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I SINDACATI NELL’EPOCA DELL’IMPERIALISMO: VERSO LA RINASCITA «EX NOVO»
by Partito Comunista Internazionale Friday, Oct. 20, 2006 at 1:50 AM mail: ic.party@wanadoo.fr

Da "COMUNISMO" - n. 10 - IL PARTITO DI FRONTE AI SINDACATI NELL’EPOCA DELL’IMPERIALISMO

INDICE

– Presentazione

– IMPORTANZA DELLA TATTICA
– PRIMA FASE: DIVIETO
– SECONDA FASE: TOLLERANZA
– IL MOVIMENTO COMUNISTA DI FRONTE AL PROBLEMA SINDACALE
– TERZA FASE: ASSOGGETTAMENTO
– IL BILANCIO DELLA SINISTRA COMUNISTA IN CAMPO SINDACALE NELL'IMMEDIATO SECONDO DOPOGUERRA SUL FILO ROSSO DEL MARXISMO RIVOLUZIONARIO
– SINDACATI ROSSI TRADIZIONALI IN ANTITESI AI SINDACATI TRICOLORE
– LA DINAMICA DELLA LOTTA SINDACALE NELL'EPOCA DELL'IMPERIALISMO
– LA TATTICA DEL PARTITO NEL PRIMO VENTENNIO DEL SECONDO DOPOGUERRA
– LE BATTAGLIE PIÙ SIGNIFICATIVE DEL PARTITO
– VERSO LA RINASCITA «EX NOVO»

– Appendice: Dal solco immutabile del marxismo rivoluzionario scaturisce la funzione dei comunisti nella lotta di classe del proletariato [sintesi] – Necessaria coerenza fra compiti storici e direttive immediate – L'opportunismo scopre sempre "nuove fasi" – L'unità teorico-pratica del partito non muta secondo la fase storica – La soluzione sta nel giusto equilibrio fra i compiti del partito – Controtesi: la buona tattica fa la buona organizzazione – Partito e azione di classe nella Sinistra come in Lenin – La Piramide: Partito, Soviet, Sindacati, Classe – Oggi: fuori e contro i sindacati di regime – Cooperare all'organizzazione e indirizzare la lotta che gli operai hanno già iniziato – Prevedere le forme, incoraggiarne l'apparizione – Nessuna contrapposizione fra compiti rivoluzionari e direzione della lotta sindacale – Cardini dell'intervento del partito nelle lotte – I Gruppi comunisti – Lenin: In certe organizzazioni, a certe condizioni – Il senso del nostro "spirito di partito" – La necessità dell'organizzazione economica di classe caposaldo programmatico del partito



VERSO LA RINASCITA «EX NOVO»

A scissione avvenuta, ripreso il cammino della lotta politica organizzata attorno alla nuova testata di giornale, il Partito proseguì nella riproposizione dei termini di dottrina della "questione sindacale" e nella attenta disamina degli atteggiamenti assunti dalla classe nelle sue lotte difensive e del percorso dei suoi organismi sindacali.

L'unificazione organizzativa in un unico sindacato di regime non si è verificata in senso organico, né ha ormai molto interesse sapere se e come avverrà. Non per questo si è arrestato il processo di ulteriore avvicinamento del bonzume tricolore di tutte le sfumature alle istituzioni e alle esigenze delle aziende capitalistiche e dello Stato che ne amministra gli interessi. Anzi è proseguito in questi ultimi anni con il consolidamento definitivo del metodo della delega, il rafforzamento dell'apparato burocratico dei sindacalisti di professione, che ormai si considerano funzionari al servizio dello Stato con regolare stipendio, l'attuazione di una poliziesca regolamentazione dello sciopero, la prassi ormai consolidata di chiudere ogni genere di vertenza contrattuale o aziendale con la supervisione dei ministri statali, in perfetto stile fascista, la cooptazione nel sindacato dei rappresentanti dei poliziotti, gli "scioperi-adunate" in favore di sgherri del regime colpiti da attentati terroristici, la denuncia di terrorismo e filo-terrorismo verso tutti gli operai combattivi, l'accettazione anche formale (quella sostanziale era sempre stata accettata) di postulati capitalistici classici quali il legame tra condizione operaia e guadagni delle imprese, la necessità dell'espulsione di forza-lavoro dalle fabbriche e dell'aumento dell'utilizzazione degli impianti e della produttività del lavoro di cui il sindacato stesso si è fatto garante, l'organizzazione aperta del crumiraggio di fronte a scioperi spontanei di gruppi di lavoratori agenti fuori dal rigido controllo sindacale.

