che in questa fase il ricoverato subisca percosse e lesioni. È successo anche che la polizia, sollecitata da vicini e colleghi, abbia fatto irruzione nella casa del “paziente” sfondando la porta.
I tentativi di chi ha subito un TSO di far valere le sue ragioni, chiedendone l’annullamento, non vengono quasi mai presi in considerazione (a Cagliari, ad esempio, non ci risulta sia mai accaduto).

Una delle cose che rimane più oscura è come una pratica estremamente violenta, pericolosa, lesiva ed umiliante come il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) possa essere ancora ritenuta valida e “curativa”. Una simile violenza non può evidentemente essere di aiuto a nessuno.

Evidentemente, al di là della questione della “malattia mentale” e della sua “cura” la realtà è ben diversa, infatti, guardandoci intorno, ci accorgiamo di come la psichiatria venga usata dai responsabili “dell’ordine pubblico” come un’arma flessibile ed efficace. Tante volte chi, per una ragione o per un’altra, da fastidio, ma non incorre in comportamenti criminali dei quali la giustizia ordinaria possa farsi carico, viene sbrigativamente tolto di mezzo facendo ricorso proprio alla psichiatria.
Le categorie di questa pseudo-scienza sono infatti talmente vaghe ed arbitrarie che ci si può far rientrare praticamente chiunque. Basta un po’ di “agitazione psicomotoria” (che tra l’altro è molto facile provocare), come nel caso del signor Giuseppe Casu.

Purtroppo, anche sotto questo aspetto la vicenda del signor Giuseppe Casu è stata esemplare. La sua storia non può essere liquidata come il solito caso di “mala sanità”, non è vero! Col signor Casu gli psichiatri si sono comportati come si comportano sempre, come esige la funzione sociale che svolgono. Certo ogni tanto qualcuno, a causa dei loro “trattamenti”, muore, ma è ben difficile che queste morti possano essere documentate e conosciute, di solito passano sotto silenzio.
Tutto ciò è pienamente conforme alla pratica della psichiatria, che ha per lo più una natura disciplinare e di controllo che poco ha a che fare con il concetto medico di “cura”. La funzione che la psichiatria svolge realmente è in buona parte quella di controllare le persone e non quello di “curarle”, e forse è proprio per questo che questa disciplina pseudo-scientifica è sopravvissuta ai suoi tragici insuccessi, ed è ancora attiva oggi.

In conclusione, come comitato sorto a partire dall’esigenza di fare chiarezza e giustizia su questa terribile vicenda, ci proponiamo anche di approfondire alcune delle tematiche politiche e sociali che hanno portato alla fine del signor Giuseppe Casu, quali:

- le politiche “legalitarie” e “securtarie” dei comuni che, in pratica, si traducono in vere e proprie guerre interne condotte per lo più contro fasce marginali della popolazione.

- L’impunità assoluta di cui godono sempre e comunque le “forze dell’ordine”, qualunque siano le brutalità di cui si rendono responsabili.

- Il ruolo della psichiatria come pratica di controllo e non di cura. La barbarie dei ricoveri coatti (TSO) e il loro uso come strumento repressivo interno.

Ci si propone inoltre di creare contatti e collegamenti con altri comitati sorti in tutta Italia in seguito ad altri episodi in qualche modo analoghi, e con organizzazioni antipsichiatriche, allo scopo di solidarizzare con le vittime, scambiare esperienze ed informazioni e possibilmente creare assieme occasioni di controinformazione, di dibattito e di lotta.

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e direi
by mg Sunday, Oct. 08, 2006 at 12:04 PM mail:

soprattutto se ne parla pochissimo anche nei telegiornali, di modo che la gente non venga a consocenza di questi episodi. Io stesso ho appreso la vicenda del povero sig. Casu , solo adesso leggendo questo post. Come per Federico Aldrovandi sarà difficile ottenere giustizia. Però un certo prurito alle mani ti viene

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articoli di stampa
by pseudo-clerical Sunday, Oct. 08, 2006 at 12:54 PM mail:

