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CGIL - Perché sui call center si contraddice il Congresso
by dal manifesto Thursday, Nov. 23, 2006 at 12:20 PM mail:

Il nodo sta nella figura del collaboratore: per la tesi 5 deve essere parificato al dipendente. Ma l'«avviso comune» dice no.

L'approvazione da parte del direttivo Cgil dell'avviso comune sui call center porterebbe a una grave contraddizione con le tesi approvate al Congresso di Rimini, nel marzo scorso, con un'ampia maggioranza. E' vero che il Direttivo rappresenta il «parlamento» della Confederazione, ed è dunque il luogo della «sovranità delegata», ma a questo punto si dovrebbe capire come si rapportano quei risultati ante-elezioni con una sorta di successivo «effetto Prodi»: il sindacato, contrario nel marzo 2006 (vedi documenti congressuali) alla legge 30 ed esplicitamente favorevole alla sua cancellazione, nel momento in cui viene emessa dal governo dell'Unione una circolare applicativa della stessa «Biagi» (giugno 2006, circolare del ministero del lavoro sui call center), accetta di recepirne una parte, traducendola nell'«avviso comune» siglato con le imprese il 5 ottobre. In particolare, si accetta l'uso dei contratti a progetto per lavoratori che a tutti gli effetti sono «economicamente dipendenti», pur lavorando in outbound (cioè fanno le telefonate anziché riceverle): seppure possano essere più liberi nella auto-gestione dei tempi, infatti, gli addetti alle telefonate in uscita sono comunque subordinati a un'organizzazione del lavoro e a un risultato decisi dall'impresa. Concetto che rappresenta il nucleo delle tesi approvate al Congresso Cgil, e che il giuslavorista Nanni Alleva definisce «dipendenza socio-economica» (Alleva è anche autore delle proposte di legge Cgil votate nel 2002 da 5 milioni di cittadini, confluite poi nelle tesi congressuali).
Riassumiamo: se in marzo la Cgil fa proprio quel concetto di dipendenza, auspicando una riscrittura del lavoro che estenda ai parasubordinati quel corpus di diritti oggi riservati ai subordinati, in ottobre si accetta invece che vi possano essere lavoratori «economicamente dipendenti» di serie A (gli inbound, in ricezione telefonate, cui è riconosciuto il contratto di subordinati, con le garanzie annesse) ed «economicamente dipendenti» di serie B (gli outbound, cocoprò: compenso libero, contributi nettamente inferiori, niente ferie, minori diritti su malattia e maternità, niente giusta causa).
Analizziamo i documenti. Fondamentale è la tesi 5 del Congresso, dal titolo «Un'occupazione solida e stabile». La Cgil propone un «nuovo patto di cittadinanza»: «Un patto - è scritto al punto 1.4 - che abbia come cardine il nuovo concetto di "lavoro economicamente dipendente", con la conseguente estensione dei diritti (e dei costi) attribuiti oggi al lavoro subordinato a tutte le fattispecie economicamente dipendenti dall'impresa (a partire dalle collaborazioni), concetto alla base delle proposte di legge d'iniziativa popolare su cui la Cgil ha raccolto 5 milioni di firme». Testo più che esplicito: sono pure citate le collaborazioni. Ancora, al punto 2.1 si dice che «si deve ribaltare l'intera filosofia della legge 30»; e che «questo significa per noi cancellare la legge 30 e sostituirla con un sistema di norme e diritti complessivamente alternativo, partendo dalle nostre proposte». A fine congresso, a grandissima maggioranza, viene approvato il documento conclusivo, e lì viene scritto: «Combattere la precarietà per la Cgil vuol dire cancellare la legge 30, ma soprattutto: dare nuova centralità al contratto a tempo indeterminato; ripensare in profondità il mercato del lavoro attraverso l'estensione del concetto di lavoratore economicamente dipendente con una modifica dello stesso codice civile». Anche qui è chiarissimo. Ma poi, il 5 ottobre, l'avviso comune sui call center improvvisamente «resuscita» la dignità del contratto cocoprò, scrivendo che «per le attività di outbound il ricorso al lavoro a progetto è consentito in coerenza con quanto previsto nella circolare ministeriale 17 del giugno 2006».

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