La struttura sindacale si è sempre più irrigidita: chiusa agli operai, è sempre più in mano ai funzionari statali di carriera. Ciò ha reso ormai impraticabile la strada di una sua eventuale riconquista a una linea di classe che comunque, come abbiamo sempre ricordato, avrebbe potuto avvenire soltanto sull'onda di potenti lotte proletarie che sfasciassero tutta l'attuale struttura organizzativa. Il procedere della crisi fa progressivamente venire alla luce il tradimento dei capi sindacali. Questi, che negli anni del boom economico avevano potuto condurre una parvenza di difesa delle condizioni operaie, creando il più possibile differenziazioni salariali perché ciò corrispondeva alle esigenze dell'economia capitalistica, e ottenendo in questo risultati anche tangibili, specie per le aristocrazie operaie, si mostrano oggi apertamente refrattari verso qualsiasi esigenza operaia. Appare sempre più evidente ai proletari il contrasto tra le proprie necessità vitali, difesa del salario e del posto di lavoro, e l'atteggiamento apertamente rinunciatario e collaborazionista delle organizzazioni sindacali ufficiali di tutti i colori. Appare sempre più evidente che la difesa di queste necessità può esprimersi soltanto al di fuori e contro le strutture sindacali attuali.

In alcune categorie, gruppi di lavoratori tra i più sfruttati si sono mossi negli anni recenti per la prima volta in aperto contrasto con le direttive dei bonzi sindacali riuscendo anche a dar vita a notevoli scioperi e ad esprimere organismi in aperto contrasto con le strutture organizzative sindacali (ferrovieri '75, ospedalieri '78).

Dalla situazione che si è andata delineando in questi anni appare ormai chiaro non solo a noi, ma a strati operai sempre più vasti che nessuna seria difesa delle esigenze più elementari di vita e di lavoro è ormai possibile sotto la tutela delle attuali centrali sindacali e che nessuna azione di lotta condotta conseguentemente sul terreno di classe è possibile se non al di fuori della loro impalcatura organizzativa. Naturalmente per gli operai l'acquisizione di questa consapevolezza è un fatto istintivo e non significa automaticamente la possibilità di tradurla in azione attiva. Al di là di casi minori in aziende piccole e dunque di scarso rilievo questa presa di coscienza si esprime ormai da alcuni anni in un diffuso disinteresse verso la politica e l'operato dei sindacati ufficiali, sempre più contestati nelle assemblee di fabbrica, in cui peraltro si verificano massicce diserzioni, così come le sempre più rare proclamazioni di scioperi da parte dei sindacati trovano sempre meno adesione. La dinamica del passaggio da una diffusa apatia verso i sindacati e le loro azioni all'azione attiva sul terreno della lotta di classe indipendente dal sindacato di regime avrà uno svolgimento certo non lineare, contraddittorio, con passi avanti e ritorni indietro e non è escludibile a priori nemmeno che possa interessare localmente anche settori di base della struttura sindacale. Questo fenomeno avrà tuttavia sicuramente carattere di radicale violenza. Non potrà essere il risultato di un lungo lavoro "interno" di agitazione e di propaganda dei comunisti o degli operai più combattivi, ma si esprimerà come veri e propri episodi di scontro frontale tra le classi, che vedrà sicuramente tutta la struttura organizzativa delle attuali centrali sindacali schierata contro gli operai in lotta.

La lotta degli ospedalieri è stata emblematica sotto questo aspetto, tuttavia la stessa lotta dei 35 giorni della FIAT, stroncata dalla struttura del sindacato nel momento in cui stava finalmente per assumere le caratteristiche classiche della vera lotta di classe, non è certo stata meno significativa.

Nella prima, gli operai in lotta hanno espresso una direzione classista in antitesi all'organizzazione sindacale locale, che si è schierata frontalmente al movimento dello sciopero, riuscendo a stroncarlo e recuperarlo nel finale, dopo aver trattato e raggiunto un accordo con i rappresentanti dello Stato, e dopo essere stato riconosciuto da quest'ultimo come l'unico rappresentante ufficiale dei lavoratori in lotta, nello spirito di un vero e proprio sindacato di regime, anche se i suoi funzionari venivano cacciati e respinti dai lavoratori ogni volta che tentavano di far rientrare lo sciopero ad oltranza. Alla FIAT la lotta, pur nella sua spontaneità e decisione, non ha espresso una forma organizzativa contrapposta al bonzume ufficiale, che è riuscito a "cavalcare la tigre" agevolmente, fino al momento in cui lo sciopero si sarebbe trasformato in uno scontro aperto contro la polizia, decisa a stroncare i picchetti con la forza per ordine della magistratura.