L'inchiesta della Asl negli articoli della stampa locale,
in sintesi:
-Accertano di essere dei macellai e di averlo accoppato
-Questo fatto non si traduce naturalmente in responsabilita'
individuali di qualcuno, nessun provvedimento disciplinare
in vista.
-Dunque per ora tutto procede come prima
-Promettono pero'bdi non farlo piu' e di organizzarsi meglio
in futuro

Leggere per credere:

Articolo Unione Sarda:

conclusa l'inchiesta interna
L'Asl: “L'ambulante morto in Psichiatria era sempre legato”
I Risultati
Gli ispettori: ricovero coatto seguito da “pratiche cliniche ed etiche non accettabili”

E' rimasto sempre legato al letto per una settimana:
dall'arrivo in ospedale sino al giorno della sua morte.
Sette giorni di “contenzione fisica” e farmacologica:
troppi, per gli ispettori nominati dall'Asl 8 per far luce
sulla morte dell'ambulante quartese Giuseppe Casu,
ricoverato con un trattamento sanitario obbligatorio
nel reparto di psichiatria del Santissima Trinita' a Cagliari
e morto dopo una settimana a seguito di una tromboembolia-venosa.
Ieri pomeriggio, la relazione della commissione d'inchiesta e' arrivata
al manager della Asl Gino Gumirato, che ha convocato i vertici
del reparto.
Il compito degli ispettori era quello di indagare se
l'ambulante avesse ricevuto una adeguata assistenza
durante la degenza e l'eventuale applicazione di misure
di contenzione fisica. “E' stato accertato”, si legge
nella relazione, “che la misura e' stata effettuata per
un periodo eccezionalmente lungo, che si e' protratto
per sette giorni, ossia dalla data del ricovero a quella
del decesso, senza soluzione di continuita'”.
In altre parole Casu sarebbe rimasto sempre legato.
“Per quanto la contenzione fisica potesse essere giustificata
come rimedio d'urgnza e pertanto momentaneo”
continua il documento,
“non si giustifica per un periodo cosi' lungo e in piu'
sommata alla contenzione farmacologica.
La Commissione ritiene non accettabile sotto il profilo clinico,
oltre che etico, un cosi' prolungato provvedimento di
contenzione fisica in assenza di tentativi
finalizzati alla sua interruzione. Inoltre, l'approccio clinico
e' stato insufficiente in considerazione del fatto che
non si rilevano in cartella obiettivita' di richieste ed esami
diagnostici rivolti a una valutazione somatica generale”.
L'inchiesta interna e' durata alcune settimane:
gli ispettori hanno ascoltato medici e infermieri
che hanno avuto rapporti con l'ambulante, dopo il
ricovero coatto nel Luglio scorso. Confrontate le
dichiarazioni dei testimononi con i documenti
sequestratidagli ispettori: cartelle cliniche, relazione
del primario, diario infermieristico, ordinanza del sindaco
Ruggeri che aveva deciso il ricovero ed esito dell'autopsia.
La direzione dell'Asl annuncia che a seguito della vicenda,
sara' “accelerato il processo di cambiamento dell'organizzazione,
dell'operativita' e dei protocolli terapeutici in uso nel
reparto di psichiatria”.

Francesco Pinna

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Articolo Nuova Sardegna

Legato per giorni: l'Asl condanna

l'ambulante morto psichiatria “Inaccettabili queste pratiche”

di Alessandra Sallemi
Cagliari: Non c'e' una sola virgola del comunicato Asl
che autorizzi il dubbio sulla morte dell'ambulante
Giuseppe Casu nel Giugno scorso, vale a dire un rapporto
di causa-effetto tra i sette giorni passati legato al letto del
reparto psichiatrico e il decesso.
Ma e' senza appello la condanna morale e professionale
su un “cosi' prolungato provvedimento di contenzione
fisica in assenza di tentativi finalizzati alla interruzione della stessa”
espresso dalla commissione interna istituita dall'azienda 8
dopo la segnalazione dei familiari. L'indagine e' stata lunga,
il risultato e' un rafforzamento della volonta' di voltare pagina.

