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contributo ai lavori del sud-ribele dalla sardegna
by Responsabile rapporti internazionali Friday, Oct. 27, 2006 at 4:44 PM mail:

contributo ai lavori dalla sardegna

Cari compagni e care compagni,
ci spiace non poter essere presente alla vostra iniziativa ma purtroppo a quasi quattro mesi dall’operazione di polizia “Arcadia” siamo ancora sotto pesante attacco, ed ultimamente siamo riusciti a sventare il pericolo che i nostri compagni sequestrati venissero deportati in carceri speciali lontano dalla Sardegna e in regime di EIV (alta sorveglianza) o di 41bis così come prima di loro sono stati deportati altri tre comunisti sequestrati. Paolo, Ivano e Antonella, di cui uno ora si trova a Palmi. Fortunatamente la campagna sollevata ha fatto si che i “trasferimenti” (leggi politica della dispersione) fossero bloccati ma un nostro compagno, Salvatore Sechi, si trova ancora a Parma.
Siamo dunque in piena mobilitazione sul doppio fronte della corretta informazione e della solidarietà materiale a fronte delle ingenti spese legali che i nostri compagni prigionieri e tutti gli inquisiti dovranno affrontare. Anche per questo motivo abbiamo lanciato una campagna di sostegno e di solidarietà anche in Italia e la prima data è proprio il 28 a Firenze, mentre altre iniziative sono fissate a Torino, Milano e Pisa, altre ancora sono in progettazione a Viareggio, Livorno, Roma.
Il motivo particolare che riempie di senso la campagna che stiamo organizzando in Italia uno dei principali motivi per il quale avremmo voluto essere presenti alla vostra importante iniziativa, cioè quello di condividere con tutte le realtà impegnate nell’antagonismo politico e sociale la nostra esperienza di repressione e di resistenza, perché siamo convinti del fatto che il caso “Arcadia” non sia affatto un caso limitabile ai confini territoriali e politici della Sardegna. Certo la repressione colpisce in ogni luogo usando guanti diversi e sperimentando le maniere più opportune per disarticolare e annichilire tutte quelle esperienze politiche che si pongono in termini realmente antagonistici alle dinamiche della gestione del potere capitalistico. Ma il caso Sardegna ha avuto un significato ben definito nella lunga storia repressiva propria dello stato italiano perché, insieme ad altri significativi casi (a partire anche dal “Teorema di Cosenza” che costituisce un’altra pietra miliare del laboratorio repressivo di cui parlo), ha costituito un oggettivo avanzamento sia dal punto di vista tecnico, sia soprattutto dal punto di vista politico della pratica e della teoria repressiva. La repressione non è infatti un monolite incapace di leggere la realtà e funziona come un grande e flessibile laboratorio sempre all’opera. Può assumere forme più morbide oppure può sferrare attacchi micidiali e perfino adoperare le tecniche del terrorismo come la storia dello stato da cui noi siamo colonizzati dimostra ampiamente. Sempre però l’obbiettivo è quello di annichilire le forze progressive, i tentativi organizzativi più efficaci, le esperienze di base più avanzate, i dirigenti politici e sindacali meno disposti a farsi assorbire tramite mezzi normali al normale andamento della gestione borghese dei conflitti. L’operazione Arcadia ha dimostrato che in alcune occasioni lo stato conosce soltanto un modo per fare fronte ad alcune insorgenze politiche: la guerra diretta e assoluta, la mattanza, il fascismo senza maschera. Il nocciolo di questi attacchi consiste nel camuffare con terminologia e procedimenti giudiziari vere e proprie condanne politiche di movimenti politici; dietro accuse particolari quasi sempre prive di alcun fondamento e sorrette da un impianto accusatorio ridicolo e kafkiano, è malcelato l’intento profondamente politico di sbarazzarsi delle realtà impegnate a costruire casematte necessarie ad affrontare la guerra di posizione di cui parla Gramsci nei Quaderni dal carcere, cioè quel radicamento sociale, politico, culturale, economico necessario per affrontare con credibilità e forza la lotta politica contro le classi dominanti. Lo Stato attraverso l’uso politico dei suoi apparati giudiziari e polizieschi si preoccupa certosinamente di eliminare ogni opposizione politica in grado di lavorare fra le masse, proponendo una alternativa concreta allo stato di cose presenti. Questo discorso vale anche in una fase storica in cui il movimento rivoluzionario non dimostra capacità offensive e spesso dimostra anzi debolezze e frazionamento. Questo perché lo Stato e i circoli della borghesia che lo sostengono possiedono una lungimiranza e una lucida memoria storica, spesso purtroppo sottovalutata, e ha un ben vivo ricordo di quando le classi popolari hanno rivendicato il potere mettendo in discussione tutti i privilegi, gli ordinamenti, i presupposti stessi su cui la società borghese poggia. Da questo punto di vista ogni discorso sulle responsabilità attribuite a livello giudiziario di singoli episodi perde completamente ogni importanza e lo scontro si gioca tutto sul terreno politico.