La caratteristica propria di un sindacato di regime non è del resto quella di non saper dirigere uno sciopero classista – in questo senso ricordiamo come gli stessi sindacati fascisti, che pure erano addirittura sindacati di Stato, siano stati costretti, loro malgrado, a dirigere lotte classiste, sia pure per brevi periodi – ma quella di riuscire a condurle o ricondurle nell'ambito della compatibilità e tollerabilità economica, sociale e politica del regime borghese.

Al di là di questi due esempi di lotta che, unitamente a quelli dei ferrovieri del '75 e a quello dei lavoratori dell'aria del '79, sono i più significativi, non è da sottovalutare il fenomeno che, sempre più spesso, da lotte o da generici tentativi di organizzarsi per reagire al costante peggioramento delle proprie condizioni di vita, gruppi di lavoratori tendono ad organizzarsi indipendentemente dal sindacato e ad agire su basi genuinamente classiste.

Questi gruppi più o meno organizzati hanno spesso vita breve e tormentata e cadono, mancando loro un solido legame con spinte operaie di lotta estese e non episodiche, o sotto le grinfie della "sinistra sindacale" che li riconduce sotto il controllo dei bonzi, o in preda a posizioni settarie agitate dai gruppettari, che tendono a trasformarli in piccole conventicole politiche o ad agire senza tener conto del legame effettivo con gli altri lavoratori, e dunque su basi volontaristiche e avventuriste.

Tutta questa situazione, unita al crescente distacco tra sindacati e masse operaie (riferito anche e soprattutto agli iscritti di base, molti dei quali sono ancora tali per inerzia e apatia, grazie al fatto che per uscirne è necessaria la formale disdetta della delega aziendale al versamento della quota di iscrizione, fenomeno questo che comunque sta via via assumendo dimensioni non indifferenti), indica al Partito che l'alternativa tra conquista dei sindacati attuali e creazione ex-novo è definitivamente caduta e che la ripresa della lotta di classe non potrà che esprimere organizzazioni classiste "nuove", il cui sviluppo e potenziamento avverrà non all'interno delle strutture degli attuali sindacati, ma al di fuori di esse, anche se le vicende dell'oggi non permettono ancora di scorgere quali forme specifiche assumeranno.

La situazione attuale, mancando un movimento di lotta delle masse operaie indirizzato verso la costituzione organizzativa di una rete di organismi proletari alternativa ai sindacati ufficiali, non richiede e non consente una formulazione del tipo: fuori dai sindacati attuali, sabotiamo le loro lotte e costruiamo un'altra organizzazione sindacale. A questo proposito è importante riprendere il seguito del documento del '51 che traccia l'alternativa tra "conquista a legnate" e rinascita "ex-novo". Al punto b) si legge:

«Premesso il fatto della scarsa forza del partito, e fino a che questa non sia molto maggiore, il che non si sa se avverrà prima o dopo il risorgere di organizzazioni di classe non politiche a larghi effettivi, il partito non può e non deve proclamare il boicottaggio di sindacati, organi d'azienda e agitazioni operaie né, dove sia localmente in prevalenza di forze, usare in aperte agitazioni la parola del boicottaggio invitando a non votare (ci si riferisce ovviamente a votazioni di natura sindacale), non iscriversi al sindacato, non scioperare o simili. In senso positivo: nella maggioranza dei casi astensione pratica e non boicottaggio».

La posizione da tenere oggi può essere dedotta da questa osservazione. Da un punto di vista generale è nostro dovere prospettare ai proletari la necessità del risorgere degli organismi di classe e prospettare pure che ciò tenderà ad esprimersi fuori e contro gli attuali sindacati.

