Morti Bianche
Ai funerali di Emile Zòla, che si svolsero nel 1902 al cimitero di Montmatre a Parigi, partecipò una delegazione di minatori proveniente da Denain, cittadina del distretto minerario del nord della Francia. La delegazione accompagnò il feretro scandendo in coro <<Germinal, Germinal>>, rendendo così omaggio al suo romanzo-testimonianza sulle condizioni di sfruttamento dei minatori di carbone nella seconda metà dell’800. Per scriverlo Zòla si era documentato di persona, scendendo nel fondo delle miniere e visitando i villaggi minerari francesi. Da allora la parola “Germinal” è diventata il simbolo della denuncia delle condizioni di vita, di lavoro, di rischio dei minatori. La parola fu scelta con riferimento a un episodio di protesta e di lotta delle masse parigine durante la Grande Rivoluzione, avvenuto il 12 Germinale dell’anno III (1795). Quasi un secolo e mezzo è passato dalla denuncia di Zòla, ma per molti lavoratori le condizioni di molte miniere, campi e cantieri, la sua denuncia è sempre attuale. Oggi la tragedia di quattro operai morti. Ultimo anello di una catena che miete migliaia di vittime l’anno solo in Italia. Ed è davvero incomprensibile il perché la nazione, sotto la strombazzante cassa di risonanza dei media, si stringa sempre (ed anche giustamente) attorno ai propri militari caduti, e ciò non avvenga anche quando muore un operaio. Peraltro credo che sia più normale restare feriti in guerra piuttosto che morire in fabbrica. Eppure le morti, le ustioni gravi, i ferimenti che sono luoghi comuni nei cantieri italiani continuano nel silenzio delle istituzioni. Se uno va in fabbrica, per mille euro al mese, e perde una gamba o addirittura perde la vita perché gli impianti non sono sicuri, DEVE diventare un caso nazionale. Ma non lo diventa. Perché?
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