L'ambulante era stato sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio
sulla cui necessita' gia' le associazioni dei familiari dei pazienti
avevano espresso un dubbio: l'uomo non aveva mai dato segni
di squilibrio pesante e quel giorno s'era infuriato con i vigili
urbani di Quartu, la sua citta', perche' non aveva licenza
per vendere in strada. Una storia quasi banale ma
finita nel servizio di diagnosi e cura dell'ospedale di Is Mirrionis.
Qui' e' successo che l'uomo e' stato “contenuto”,
legato al letto mani e piedi e, assieme, (a quanto emerso nel'indagine)
sedato con farmaci e in quella condizione risulta essere stato lasciato
per sette giorni. E' morto per complicazioni polmonari non ricollegabili
al trattamento ricevuto, ma l'importante differenza che questa circostanza
assegna alle responsabilita' degli operatori del reparto, non cambia
la sostanza delle intenzioni della dirigenza sanitaria.
Anzi, la lettura della cartella clinica, le relazioni soppesate
in questi mesi, le testimonianze raccolte, spingono l'Asl
“ad accelerare quel processo di cambiamento dell'organizzazione,
dell'operativita' e dei protocolli terapeutici in uso nel reparto di
psichiatria, gia' previsto dal piano socio-sanitario regionale
e fortemente perseguito da questa azienda”.
La commissione aveva ricevuto il compto di indagare
“se fosse stata fornita al paziente un'adeguata assistenza sanitaria
durante il periodo di degenza e se fossero state poste in essere
pratiche di contenzione fisica, farmacologica, o entrambe”.
Certo “la contenzione non puo' essere considerata una pratica terapeutica
e' sottolineato nella nota Asl -
e deve essere utilizzata solo in stato di necessita' nelle situazioni
in cui si ravvisa un grave e attuale pericolo per il paziente o per
chi lo circonda”.
Nel caso dell'ambulante “la contenzione e' stata effettuata
per un periodo eccezionalmente lungo, senza interruzione ...
non si giustifica per un periodo cosi' lungo e, in piu',
sommata alla contenzione farmacologica.
La commissione non lo ritiene accettabile sotto il profilo clinico
oltre che etico “. Infine: “l'approccio clinico e' stato insufficiente
in considerazione del fatto che non si rilevano in cartella obiettivita'
di richieste di esami diagnostici rivolti ad una
valutazione generale del paziente.”

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il mito della malattia mentale
by o Monday, Oct. 09, 2006 at 2:38 AM mail:

Intervento di Giorgio Antonucci all'incontro-dibattito svolto a Cesena il 4 marzo 2003:
"Il mito della malattia mentale - smascheramento di un falso scientifico"
Sono intervenuti anche Maria Rosaria d'Oronzo, Roberto Cestari e Corrado Penna.


Io farò un discorso pratico, essenziale, perché quando ho cominciato a lavorare non mi occupavo né di psichiatria, né di antipsichiatria, non mi interessavano né l'una né l'altra; il fatto che mi interessò è che una volta vidi portare via una donna, una ex prostituta, a Firenze. Vidi che dopo che aveva avuto una discussione con una guardia municipale, arrivò un'ambulanza. La vidi prendere con la forza, lei urlava, la portarono via in malo modo.
Andai a vedere dove l'avevano portata e cominciai a riflettere su cos'era il manicomio. Io vidi una donna indifesa che fu presa con la forza e portata lì dentro; allora non potevo fare niente, non ero neanche laureato, però mi rimase impresso questo fatto. Ho cominciato a Firenze interessandomi di evitare che accadessero fatti così, per evitare che le persone fossero prese con la forza; persone che non si possono difendere e non sanno neanche perché vengono prese. Il mio problema non era né psichiatrico né antipsichiatrico: era il problema che a me non tornava, e non torna neanche ora, che si prendessero persone deboli e innocue e si portassero in quel modo lì, come succede nel 'Processo' di Kafka, in cui una persona si alza una mattina, dovrebbe iniziare la sua giornata però arrivano due signori che gli dicono che lui è colpevole e deve essere punito. Lui non riesce a sapere neanche di cosa è colpevole e di cosa deve essere punito. Esattamente questo.
È una cosa che si fa anche ora, si prendono le persone... [voce femminile dal pubblico: "Sì sì, a me è successo, non stavo facendo niente e mi hanno portato via con la forza; mi avevano dato una borsa a lavoro, mi sono venuti a prendere con la forza senza sapere cosa avevo fatto, mi hanno portato via e mi hanno fatto delle punture. La spiegazione che dopo mi hanno dato è che avevo disturbato, ma non avevo fatto veramente niente" N.d.R.]... Noi siamo qui a discutere perché queste cose non debbono avvenire più; perché si comincia così, col rapimento, il sequestro delle persone con la forza...[voce femminile dal pubblico: "Sono indifese, sono sole" N.d.R.]... Sì, come dicevo, io non conosco la signora, lei è entrata nel mio discorso, non ne sapevo niente. Dunque, poi può succedere che questa persona, che è stata presa con la forza, viene classificata in modo che è considerata una persona meno capace delle altre di ragionare, di controllarsi. Da quel momento in poi, se questa classificazione viene presa in considerazione, la persona non è più alla pari degli altri, dunque ha subito una violenza terribile. Se ora va a cercare un lavoro, se deve entrare in un qualsiasi ambiente, è una persona che non si sa cosa potrebbe fare (secondo il concetto che gli psichiatri mettono su di lei).
Ci sono due punti:

una violenza fisica, ovvero prendere una persona e portarla via dalla propria vita
una violenza ideologica, ovvero il classificare una persona come se non fosse uguale agli altri. Queste sono due cose che io non accetto e non ho mai accettato, indipendentemente da tutte le discussioni psicologiche e psicanalitiche o filosofiche che si possono fare. Questo non va.
È per questo che dopo aver lavorato per un po' di tempo a Firenze, evitando degli internamenti, fui chiamato da Cotti a Bologna, da Basaglia a Gorizia, perché avevano saputo che io facevo questo lavoro. Siccome loro erano dentro le istituzioni, per cercare di liberare le persone internate, naturalmente ebbero un certo interesse nel sapere che c'era un medico a Firenze che evitava gli internamenti. In fondo erano due lavori complementari: uno era quello di evitare che le persone fossero prese con la forza e portate via, l'altro era quello di restituire la libertà alle persone che erano dentro.
Così, presi contatto prima con Cotti e poi con Basaglia, e andando a lavorare con quest'ultimo a Gorizia (il primo manicomio del mondo in cui c'è stato qualcuno che ha cercato di liberare gli internati). In seguito mi sono trovato a Imola, dove, come ha già detto il dottor Cestari, ho chiesto di prendere il reparto dove erano le persone da loro ritenute 'più pericolose', perché una volta liberate quelle gli altri avrebbero dovuto liberare le loro, cosa che non è accaduta; nel senso che dopo che io avevo liberato quelle che loro avevano definito le più pericolose, loro avevano ancora le persone definite 'meno pericolose' rinchiuse nei cortili e nelle stanze. Queste sono le ingiustizie fondamentali e non ci sarebbe bisogno di dire altro. I cittadini vengono presi con la forza su ipotesi di reato e questo già è un grande dramma; ma un cittadino che dice di essere Carlo Magno non ha commesso nessun reato, non ha fatto male a nessuno, ha diritto di dirlo, forse questo è ricco di significato: ma anche se non lo fosse, non deve essere preso e portato da qualche parte per farlo pensare in un altro modo. Questa è una cosa che non ha nessun senso!
Gli psicologi potranno continuare a scrivere libri, ma questa cosa continuerà a non avere senso, qualunque sia l'interpretazione psicologica che si dà delle persone. Questo è un problema di libertà del cittadino e di difesa dei suoi diritti, libertà di sentire, pensare e parlare come vuole. Ci son tanti modi di sentire e di parlare, tanti modi di pensare, tanti modi di esprimersi: c'è chi si esprime direttamente con un linguaggio che corrisponde magari a quello televisivo e chi si esprime invece in un modo più ricco di immaginazione e con un linguaggio che non è molto usato. Non importa, insomma: non si vede perché persone che sentono, pensano in un modo non convenzionale debbano essere prese con la forza per cercare di ridurle a pensare in un altro modo, utilizzando mezzi per cui la persona o viene uccisa, oppure continua a pensare quello che vuole. Ci sono persone che passano anni in manicomio, loro la pensano in un certo modo, ma gli psichiatri dicono che non va bene e cercano di cambiarlo; allora cominciano con l'elettroshock, l'insulina coma, la lobotomia e altri orrori (cioè mutilazioni alla persona) per convincere la persona a cambiare idea, ma questa non la cambia e finisce che questa persona muore.
Per quanto riguarda le mie testimonianze, cito una cosa sola: una donna, studentessa in medicina, era stata internata perché aveva dichiarato di credere nella telepatia. Io non so se la telepatia esiste o no, non me ne importa nulla. Ognuno ha diritto di credere quello che vuole. Nella cartella di questa donna c'era scritto all'inizio 'orientata nel tempo e nello spazio' (secondo il loro linguaggio), 'equilibrata', 'parla bene', 'risponde a tono alle domande'.
Si inizia il trattamento (chiamarla terapia implica il parlare di una malattia, ma cercare di far cambiare pensiero a uno non è una terapia, ricorda l'Inquisizione o la politica, non la medicina). Si cominciano sedute di elettroshock, sei alla settimana, festa alla domenica (forse perché non c'era quello che faceva l'elettroshock). Poiché con l'elettroshock non ha cambiato parere, perché dice di avere avuto esperienze di telepatia, allora fanno l'elettroshock e il coma insulinico. Coma significa mettere una persona in stato pre-mortale, uno va in coma perché in un incidente stradale ha preso un colpo forte alla testa, un coma significa che poi si muore, no?
Un coma insulinico significa dare l'insulina per abbassare la glicemia, lo zucchero nel sangue, finché il cervello e le altre cellule non sono più nutrite, e il cervello va in coma. Questo lo facevano tutte le settimane, sei sedute di elettroshock e coma insulinico ogni settimana, finché un giorno quando la donna si sveglia dicono che è confusa (e non le si può dare torto!). Questa è una storia, ci sono le cartelle, per chi vuole andarle a vedere a Imola; per evitare equivoci ho ripreso le cartelle e le ho anche pubblicate. Questa è una storia, ed è una storia che continua ancora...
Questa storia deve smettere! Noi non possiamo tollerare che un cittadino, chiunque sia, in qualunque modo pensi, qualunque sia il suo modo di sentire, che sia stravagante o meno, che sia un operaio o un imprenditore, chiunque sia, noi non tolleriamo che si corra continuamente il rischio (e lo corriamo) che un qualsiasi specialista con una sua idea astratta rapisca un cittadino e lo riduca nelle condizioni di cui ho parlato.
Non ho altro da aggiungere, vi ringrazio.

