Vorrei brevemente, e senza eccessiva malizia, raccontarvi la storia di un mio vecchio amico, e poi polemizzare con un altro mio amico più recente. I nomi di queste due persone sono da un po’ di tempo alla ribalta della cronaca: il giudice Paolo Giovagnoli di Bologna e Marco Travaglio. Cominciamo con la polemica, che è con Marco Travaglio. Giornalista di grande bravura, arguto, pieno di informazioni, forte di una memoria d’acciaio, polemista di notevoli capacità (maturate alla scuola pungente e molto aggressiva di Indro Montanelli) ma - da sempre (come del resto il suo maestro) - di idee alquanto reazionarie. Travaglio è un liberale di stampo asburgico. Ed è un personaggio un po’ originale, non per le sue posizioni - che io trovo quasi abominevoli, lo dico con affetto, e tuttavia sono legittimissime e molto lineari - ma perché gli scherzi della vita lo hanno collocato, nella geografia della politica e della intellettualità italiana in un luogo a lui del tutto inadatto: a sinistra. Da diversi anni Marco è diventato quasi un idolo di un “pezzo” di sinistra italiana, ed è stato leader indiscusso del cosiddetto movimento dei “girotondi”, e cioè anche di ragazzetti - orrore, orrore - che indossavano magliette col volto di Che Guevara o che portavano al collo la kefiah di Arafat. Eppure lui, onestamente, non lo ha mai negato: «Sono di destra - dice spesso -, lo giuro, sono di destra». Come è successo questo fraintendimento? Colpa di Berlusconi. Travaglio, liberale e asburgico, è molto legalitario, e non sopporta l’illegalismo berlusconiano. Questo ha spinto tutti all’equivoco. Ma Travaglio non ce l’ha mai avuta con Berlusconi - come succede a noi - perché Berlusconi è ricco e reazionario: ce l’ha avuta e ce l’ha con Berlusconi, e non lo molla di un centimetro, perchè Berlusconi gabba la legge. E se la legge la gabba un poveretto, un bimbo rom, uno studente ribelle, o una nonna povera, per Travaglio (un po’ come per Cofferati) è esattamente la stessa cosa. E grida: «In prigione, in prigione...». Ieri, in un’intervista al Corriere della Sera, Marco si è indignato per le proteste avanzate della sinistra bolognese contro il giudice Giovagnoli, cioè quello che ha incriminato per eversione alcuni studenti che si erano autoridotti il costo del pranzo alla mensa universitaria. E’ inammissibile - ha detto Travaglio-: «la legge è legge, deve essere uguale per tutti, per Previti e per gli studenti». Non si possono fare favoritismi. E’ una protesta curiosa: Travaglio saprà - perché, appunto, ha un archivio molto ricco - che le carceri sono strapiene di poveracci, specialmente di giovanetti e di migranti, e sono quasi prive di ospiti altolocati - avvocati, medici o ricconi - se si fa l’eccezione del povero Ricucci. E dunque la sua polemica è un po’ stonata: stia tranquillo, perché è raro che la magistratura chiuda un occhio a favore del disgraziato per accanirsi sul potente. E’ raro, è molto raro. Ma chi è questo giudice Giovagnoli che sospetta che quei ragazzi di Bologna volessero sovvertire le istituzioni e prendere illegittimamente il potere (eversione, se ho capito bene, più o meno vuol dire questo...)? Lo conosco Giovagnoli, e tanti anni fa eravamo amici, andavamo all’università insieme, spesso anche a prendere la pizza (a San Lorenzo, a Roma, costava 500 lire, compresa la birra), e militavamo nella sezione universitaria del Pci. Ci occupammo, qualche volta, anche della mensa universitaria, che si trovava alla casa dello studente, a via de Lollis, e dove il pasto completo costava 300 lire. Mi ricordo che una volta, insieme, e insieme a molti altri compagni della sezione, bloccammo la mensa e imponemmo il prezzo politico di 100 lire. Arrivò la polizia, ci fu un po’ di bordello. Non vorrei adesso avere messo nei guai Paolo, con questo racconto, che è quasi una confessione. E non vorrei neanche avere messo nei guai me stesso. Però sono passati quasi tret’anni, e io penso che - specie dopo la legge Cirielli - sia scattata la prescrizione. Ammenochè - mi viene improvvisamente il sospetto - un reato grave come quello di eversione non sia escluso dai benefici della prescrizione. Se è così ho fatto un bel guaio...