Da un punto di vista immediato questo significa indicare ai proletari la necessità di organizzarsi indipendentemente dai sindacati attuali, nella prospettiva della ricostruzione di una rete organizzativa classista, pur nella consapevolezza che questo processo non potrà che essere opera del proletariato stesso e che dunque fintanto che questo non si schieri sul terreno della lotta di classe in forma generalizzata e non episodica e su di esso abbia un'influenza non marginale il Partito, non può essere da noi avanzata nell'immediato nessuna indicazione di sabotaggio delle azioni attuali, per quanto queste siano indirizzate verso obbiettivi sempre più antioperai, a meno che ci si trovi di fronte ad una esplicita volontà di vasti strati di operai a ribellarsi attivamente a questo indirizzo, né parimenti può essere prospettato l'esplicito appello all'uscita dai sindacati tricolore, mancando oggi un riferimento organizzato alternativo tale da catalizzare la volontà d'azione dei lavoratori.

Cosa significa "lavorare fin da oggi nella prospettiva del risorgere ex-novo di una organizzazione economica classista"? Non può certo significare l'attesa passiva dei moti spontanei proletari, adagiandosi su una posizione che preveda, da un lato, sul piano della propaganda generale, l'indicazione della prospettiva del risorgere dei sindacati di classe, dall'altro, sul piano dell'azione pratica, l'attesa messianica del grande evento, verificatosi il quale ti Partito si porrà il problema di influenzare il movimento di classe nel frattempo risorto. Riprendendo il passo sopra citato, l'espressione "il che (l'estensione della forza del partito) non si sa se avverrà prima o dopo il risorgere di organizzazioni di classe non politiche a larghi effettivi", sta appunto ad indicare lo svolgersi dialettico e non meccanico di questo processo, in cui il rapporto tra sviluppo dei moti di classe e loro espressione organizzativa e influenza del Partito in essi è di reciproca interdipendenza e non a senso unico. In termini pratici questo significa che non può esserci contraddizione tra indicazione strategica di prospettiva data dal Partito in campo sindacale e sua azione pratica immediata. I militanti operai devono perciò lavorare per indirizzare e, quando le condizioni oggettive lo permettono, organizzare gli operai sul terreno di classe. In altre parole, come abbiamo altre volte messo in evidenza, il Partito ha il compito di aiutare concretamente, mettendo a disposizione le sue forze operaie, la tendenza dei proletari ad organizzarsi per la difesa dei propri interessi di classe, facendo tesoro, nell'azione immediata e nell'organizzazione, delle capacità direttive che loro possono derivare dal possesso del bagaglio storico delle passate esperienze di lotta proletaria che solo il Partito può possedere e, al tempo stesso, importando negli operai la coscienza della precarietà dell'azione di pura difesa economica e la necessità di abbracciare la prospettiva del programma rivoluzionario comunista per la definitiva soluzione storica della loro condizione di sfruttati. Il "dosaggio" dei due aspetti della questione, se cioè sia preferibile insistere maggiormente sul terreno più propriamente economico o svolgere interventi di più ampio respiro politico, sarà determinato dalla sensibilità che i militanti avranno nel saper cogliere le tendenze e le condizioni soggettive degli operai con cui si dovrà agire, il loro grado di coscienza classista, la loro reale propensione alla lotta, ecc., sensibilità e capacità che si potranno meglio acquisire e affinare con la progressiva abilitazione nell'intervento pratico.

Ogni intervento e azione diretti in questo senso devono avere come presupposto indispensabile la predisposizione, anche di esigue minoranze di proletari, a porsi realmente e seriamente sul terreno della lotta per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro, e le eventuali organizzazioni che ne possano scaturire devono essere permeate dalla tendenza a collegarsi costantemente con il resto dei lavoratori e ad agire secondo una linea d'azione che tenga conto realisticamente in ogni momento della consistenza di questo collegamento. In questo senso sono da respingere e combattere tendenze di spirito gruppettaro e politicantesco, spesso presenti in questi primi tentativi di organizzazione indipendente dai sindacati, che pretendono di dar vita a micro organismi sedicenti "proletari" ma in realtà avulsi da ogni contesto di lotta e di collegamento con la classe, microscopici sindacatini "rivoluzionari" che, se pure a volte proclamano rivendicazioni classiste corrette, si riducono ad essere piccole sette politiche escluse dal reale movimento di classe e continuamente dilaniate dai contrasti "ideologici" tra i gruppi politici che li compongono, apparenti pertanto agli occhi degli operai, anziché un riferimento classista di lotta, come un ennesimo gruppetto estremista.