Trascrizione della registrazione audio a cura di cadicia(at)autistici.org

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Bud Powell, le guardie, gli psichiatri
by B. P. Monday, Oct. 09, 2006 at 7:26 PM mail:

Bud Powell, un genio del jazz, vittima della psichiatria

da wikipedia
Purtroppo già in quegli anni Powell soffriva di gravi disturbi mentali. Sembra che la sua instabilità derivasse da uno scontro avuto con la polizia nel 1945. Quell’anno Powell e Monk, entrambi ubriachi, vennero fermati una sera da alcuni poliziotti che dopo una risposta irriverente cominciarono a picchiare selvaggiamente Powell, il quale riportò un grave trauma cranico e da allora soffrì di violente emicranie, convulsioni ed amnesie e cadde nell’abuso di alcool. Nel 1947 la sua scontrosità e i suoi comportamenti instabili lo portarono al primo internamento in un ospedale psichiatrico dove fu sottoposto ad elettroshock e cure violente che ne minarono per sempre la salute.
Nonostante questi gravi problemi registrò tra il 1947 e il 1951 una serie di sessions per Blue Note, Verve e Roost durante le quali gettò le basi di uno stile pianistico moderno: e dal punto di vista solistico, importando e adattando i fraseggi tipici di Parker e Gillespie, e dal punto di vista dell’accompagnamento, utilizzando accordi scarni ed incisivi. Dance of the Infidels, Hallucinations, Un Poco Loco, Bouncing With Bud, Tempus Fugit testimoniano, oltre alla grandezza stilistico-esecutiva, anche un notevole talento compositivo.
Nel 1951 venne arrestato per possesso di marijuana ed in seguito reinternato per altri 11 mesi; venne poi trasferito in un altro ospedale fino al 1953. In quel periodo subì un nuovo trattamento a base di elettroshock che lo rese ancor più instabile e lo indebolì anche fisicamente. Riuscì ugualmente a suonare ad alti livelli per qualche tempo, prova ne è lo storico concerto alla Massey Hall in compagnia di Dizzy Gillespie, Max Roach, Charles Mingus e Charlie Parker. A partire dalla metà del decennio tuttavia i problemi di salute si fecero sempre più gravi e i risultati artistici risultarono sempre meno convincenti.
Nel 1959 Powell decise di trasferirsi a Parigi dove riuscì a recuperare un po’ di tranquillità e di ispirazione. Con Kenny Clarke e Pierre Michelot al contrabbasso registrò alcune sessions e ricominciòò ad esibirsi, ma nel 1963 si ammalò di tubercolosi e venne più volte ricoverato in ospedale. Nel 1964 tornò a New York per delle date al Birdland e vi rimase. Ormai la sua salute era definitivamente compromessa e il suo alcolismo ad uno stadio finale; continuò ad esibirsi, ma divenne presto semicieco ed incapace di muoversi.
Morì il 1 agosto 1966 a 42 anni.