Mi spiego calandomi nella realtà dei fatti accaduti l’11 luglio. La nostra organizzazione agisce pubblicamente essendo impegnata nella lotta contro l’occupazione militare NATO, americana ed italiana della Sardegna, siamo impegnati nelle battaglie per la difesa reale (quindi non formale, accademica, folklorica) della nostra lingua e della nostra cultura, i nostri militanti hanno sempre agito all’interno dei movimenti studenteschi, nel sindacalismo, lottando per difendere i diritti dei lavoratori, delle donne, delle masse popolari contro i soprusi e le prevaricazioni della borghesia compradora sarda, italiana ed internazionale. Abbiamo condotto lotte contro le concessioni minerarie da rapina, contro gli inceneritori, siamo stati presenti nelle lotte operaie e sempre abbiamo portato con umiltà ma determinazione le parole d’ordine che caratterizzano il nostro operare politico finalizzato alla liberazione nazionale e alla liberazione sociale della nostra gente, del Popolo Lavoratore Sardo. Abbiamo creato momenti di aggregazione primaria, concerti, lezioni di lingua sarda e di ballo tradizionale, abbiamo lavorato con artisti ed intellettuali per favorire e sostenere il rifiorire di una cultura autenticamente popolare e non mercificata. Abbiamo lavorato alla controinformazione e abbiamo stimolato dibattito tentando di portare in luce in ogni luogo la contraddizione della nazione sarda negata e oppressa. Tutto questo lo abbiamo fatto per opporre al Progetto Sardegna ideato e voluto dalla potenza coloniale italiana e dalla borghesia comprandora sarda, un progetto di Alternativa democratica, socialista ed autodeterminazionaista cucito sulla pelle dei bisogni del nostro popolo. Bene, qualcuno ha deciso di stroncare tutto questo in maniera definitiva costruendo una gigantesca ed instabile montatura con gli strumenti della falsificazione, della menzogna, dello spionaggio, della delazione. Questo qualcuno si chiama Giuseppe Pisanu, tutto l’apparato di magistratura, polizia e media suscitato e messo in moto per distruggerci, cosa che ha trovato una massiccia copertura ed approvazione (il ministro Amato si è addirittura complimentato per l’operazione) anche in larghissimi strati della neo-maggioranza di centro-sinistra. Ora possiamo rispondere alla domanda che abbiamo posto all’inizio, perché crediamo al valore generale di questa operazione e perché crediamo che tutte le componenti del movimento comunista e antagonista dovrebbero interessarsene. La polizia e i giornali hanno subito parlato di arresti fra le fila di militanti degli NPC (nuclei proletari comunisti) e di OIR (organizzazione indipendentista rivoluzionaria), due fra le tante sigle che in Sardegna hanno rivendicato una serie di attentati di basso potenziale non parlando neppure di noi, di A Manca pro s’Indipendentzia anche se l’obbiettivo politico eravamo noi. Ma nelle 300 pagine che motivano la custodia cautelare per i nostri prigionieri le cose appaiono diversamente perché si parla della nostra organizzazione come della copertura pubblica per il sottolivello clandestino ed eversivo. Si passa cioè dalla teoria del brodo di coltura all’applicazione del modello basco. Si passa cioè da una teoria (e conseguentemente una pratica) repressiva che vedeva in determinati ambienti (partiti, associazioni, circoli, collettivi, ecc..) un brodo di cultura ideologico e teorico consono o favorevole a determinate scelte eversive di gruppi o singoli individui, alla immediata e diretta identificazione fra attività eversiva e attività pubblica senza che gli acuti investigatori sentano neppure il bisogno di addurre uno straccio di prova, perché tutto si incardina su modelli di affinità ideologica, ovvero sul teorema che addirittura prima di iniziare le indagini e prima di dimostrare colpe e responsabilità individuali ha già deciso chi sono gli innocenti e chi sono i colpevoli.