La ricostruzione di un tessuto organizzativo economico classista non può essere il prodotto di alchimie ed esperimenti in provetta approntati da sedicenti "avanguardie politiche" più o meno consapevoli della necessità della lotta di difesa economica anticollaborazionista, ma il risultato di un vasto movimento proletario di classe nel quale il Partito non dovrà risparmiare energie per abilitarsi ad influenzarlo e a dirigerlo, movimento in cui sarà sicuramente nociva e fuorviante l'influenza di coloro che oggi pretendono di esserne i propulsori.

Altro punto da considerare è l'adesione al sindacato. Relativamente e conseguentemente alla situazione sopra descritta, noi comunisti propendiamo per la non iscrizione ai sindacati tricolore. Questo atteggiamento non deriva da considerazioni di principio, né da propensioni scissioniste in campo sindacale, sempre escluse e combattute dalla Sinistra Comunista, ma dalla semplice constatazione pratica che l'apparato sindacale tricolore, considerato nella sua struttura verticale di organizzazione è ormai, al vertice come nei suoi quadri di base, un organismo burocratizzato e impermeabile all'azione interna di una frazione operaia organizzata autonomamente sul terreno di classe, ma aderente alle strutture sindacali ufficiali, non fosse altro perché non esiste più una vita sindacale interna che permetta un benché minimo lavoro di penetrazione e di influenza nelle stesse strutture di base del sindacato. In queste condizioni, l'iscrizione al sindacato, anche a prescindere dall'aspetto della delega aziendale, non è più di alcuna utilità per avere maggior possibilità di lavoro tra gli aderenti di base, possibilità che resterebbe pari a quella verso i non iscritti e si risolverebbe semplicemente alla partecipazione al finanziamento di organismi completamente asserviti al regime capitalistico. Tuttavia, proprio perché questo atteggiamento non è motivato da considerazioni di principio, in eventuali situazioni particolari, più probabilmente riscontrabili nel campo della piccola azienda, ove la non iscrizione al sindacato di un nostro militante dovesse compromettere il suo lavoro nella lotta operaia, sarà affrontata dal partito la questione: perché solo al Partito e non al singolo militante spetta una decisione definitiva in situazioni del genere.

Per quanto riguarda le strutture di fabbrica direttamente elette dai lavoratori, i CdF e simili, la questione si pone in un'ottica diversa. Si tratta di organismi nella quasi totalità controllati dai sindacati; anzi, nelle grandi fabbriche, spesso sono vere strutture portanti di questi dentro la fabbrica, la cui gestione paritetica è in mano all'organizzazione esterna e la cui vita interna si svolge in modo spesso sclerotico e apatico, limitandosi ad avallare stancamente le decisioni degli esecutivi, a loro volta emanazione dell'apparato sindacale territoriale. Tuttavia sono pur sempre composti da delegati eletti da lavoratori e a diretto contatto con essi e dunque suscettibili di essere influenzati da avvenimenti che vedessero salire la tensione e la volontà di lotta. Inoltre, nelle piccole e medie aziende, dove in generale la morsa dell'opportunismo sindacale è meno stretta, spesso i Consigli dei Delegati godono di una certa autonomia e sono più facilmente permeabili a posizioni classiste. Per tutto questo non possiamo escludere a priori un lavoro di propaganda e agitazione al loro interno. In linea di massima, senza dunque anche qui escludere decisioni in senso contrario in casi particolari, siamo per il lavoro interno, alla condizione di essere eletti rappresentanti dai lavoratori che vedono nel militante eletto un operaio combattivo disposto a non transigere nella lotta contro il padronato e, per questo, a battersi contro il colossale ostacolo dell'opportunismo e del collaborazionismo sindacale. Ovviamente anche per questa questione non possiamo redigere casistiche con tanto di soluzioni pronte. Il caso di militanti operai eletti delegati andrà valutato con rigore dal Partito e ogni decisione dovrà tener conto delle circostanze e della situazione in cui l'elezione è avvenuta. In ogni caso l'atteggiamento del nostro militante dovrà essere improntato alla costante dissociazione pubblica di fronte ai lavoratori da ogni decisione del CdF che si discosti dalla reale difesa degli interessi di classe e da ogni iniziativa collaborazionista, aziendalistica, muoventesi nello spirito del "buon funzionamento della fabbrica" e del riconoscimento dei suoi problemi produttivi, oltre che, ovviamente, dovrà essere teso alla costante denuncia senza sotterfugi e mezzi termini dell'operato e degli accordi capestro conclusi dal CdF controllato dall'opportunismo.