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pensando a G.C.
by lo scemo del villaggio Tuesday, Oct. 17, 2006 at 5:47 PM mail:

La psichiatria è una malattia. Non c’è di più malsano della presunzione di capire la mente di una persona, credere nella chimica banale (quella farmaceutica) e costringere all'assunzione di palliativi per il dolore normale, comune, umano. E non c’è niente di più malsano dell'immagine di una società ordinata (dall'alto) e tutta uguale, banale, non reattiva, non solidale. Noi, donne e uomini, abbiamo forse il diritto di decidere della vita di qualcuno? Ciascuno di noi ha veramente tanta forza, intelligenza, accortezza, giustizia? E un'altro che decide per noi, perché dovremmo accettarlo? Perché se ci propongono una medicina per la paranoia dovremmo prenderla? Perché è un DOTTORE che ce la consiglia? Io sono paranoico, folle, stressato, odio e mi drogo. Scelgo io la mia medicina, tanto, una vale l'altra quando si tratta di curare la mente; e la scelgo volta per volta, chimica o no, se voglio, se mi conviene. E scelgo anche chi mi deve curare. Fantasie! Io non ho in mano la mia vita, da un giorno all'altro possono prendermi per pazzo (me come chiunque) e via... una vita in farmacia. Ho paura perché questa non è una fantasia.

LORO non vogliono che le persone si curino la mente da sole, che scelgano la loro cura e cioè la loro vita. Non dobbiamo nemmeno provarci, per questo a scuola ci insegnano ad obbedire ed in chiesa ci insegnano a credere a qualcosa che non c'è. E se qualcuno vende verdura senza permesso anziché lasciarsi morire, viene picchiato, sedato ed infine lasciato morire come avrebbe dovuto fare lui di sua spontanea volontà. Assurdo? Fantasie?
La logica del terrore statale: morte, galera o psicofarmaci per chi non si abbandona alla propria morte mentale, non si chiude in casa terrorizzato dal mondo e osa pensare di non essere uguale agli altri.

Cercare di vivere liberamente non è FOLLIA. I permessi, le marche da bollo, le licenze, le patenti, le leggi, le preghiere? E votare, delegare, iscriversi a sindacati, partiti, movimenti?

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basta ipocrisia
by La Tuesday, Oct. 17, 2006 at 7:02 PM mail:

la cosa sbagliata è pensare che dovremmo essere tutti mono-identitari e che controlliamo le nostre emozioni. la realtà , specie quella virtuale ci insegna che siamo tutti multiformi ( basta vedere l'uso di nickname), allora basta con l'ipocrisia in base a cui ci sono i normali ed i pazzi.
quanta gente parla da sola in casa, salvo poi indossare una maschera di normalità quando si esce fuori di casa?

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