Dal canto nostro abbiamo subito smascherato questa operazione accusando la magistratura di sferrare un attacco politico ad a Manca pro s’Indipendentzia, alla Sinistra Indipendentista ed anticolonialista e all’indipendentismo sardo in generale utilizzando strumentalmente pretesti di ordine giuridico e penale. Abbiamo rivendicato il percorso politico che costituisce la nostra esperienza e che i militanti arrestati sono militanti della nostra organizzazione, che non hanno alcuna doppia militanza rispetto a quello che è il livello di lotta politico, sindacale, culturale in cui sono impegnati e che sono totalmente estranei ai fatti loro contestati. Il livello politico dell’operazione è risaltato in tutta la sua evidenza quando un patriota prigioniero della nostra organizzazione ha dimostrato che all’epoca delle intercettazioni lui contestate era in vacanza in Tunisia con tanto di timbro delle autorità tunisine sul passaporto. Sebbene il compagno sia stato immediatamente liberato dal Tribunale del riesame, soltanto questo fatto avrebbe dovuto fare crollare come un castello di carte tutto l’impianto accusatorio evidentemente basato su procedimenti e deduzioni del tutto fragili e inconsistenti, se non vogliamo parlare di malafede spregiudicata e di contraffazione volontaria. Invece i nostri militanti sono ancora ostaggio dello stato italiano e fino a quando non ci sarà permesso di ottenere le intercettazioni i nostri avvocati non potranno neppure esercitare il diritto alla difesa. Ecco il motivo per cui non parliamo di persone detenute, bensì di sequestrati e di ostaggi.
Crediamo infine che l’avere reagito aprendo un livello largo e popolare nella risposta politica all’operazione “Arcadia” sia stato il migliore modo per dimostrare ai nostri aguzzini che il movimento della sinistra indipendentista sarda non può essere considerato un crimine perché affonda le sue profonde radici nel tessuto popolare della nostra gente, nella nostra storia e nella nostra cultura. E crediamo che lo stesso discorso valga per chi cerca di ghettizzare ed isolare le lotte politiche e sociali in ogni territorio appartenete allo stato italiano con l’illusione che i conflitti sociali da cui queste lotte prendono spunto possano essere risolti usando la spada invece che la politica. Se dovesse passare la validità del “teorema Pisanu” in Sardegna calerà una cappa di silenzio e terrore per chissà quanti anni, la gente avrà paura di parlare come ai tempi dell’OVRA e ogni ipotesi anche solo pallidamente contestatrice del modo in cui il colonialismo italiano gestisce la vita e la terra del Popolo Lavoratore Sardo, sarà resa impossibile e perciò riassorbita nel conformismo più gretto e in intelligente. Ma non solo, se dovesse passare questo teorema (od altri teoremi affini) e questa pratica dovesse perciò ricevere legittimazione e consenso nessuna realtà agente all’interno dei territori dominati dallo stato italiano potrà svolgere tranquillamente le proprie attività politiche e sociali minacciata dalla spada di Damocle dell’associazione sovversiva con finalità di terrorismo ed anche le anime candide che oggi dimostrano una certa indifferenza si troveranno a dovere affrontare la dura realtà di uno stato democratico nella forma ma fascistizzato nella sostanza.
Ma come detto questo è uno dei motivi essenziali per cui un confronto con le realtà del Meridione d’Italia è necessario. La repressione che ci ha colpiti presenta grosse analogie con il “Teorema di Cosenza” e le due lotte non possono e non devono rimanere slegate. Ma non possono e non devono rimanere slegate neppure le lotte che vengono condotte al sud con le lotte condotte in Sardegna. Se la nostra analisi ci porta ad individuare la “Questione Sarda” in maniera del tutto autonoma, anzi intresa come “polo autonomo di lotta di classe”, perciò non assimilabile alla “Questione Meridionale”, ciò non significa affatto che non dobbiamo aprire un confronto serio sui meccanismo coloniali e semicoloniali che storicamente hanno agito anche al Sud. La nostra prospettiva è quella di una sintesi superiore rispetto agli attuali ordinamenti statali italiani, una sintesi che parte oggi dal confronto e dallo scambio dei popoli del Mediterraneo con la prospettiva di disegnare i lineamenti di una Assemblea dei popoli del Mediterraneo la quale si opponga alle forzature e alla violenza dell’Europa dei padroni e dei banchieri. Siamo convinti che il popolo sardo e le popolazioni del meridione d’Italia dovranno trovare momenti per lavorare anche oltre la repressione e creare ponti di solidarietà e cooperazione per opporre una resistenza comune alle dinamiche di aggressione e di sfruttamento che hanno spesso tratti comuni.
Con questo breve contributo vi auguriamo un buon lavoro, sicuri del fatto che l’incontro che avete fissato per questo fine settimana costituisce un episodio molti importante e significativo nella lotta per un Sud fiero e ribello alla faccia di chi lo vorrebbe bastonato e mansueto e rimandiamo il confronto a quando potremo incontrarsi e socializzare le nostre diverse esperienze e i nostri progetti politici.

Cristiano Sabino
(responsabile rapporti internazionali di a Manca pro s’Indipendentzia)

http://www.comitato11luglio.net
http://www.manca-indipendentzia.org

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perché perchè? Friday, Nov. 03, 2006 at 9:15 AM
Squagliato bruno Saturday, Oct. 28, 2006 at 1:06 PM
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