Polemiche in città dopo la richiesta del Prc di una riflessione pubblica sulla libertà di movimento, dopo l’ennesimo ricorso di un pm all’aggravante di eversione contro 9 studenti che si sono autoridotti la mensa. Bologna, assedio al Prc. Cofferati, ulivo e destre fanno quadrato attorno alla Procura Checchino Antonini Una domanda si aggira per Bologna: è giusto appiccicare l’aggravante di eversione - inventata (e già allora discutibilissima) da Cossiga 35 anni fa - a 9 universitari che si sono autoridotti la mensa? E’ la quinta volta che la Procura all’ombra delle Due Torri la contesta per reati «“bagattellari”, di nessun allarme sociale», ricorda a Liberazione Marina Prosperi, dei Giuristi democratici. Quella di eversione dell’ordine democratico è un’«aggravante generica - continua la giurista - può essere cucita su qualsiasi reato, ne aumenta la pena della metà e impedisce il conteggio delle attenuanti». La “nostalgia” per le leggi speciali, finora, ha investito precari che protestavano contro il caro-cinema, studenti “no-copyright” e perfino i 40 bolognesi che si precipitarono sui binari della stazione, tra la simpatia generale di passeggeri e ferrovieri, la sera che scoppiò la guerra in Iraq. Quella “nostalgia” è «l’anomalia bolognese», di cui prendono atto convegni di penalisti (il più recente s’è svolto a Roma, promosso da Magistratura democratica col titolo “Verso un diritto penale del nemico? ”). Ma se si prova a formulare dubbi sotto le Due Torri, apriti cielo. Così, dopo una conferenza stampa con cui Rifondazione poneva all’Unione il problema di una riflessione pubblica sulla libertà di movimento ha innescato, da tre giorni, le reazioni scomposte contro un inesistente attacco alla magistratura. Cofferati preannuncia un nuovo sermone sulla legalità dal palco del primo maggio. Sguazza Forza Italia e il Carlino mette in campo una sua grande firma per accusare il Prc di ignoranza e disprezzo per le istituzioni. Claudio Merighi, capogruppo ds a Palazzo D’Accursio, dirà più o meno che Giovagnoli, il pm in questione, non si tocca perché è quello che ha sbattuto dentro gli assassini di Biagi e gli anarcoinsurrezionalisti. Film già visto nei plumbei Seventies, che lotta armata e proteste alla luce del sole pari sono. Gli risponde con una lettera aperta il mediattivista Marco Trotta: «Pensare che è un problema Prc-Procura elude la questione di fondo. Le istanze dei movimenti sono collegate a bisogni reali. Ma per ascoltarle ci vuole un dibattito serio in città che forse sarebbe maggiormente favorito da ben altra attenzione dei media e delle persone che come te hanno un ruolo istituzionale». La polemica cittadina e quella nazionale contro il prossimo governo si intrecciano. A questo punto il procuratore generale rivendica tutto sorvolando sulla sonora bocciatura del teorema inflitta dalla Cassazione che ha già depennato l’aggravante ai tre disobbedienti arrestati per l’occupazione di un negozio vuoto dove volevano aprire una copisteria gratuita. Era la primavera 2005 e il Riesame li tirò fuori di galera perché non trovò particolari problemi per l’assetto democratico e costituzionale, condizione che avrebbe fatto scattare l’aggravante. Però, chi firmò il rilascio, il magistrato Mancuso, ora è assessore comunale e sembra non essere più così attento. Ribadisce Tiziano Loreti, segretario provinciale Prc: «Mai stata in discussione l’autonomia della magistratura e il principio della separazione dei poteri. Ma sono in gioco gli spazi di agibilità delle lotte. Ci faremo promotori di un’iniziativa pubblica su temi così importanti e, in quell’occasione, chiederemo l’abrogazione delle leggi speciali». Quanto a Biagi, «chi l’ha ucciso, ha anche impedito di confrontarci con lui. Fu un attentato contro i movimenti». Intanto, la querelle si ripercuote su un ordine del giorno di solidarietà coi 40 “eversori” pacifisti. Il documento, presentato da Sergio Spina, Prc, passa senza problemi in Provincia ma irrita Cofferati che giura: «A Palazzo D’Accursio non accadrà». Così, Valerio Monteventi, consigliere comunale eletto col Prc, deve impuntarsi perché quell’Odg riappaia, giovedì, nel calendario del consiglio. Ma stavolta quercia e margherita, con sporadiche eccezioni della sinistra ds, si accodano alla Casa delle libertà e trovano non degna di appoggio la protesta contro i massacri iracheni.
