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GLI CI RIPROVANO IN KIRGHISTAN
by rivoluzionario/Stalinista Wednesday, Nov. 08, 2006 at 7:58 PM mail:

Ammazzateli tutti!! Prima ammazziamo tutti i filo-occidentali espressione dei neocon morenti, poi pensiamo alla corruzione. La fame dei contadini, i furti e la corruzione sono problemi seri, ma non saranno certo gli filo-occidentali a risolverli. Sterminate quei maiali senza pietà. Sparategli addosso.


Opposizioni filo-occidentali in piazza contro il governo, che mobilita esercito e picchiatori

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=6667
Opposizioni filo-occidentali in piazza contro il governo, che mobilita esercito e picchiatori.

Palazzi assediati dai manifestanti, scontri di piazza, blindati per le strade e spari sulla folla.
A meno di due anni dalla violenta “Rivoluzione dei tulipani” che rovesciò il regime kirghizo di Askar Akaev portando al potere il presidente Kurmanbek Bakiyev e il primo ministro Flix Kulov, a Bishkek torna a soffiare aria di rivolta. Una rivolta scatenata dalle forze d’opposizione guidate da Roza Otunbaeva (ex diplomatica occidentale sostenuta dagli Usa), le quali accusano il tandem Bakiyev-Kulov di aver tradito le aspirazioni democratiche (e occidentaliste) della rivoluzione del marzo 2005.
Una dinamica che ricorda gli sviluppi della crisi politica seguita alla “Rivoluzione arancione” ucraina, con i radicali che accusano la nuova classe dirigente di non aver fatto le riforme democratiche promesse al popolo durante la fase rivoluzionaria.

Proteste in “stile Soros”.
La scintilla che lo scorso 2 novembre ha portato in piazza le opposizioni del “Movimento per la Riforma” è stato il rifiuto del presidente Bakiyev di firmare una nuova Costituzione che limitava i poteri presidenziali aumentando quelli del parlamento. Per cinque giorni non ci sono stati incidenti. Migliaia e migliaia di manifestanti accampati in una tendopoli (segno distintivo delle proteste organizzate dai gruppi legati a George Soros) hanno chiesto le dimissioni di Bakiyev e Kulov, mentre la polizia stava a guardare da lontano e i deputati dell’opposizione, in seduta continua, cercavano voti in aula per approvare a maggioranza una nuova Costituzione parlamentarista.
Lunedì notte ci sono riusciti grazie ai voti di diversi parlamentari della maggioranza. Nonostante la non legalità dell’atto (ci voleva la maggioranza dei 2/3), Bakiyev e Kulov hanno capito che il gioco si stava facendo duro e non hanno perso tempo.

Blindati, scontri e feriti.
“Non posso restare spettatore di un’orgia simile”, ha dichiarato martedì mattina il presidente, minacciando di sciogliere il parlamento se le proteste dell’opposizione non cesseranno.
Il primo ministro, da parte sua, ha accusato le opposizioni di avere piani per occupare con la forza i palazzi del potere.
Intanto, da Osh, Jalalabad e altre città del sud (roccaforti delle forze governative) affluivano a Bishkek una cinquantina di autobus carichi di “sostenitori” di Bakiyev e Kulov. Si sono autodefiniti “Movimento per la Stabilità” (in risposta al “Movimento per la Riforma”). Tra di loro molti “miliziani del popolo”, le squadracce di lottatori di alysh, l’arte marziale kirghiza, chiamati dal governo a reprimere le proteste, come già accaduto nel giugno 2005. Con la scusa di impedire che i due gruppi venissero in contatto (cosa che pare sia comunque avvenuta) è intervenuta la polizia antisommossa con i blindati, che ha circondato piazza Alatoo iniziando a sparare sulla folla con lacrimogeni e proiettili di gomma. Decine i feriti, di cui almeno sei in gravissime condizioni, quattro con ferite da arma da fuoco. Il governo ha dichiarato che le froze dell'ordine non hanno sparato, ma che sono pronte a farlo in caso di necessità.


http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=2&ida=3&idt=&idart=1390
Il Kirghizistan, piccola repubblica centrasiatica situata tra le nevi perenni e i verdi pascoli del Tien-Shan, a ridosso della Cina, è sempre stato considerato un’isola di democrazia e stabilità politica nel mare dei regimi post-sovietici dell’Asia centrale. Il paffuto presidente Askar Akaev, al potere da quindici anni, ha sempre lasciato spazio alle forze d’opposizione e, nel quadro del Grande Gioco delle influenze internazionali sulla regione, ha sempre mantenuto una politica di equilibrio tra Russia e Stati Uniti ospitando basi militari di entrambi i paesi.
Ma in queste settimane le cose stanno cambiando. Akaev teme che i suoi oppositori stiano preparando in occasione delle elezioni parlamentari del 27 febbraio una riedizione della ‘rivoluzione arancione’ ucraina. Quindi è corso ai ripari, avviando una dura campagna di discredito e di attacco contro le forze di opposizione, addestrando le forze di polizia a disperdere ogni tentativo di manifestazione di piazza e sollecitando il sostegno politico del Cremlino.