Tuttavia è prevedibile che l'adesione di CdF o di frazioni di essi al processo che delineerà la ricomparsa di organismi economici proletari classisti, avrà anche essa carattere prevalentemente episodico e non generalizzato, per cui il Partito attribuisce molta più importanza al lavoro diretto tra i lavoratori e in particolare tra quegli strati più sfruttati e più colpiti dalle misure antioperaie dei governi borghesi e del padronato, e dunque più suscettibili alla lotta, nello sforzo di contribuire con le sue modestissime forze alla rinascita di un movimento di classe genuinamente proletario anticapitalista, libero dalle pastoie asfissianti dell'opportunismo, nella consapevolezza che la sua influenza potrà essere determinante a questo fine.

Non è più possibile infatti, nella fase imperialistica del capitalismo, l'esistenza di un "sindacalismo libero", cioè di organismi sindacali i quali, pur non essendo diretti da un indirizzo rivoluzionario, pur essendo nelle mani di partiti riformisti e piccolo-borghesi, possano condurre la lotta sul terreno economico in maniera conseguente. La lotta economica nell'epoca imperialistica si trasforma molto più rapidamente che per il passato in lotta politica, poiché il suo stesso manifestarsi e il suo generalizzarsi urta contro le basi stesse del regime capitalistico. Di conseguenza qualsiasi organismo sindacale viene immediatamente messo di fronte al problema dello Stato: o accetta di limitare la lotta proletaria nella "legalità" e con ciò stesso di restringerla e soffocarla a vantaggio della conservazione sociale, o trascende i limiti della legalità borghese e trapassa sul terreno rivoluzionario, il che significa allo stesso tempo estendere, potenziare e generalizzare la battaglia che il proletariato conduce in difesa delle proprie condizioni di vita. Questa situazione fa sì che tutti i partiti e tutti gli indirizzi politici che sono per la conservazione del regime siano allo stesso tempo nemici del manifestarsi ampio e conseguente della lotta economica proletaria e che solo il partito rivoluzionario di classe sia al tempo stesso il sostenitore più accanito di questa lotta. La funzione sindacale si completa e si integra solo quando alla testa degli organismi sindacali c'è il Partito politico di classe, dice la Piattaforma Politica del 1945, ed in effetti non esiste altra strada.

La deduzione da trarne non è certo che allora il sindacato non è più necessario e che la lotta sindacale non può più esistere. È un'altra e opposta: i proletari torneranno alla lotta per la difesa delle condizioni economiche e in essa ricostruiranno gli organismi adatti a questa difesa, i sindacati di classe; questi organismi, per definizione aperti a tutti i proletari, per definizione organizzanti la massa dei proletari su basi non di coscienza ma di necessità materiali, si troveranno posti dalla situazione stessa di fronte all'alternativa: o soggiacere di nuovo al controllo e all'influenza dello Stato, il che equivale al controllo e all'influenza dei partiti opportunisti, borghesi e piccolo-borghesi, o, viceversa, spostare la loro azione sul terreno della illegalità sottomettendosi all'unico indirizzo politico veramente illegale, quello del partito politico di classe. Nella nostra visione dunque l'esistenza dei sindacati di classe nell'epoca imperialistica ha un'importanza ancora maggiore di quella che poteva avere in epoche passate. Se nel passato fu possibile mantenere disgiunta la lotta del proletariato sul terreno economico dall'obbiettivo delle massime conquiste rivoluzionarie, e farne addirittura una remora contro di esse, questo non è più possibile nell'epoca imperialistica: qui il trapasso del sindacato di classe ai metodi e agli obiettivi difesi dal partito comunista deve avvenire sotto pena che gli organismi economici proletari perdano i loro stessi connotati di classe, cioè abdichino alla stessa funzione elementare per cui sono sorti.

All'interno degli organismi economici che la classe sarà costretta ad esprimere nel ritorno alla battaglia si combatterà la lotta tra tutti quelli che vorranno mantenerne l'azione nei limiti della legalità borghese, e con ciò stesso spegnerla e soffocarla, e l'indirizzo del Partito che, spingendo al potenziamento e alla generalizzazione della lotta difensiva proletaria, trascinerà con ciò stesso questi organismi sul terreno rivoluzionario.

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