Nelle sale italiane il documentario che racconta l’attività decennale dell’American Ballroom Theater, l’associazione che promuove corsi gratuiti di danza nelle scuole pubbliche e nei quartieri dell’immigrazione “Siamo tutti in ballo!” nei ghetti di New York Federico Raponi E’ piacevolmente sorprendente che nel cuore dell’Impero USA, patria trainante delle privatizzazioni dei diritti e dei servizi, si manifestino piccoli ma importanti segnali di controtendenza. Citiamo in proposito un nobile progetto, quello dell’organizzazione no profit American Ballroom Theater, che promuove corsi gratuiti di danza (merengue, rumba, tango, foxtrot, swing) nelle scuole pubbliche di New York. Iniziata nel 1994, l’attività dell’Abt ora coinvolge una sessantina di istituti. La scrittrice, giornalista e pittrice Amy Sewell dedicò a quest’esperienza un articolo su un giornale locale e poi, entusiasta, per valorizzarla in una testimonianza più articolata ha coinvolto l’amica Marilyn Agrelo (autrice di spot, produttrice di film indipendenti e organizzatrice di raccolte di fondi umanitari). Le due - l’una in veste di co-produttrice e sceneggiatrice, l’altra al debutto registico nel lungometraggio - si sono focalizzate su tre scuole, delle venti visitate: la multiculturale 150 di Tribeca, la 115 di Washington Heights, quartiere d’immigrazione dalla Repubblica Dominicana in cui il tasso di povertà raggiunge il 97%, la 112 di Bensonhurst, Brooklyn, zona dove la popolazione è per metà d’origine italiana e per metà di provenienza asiatica. Il lavoro si è strutturato in interviste al corpo insegnante, ai protagonisti - età media 11 anni - ripresi in gruppetti, con la maggiorparte delle riprese riservate ai momenti di lezione e vita sociale, fino al gran giorno della gara finale. Il risultato, sintesi di 150 ore di girato, è un pluripremiato documentario, apprezzato proprio negli States (miglior film ai festival di Philadelphia, Cleveland, Chicago), e da ieri anche nelle sale italiane, con il titolo di Siamo tutti in ballo! . Nel film ascoltiamo i piccoli aprirsi, confidare che spesso i genitori non si occupano di loro, le femmine in particolare raccontano della paura provata quando tornano a casa la sera con «gli ubriachi che ti guardano strano», o sperano, da grandi, in un fidanzato istruito, rispettoso, «che non venda droga». Non mancano momenti comici, a proposito dei matrimoni gay ad esempio, «la Bibbia dice che ci si può sposare, non dice con chi». Molteplici le qualità educative e benefiche della musica e del ballo secondo il bagaglio dei maestri e l’esempio dei ragazzi, i quali hanno così l’opportunità di salvarsi dall’abituale destino della strada, superare i ghetti delle comunità di appartenenza («a loro non importa se io sono di un altro paese», dice uno dei giovani), conoscere altre culture e essere introdotti all’arte. L’intento è farli uscire dal loro guscio, renderli orgogliosi di se stessi e delle proprie radici, capaci di disciplinarsi. Possono in tal modo stringere nuove amicizie - vediamo che quando qualcuno non conosce la lingua tutti lo aiutano -, che vanno pure oltre la separazione tra maschi e femmine - tipica della loro età - trovando la chimica della coppia giusta, per poi guardare l’altro «come fosse l’ultima volta» e trasmettersi emozioni, «rendere contento il partner». Vengono premiati la partecipazione, l’impegno, e ci si prepara alle sconfitte della vita, contenti per chi vince purché «non si vanti, perché farebbe sentire gli altri delle nullità». Il tutto attraverso un’attività definita divertente, che fa sentire bene e pieni di energia. Infatti la vitalità, l’eccitazione, il nervosismo dei ragazzi si diffonde, e seguendoli nel cambiamento in ladies e gentlemen, nei preparativi con acconciature e vestiti eleganti sotto gli occhi protettivi dei familiari, o consolandoli per il mancato passaggio delle eliminatorie, gli insegnanti si commuovono. E non solo loro.
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