Esclusa candidata dell’opposizione.
La prima mossa di Akaev è stata, il 7 gennaio, l’annullamento della candidatura dell’esponente più popolare dell’opposizione, la signora Roza Otunbaeva, ex diplomatica che ha rappresentato il suo paese negli Usa, Canada e Gran Bretagna. Il pretesto per la sua esclusione dalle elezioni è stata proprio la sua prolungata assenza dal paese (richiesto da una contestata legge creata ad hoc) . Il provvedimento, poi applicato anche ad altri ex diplomatici che si erano candidati con l’opposizione, ha scatenato un’ondata di proteste. E così, per le strade di Bishkek, sono apparsi striscioni, bandiere e fazzoletti gialli. Un colore troppo simile a quelli delle rivoluzioni ucraine e georgiane per non avvalorare i timori di Akaev, che sui giornali e le televisioni ha iniziato a lanciare minacce contro i “consulenti politici stranieri” che esportano “rivoluzioni di velluto preconfezionate” manipolando “provocatori di vario genere” che “non perseguono certo gli interessi nazionali del paese”.

Graffiti arancioni e intimidazioni.
Sui muri delle abitazioni degli attivisti dell’opposizione sono cominciate a comparire delle scritte fatte con vernice arancione: simboli del dollaro accanto ai nomi dei politici e frasi del tipo “Abbasso le opposizioni del dollaro arancione”, con riferimento ai finanziamenti che queste forze riceverebbero da governi e ong statunitensi, in particolare dalla fondazione del miliardario filantropo George Soros. Poi sono iniziate le diffamazioni personali via mail, la censura dei mezzi d'informazione indipendenti, le minacce e perfino le intimidazioni. Alcuni autisti personali di politici dell’opposizione sono stati arrestati e interrogati dalla polizia sui finanziamenti occidentali ai partiti d’opposizione. “I graffiti arancioni sono solo delle bravate e sugli arresti degli autisti apriremo delle inchieste”, ha commentato Bolot Januzakov, portavoce dell’amministrazione presidenziale. Non la pensa così Human Right Watch, che il 14 febbraio ha inviato al presidnete Akaev una formale e dura lettera di protesta sul clima di repressione pre-elettorale.

Polizia pronta alla repressione.
Un altro brutto segnale per l’opposizione è stata la notizia che, alla fine di gennaio, i ministeri degli Interni e della Difesa hanno organizzato un corso di addestramento per le forze di polizia kirghize allo scopo di prepararle a reprimere disordini di piazza durante una situazione di stato di emergenza. Una mossa accompagnata dalla pubblicazione sui mezzi di informazione nazionali di appelli governativi al popolo: “Noi siamo contro l’uso della forza da parte di minoranze radicali che vogliono così imporre i loro interessi creando instabilità, disorientamento e tensione sociale e politica”. Ma accompagnata sopratutto dalla presentazione in Parlamento di una nuova legoslazione sulle manifestazioni di piazza, che non potranno tenersi davanti ai palazzi del governo, non potranno trasfromarsi in presidi permanenti notturni e dovranno essere concordate con le autortà con almeno nove giorni di anticipo.

Per avere il sostegno di Mosca.
Sul piano internazionale Akaev ha cercato di guadagnarsi il sostegno politico di Mosca, poco incline ad esporsi dopo la cocente sconfitta subita dal suo uomo in Ucraina. Il Cremlino ha imposto ad Akaev una condizione chiara per fornirgli il suo appoggio: non consentire agli Usa di trasformare la base aerea di Ganci, vicino a Bishkek, in una base strategica permanente. Detto, fatto, l’11 febbraio Akaev ha annunciato che non verrà consentito agli Usa di dispiegare in Kirghizistan i suoi aerei-radar Awacs, come richiesto da Washington.

