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La condanna pubblica di Hugo Chavez ed altri svaghi dei ricchi, dei calunniatori e dei sem
by Daniel Patrick Welch Sunday, Nov. 05, 2006 at 9:03 PM mail: wpdanny@netzero.com

Si condanna pubblicamente solo per fare politica spicciola, per distogliere l'attenzione da fatti, problemi o questioni che altrimenti si sarebbe costretti a prendere in considerazione.

Sembrerebbe che Nancy Pelosi disponga di un tale eccesso di tempo libero, a fronte di ben poche altre questioni in cui impiegarlo, da ritenere opportuno riversarlo su Hugo Chavez a seguito dell'intervento di quest'ultimo alla sede dell'ONU di New York. La maggioranza dei lettori sarà senz'altro a conoscenza delle sferzanti provocazioni di Chavez all'indirizzo del "Diavolo" Bush e del suo commento relativo all'odore di zolfo che avrebbe aleggiato sul palco dopo l'ultimo discorso all'assemblea del titolare della superpotenza americana.

E' stata dunque questa trita figura retorica a suscitare le ire dei leader del Partito Democratico? Difficilmente potrebbero essere state le ben più sostanziali denunce contenute nel breve intervento di Chavez: come l'osservazione che il meccanismo antidemocratico del veto permanente in mano a pochi superpoteri corrompa irrimediabilmente la missione delle Nazioni Unite (Davvero! Ma che sfacciataggine!).

Oppure che il rifiuto del visto a numerosi membri dello staff di Chavez abbia il sapore di una rappresaglia politica decisamente inopportuna per un paese che ospita la sede di un'organizzazione internazionale (che imprudenza!).

No, si condanna pubblicamente solo per fare politica spicciola, per distogliere l'attenzione da fatti, problemi o questioni che altrimenti si sarebbe costretti a prendere in considerazione. Posare da oltraggiati fa gola; mentre il mondo brucia intorno a loro i leader del sistema e la macchina da guerra alimentata da entrambe le parti non trovano altro da dire e niente da offrire, né al loro popolo né ai cittadini del mondo.

Da tempo la condanna pubblica, il ripudio ed altre dichiarazioni inutili costituiscono un surrogato e una coltrina di fumo utili a riposizionare i bersagli giusti delle reazioni di oltraggio. A Nelson Mandela, in visita negli Stati Uniti mentre il regime dell'apartheid cominciava a sgretolarsi dopo una vita dedicata a combatterlo, venne chiesto di "ripudiare" Mohamar Khadafi e Fidel Castro. Erano circolate foto di abbracci ritenuti imbarazzanti che rendevano necessario tale "ripudio".

Mandela naturalmente rifiutò, vedendo l'assurdità palese nell'assogettarsi alle pressioni esercitate dai finanziatori di un tempo dei propri avversari per condannare chi aveva invece dato supporto alla propria lotta per decenni. I neri che dimostravano contro la guerra del Vietnam, chiamati ad assolvere il dovere patriottico di ammazzare comunisti e bambini dall'altra parte del pianeta, obiettavano pungenti: "Nessun vietcong mi ha mai chiamato 'negro'."

Eppure c'è una morale disturbante rappresentata in tutto ciò che ai nostri politici piace odiare e specialmente nella complicità della nostra cosidetta "opposizione" con le forze reali che colludono a una involuzione del progresso umano senza precedenti. C'è qualcosa che non ci convince in questo atteggiamento di oltraggio, nei confronti di crimini di guerra sia dell'attuale amministrazione che nel mondo, assunto da un partito che decise lo sganciamento dell'atomica su Hiroshima e Nagasaki.

Ed ancora più vuoto risuona il blaterare ipocrita sulle labbra degli eredi di uno dei genocidi più riusciti della storia della civiltà umana. Tre secoli di schiavitù, apartheid e terrorismo razzista hanno avuto fine (quasi) sotto la loro vigilanza.Ai democratici piace far proprie queste "lotte" e "vittorie" , dimenticando molto opportunamente non soltanto che quel razzismo è stato il principio fondatore di vaste correnti del proprio partito ma anche che il desiderio di rivendicare tali meriti è del tutto immeritato. Finché non fu dichiarata la fine ufficiale della segregazione razzista americana, anche i sostenitori più caldi al potere esitarono, indugiarono, mitigarono e consigliarono prudenza e pazienza agli oppressi, fino all'ultimo. Dei veri eroi.

Ed ora, malgrado sia storicamente dimostrato che sperare in un cambiamento che parta dai vertici sia un mero esercizio di futilità, i militanti del partito democratico sono quasi euforici alla prospettiva di ciò che ricaveranno dai prossimi due anni di farsa. Proviamo a guardare nella sfera di cristallo: I leader del Partito Democratico hanno più cose da dire su Hugo Chavez che sulle problematiche che cerca di sollevare.

Neanche l'opposizione ha quasi nulla da controbattere sull'aspetto principale della questione: l'incapacità pressoché totale della nostra società di trattare un qualsiasi problema reale causato da una macchina da guerra tanto colossale quanto controproducente. Una macchina talmente satura dei nostri soldi che le emorragie di miliardi di dollari che ne fuoriescono passano quasi inosservate, così costosa da far diventare lillipuziano, al confronto, qualsiasi altro budget di difesa sulla faccia della Terra.

Il governo è interamente paralizzato a tutti i livelli da questo ricatto indotto dalla paura, proprio nel momento in cui la quantità di denaro a sua disposizione non ha eguale al mondo. Una crisi, ovviamente, affrontata con il silenzio dagli "amici dell'altra parte dell'aula" di Bush. E con un pari supporto al massacro e alla colonizzazione in atto in Palestina, un'ingiustizia così palesemente vergognosa da destare persino nel letargico pubblico americano lo sdegno per tali atrocità.

Un milione di bombe a grappolo sono rimaste sul territorio libanese, un milione di piccoli ambasciatori portatori della verità che si cela nell'agenda statunitense in quella regione. Non esistono soluzioni marginali o proposte esitanti per problemi che reclamano a piena voce un cambiamento radicale. E tuttavia i Democratici, con rare eccezioni, al pari dei loro compagni di merende Repubblicani sono così avidi di capitali per le proprie lobby, così legati ad interessi diametralmente opposti ai nostri, così convinti della loro collusione con queste forze, così pieni di...insomma, di merda, ecco...da aspettarsi che noi crediamo che qualcosa di sostanzaziale cambierà quando andranno loro al potere. Ma se non non hanno nulla da dire adesso, avranno per qualche inatteso miracolo qualcosa da dire una volta che i codici a barre su tutte quelle bombe Made in USA ricondurranno direttamente ai cordoni delle loro borse? Non state col fiato sospeso.

© 2006 Daniel Patrick Welch.
Ristampa autorizzata con indicazione della fonte e del link http://danielpwelch.com.
Tr. di Susanna Como

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Welch vive e scrive nella città di Salem in Massachusetts (USA) con la moglie Julia Nambalirwa- Lugudde. Insieme gestiscono la Greenhouse School. Scrittore, cantante, linguista e attivista, è stato ospite di programmi radiofonici [intervista disponibile qui] ed è disponibile per altre interviste. I suoi precedenti articoli e le relative traduzioni sono reperibili sul sito danielpwelch.com. Aggiungete un link al sito di Daniel Welch sulla vostra pagina!

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