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=2&ida=&idt=&idart=1916
Voci da Bishkek
"Akaev era un ladro che ha affamato il suo paese. La gente lo ha sopportato anche troppo"

“Sono scappati tutti come ladri. Da ladri quali erano”, racconta da Bishkek Carlo Marcantoni, che vive e lavora da cinque anni in Kirghizistan. “Nemmeno i soldati e la polizia hanno difeso il presidente Akaev e i suoi compari, perché qui tutti lo odiavano: se la gente li avesse presi, avrebbero fatto la fine di Ceausescu. Tutti i kirghizi aspettavano questo giorno. Il giorno in cui si sarebbero liberati di un regime di farabutti mafiosi, una vera e propria oligarchia di ladri che per quindici anni si è arricchita lasciando questa povera gente nella miseria più nera, senza lavoro, senza speranze”.

Disoccupazione e stipendi da fame.
“Nelle campagne la gente fa la fame”, spiega Carlo. “Si arrangia con lavoretti o viene in città in cerca di lavoro. Ma il lavoro non c’è. E quel poco, è pagato un miseria: lo stipendio medio di un professionista, un professore, un medico, un ingegnere, non supera i 20 euro al mese! E tutto questo mentre Akaev, la sua famiglia e i suoi amici continuavano ad accumulare illegalmente enormi ricchezze. La gente ha sopportato per anni, e alla fine è esplosa. A far traboccare il vaso è stata la goccia delle elezioni: Akaev ha avuto la faccia tosta non solo di impedire la vittoria dell’opposizione, ma di far entrare in parlamento sua figlia e suo figlio, altri due soggetti che hanno preso tutto dal padre e che per questo la gente odia. Il figlio di Akaev, per esempio, qui controllava tutte le attività commerciali, dai distributori ai ristoranti: chi non pagava veniva punito con una bomba. Come la mafia. Io insegno italiano all’Università di Bishkek: vi assicuro che nelle ultime settimane i miei studenti non vedevano l’ora di scendere in piazza. Aspettavano solo un segnale”.

Dieci dollari per scendere in piazza.
Un altro italiano che vive e lavora da anni in Kirghizistan, ma che preferisce rimanere anonimo, da una versione un po’ diversa dei fatti. “Quello di Akaev era un governo di persone poco esperte, molto infantili nel loro modo di fare politica. Hanno gestito la cosa pubblica come una cosa loro, quasi un patrimonio di famiglia, approfittando del potere per arricchirsi. Ma i kirghizi, che sono rimasti nomadi nell’animo, gente semplice che non guarda al di là della propria tenda, hanno sopportato e avrebbero continuato a sopportare se non fossero stati mobilitati dall’opposizione, anche con il denaro. A scendere nelle piazze di Osh e di Jalal-Abad i giorni scorsi era stata la povera gente del sud, anziani delle campagne e giovani disoccupati delle città che campano solo a lipioshka e chai, pane e tè. Gente a cui i partiti dell’opposizione hanno offerto 500 som a testa (dieci euro) per andare a occupare i palazzi governativi: ovviante nessuno a rifiutato. Soldi, si dice, che arrivano dagli Stati Uniti. E qui a Bishkek, in piazza Ala-Too (Montagne Libere, ndr) è successa la stessa cosa, con l’aggiunta di giovani vandali che sono stati mandati avanti ad affrontare la polizia”.

Attenzione alla propaganda.
“Ma quali soldi! Quali americani!”, ribatte Carlo. “Gli unici soldi per cui la gente si è ribellata sono quelli che Akaev ha rubato al popolo in quindici anni di potere. Queste storie dei 500 som e del sostegno americano sono tutte favole della propaganda del governo, ripetute fino alla nausea nelle ultime settimane. Bisogna stare attenti a non bersi tutto. La propaganda di Akaev è stata così rigida che in questi giorni la tv di Stato non ha mostrato nemmeno un’immagine dei fatti di Osh e Jalal-Abad: per sapere qualcosa dovevamo guardare la Bbc o la Cnn! Per questo i manifestanti hanno occupato subito anche la sede della televisione. Gli americani? Sono sicuramente contenti della cacciata di Akaev e avendo fiutato il vento del cambiamento si saranno sicuramente mossi in qualche modo. Ma da qui a dire che hanno organizzato tutto loro ce ne passa. Con questo non voglio dire che quelli dell’opposizione siano dei santi: so solo che Kurmanbek Bakiev e Roza Otumbayeva sono due brave persone. Ora vedremo cosa faranno una volta arrivati al potere”.


http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=2&ida=&idt=&idart=5398
Il Kirghizistan tradisce gli Usa
Bakiev, sempre più filo-russo, vuol chiudere la base di Manas. Washington non rimane a guardare

Dopo essere stati cacciati dall’Uzbekistan con la chiusura forzata della base di Karshi-Khanabad, gli Stati Uniti rischiano ora di perdere la loro ultima – e per questo importantissima – base militare in Asia centrale, quella di Manas in Kirghizistan. Il mafioso regime kirghizo di Kurmanbek Bakiev, salito al potere a Bishkek poco più di un anno fa con la ‘Rivoluzione dei Tulipani’ (sponsorizzata da Washington in funzione anti-russa), è infatti rapidamente tornato nell’orbita di Mosca, decisa – assieme a Pechino – a cancellare la presenza Usa in Asia centrale. Gli Usa corrono ai ripari, organizzando una nuova opposizione kirghiza filoamericana per rovesciare il ‘traditore’ Bakiev.

Affitto centuplicato.
Dopo mesi di consultazioni con Mosca e di tensioni con Washington, il 19 aprile Bakiev ha lanciato il suo ultimatum agli Stati Uniti: “O entro il primo giugno accettate l’aumento di affitto che abbiamo deciso, o saremo costretti a rivedere gli accordi bilaterali del 4 dicembre 2001, con i quali vi abbiamo concesso l’utilizzo della base di Manas”. Finora per la base ‘Ganci’ (intitolata al comandante dei vigili del fuoco di New York morto l’11 settembre 2001) il Pentagono pagava a Bishkek un affitto di 2 milioni di dollari. Ora Bakiev chiede 200 milioni di dollari (pari al bilancio statale del Kirghizistan): una richiesta fatta per essere rifiutata e avere così un pretesto per far sloggiare gli americani. Per la gioia di Mosca – che in cambio ha promesso a Bakiev un miliardo di dollari in investimenti e pieno sostegno politico in caso di nuove rivoluzioni ‘made in Usa’ – e della Cina, che non gradisce avere la flotta aerea americana parcheggiata a due passi dalle sue rampe di missili nucleari nello Xinjiang. Per inciso: Mosca non paga un rublo d’affitto a Bishkek per la base militare russa di Kant, in quanto struttura comune del Trattato di Sicurezza Collettiva della Csi.

La strategia della Sco.
La scadenza del primo giugno non è stata scelta a caso. Due settimane dopo, il 15 giugno, a Pechino si terrà il vertice dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (Sco), la Nato dell’Est, la sempre più potente e agguerrita alleanza politico-militare tra Russia, Cina e Asia centrale (e presto anche Iran…) che dall’anno scorso si è esplicitamente proposta come blocco antagonista all’espansione dell’influenza Usa sugli Stati ex sovietici, sulle loro basi militari e sui loro enormi giacimenti di petrolio e gas. Fu proprio dal summit Sco del giugno 2005 che venne la prima richiesta di chiusura delle basi Usa in Asia centrale, seguita dall’effettiva chiusura della base di Karshi-Khanabad, in Uzbekistan. Facile immaginare che al vertice di Pechino la richiesta verrà reiterata, stavolta in riferimento alla base di Manas, in Kirghiszistan: l’ultima. Per Washington sarebbe un bruttissimo colpo, perché significherebbe il fallimento definitivo della strategia di espansione in Asia centrale, iniziata con l’intervento in Afghanistan del 2001.

Le contromosse degli Usa.
A Washington hanno capito da mesi che aria tirava e quale fosse la soluzione: abbattere il regime di Kurmanbek Bakiev, presunto alleato passato al nemico. Così gli Stati Uniti hanno iniziato a seminare zizzania tra Bakiev e il suo primo ministro Felix Kulov, ma soprattutto, a gennaio, hanno promosso la formazione di un nuovo blocco d’opposizione anti-Bakiev e filo-occidentale, la Coalizione Popolare delle Forze Democratiche (Cpfd), formata da 25 partiti (tra cui quello di Kulov…) e 9 Ong finanziate dagli Stati Uniti. Questa forza ha già organizzato diverse manifestazioni di protesta (le principali l’8 e il 29 aprile), chiedendo le dimissioni di Bakiev per aver tradito le promesse della ‘Rivoluzione dei Tulipani’ in tema di riforme economiche e lotta alla criminalità mafiosa. La prossima manifestazione è stata programmata per il 27 maggio, alla vigilia della scadenza dell’ultimatum sulla base Usa. L’11 aprile, il neo Sottosegretario di Stato Usa per gli affari centroasiatici, Richard Boucher, si è incontrato a Bishkek con Edil Baislaov, uno dei maggiori leader della Cpfd, che gli ha detto: “La Rivoluzione dei Tulipani è stata tradita, Bakiev ci ha presi tutti in giro e ora le cose vanno peggio di prima e la criminalità è sempre più forte”. Il giorno dopo Baislaov è stato assalito davanti a casa sua da un uomo che ha provato a fracassargli la testa con una spranga. Ora è in ospedale, vivo per miracolo.

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